giovedì, giugno 30, 2022
Giugno 2022. Il meglio
A metà dell'anno buone cose con gli album di Fantastic Negrito, Ben Harper, Lazy Eyes, Graham Day, Miles Kane, Hoodoo Gurus, Liam Gallagher, Spiritualized, Yard Act, Elvis Costello, JP Bimeni and the Black Belts, Shirley Davis and the Silverbcaks, Dedicated Men of Zion, Electric Stars, St.Paul and the Broken Bones, Abiodun Oyewole, York, PM Warson, Joe Tatton Trio e Diasonics
Mentre tra gli italiani Bebaloncar, Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri, Sacromud, Temporary Lie-Cesare Malfatti e Georgeanne Kalweit, Bastard Sons of Dioniso, Organ Squad, The Cleopatras, Dear, White Seed, Tin Woodman, Alternative Station, Massimo Zamboni, Dear, Agape e Path
FANTASTIC NEGRITO - White Jesus, black problems
Il nuovo album di uno degli artisti più interessanti e completi in circolazione è una sorta di concept dedicato ai suoi avi, coppia mista negli States schiavisti di 270 anni fa. Musicalmente entriamo nell'entusiasmante calderone di rock (Hendrix, hard, grunge, con attitudine punk), pop e tutte le sfumature della cosiddetta black music ma con una personalità e originalità che rendono ogni nota immediatamente riconoscibile. Pura e semplice eccellenza.
DREAM SYNDICATE - Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions
Il ritorno dei DREAM SYNDICATE è uno dei rari casi in cui la nuova incarnazione rivaleggia con quella originale degli anni che furono.
Il quarto album della moderna vita artistica ci regala una (come sempre) affascinante miscela di Paisley Undergoround, psichedelia, un tocco elettronico, tanto Lou Reed e Velvet Underground ma soprattutto tantissimo Steve Wynn.
I brani sono bellissimi, evocativi, a tratti rabbiosi, intensi, spontanei.
Un vero e proprio gioiello.
CHICKEN GRASS - s/t
Album d'esordio per la band finlandese, dopo 25 anni di attività. Funk, soul, Marvin Gaye, Curtis Mayfield, James Brown, riuniti in un album di pregevole fattura, suonato in modo spettacolare e con un gusto davvero sopraffino. Consigliatissimo.
LINK QUARTET - Live anthology 1998-2018
Una delle band più longeve nella scena Hammond beat funk, torna con un live antologico che raccoglie 31 brani incisi dal 1998 al 2018 tra Italia, Europa Stati Uniti. Una sferzata di incredibile energia, che oscilla tra jazz, beat anni 60, rock dalle tine hard e prog, funk, soul, lounge.
THE REACTION - This is now, that was then
La mod band di Burton (da non confondere con l'omonima di Bristol che realizzò l'ottimo 45 "Make up your mind"), fu attiva nei primi anni 80, aprendo per Jam, Purple Hearts, Lambrettas, Secret Affair). 40 anni dopo arriva all'esordio discografico con un album con sei nuovi brani, incisi ora e altri sei del 1981, finora inediti. Mod sound virato verso influenze rhythm and blues, nuovo tassello di una storia che continua a regalare gioielli nascosti.
NOVA TWINS - Supernova
Il duo femminile londinese pesta duro, prende palesemente spunto da Rage Against The Machine, grunge, Prodigy, sovraproduce un sound potentissimo (talvolta un po' pacchiano quanto la loro immagine), pluri osannato dalla stampa locale.
Un ascolto lo meritano ma tanto entusiasmo mi sembra ingiustificato.
PIERPAOLO CAPOVILLA E I CATTIVI MAESTRI -s/t
Torna l'anima dei disciolti Teatro degli Orrori, accompagnato da un supergruppo con Egle Sommacal (Massimo Volume), Fabrizio Baioni (LEDA) e Federico Aggio (Lucertulas). E colpisce ancora nel segno con il consueto arrembante iconoclasta furore attraverso dieci brani ("otto cazzotti e due carezze, per raccontare questi tempi di violenza e sopraffazione, il paese e il mondo in cui viviamo") che incidono carne e anima con suoni potenti e travolgenti affiancati da parole ancora più letali, nella loro spietata lucidità. Super!
CALIBRO 35 – Scacco al Maestro volume 1
Inevitabile che la band più cinematica in circolazione prima o poi affrontasse di petto il Maestro. Ennio Morricone viene rivisitato spaziando da alcuni temi più che noti a rarità ed episodi più oscuri. La band vi si accosta con con la dovuta e rispettosa reverenza, intervenendo mai a fondo ma mantenendo un ottimo equilibrio tra il calligrafico e la reinterpretazione. La qualità degli esecutori, la freschezza esecutiva, l'accurata scelta dei brani, rendono l'album, come sempre, interessante.
ROSALBA GUASTELLA - Grace
Torna la magia sonora di Rosalba Guastella che già aveva stupito con l'eccellente esordio del 2020 "My little songs".
Resta ancora in un contesto acustico, tra blues, psichedelia e una matrice folk che spazia da umori West Coast (a cui bene si accosta la voce di Rosalba che non di rado ha il gusto di una novella Grace Slick) a influenze britanniche tardi Sessanta. Atmosfere sinuose, conturbanti, avvolgenti, un nuovo piccolo/grande gioiello.
BLACK SNAKE MOAN - Revelation & Vision
Nuovo singolo per la creatura psichedelica del one-man-band Marco Contestabile, autore dello spettacolare album "Phantasmagoria". Anche in questi solchi si viaggia a suon di umori 60's rivisitati in modo personale e sempre suggestivo e avvolgente. Soprattutto con estrema padronanza della materia trattata. Fabedelic!
ZATARRA - Burning butterfly arabesque
Il cantautore frusinate scrive uno splendido album in cui convergono influenze inusuali nel panorama italiano, tra un costante mood psichedelico di sapore 60 ma che arriva fino ai 70 Pink Floydiani ("Its' over"), ballate sghembe, gusto Beatlesiano, sperimentazioni pop. Eccellente.
NABAT + KLASSE KRIMINALE - TNT
Due storiche Oi! Band (le migliori che abbiano calcato i palchi italiani) insieme in un 45 giri che assume contorni storici. I Nabat coverizzano "Lunatici romantici" dei Klasse Kriminale e i Klasse Kriminale chricambiano con "Nabat" della band bolognese. In aggiunta una travolgente "Rock n roll preacher" degli Slade, suonato da entrambe le band. Imperdibile.
LETTUCE - Unify
La funk band di Boston firma l'ottavo album di una fulgoda carriera. Grandie potenti brani di 70's funk, sull'onda dei primi Chicago e Tower of Power, groove a valanga, competenza tecnica e sound perfetto.
GOVT MULE - Stoned Side Of The Mule
Pubblicato nel 2015 per celebrare il ventesimo anniversario di carriera e velocemente andato sold out e registrato nella serata di Halloween del 2009, torna in circolazione un omaggio ai Rolling Stones di cui vengono ripresi tredici brani, pescando invece tra brani minori e più vicini al gusto southern rock dei Govt Mule. Sound ruvido, bluesy, rauco, tanto rock 'n' roll ed evidente voglia di divertire e divertirsi. Le versioni spesso calligrafiche ma l'ascolto è comunque gradevole.
RAPHAEL GUALAZZI - Bar del Sole
L'ho sempre considerato uno dei migliori talenti nostrani. Che ha vagato, con sapienza, anche tra funk, acid jazz, soul. Il nuovo album è il classico disco di cover, più o meno riuscite.
Ma quella di "Pigro" con i Funk Off è spettacolare (funk con sezione fiati da paura) e il boogaloo di "Arriva la bomba" riuscitissimo. Niente di imdimenticabile ma ben fatto.
AA.VV. - Early works vol. 2
Un'ottima compilation per la ATA Records che raccoglie soul, fun, boogaloo, soul jazz, gosple blues e tanto altro.
ASCOLTATO ANCHE:
JUST MUSTARD (noiosissimo shoegaze darkeggiante), WILCO (nome mitizzato e ampiamente supportato ma lontanissimo dai miei gusti), SYL JOHNSON (rap/soul di orientamento Prince di discreta fattura), HORSEGIRL (shoegaze noioso e prevedibile), NORTH MISSISSIPPI ALL STARS (sono al tredisesimo album e fanno un ottimo blues/rock blues tradizionale),
LETTO
CARLA VITANTONIO - Pyongyang Blues
Carla Vitantonio ha avuto l'opportunità di vivere, in qualità di cooperante internazionale, in COREA DEL NORD per quattro anni, incontrando e scontrandosi non solo (con) il regime politico ma anche soprattutto con una modalità di vita e comportamentale per la quale, l'autrice sostanzialmente conclude, non abbiamo gli strumenti per interpretare il paese e che quello che ci arriva è una "traduzione" di una realtà ben più complessa.
Grazie a questa full immersion nella quotidianità Nord Coreana rileviamo una realtà in bilico tra l'impenetrabilità e una normalità che non è così lontana dalla nostra.
"Il punto è che siamo così ideologicamente terrorizzati da questo Paese che fare un'analisi lucida è impossibile.
Rispetto a questo paese o si è pro o si è contro. Dobbiamo essere contr oal 100%, perché solo in questa maniera ci saremo guadagnati l'ammissione alla nostra comunità, la comunità del mondo libero (dicono loro) e capitalista (sussurro io).
E' tutto così spaventoso che non possiamo permetterci il rischio di accettarne una porzione, di avere un atteggiamento critico, no.
Loro sono i cattivi.
Noi siamo i buoni".
Ma c'è, appunto, una quotidianità offuscata dal pregiudizio "politico" che ci allontana da quello che potremmo vedere aprendo semplicemente gli occhi.
"Non avevo mai pensato che i posti che il signor So (ristorazione e atmosfera ricercata) potessero esistere in Corea del Nord.
Non avevo pensato ci potesse essere un gusto, un desiderio, una richiesta di posti simili.
E So mi stava dicendo che si, in Corea del Nord ci vivono degli esseri umani.
Ero quasi trasalita di fronte alla mia cecità".
Come sottolineato è una visione in bianco e nero dove le sfumature ci sono ma talvolta virano violentemente verso il colore indesiderato:
"...il grande e inspiegabile miracolo di questo paese è proprio la coltre di mistero che il sistema ha calato su se stesso e che ogni cittadino protegge come se fosse linfa vitale. Questo paese ha tra le sue missioni la protezione dei segreti.
I segreti di tutti.
E i meccanismi, i rapporti interpersonali sono tutti condizionati da questo obiettivo....noi stranieri siamo accessori, siamo in transito.
L'importante è l'integrità del sistema.
Unità monolitica.
Una misteriosa danza all'unisono".
C'è un passo molto interessante nel libro che potrebbe essere esteso facilmente anche in altri contesti:
"...ci si ritrova a pensare che tutto sia fatto apposta, che sia una deliberata strategia di chi comanda per creare un senso di confusione e di spaesamento, sia tra gli autoctoni che tra gli ospiti: se nessuno sa mai cosa succederà, se la logica e i principi della fisica non possono applicarsi agli atti dell'essere umano, allora bisogna affidarsi a qualcuno che ne sa di più.
Il leader?
Il regime?
Chi comanda di turno?
... stiamo nel sistema, marciamo a ritmo, altrimenti il sistema ci sputa fuori...il sistema, un'unità inscalfibile che si manifesta con egual forza nel collettivo e nell'individuo.
Ogni coreano è un piccolo pezzo el grande sistema e ognuno di loro contribuisce alla sopravvivenza e alla salute di questo organismo gigatesco, ognuno occupato ad assicurarne il benessere".
Il libro è molto interessante per capirne di più (non tutto) di questa anomalia persistente nell'omologazione mondiale, ma anche spunto di profonda riflessione sulle modalità di gestione politica delle nazioni, dei paesi, dei territori, delle persone.
ENRICO DEAGLIO - Qualcuno visse più a lungo
Il racconto agghiacciante di una fetta della recente storia d'Italia, quella che intrattenuto strettissimi rapporti con la mafia (con i suoi referenti politici da Andreotti a Berlusconi), tra ipotesi di golpe, indipendenza siciliana, traffici di droga miliardari, sanguinose guerre di mafia, migliaia di morti ammazzati, anche nomi eccellenti come Sindona e Calvi, l'assassinio di Don Puglisi, il potere dei fratelli Graviano ("La parrocchia era diventata un centro di resistenza culturale alla cultura mafiosa dominante nel quartiere...Don Puglisi parlava di un'altra vita possibile rispetto a quella che i Graviano imponevano") gli attentati a Falcone e Borsellino e ai monumenti italiani negli anni 90 (oltre a quello mancato allo stadio Olimpico alla fine di una partita della Roma che avrebbe dovuto causare un centinaio di morti), lo stalliere di Arcore e tanto altro.
Deaglio è rigoroso nel citare date, sentenze, processi, nomi, instillando dubbi ed evidenziando verità difficili da contrastare, raccontando dei clamorosi depistaggi che hanno affossato il corso della storia italiana, lasciandola in un'oscura e maleodorante palude di connivenze oscene.
ROBERT GORDON - Muddy Waters. Dal Mississippi Delta al Blues di Chicago
Per non inoltrarci in lunghe spiegazioni, lasciamo immediatamente la parola a qualcuno che non ha bisogno di presentazioni e che, per usare un eufemismo, se ne intende.
Keith Richards firma l'introduzione del libro di Peter Gordon, dedicato alla vita di Muddy Waters, “Muddy Waters. Dal Mississippi Delta al Blues di Chicago”, tradotto (benissimo) da Claudio Mapelli (credo sia importante citare coloro che riescono a restiruirci bene la magia della lingua originale) e stampato da Shake Edizioni:
“E' stato Mick Jagger a farmi ascoltare Muddy Waters. Un giorno, giovanissimi, siamo finiti a casa sua e mi ha fatto sentire Muddy. Allora ho esclamato “Wow! Ancora”.
E dieci ore dopo ero ancora lì che dicevo: “Dai, ancora”. Ascoltando “Still a fool” e “Hoochie Coochie Man” ho subito pensato che quella era la musica più potente che avessi mai sentito.
La più espressiva.
In un certo senso è stato il nostro padrino, il nostro primo obiettivo è stato che il mondo conoscesse Muddy Waters e quelli come lui.
Il nostro complessino aveva finalmente trovato un ingaggio per una serata e noi avevamo speso i nostri ultimi centesimi per un annuncio su una rivista.
Quando abbiamo telefonato per comunicare il luogo del concerto ci hanno chiesto: “Va bene, come vi chiamate?” Sul pavimento c'era “The Best of Muddy Waters” e sulla prima facciata c'era il brano “Rollin Stone”. Così ci siamo chiamati Rolling Stones”.
Basterebbe questo per non aver alcun dubbio e, se ancora non lo avessimo fatto nella nostra (a questo punto direi inutile) vita musicale, ci dovremmo precipitare ad ascoltarce subito un disco di Muddy Waters.
E' blues, quella musica nata da lontano, molto lontano, un luogo irraggiungibile, che si chiama anima.
Le radici in Africa, più o meno nella zona subsahariana, poi estirpate con la forza, picchiate, brutalizzate, schiavizzate e ripiantate nel nuovo mondo, in America, dove sono rigermogliate con la loro disperazione.
La schiavitù è stata un'esperienza apocalittica, i ponti sono stati tagliati per sempre e non c'é stata alcuna possibilità di recupero.
Non c'è più stato un prima, un termine di paragone, la possibilità di confrontarsi con un'idea di normalità.
Il blues è nato così, dall'esigenza di ricostruire le fondamenta di una nuova identità.
“Il blues è un'arte mirabile ma le condizioni che l'hanno creata erano strazianti. C'é una sola verità riguardante il blues che è rimasta praticamente immutata nei decenni ed è il fatto che tuttora è considerata una musica che affonda le sue radici nella povertà. Guai al musicista blues di successo. Se ha un po' di soldi in banca la sua autenticità verrà messa in discussione.
I fan chiedono: “Dacci la povertà”.
Il blues, nato dalla frustrazione della libertà, traeva origine dalle privazioni e divenne né più né meno uno strumento di sopravvivenza. Come la musica gospel, il blues significava liberazione, forniva conforto. Il blues riguarda il momento presente e ti impone di dimenticare le tribolazioni passate e i guai futuri, di penetrare in quella canzone e in quella sensazione adesso, di abbandonarti completamente ad essa.
Il gospel canta il paradiso, le visioni celestiali che ti attendono dopo la morte. Il cantante blues non è interessato al paradiso e non ha grandi speranze nella vita terrena” (Robert Gordon).
McKinley Morganfield nasce nel 1913 nello stato del Mississippi ma ben presto viene soprannominato dalla nonna Muddy Waters (acque fangose) per la sua abitudine di sguazzare nel fango.
Padre contadino ma anche valente musicista, nove fratelli, la madre che muore quando lui aveva tre anni, viene cresciuto dalla nonna a Clarksdale.
Muddy suona l'armonica e la chitarra, raccogliendo qualche centesimo nei juke joints, baracche che fungono da locali per i neri, dove si beve, si suona e si gioca d'azzardo, ma il lavoro principale sono le canoniche, durissime, infinite ore a raccogliere cotone.
Fin da piccolo nei campi, prima a portare l'acqua ai lavoratori, poi in prima fila con gli altri più vecchi a riempire casse di cotone.
Muddy elabora un suo stile, come ogni vero bluesman, uscendo dal classico standard che molti ritengono sempre uguale. Inserendo la propria personalità, un timbro diverso, una successione di accordi e linee melodiche che non hanno eguali. Viene scoperto nel 1942 nientemeno da Alan Lomax, ricercatore musicale e antropologo che girò in lungo e in largo gli Stati Uniti registrando brani blues sconosciuti, preservando una cultura che sarebbe andata altrimenti persa. Ma per molti anni le sue registrazioni rimarranno in un cassetto. Muddy Waters lascia il Mississippi e si trasferisce a Chicago, la città blues per eccellenza. Anche qui lavora duramente di giorno come autista, per poter dedicare la sera e la notte alla sua musica. Elabora un nuovo sound, in cui il blues rurale e acustico delle origini acquista elettricità, ritmo, groove e diventa la base per quello che conosceremo meglio come rock 'n' roll.
Assume il ruolo di leader della nuova scena blues, incide i suoi classici più conosciuti, ripresi da un'infinità di band dagli anni Sessanta in poi (Rolling Stones, come abbiamo visto, in testa) come “I'am a man”, “Hoochie Coochie man”, “I just wanna make love to you”, “I'm ready”. La fama cresce, diventa una star, acclamato dalla scena rock che lo venera (giustamente) come un grande ispiratore.
Devia verso un blues contaminato da rock e influenze quasi hard, suscitando scandalo tra i puristi.
Ma l'evidenza che i dischi più vicini allo spirito originale vendono poco mentre quelli più “alla moda” arrivano in classifica, lo inducono a una scelta ben precisa.
In “Electric Mud” omaggia i suoi discepoli Stones con una versione stravolta della loro “Let's spend the night together”. Nel 1982 in un piccolo club di Chicago, il “Checkerboard Lounge” si consuma uno dei momenti epici della storia del rock (evidentemente costruito a tavolino ma ugualmente suggestivo).
Muddy Waters suona per pochi astanti, quando all'improvviso arrivano Mick Jagger, Keith Richards, Ron Wood (oltre ad altri due Stones, Ian Stewart e Bobby Keys e il solito stuolo di amiche e amici) e ad uno ad uno salgono sul palco a suonare.
Pura estasi, il cerchio si chiude.
Tra il 1972 e il 1980 infila una serie di Grammy Awards per il miglior album “etnico/folk”. Ovviamente i suoi album elettrici sono piccoli gioielli di rara intensità, a scapito di presunti “purismi”, artisticamente ad altissimi livelli, pur se non di rado “di maniera” e ripetitivi.
Ma sono testimonianze, talvolta denigrate e bistrattate al momento dell'uscita, di primaria importanza.
Muddy Waters non si è mai risparmiato nella sua vita, in cui aveva tranquillamente abusato del suo fisico, non disdegnando mai la compagnia di belle donne (anche non necessariamente avvenenti) e di alcolici, più o meno super.
Ma a sconfiggerlo, a settantanni, fu un arresto cardiaco, anche se il suo fisico era da un po' di tempo minato da un cancro ai polmoni. Lasciò una grande eredità artistica, dagli Stones ai Led Zeppelin a Eric Clapton ma anche in una miriade di nuovi gruppi che dalla sua lezione hanno tratto, talvolta incosapevolmente spunto. Come dice sempre Keith Richards:
“La musica del ventesimo secolo è fondata sul blues. Non ci sarebbe il jazz o qualsiasi altra forma di musica moderna senza il blues. E quindi ogni canzone pop, per quanto trita e sciocca, ha in sé un pizzico di blues, anche se i suoi stessi autori ne sono inconsapevoli o hanno cercato di eliminarne ogni traccia”.
Conclude Robert Gordon nel sopracitato libro:
“Dopo la sua morte è nata ed è maturata una generazione: la prova della duratura validità della musica di Muddy è il potere che continua ad esercitare su chi sta sperimentando un mondo che lui non ha mai conosciuto.
La sua eredità è più potente che mai.
La sua cultura, la cultura del blues, ha avuto un impatto sul ventesimo secolo che probabilmente non è secondo a nessun altro”
OSKAR GIAMMARINARO - Rabbia e stile
Oskar Giammarinaro rimette mano al suo primo libro autoprodotto anni fa con il titolo "Il migliore dei mondi possibili" (da tempo irreperibile), rivedendone la scrittura e aggiungendo gli ultimi venti anni, con particolare accento sul legame con il Maestro Ezio Bosso che ci ha lasciati da poco e che era sempre vicinissimo, sia all'autore che alle radici mod e a Piazza Statuto.
Oskar racconta in maniera diretta e spontanea storie di strada, di piazza, di raduni, la nascita della scena mod, aneddoti (in cui spesso mi riconosco, essendo stato presente), le vicende della carriera degli Statuto, corredando il tutto da un ricco supporto fotografico.
L'epopea mod italiana è in gran parte in queste pagine.
ANGELO BRANDUARDI - Confessioni di un malandrino
Una lunga intervista, raccolta da Fabio Zuffanti (scrittore, musicista e critico musicale) e trasformata in intensda e divertente autobiografia di uno dei personaggi più anomali e personali della scena italiana (ma non solo, vlagano i grandi successi in Germania, Francia e Inghilterra).
"La fiera dell'est", "La pulce d'acqua", "Cogli la prima mela" gli hanno dato il successo ma la discografia di ANGELO BRANDUARDI è piena di dischi e proposte artistiche ardite e sperimentali.
Il libro è pieno di aneddoti, racconti, ricordi, esperienze, parecchi sassolini tolti dalla scarpa, gli incontri e le collaborazioni prestigiose (da De Andrè a Morricone a Jorma Kaukonen, tra le tante) confessioni drammatiche (la recente battaglia contro il "Sole Oscuro", la depressione).
Lettura gradevole, nonostante un po' di presunzione che spesso emerge ma temperata da una buona dose di ironia.
FRANCESCO PAOLO PALADINO - Messa Beat
Paladino è regista, musicista, scrittore, agitatore culturale da decenni.
Era indubbio che il suo nuovo progetto, un libro distopico che ci riporta alla fine degli anni Sessanta italiani, con la figura reale di don Marco Bisceglia, il "prete comunista" dell'epoca che si innesta in una storia inventata ma terribilmente plausibile, di ribellione alle convenzioni, in un paese della Puglia.
Il romanzo è spedito, divertente, fresco, pur trattando tematiche di particolare spessore (i diritti gay in primis) e con una colonna sonora di tutto rispetto, dai Beatles a Jimi Hendrix agli Electric Prunes.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Nel sito www.goodmorninggenova.org curo settimanalmente una rubrica di calcio "minore".
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
E' uscito il nuovo album dei NOT MOVING LTD "Love Beat" per Area Pirata con otto inediti e una cover
Si trova nei negozi, ai nostri concerti e qui:
http://www.areapirata.com/dettaglio.php?cod=5490
Prossimi concerti NOT MOVING LTD
Venerdì 1 luglio: Sesto Fiorentino (Firenze) “Limonaia”
Sabato 9 luglio: Salsomaggiore (Parma) “Festival Beat”
Domenica 7 agosto: Lido di Camaiore (LU) "Festival"
Sabato 3 settembre: Bologna “Frida”
E' uscito in tutte le librerie il libro "Soul. La musica dell'anima" per Diarkos.
Qui i dettagli: https://tonyface.blogspot.com/2022/01/antonio-bacciocchi-soul-la-musica.html
Presentazioni:
Venerdì 8 luglio: Salsomaggiore (PR) "Festival Beat"
Venerdì 22 luglio: "Porretta Soul Festival"
Dal 28 maggio nel Comune AltaValTidone (Piacenza) la Rassegna musicale/letteraria ROCK AROUND THE BOOK.
Il programma:
https://tonyface.blogspot.com/2022/05/rock-around-book.html
Il nuovo, quarto, volume di COMETA ROSSA EDIZIONI è a cura di ROBERTO CALABRO' (scrittore e giornalista) e dedicato a "Exile on main street" dei ROLLING STONES nel 50° anniversario dell'uscita.
Ogni uscita di Cometa Rossa coincide con una ricorrenza precisa.
Il libro ricostruisce nel dettaglio la genesi del capolavoro degli Stones, dai brani lasciati fuori dai dischi precedenti all'irripetibile magia di Villa Nellcôte fino alle session finali a Los Angeles.
Contiene un'intervista esclusiva a MICK TAYLOR, recensioni originali dell'epoca (inglesi, americane, italiane), contributi di Dome La Muerte, Ferruccio Quercetti, Paolo Barone, Fabio Redaelli, il sottoscritto.
Di nuovo nella collana 100 CLUB (100 copie numerate e autografate di libri che non saranno mai più ristampati).
Il libro si troverà esclusivamente (non chiedetene copie a me, non ne ho!) presso la distribuzione di HellNation.
hellnation64@gmail.com
https://www.facebook.com/roberto.gagliardi.9828
mercoledì, giugno 29, 2022
Get back. Dischi da (ri)scoprire
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale dedicato ai TRAFFIC.
Dear Mr. Fantasy (1967)
Gioiello e capolavoro dei 60's. Il "bambino prodigio" Steve Winwood lascia la proficua esperienza dello Spencer Davis Group e si unisce a tre talenti come Jim Capaldi, Chris Wood e Dave Mason per un eccellente album (precdeuto da alcuni ottimi singoli) in cui entrano psichedelia, rock, beat, jazz, retaggi soul e rhythm and blues e tanta creatività e originalità.
Traffic (1968)
Il secondo album gioca sul dualismo tra Dave Mason più orientato verso un rock blues intriso di soul, country e pop e Winwood/Capaldi/Wood più inclini alla sperimentazione e a influenze jazz. La qualità è ancora eccelsa con brani come "Pearly queen" e il classico soul rock "Feelin' alright" (di Mason) a condurre le danze.
Last Exit (1969)
Nonostante il successo di pubblico e critica la band esplode.
Steve Winwood assapora l'Olimpo del rock con l'effimera avventura dei Blind Faith, con Clapton e Ginger Baker e i Traffic si sciolgono.
L'etichetta discografia racimola le frattaglie rimaste in giro e confeziona un nuovo album con scarti dei precedenti album, canzoni uscite solo in singoli e due brani live. La classe c'é e l'album, pur non indispensabile, è di ottimo livello.
John Barleycorn Must Die (1970)
Conclusa la deludente esperienza con i Blind Faith, Winwood incomincia a comporre e registrare il suo primo album solista "Mad shadows".
Quando chiama Jim Capaldi e Chris Wood ad aiutarlo diventa evidente che si sono riformati i Traffic. Che incidono un capolavoro assoluto, avvicinandosi al concetto, in voga ai tempi, di "musica totale", in cui vengono incorporati elementi rock, blues, jazz, folk, pop, prog.
Sei brani per 35 minuti di musica, uno dei dischi più significativi nella storia del rock.
Welcome to the Canteen (1971)
Grande live con una super line up (Steve Winwood, Jim Capaldi, Dave Mason, Chris Wood, Ric Grech, Rebop Kwaku Baah, Jim Gordon) grazie alla seconda facciata occupata da due prodigiose versioni di "Dear Mr. Fantasy" (11 minuti) e una stravolta "Gimme some lovin" di 9 minuti.
La band suona alla grande e il disco merita grande considerazione.
The Low Spark of High Heeled Boys (1971)
La line up del precedente live (senza Mason) alle prese con un buon lavoro, pur inferiore ai precedenti, in cui troviamo rock, jazz, funk, Canterbury Sound e il consueto gusto per l'imporovvisazione.
Shoot Out at the Fantasy Factory (1972)
Album non particolarmente ispirato, probabilmente il più debole della carriera, che ricalca il sound del precedente ma con un'attitudine più stanca.
On the road (1973)
Un altro live con sei versioni lunghissime di brani del repertorio. Interessanti il nuovo sviluppo delle canzoni e le improvvisazioni, la partecipazione della sezione ritmica dei Muscle Shoals Rhythm Section ma è un episodio solo per completisti.
When The Eagle Flies (1974)
Album conclusivo per la band, piuttosto cupo e riflessivo, riuscita e ispirata miscela dei consueti stili e riferimenti e che dimostra che l'innata classe della band non ha ancora perso colpi.
Far from home (1994)
Venti anni dopo lo scioglimento Winwood e Capaldi tornano insieme.
Il duo suona e compone tutto ma con suoni "moderni", sintetici, una voglia di uniformarsi a un sound completamente lontano dal classico mondo dei Traffic.
The Last Great Traffic Jam (2005)
Registrato durante il tour promozionale di "Far from home" nel 1994. Tanto professionismo, voglia di suonare e divertirsi, versioni dei classici più che riuscite (una grande "Gimme some lovin"), Jerry Garcia in "Dear Mr. Fantasy".
La morte di Capaldi nel 2005 chiude definitivamente la storia della band.
Winwood : “I Traffic senza il mio storico partner non possono esistere”.
martedì, giugno 28, 2022
Peppino di Capri
Riprendo l'articolo per "Libertà" che ho scritto domenica e dedicato alla carriera di PEPPINO DI CAPRI.
Si fa presto a dire Peppino di Capri, il perfetto rappresentante della canzone melodica, del perbenismo artistico, dell'omologazione sonora.
Ma, come sempre, scavando per bene nella storia, le sorprese non mancano mai.
E il signor Giuseppe Faiella, suo vero nome, nato nel 1939, risulta essere anche un geniale e sorprendente innovatore.
Anche perché buon sangue non mente: il nonno fu musicista nella banda di Capri, il padre Bernardo aveva un negozio di dischi e di strumenti musicali e suonava il sax, il clarinetto, il violoncello e il contrabbasso in un'orchestra.
E' però ugualmente sorprendente sapere che l'esordio di Peppino fu a quattro anni, nel 1943, suonando il pianoforte per i soldati americani da poco arrivati anche nella sua natìa Capri.
“Io già a 4 anni suonavo per gli americani. In famiglia eravamo tutti musicisti e durante la guerra mio padre mi presentò al generale di stanza a Capri. Mi esibivo una volta a settimana. Poi rimasi sempre in contatto con la musica americana, un po’ perché sono un curioso, e un po’ perché lo zio Peter, che era emigrato in America, mi aveva spedito una radio con cui di notte ascoltavo il rock”.
Peppino studia pianoforte, suona nei night club del posto e ad Ischia con il Duo Caprese e nel 1956 sbarca in televisione nella trasmissione di Enzo Tortora “Tu vuò fa l'americano”, una gara tra esordienti, che vincono a mani basse, portandosi a casa un preziosissimo televisore.
Nel 1958 forma i Capri Boys con cui, tra i primissimi nella penisola, incomincia a suonare quella nuova musica che sta imperversando negli Stati uniti, il rock 'n' roll.
Ed è proprio quello l'anno della svolta.
Un potente dirigente dell'altrettanto fortissima casa discografica Carisch lo vede esibirsi a Ischia e lo scrittura subito per un provino a Milano. La band sale al nord con un Fiat 1100 e incide un dozzina di brani.”Ci avevano chiamato a Milano per registrare dei “provini”. Tornato a Capri, mi telefonano: “Guarda che uscirà il disco”. “Allora torno su per inciderli”. “No, no, vanno benissimo i provini! Li stiamo già stampando...”.
Non solo, la casa discografica gli cambia anche il nome: “Ti chiami Peppino e vieni da Capri, da oggi sei Peppino di Capri”.
A cui, in omaggio alla nuova moda americana, viene aggiunto “e i suoi Rockers”.
Il sound del gruppo è particolare perché attinge da una parte dal rock 'n' roll meno ruvido (dalle parti di Buddy Holly), dall'altra inserisce elementi latini come mambo e rumba (non lontano dai primi esperimenti in tal senso di Ray Charles) vedi “Pummarola Boat”. Ma non abbandona il classico stile della canzone napoletana che gli frutta i primi successi come “Malatia” e “Nun è peccato”.
“A Napoli gli ascoltatori più anziani dicevano: “Ma come si permette questo?”. Io però cantavo anche i classici della tradizione napoletana e li facevo conoscere ai giovani. Capitava che mi chiedessero: “Che bella “Voce ’e notte”! Quando l’hai scritta?”. E io: “Guardate che è del 1904”.
La carriera si arricchisce di nuovi successi, di concerti sempre più frequenti che lo portano perfino alla Carnegie Hall di New York e in America Latina. Nel 1961, con grande intuizione, porta in Italia il twist con una versione di “Let's twist again” di Chubby Checker, appena uscita in America.
Arriverà al primo posto delle classifiche nostrane, vendendo un milione di copie. Appare anche in numerosi musicarelli, film incentrati su vicende da commedia con protagonisti comici e cantanti di successo.
L'aspetto interessante della sua produzione musicale è la costante ricerca di nuovi suoni, ritmi, generi, che anticipano di anni le tendenze.
Ad esempio incide “Be my babe” brano soul delle Ronettes e “Girl” dei Beatles, scritto da Lennon che era appena uscito, nel 1965, nel loro “Rubber soul” (la cui pubblicazione venne volutamente ritardata in Italia per spingere di più la versione di Peppino). Inoltre lo troviamo alle prese con il travolgente rhythm and blues “Shout” degli Isley Brothers, l'oscura “Anna Lee” di Al Kooper, tastierista di Bob Dylan, “Reach out I'll be there” dei Four Tops, con il titolo di “Gira gira”, “It's no usual” di Tom Jones (“Un giorno cambierai”).
Nel 1965 aprì il tour italiano dei Beatles, all'apice della Beatlemania ma che in Italia ebbe un'eco più sfumata.
“Avevamo la stessa casa di distribuzione discografica in Italia io e Beatles. E mi ricordo che nei loro uffici circolavano i provini dei Beatles e io gli diedi la spinta a pubblicarli. Erano primi in classifica in tutto il mondo tranne che in Italia e la Carisch chiese a me, che ero il loro artista di punta, di chiudere il primo tempo dello show.
Cantai cover in inglese con grande sfacciataggine.
Il pubblico però era in generale molto educato e non come si vede nei classici filmati dei Beatles con le ragazzine isteriche.
Fu una cosa più pacata, le adolescenti urlanti erano solo qua e là. Feci tutto il tour con loro. Viaggiammo sullo stesso aereo, pernottammo nello stesso albergo a Roma: io ero in una suite, loro occupavano un intero piano. Avevano dei bodyguard che ti tenevano lontani. Mai una pacca sulla spalla. Solo l’ultimo giorno il loro impresario ci fece avvicinare per una foto”.
Sarà anche il primo a suonare un pezzo ska, “Operazione sole” nel 1966, su ritmi giamaicani davvero inconsueti per il nostro panorama musicale.
“A metà anni Sessanta non tiravo più come prima e avevo sperperato i tanti soldi che avevo guadagnato. Provai a importare lo ska, a rinnovare ancora il repertorio dei miei Rockers, ad approfittare della moda dei musicarelli, ma… Mi ritirai a Capri, non uscivo di casa se non per fare un tuffo a mare”.
La fine degli anni Sessanta con la valanga di cambiamenti sociali, culturali e artistici lo relega sempre più in secondo piano, troppo tradizionalista e legato a un repertorio non più al passo con i tempi.
Conserva successo negli Stati Uniti dove va spesso in tour. Si segnala per un esperimento bizzarro ma che rimane piuttosto interessante con due volumi dell'album “Napoli ieri – Napoli oggi” in cui rivisita classici napoletani in chiave quasi rock, con un gusto progressive. Anche successivamente, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, non disdegna sguardi all'attualità. Basti ascoltare alcuni brani di “Bona Furtuna”, album del 1981 (a cui collaborano anche Enzo Avitabile e il Maestro Peppe Vessicchio), in cui sfodera una serie di episodi funk soul, venati di blues e pennellate jazz fusion.
Dalla sperimentazione passa al successo definitivo con la vittoria al festival di Napoli, nel 1970 e al Festival di Sanremo nel 1973 con “Un grande amore e niente di più” con il testo scritto da Franco Califano.
Ma è soprattutto “Champagne”, uscito sempre nel 1973 a consegnarlo definitivamente alla storia della musica italiana.
Scritta da Mimmo Di Francia, Depsa e Sergio Iodice, ottiene un successo strepitoso, entra nelle classifiche di mezzo mondo, diventa un classico inevitabile in ogni serata di piano bar o musica leggera.
Peppino Di Capri si lega indissolubilmente al brano e da allora ad ogni apparizione pubblica non manca mai la canzone (peraltro poi ripresa più volte in nuove forme, tra cui una addirittura rap con Guè Pequeno, intitolata “Fiumi di champagne”).
“Se in concerto non la eseguo c’è la rivolta. La suonano ai matrimoni. Io vorrei dire: “Ma l’avete ascoltato bene il testo? Parla di una donna che era di un altro, non mi sembra tanto adatta”. Però sono contenti, e allora...La lanciai a Canzonissima del 1973, dissanguandomi per investire nelle cartoline-voto, come si faceva allora. Ma non bastò, non andai oltre il quinto posto, vinse la Cinquetti con “Alle porte del sole”, cinque o sei mesi dopo, però quel pezzo, scritto pensando ad Aznavour e Modugno, iniziò il suo giro del mondo, che continua ancora”.
Rivince il Festival di Sanremo (in cui detiene il record di partecipazioni, ben quindici, al pari di Milva, Toto Cotugno e Albano) nel 1976 con “Non lo faccio più” e nonostante continui successivamente ad incidere e a suonare, si adagia, giustamente e giustificatamente, nel successo nostalgico dei tempi passati.
La chiusura alle sue parole: “Ho amato e sono stato amato, ho una famiglia magnifica, ho avuto amici splendidi. E sono nato sull’isola più bella del mondo. Ora guardo solo al presente, alla possibilità di afferrare ogni cosa che viene ancora. Lo dico subito: io so cantare e suonare, non so fare altro, e vorrei farlo fino alla fine, in qualsiasi modo essa si debba presentare”.
lunedì, giugno 27, 2022
Badges /Spillette
Riprendo l'articolo che ho pubblicato per "Il Manifesto" sabato scorso.
La storia delle spillette o badges è lunga e articolata e festeggia il secolo e mezzo di vita.
Simbolo identitario, che può essere sinonimo di appartenenza, ideologica o semplicemente estetica a un movimento oppure di preferenza per un gruppo musicale o un genere o anche latore di un messaggio, talvolta politico, altre volte semplicemente ludico e scherzoso.
Alla fine degli anni Settanta, tra noi giovani mod e punk, ci si riconosceva soprattutto grazie alle spille che ostentavamo su giacche e giubbotti.
Il gruppo o la frase erano il codice idetntificativo di appartenenza filosofico/ideologica a una comunità esclusiva che nessuno, al di fuori di noi, poteva riconoscere.
Essendo difficile reperire gli originali, spesso ce li costruivamo, acquistandone di generici e sostituendo l'immagine con fotocopie (ricolorate con matite o pennarelli) del logo o della foto della band preferita.
La semplice spilla poteva essere di per sé un segno identificativo anche per le parti avverse che ci osteggiavano (fascisti, discotecari, gruppi di vario tipo) e portarle, soprattutto in certi quartieri o luoghi, era talvolta pericoloso.
Un esempio, per certi versi paradossale, dell'importanza “etica” della spilla risale a metà degli anni Settanta, quando in Inghilterra la scena del Northern Soul assurse a popolarità mediatica, portando nelle mitiche nottate a suon di ballo, al Wigan Casino o al Blackpool Mecca, una vasta platea di nuovi adepti che poco avevano a che fare con lo spirito puro originale degli appassionati di soul.
Per farsi accettare nella “scena” indossarono immediatamente, oltre all'estetica che utilizzavano gli abituali e veterani frequentatori delle serate, le spille provenienti dai locali e dai gruppi di appassionati.
Spille che però identificavano la cronologia delle apparizioni alle varie serate.
Nelle quali venivano vendute con tanto di data come ricordo e “timbro” di partecipazione.
I nuovi, giovanissimi, svilirono il significato dell'oggetto, indossandolo per motivazioni solo superficialmente estetiche.
I veterani smisero immediatamente di portarli, depotenziandone totalmente il concetto e trasformando chi li ostentava, in novellini senza radici.
La storia delle spille nasce già alla fine del 1.800, negli Stati Uniti, principalmente come mezzo di supporto politico o per aderire a campagne di beneficienza. Una delle prime testimonianze risale al 1.860 per la campagna elettorale di Abramo Lincoln, in cui vennero utilizzate spille in ferro per invitare a votare il candidato.
Negli anni Quaranta diventa famosa quella con la scritta “Halt Hitler”, nel momento in cui l'America entra in guerra.
Difficile da credere ma già negli anni Ciqnuanta il problema climatico era ben presente nei movimenti antagonisti oltre oceano e spuntano spille in cui si invitano governo e responsabili istituzionali a prendere in considerazione il problema dell'inquinamento e delle conseguenze sullo stato di salute della terra. Ma è negli anni Sessanta che l'oggetto diventa diffuso e funzionale alla lotta politica, alle istanze pacifiste (soprattutto contro la guerra in Vietnam) e a quelle per i diritti civili, al supporto ai gruppi musicali, fino a souvenir di avvenimenti culturali.
Si diffondono soprattutto nei campus universitari (anche come simbolo di appartenza alle scuole o a gruppi all'interno delle stesse), in concomitanza con l'ascesa delle proteste studentesche contro la disuguaglianza sia razziale che sociale, nelle lotte femministe e anti capitaliste.
Un aspetto spesso rimarcato è quanto ai tempi fossero oggetti effimeri e di scarsa considerazione, quanto ora siano invece diventati testimonianze di spessore socio politico e storico, tanto da essere oggetti da museo.
L'Università del Connecticut ha da poco inaugurato un centro di raccolta in cui vengono conservate più di 1000 spille, spesso di contenuto politico, sociale e di protesta (di cui la metà digitalizzate e reperibili sul loro sito) dal 1910 in poi, testimonianza preziosa delle modalità espressive di questo mezzo attraverso gli anni e gli avvenimenti storici contemporanei alla loro stampa.
Lo stesso ha fatto il Busy Beaver Button Museum di Chicago, ospitando però anche spille di vario genere. Ad esempio quella dei Chicago's Roney's Boys gruppo musicale del 1901, probabilmente la primissima band a promuoversi attraverso questo mezzo.
A Chicago ne sono disponibili in mostra circa 5.000 ma ce ne sono almeno 25.000 ancora da catalogare.
Una delle responsabili del museo, Christen Carter, riassume bene l'importanza e la diffusione delle spille:
“Ci sono pochissime cose importanti che accadono senza che vengano accompagnate da una spilla e molte cose minori che invece vengono immortalate con le spille.
E' un vero universo.
È anche un tipo interessante di storia a livello personale. Non è necessariamente solo un grande libro di storia”.
I badges ebbero un'importanza rilevante all'interno della scena punk nata nella seconda metà degli anni 70 tra Usa e Inghilterra, simbolo estetico essenziale nel look di gruppi e fan.
La prima risale al luglio del 1976 e raffigura il chitarrista dei Ramones, sovrastato dal nome della band.
L'autore era però inglese, Joly McFie che fondò la Better Badges che produceva spille punk dedicate a tutti i gruppi della scena.
Giunse a venderne ed esportarne milioni in tutto il mondo.
Andò al concerto di Patti Smith a Londra il 17 maggio 1976 a venderne una serie che aveva fatto appositamente per l'occasione e fu subito un successo.
Ne stampò successivamente anche di Debbie Harry e quando i Blondie arrivarono in tour in Inghilterra si stupirono nel vedere tanta gente nel pubblico indossare le spille con la faccia di Debbie.
Nel 1976 i Motorhead erano ancora praticamente sconosciuti ma avevano la sala prove nella cantina sottostante il luogo in cui Joly lavorava alle sue spille. Così decise di farne anche una dedicata a loro con la scritta “Lemmy the Lurch”, diventata poco dopo un ricercatissimo pezzo da collezione.
Il badge che fece decollare l'attività fu invece quello di Iggy and the Stooges, prodotto alla fine del 1976, quando il punk era ancora in fase embrionale e Iggy un padre putativo riconosciuto e adorato.
Più problematico logisticamente fu il badge dei Sex Pistols con la faccia della regina trattata dal grafico della band, Jamie Reid, con una spilla da balia nelle labbra e la scritta “God Save the Queen”.
Joly McFie ne produsse alcune copie promo che entusiasmarono la Virgin Records che gliene ordinò “una tonnellata”.
Ma le lavoratrici della Universal Buttons a cui venne delegata la produzione si rifiutarono di toccarle e di realizzarle.
Così inizialmente si dovettero arrangiare da soli, lavorando giorno e notte per supplire agli ordini, fino a quando non trovarono una fabbrica con meno scrupoli.
Progressivamente sempre meno utilizzate, le spille (anche se molto presenti durante le campagne elettorali americane, dove rimangono un mezzo di comunicazione ritenuto ancora particolarmente valido) hanno ritrovato vita grazie a un crollo dei costi di produzione grazie alle nuove tecnologie e anche all'utilizzo su internet dei cosiddeti “web buttons”, ovvero dei pulsanti che si possono inserire nelle pagine, digitando i quali si viene rimandati all'oggetto della promozione. Difficile immaginarle indossate dalle giovani generazioni, più abitualmente utilizzate dai veterani delle varie scene tra gli anni Settanta e Novanta, conservano comunque il fascino “antico” di una modalità espressiva tanto diretta quanto naif ma di immediata presa e lontano, candido (un po' nostalgico), sapore adolescenziale.
domenica, giugno 26, 2022
Francesco Paolo Paladino - Messa Beat
Paladino è regista, musicista, scrittore, agitatore culturale da decenni.
Era indubbio che il suo nuovo progetto, un libro distopico che ci riporta alla fine degli anni Sessanta italiani, con la figura reale di don Marco Bisceglia, il "prete comunista" dell'epoca che si innesta in una storia inventata ma terribilmente plausibile, di ribellione alle convenzioni, in un paese della Puglia, fosse molto cinematografico.
Il romanzo è spedito, divertente, fresco, pur trattando tematiche di particolare spessore (i diritti gay in primis) e con una colonna sonora di tutto rispetto, dai Beatles a Jimi Hendrix agli Electric Prunes.
Francesco Paolo Paladino
Messa Beat
Crac Edizioni
134 pagine
12 euro
sabato, giugno 25, 2022
Maneskin live Lignano 23 giugno 2022
L'amico Soulful Jules non è solo un importante reporter/commentatore di vicende dell'est europeo in fiamme per questo blog ma anche raffinato DJ soul e profondo conoscitore musicale.
Di seguito una splendida, disincantata e realistica recensione del concerto dei MANESKIN a Lignano.
MANESKIN 23 GIUGNO LIGNANO
Per il suo nono compleanno, ho regalato a mia figlia un biglietto per il concerto dei Måneskin del 23 giugno allo stadio di Lignano Sabbiadoro, riscaldamento per il live-evento del 9 luglio al Circo Massimo a Roma.
La data è sold-out, circa 27.000 biglietti venduti.
Arrivati nei paraggi dello stadio, incontro qualche difficolta nel parcheggio, mi viene in soccorso una mamma slovena, più sgamata di me, con t-shirt degli Iron Maiden.
Seguiamo a piedi il flusso di gente, l’età media è bassa, tanti ragazzi, appena ventenni, moltissimi teenager accompagnati dai loro genitori, superiamo qualche ragazzina rock, con ciuffi colorati di viola, l’ombretto e il rossetto nero; fino alla fine degli anni ‘90 sarebbero state dark o metallare.
Ci facciamo un panino nel parcheggio dello stadio insieme a centinaia di famiglie, l’atmosfera è rilassata, più da ritrovo in parrocchia che da metallo pesante. A livello di stile, tra maschi e femmine è netta la prevalenza di shorts scuri e maglie nere o bianche.
Qualche ragazzina con top leopardato e Converse All Stars nere alte.
Sulle braccia scoperte pochi tatuaggi, di quelli ordinari, che incontri durante la passeggiata sul bagnasciuga. I padri si concedono una birra e qualche boccata di sigaretta elettronica.
Entriamo agevolmente in pochi minuti, il gel per le mani ci viene sequestrato perché infiammabile.
Dentro allo stadio una birra da 33 cl costa 6 euro, manco te la stappasse Di Maio in persona. Il pubblico è composto almeno per il 60% da donne, l’età media si aggira intorno alla trentina, forse è anche più bassa.
Tra i fan vedo molte t-shirt dei Måneskin, a partire da 35 euro al banco del merchandising, super gremito; qualche 40-50enne indossa la maglietta dei Ramones, quelle di H&M.
Nel corso della serata ne incrocio una dei Beatles, un paio degli Ac/Dc nuove di stecca, e una sbiadita dei Pearl Jam.
Man mano che il prato e gli spalti si riempiono, il brusio di voci sale ma rimane sommesso, educato.
Ogni tanto si alza qualche nuvoletta di CBD, illusoria e innocua, segno di una trasgressione gentile e un po’ barbuta, nettamente dentro i confini.
A pochi minuti dall’inizio del concerto hanno tutti il telefono in mano, soprattutto le ragazzine che barcollano come ubriache delle loro dirette, stordite dall’ebbrezza delle stories.
Alle 21:45 si parte con Zitti e Buoni, esecuzione onesta.
Seguono In Nome del Padre, Mammamia, Coraline e La Paura del Buio dall’ album Teatro d’Ira del 2021. Arrivati all’ultimo singolo, Supermodels, Damiano si è già tolto la giacca doppiopetto del completo bianco, dai volumi morbidi, anni ‘80.
Rimane a petto nudo, al netto dei 10 kili di perle bianche che gli arrivano fino all’ombelico.
Thomas indossa un completo anni ‘70 rosa confetto con pantaloni a zampa e giacca dai revers larghi, Victoria un top nero a strisce sopra una canotta dello stesso colore.
Il batterista Ethan Torchio ha dei pantaloni scampanati a rombi bianchi e neri e una camicia bianca, sono testimonial ideali delle ultime collezioni di Alessandro Michele per Gucci.
Alla quarta canzone Damiano si rivolge al pubblico per la prima volta “Porca troia! Voglio sentire i veri fan”.
Attaccano Chosen, title track del disco d’esordio del 2017. Segue la cover di Amandoti dei CCCP, interpretata molto bene da Damiano e molto cantata dal pubblico.
Hanno un suono potente e gradevole, ben equalizzato, mi piacciono molto i riff di chitarra acidi e penetranti di Thomas, il mio preferito dei quattro.
Il basso rotondo e abrasivo di Victoria è percussivo, offre una base solida alla band e mi ricorda molto il sound dei Grand Funk.
Il batterista introduce regolarmente degli inserti funky, che danno quel tocco un po’ dance a molti loro brani, dinamica molto apprezzata dal pubblico che sculetta felice.
Si divertono molto sul palco, ridono, liberano un sacco di energia, col salvavita certificato.
Su I Wanna Be Your Slave Damiano incita il pubblico “Giù questi cazzo di culi”.
Alla fine della canzone, dal prato si alza il primo vero boato della serata.
Assistiamo al debutto live di If I Can Dream, il brano di Elvis coverizzato per la colonna sonora del film presentato a Cannes. Lo stadio è puntinato da migliaia di schermi illuminati che hanno ormai sostituito la coreografia degli accendini.
Mi piace l’arpeggio di Thomas ma la voce di Damiano, coerente con l’esecuzione, non mi tocca minimamente. In chiusura il light show emula quello dello spettacolo televisivo del ‘68 Comeback.
Ad ogni intervallo Damiano dice un “cazzo” circondato da qualche altra parola, parla in romano e vuol fare il ragazzo di strada ma è più ruvida la ragazzina a fianco a me con la tshirt “Bestemmiare è bello”.
Lo show procede senza intoppi, è uno spettacolo collaudato con una scaletta ben costruita, senza pause tra i brani, si vede che è una band coesa con un live rodato.
In Torna a Casa rimangono sul palco solo chitarra e voce per una versione acustica in stile MTV unplugged, Damiano e Thomas seduti sullo sgabello.
Segue Vent’anni, cantata da molti nel pubblico, anche quelli che quell’età l’hanno più che doppiata, e poi I Wanna Be Your Dog degli Stooges, parte della colonna sonora del blockbuster Cruella della Disney.
L’impatto del suono è potente, un’onda travolgente pervasa dalle smerigliate ipnotiche della Stratocaster di Thomas.
Non è Ron Asheton ma va bene così per il chitarrista romano, classe 2001. Come per altre cover, trovo poco convincente il cantato di Damiano che rimane comunque un grande interprete dei brani della band.
I Måneskin, tranne Victoria, sono ormai tutti senza camicia, si concedono al pubblico e provano a mescolarsi coi ragazzi delle prime file appoggiandosi alle transenne.
Parte Beggin’, nuova esortazione del frontman con la sua parola preferita “Su le cazzo di mani”. Urla, urletti e ululati per la reazione più calda di tutto il live da parte del pubblico.
I ragazzi sono generosi, non si risparmiamo, Victoria torna sotto al palco e suona con la schiena appoggiata sulle mani dei fan.
Durante Morirò da Re, un’ora e un quarto dall’inizio del concerto, la prima vera trasgressione della serata: Damiano fuma sul palco una sigaretta, di quelle col tabacco.
Sul finire del pezzo Victoria si inginocchia davanti a Thomas per accennare una fellatio a 10 corde, distanze di sicurezza ampiamente rispettate.
Parte un brano in inglese un po’ caotico, dopo un paio di versi mi accorgo che è My Generation, destrutturata e declamata su una base apocalittica.
Complimenti per la scelta del brano, un po’ meno per l’interpretazione. Per l’ultima canzone prima del bis la band fa salire un po’ di gente sul palco, Damiano sceglie i fan dalla prima fila e li invita a ballare con loro. Durante la jam strumentale, i ragazzi sono più d’intralcio che altro, Thomas si sposta continuamente per non essere strattonato o avvinghiato.
L’intro sfocia in Lividi Sui Gomiti, i fan sul palco hanno resistito alla magia meno di 2 minuti, hanno tutti gli occhi fissi sui telefoni per un mini contest di dirette e video-chiamate che sennò sullo stage coi Måneskin non ci sei mica stato.
“Voglio sentire un cazzo di casino” incita la folla Damiano, che sembra trarre un piacere sincero da quella parola, quasi fosse il capo di un gruppetto di boy-scout eversivi.
Benedico mia figlia quando mi dice di essere un po’ stanca, usciamo subito prima del bis e lasciamo buona parte degli spettatori dentro lo stadio, cosa che ci permetterà di essere a casa in meno di un’ora. Ascoltiamo le due canzoni finali mentre raggiungiamo l’auto, come brano di chiusura ripropongono I Wanna Be Your Slave. “Giù quei cazzo di culi”.
Metto in moto e faccio partire AM degli Arctic Monkeys, che non si sa mai.
“Ti è piaciuto il concerto?”
“E’ stato super bellissimo.
Puoi abbassare un po’ la musica?” e si addormenta a metà di Do I Wanna Know.
venerdì, giugno 24, 2022
° Underground Set (1970)
° The Psycheground Group – Psychedelic And Underground (1971)
Underground Set - s/t (1970)
Strano e (a lungo) misterioso album strumentale.
Solo dopo un po' di tempo si scoprì che dietro c'era il compositore Gian Piero Reverberi, produttore di molti album delle Orme, autore di gran parte dei brani con lo pseudonimo di Ninety.
Tempo dopo il batterista Paolo Siani rivelò che a suonare il disco erano i Nuova Idea, eredi dei J Plep, gruppo di punta della genova Beat con alla voce Giorgio Usai, futuro New Trolls.
Un album che abbraccia un sound Hammond jazz, con influenze psichedeliche, Brian Auger, proto prog.
Pieno di brani ballabilissimi e da 60's party.
L'album completo:
https://www.youtube.com/watch?v=sexy5Ht0Kps
The Psycheground Group – Psychedelic And Underground (1971)
Altro nome ma stesso autore dei brani e presumibilmente stessi musicisti per questo secondo capitolo dell'anonima esperienza, sempre strumentale ed evidente frutto di jam sessions in studio.
Più Hendrixiano e rock blues, acido, con cinque lunghi brani (ad eccezione del rhythm and blues di gusto Joe Cocker di "Ray") e finale jazzato con "Tube".
L'album completo:
https://www.youtube.com/watch?v=R1ScDhdxW9s
giovedì, giugno 23, 2022
Canners
Prosegue la rubrica TALES FROM NEW YORK.
L'amico WHITE SEED è da tempo residente nella Big Apple e ci delizierà con una serie di brevi reportage su quanto accade in ambito sociale, musicale, "underground", da quelle parti, allegando sue foto.
Le precedenti puntate sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/Tales%20from%20New%20York
Essenziali, raccolgono lattine e bottiglie di vetro o plastica scartate o dimenticate dai newyorkesi per strada, per tutto il giorno girano la città raccogliendone il piu' possibile per poi depositarle nelle apposite macchinette di riciclo, ricevendo in cambio un buono spendibile al supermercato oppure cambiato direttamente in cassa con denaro contante, in molti lo fanno e non tutti sono Homeless.
Questi raccoglitori vengono chiamati “Canners”, persone che sopravvivono raccogliendo lattine.
Lavoro faticosissimo che pulisce una città sporchissima con pochissimi cestini e piena di gente che getta di tutto per terra.
mercoledì, giugno 22, 2022
Rolling Stones - Milano San Siro 21/05/2022
L'amico Alessandro Zanelli era ieri sera a San Siro, al cospetto dei ROLLING STONES.
Ci delizia con un resoconto (notturno) del concerto.
Potrei dirti che come al solito, é bastata la pennata di Street fighting man e due sgambate di Mick per avere il biglietto pagato oppure potrei dirti che sono partito con delle remore vista la definitiva defezione del povero Charlie.
Eppure ho trovato la band in grana smagliante.
Potenti ed incredibilmente disciplinati.
Forse fin troppo.
Parecchi stacchi e break negli arrangiamenti, ritmicamente complessi eppure egregiamente eseguiti.
Il vecchio Keef non é stato affatto esaurorato da Ronnie, come credevo, ma ha fatto quello che ci si aspettava nell'antica trama della tessitura.
Nella scaletta diverse note di pregio, fra tutte una 19th nervous particolarmente tirata e pesante ed una Midnight rambler con frammenti di una tetra come In my kitchen tra un cambio di tempo e un altro.
Hanno fatto l'ultima Living in a ghost town anche se avrei preferito un Doom & Gloom che é una delle loro ultime meglio riuscite.
Infine un Jagger che presenta in un perfetto italiano e sottolinea che é il primo tour senza Charlie e a loro manca moltissimo, anche a noi, e che sono passati 55 anni dalla prima volta che suonarono a Milano.
Lieti di essere ancora qua e lieto anche io di esserci stato.
Nient'altro.
Sti vecchi sono ancora degni della loro leggenda.
Dimenticavo, il suono cazzo, il suono della chitarra di Keef....
LA SCALETTA
Street Fighting Man
19th Nervous Breakdown
Tumbling Dice
Out of Time
Dead Flowers
Wild Horses
You Can't Always Get What You Want
Living In A Ghost Town
Honky Tonk Woman
You Got the Silver
Connection
Miss You
Midnight Rambler
Start Me Up
Paint It Black
Sympathy For The Devil
Jumpin' Jack Flash
Bis:
Bis: Gimme Shelter
(I Can't Get No) Satisfaction
martedì, giugno 21, 2022
Arthur Alexander
Tra gli autori più influenti nella storia del rock, spesso colpevolmente dimenticato, raramente citato.
Pur se le sue canzoni (unico caso) sono state incise da Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan, Elvis Presley.
Ma non solo: anche Humble Pie, Willy De Ville, Pearl Jam, Roger McGuinn, Ike & Tina Turner, Jerry Lee Lewis, Bee Gees, Robert Plant, Otis Redding.
ARTHUR ALEXANDER ha esordito nel 1960, inciso tre album, una ventina di singoli, qualche ep e si è ritirato dalle scene e dalla musica nella seconda metà degli anni 70, dedicandosi al lavoro di autista.
Tornò dopo 21 anni con il terzo album, poco prima di morire nel 1993.
Nato (nel 1940) e cresciuto in Alabama, lavorò come raccoglitore di cotone e fattorino prima di dedicarsi alla musica, dal 1960, e trovare un discreto successo con "You better move on" nel 1961.
Influenzato da blues, rhythm and blues, latin sound e country, con Nat King Cole come principale riferimento, venne scoperto nel 1962 dai Beatles che inserirono in repertorio le sue "Soldier of Love", "A Shot of Rhythm and Blues", "Where Have You Been" (di cui esistono registrazioni live ad Amburgo) e "Anna (go to him)" nel primo album "Please please me".
Il brano è anche nell'album "Thunderbox" degli Humble Pie.
“We wanted to sound like Arthur Alexander". (Paul McCartney).
Nel 1964 furono i Rolling Stones a coverizzare la sua "You better move on" (poi ripresa anche da Hollies e Willy De Ville, tra i tanti).
Rifecero anche "Go home girl" ma non fu mai pubblicata.
"Burning love", uscita agli inizi del 1972 venne ripresa da Elvis Presley qualche mese dopo e portata al secondo posto delle charts americane.
Scrisse "Every day I havve to cry" nel 1962 per Steve Alaimo che venne poi registrata anche da Ike & Tina Turner e Bee Gees e che lui incise solo nel 1975.
Nel 1988, Bob Dylan incide "Sally Sue Brown", suo singolo d'esordio del 1960, nell'album "Down in the groove".
"If It's Really Got To Be This Way", dal suo ultimo album del 1992, "Lonely Just Like Me", è stata coverizzata successivamente da Robert Plant e contiene anche "Johnny's heartbreak" che fu composta con Otis Redding che ne registrò una versione, uscita nel 1970.
I due avevano previsto un tour insieme ma la morte di Otis fece svanire il progetto.
Un infarto lo porta via nel 1993 a 53 anni.
lunedì, giugno 20, 2022
Obou
La tanto bistrattata "televisione" offre sempre, avendo la pazienza di cercare le cose, spunti di riflessione e scoperte altrimenti impossibili da trovare nel "web-dove-c'é-tutto".
Nella trasmissione di Rai5 Y AFRICA ho trovato OBOU, artista ivoriano, che mi ha letteralmente conquistato.
"La mia arte è figlia della cultura del mio popolo e della crisi della regione in cui sono cresciuto...ero giovanissimo e ho visto troppe atrocità e cose brutte. Una grande fonte di ispirazione per me è la cultura del mio popolo".
https://www.facebook.com/Peintre-Obou-247641368935838/
https://www.raiplay.it/video/2021/02/YAfrica---E7-4f1cddfa-e2a5-4ace-ac5a-d0d178828219.html
sabato, giugno 18, 2022
Beatles Days
Rock around the Book-Alta Val Tidone(PC) prosegue nel weekend con i BEATLES DAYS, con concerti, libri, mostre oltre al cibo e il vino dell'Alta Val Tidone ad allietare il tutto.
Sabato e domenica a TREVOZZO (Piacenza).
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