venerdì, gennaio 31, 2014

Il meglio di gennaio 2014



Tra i nomi che potrebbero già finire nella top 10 di fine anno:
Sharon Jones and the Dap Kings, Hypnotic Eye, Quilt, Nick Pride and the Pimptones.
Tra gli italiani Plastic man e Peter Seller and the Hollywood Party


ASCOLTATO SHARON JONES and the DAP KINGS - Give the people what they want
Nuovo gioiello della Lady Soul dei 2000’s tornata dopo una brutta malattia ad incantare con un soul avvolgente ma deciso, senza fronzoli, splendidamente arrangiato e che riesce ad andare oltre i consueti schemi del genere, allargandosi ad una forma canzone più elaborata e contaminata.
Il risultato è un piccolo capolavoro di grazia ed equilibrio, destinato a rimanere nei top 2014.

HYPNOTIC EYE - The optical sound of Hypnotic eye
Da Londra una giovane band innamorata dei profondi 60’s da cui attingono l’irruenza dei Kinks e dei primi Stones, gli afflati psichedelici degli ultimi anni del decennio e tantissimo altro.
Il tutto corredato dalla suadente voce femminile dal timbro soul e dall’approccio spesso vicino a Lulu. Gran bel disco.

THE QUILT - Held in splendor
Trio di Boston, al secondo album, suadente voce femminile e un viaggio sonoro tra psichedelia, Byrds, shoegaze, primi Floyd, Opal e Mazzy Star, Dream Syndicate, pop beat, 60's sound.
Affascinanti, avvolgenti, ruvidamente vellutati.

NICK PRIDE and the PIMPTONES - Rejuiced phat shake
Al secondo album la band di Newcastle sfodera un repertorio di prima qualità con cui va ad esplorare un’ampia gamma di Black Music dal classic soul al funk, blues e rhythm and blues, il cajun soul alla Neville Brothers, perfino l’hip hop.
Lavoro variegato, stimolante, divertente, godibilissimo.

BIRTH OF JOY - Prisoner
Dall’Olanda una poderosa band che mischia psichedelia tardo 60’s (tra Doors e i Pink Floyd di “More”) a pennellate hard psych, varie influenze dai più disparati meandri del rock (dalla new wave al grunge al prog).
Un mix sorprendentemente valido.

BLANK REALM - Grassed inn
Dall’Australia i Blank Realm sfoderano un sound interessantissimo in cui convergono Dream Syndicate, Television, il Lou Reed tardo 70’s, Flaming Lips, i Velvet Underground più psych, Yo La Tengo, un po’ di Sonic Youth.
Tanta roba e album davvero bello.

DAMIEN JURADO - Brothers and sisters of the eternal son
All’undicesimo album il cantautore americano abbraccia sonorità intensamente psichedeliche, pink floydiane a tratti, con tracce gospel blues, rimandi al primo Van Morrison, personalità in abbondanza.

G-FAST - “Go to M.a.r.s”
Lui è di Milano e si chiama Gianluca Faseni e in questo secondo album tira fuori 10 brani in stile Black Keys buttando dentro blues, Hendrix, Tom Waits, soul, funk, il tutto in chiave sporca, dura e sguaiata ma suonata alla grande. Da scoprire.

PETER SELLER AND THE HOLLYWOOD PARTY - In the city
Graditissimo e travolgente ritorno della psych band milanese che dopo due ottimi album nel 1987 e nel 1989 avevano abbandonato la scena nel 91.
Il nuovo ep propone 4 brani in cui spicca la title track, assalto ritmico dominato da un basso di stampo Joy Division e un ipnotico ritornello a cui fanno da contro altare la delicata ballata pink floydiana “The words and the smiles” e la successiva rarefatta psichedelia moderna di “I’m bored” prima che un remix ambient dela title track chiuda il breve ma affascinante ritorno.

MIDNIGHT KINGS - Do the monkey
Prezioso 45 in vinile per la band dell’Alto Piemonte alla prese con un beat and roll ruvido e minimale, produzione e registrazione Lo-Fi che rieccheggia i fasti dei primi Milkshakes e Cannibals. Essenziale !

THE MODERN MODEL - Mirror pieces Attivo nei primissimi anni 80, sciolto nel 1983 il sestetto veneto (in cui milita il Nostro Beppe Kin) ha ripreso da poco l’attività testimoniata da questo EP che raccoglie la rivisitazione di loro vecchi brani tra new wave, tocchi di sax che acuiscono ancora di più l’ispirazione tra Ultravox! e Roxy Music, accenni funk punk e una produzione scarna e minimale che riporta ancora più marcatamente alle atmosfere londinesi e new yorkesi di fine anni 70’s. Chiude come bonus track una versione di “A day in the life”.

PLASTIC MAN - Plastic Man
Dalla profonda Toscana, via Teen Sound, un coloratissimo ep d’esordio all’insegna di palesi riferimenti ai Pink Floyd barrettiani, Tomorrow, Kinks, i primi Television Personalities, gli Who del 1966, 13th floor elevators.
Quattro brani crudi, intensamente psichedelici, riuscitissimi.

LA MISERE DE LA PHILOSOPHIE - Ka-meh
Da Piombino un album davvero interessante che coniuga in modo originale suggestioni alt-rock, rimandi alla più classica new wave e un gusto psichedelico tardo 60’s con pennellate soniche alla Velvet Underground.
Il cantato in italiano rende il tutto ancora più originale e convincente. Ottimo lavoro.

PLASTIC MADE SOFA - Whining drums
Da Bergamo, al secondo album, i PLASTIC MADE SOFA accentuano l’anima rock psichedelica abbracciando il mondo che fu caro a bands inglesi come Kula Shaker e Charlatans fino ai riferimenti raga rock con tanto di sitar di “Noodles for breakfast” e ai primi Pink Floyd in “Stargazers”.
Il tutto con un’anima attualissima e moderna, fresca e convincente.

ASCOLTATO ANCHE
STEPHEN MALKMUS AND THE JICKS (buon album pur se discontinuo per l’ex Pavement), WAY THROUGH (duo inglese di “pastoral punk”...ricordano un po’ i Fall, un po’ Billy Bragg), SELF DEFENSe FAMILY (post hardcore con un un po’ di Fugazi dentro), THE AUTUMN DEFENSE (due dei Wilco in libera uscita con un discreto album che spesso passeggia dalle parti del George Harrison dei 70s’ e di Al Stewart. Molto gradevole), DUM DUM GIRLS (pop wave con un po’ di riminiscenze Siouxsie..mah), POLYPHONIC SPREE (discreto album dai consueti connotati visionari ma non regge alla distanza).

LETTO

LUCA LOCATI LUCIANI Crisco disco
Un libro sorprendente per precisione, ricercatezza e completezza quasi chirurgica sulle connessioni tra la scena disco e la cultura gay in cui si analizza la nascita della disco music a pari passo della rivendicazione dei diritti dei gay.
Uno stimolante elenco di brani, dischi, artisti che fa da sfondo alla nascita dei primi locali gay friendly, poi le discoteche, le canzoni più o meno esplicitamente dedicate, gli artisti più o meno palesemente omosessuali.
Interessantissima la parte sulla nascita dei primi DJ in Italia tra la fine dei 60’s e i primi 70’s, i primi passi del movimento gay all’interno delle lotte politiche dei 70’s nostrani e vari interventi e interviste di protagonisti del night clubbing tricolore.

JOHNATHAN TROPPER - Tutto può cambiare
Divertente, leggero, scorrevole romanzo-commedia dalle vicende improbabili e rutilanti in cui emerge la classe della scrittura dell’autore che riesce a descrivere in sottofondo un’America che perde sempre più pezzi e dignità.
Il tutto in una gradevolissima salsa agrodolce.

LUIS SEPULVEDA - Il vecchio che leggeva romanzi d’amore
Ogni tanto fa bene rileggere Sepulveda, maestro di grazia e coraggio.
Questo è un suo capolavoro del 1989, pieno di anima e passione.

STEVEN BLUSH - American hardcore
“American Hardcore”, pubblicato nel 2001 dal giornalista e protagonista della scena degli 80’s, Steven Blush, ripercorre nei dettagli più sconosciuti la storia della prima ondata hardcore punk americana (1980/1986) attraverso la storia dei gruppi (città per città) e le parole dei protagonisti.
E’ un viaggio affascinante e coinvolgente e che fa rivivere una scena (molto prolifica e artisticamente validissima anche qui in Italia) unica e assolutamente inimitabile.
Il tutto corredato da una discografia dettagliatissima e completa.
Il libro è stato stampato in italiano da Shake con il titolo di “American punk hardcore - Una storia tribale “.
Bibbia Definitiva sull’hardcore americano.

COSE & SUONI
Lilith and the Sinnersaints in studio di registrazione per una colonna sonora di una serie TV.
Presto nuovi particolari.

Nuove date in giro per la penisola qui:

Sabato 21 febbraio : Milano “Cox 18”
Sabato 08 marzo : Aosta “Espace”
Sabato 15 marzo : Cremona “Arcipelago”
Martedì 18 marzo : Milano “Rock n Roll Radio”
Sabato 28 marzo : Vittorio Veneto “Mavv”
Sabato 12 aprile : Firenze “Tender”
Domenica 13 aprile : Roma “Le Mura”
Venerdì 25 aprile: Catania TBC
Sabato 26 aprile: Messina TBC
Sabato 10 maggio : Vignola (MO) “Circolo Ribalta”

www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints

Mie recensioni su www.radiocoop.it

IN CANTIERE
Il libro sugli Statuto esce il 15 febbraio, il 14 lo presentiamo a Torino alla Feltrinelli in Piazza C.L.N.

https://www.facebook.com/pages/Statuto30/1450261928521072

Finalmente vedrà la luce anche quello su Paul Weller, in autunno, per VoloLibero scritto SOLO dal sottoscritto.

giovedì, gennaio 30, 2014

Get Back. Dischi da (ri)scoprire



Il consueto appuntamento mensile con qualche album da (ri)scoprire.

IVAN CATTANEO - UOAEI
Uno dei personaggi più estrosi e particolari del pop italiano, famoso per essere stato uno dei primi a dichiararsi apertamente gay, per il look sempre estremo e trasgressivo, per le rivisitazioni modernizzate di vecchi classici italiani ma anche per essere tra i pionieri in Italia di certe sonorità e attitudini vagamente punk/ new wave alla fine dei 70’s.
In pochi ricordano però gli esordi in particolare il primo album del 1975 “UOAEI” una raccolta anarcoide di canzoni strampalate in cui si mischiano ballate, prog, glam, rock n roll, momenti quasi Zappiani, psichedelia, canzoni protodemenziali, cabaret e tanto altro.
In mezzo brevi frammenti di follia sonora.
Un brano come “Big bang” mette insieme il Bowie di “Space Oddity”, gli Area di “Gioia e rivoluzione”, una ritmica prog, un’improvvisazione folle, una linea vocale in falsetto che accompagna dall’inizio alla fine. Collabora un futuro mostro sacro come Mauro Pagani.
Creatività espansa a 360 gradi.

JERRY WILLIAMS & DYNAMITE BRASS - Dr.Williams & Dr. Dynamite
Jerry Williams è un grandissimo cantante SVEDESE (vero nome Sven Erik Fernström) che esordì alla fine dei 50’s con una delle prime rock n roll bands locali, i VIOLENTS. Da lì in poi ha cambiato pelle più volte spostandosi in ambito rhythm and blues e soul, rock, blues, disco, musical etc.
Questo album esce nel 1969 ed è u nesplosivo mix di scatenato rhythm and blues, soul con due gioielli come “Keep on” e “Boogaloo baby”, una versione funk soul di “Sweet little sixteen” una ritmata e funk “Hard to handle” di Otis Redding, una tiratissima “Bama Lama Bama Loo”, il cristallino soul di “Personality”, i lfinale crooner di “That’s life”.
Grande voce, buon repertorio, arrangiamenti curati, ottimo album.

LAFAYETTE AFRO ROCK BAND - Soul makossa
Band francese dei 70’s di stanza a New York con mezza dozzina di album all’attivo, alcuni brani campionati da vari rappers nei decenni successivi e un gran groove a base di funk, Philly sound, influenze latine e jazz, ritmica serrata e percussiva e una sezione fiati in gran spolvero.
Da scoprire.

SANDRA PHILIPPS - Too many people in one bed
Ottima soul singer di secondo piano Sandra Phillips ottene un po’ di visibilità nel 197o con questo buon album soul prodotto da Swamp Dogg.
E’ classico southern soul con leggeri tocchi funk a dare al tutto una ruvidità in più che lo rende ancora più godibile.

mercoledì, gennaio 29, 2014

Il Mundialito 1980



Prosegue la rubrica ASPETTANDO IL MONDIALE che ogni settimana proporrà un racconto o una storia relativa all'appuntamento quadriennale che si svolgerà quest'anno in Brasile.

Qui le altre puntate: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Aspettando%20il%20Mondiale

Non propriamente legata ai Mondiali di calcio ma degna di essere raccontata è la storia del Mundialito svoltosi in Uruguay dal 30 dicembre 1980 al 10 gennaio 1981 e a cui furono invitate le sei nazionali che avevano vinto almeno una volta il campionato mondiale.
L’Inghilterra rifiutò e fu sostituita dall’Olanda – seconda nel 1974 e nel 1978.
Il torneo fu in realtà organizzato nel tentativo di legittimare la giunta fascista militare di Aparicio Méndez e con la benedizione della Fifa del brasiliano Joao Havelange che ufficialmente voleva celebrare il cinquantenario della prima Coppa Rimet, disputatasi nel 1930 proprio in Uruguay e vinta dai padroni di casa.
In Sudamerica vigevano i frutti del Plan Condor, una strategia multinazionale per la sistematica eliminazione degli oppositori in patria e all’estero, elaborato dai regimi militari con il sostegno e la copertura della Cia e l’appoggio di Henry Kissinger, premio Nobel per la pace (....) e segretario di stato americano tra il 1968 e il 1977, appassionato di calcio e che aveva favorito sanguinarie e spietate dittature in buona parte del continente tra desaparecidos, repressioni di ogni genere, torture etc

Pesante fu il coinvolgimento della Loggia P2 strettamente legata ai regimi di argentini e uruguyani dove Licio Gelli aveva ospitalità, varie proprietà in loco e collaborazioni di ogni tipo.
Ma il Mundialito 1980 segnò la prima tappa della scalata al potere mediatico del giovane imprenditore Silvio Berlusconi tessera P2 n° 1.816 che per la prima volta rompe il monopolio della Rai e con la sua ReteItalia, società della Fininvest, acquisisce i diritti per la trasmissione delle partite.
La RAI scese a patti con Berlusconi e comprò la possibilità d itrasmettere in diretta le(due) partite dell’Italia. Nel frattempo Corriere della Sera e Giornale (controllati da P2 e Berlusconi) e Gazzetta diedero all’evento un’ampia eco, invitando ad organizzare viaggi in Uruguay per vedere le bellezze del paese e le partite e ignorando un appello firmato da oltre 40 giocatori italiani(pare di Roma, Lazio, Bologna e Fiorentina, ma l’elenco non venne mai reso noto) in cui si contesta la dittatura ma su cui molti poi negano il loro coinvolgimento mentre altri come Castagner e Santarini lo confermano, e le proteste in Olanda contro la partecipazione al torneo.

Alla fine comunque il Torneo si svolge ed è subito chiaro che l’Uruguay lo DEVE VINCERE, a partire dall’esordio nel suo girone contro una svogliata Olanda (priva dei campioni Crujiff, Neeskens etc), piegata 2 a 0 con qualche aiutino e contro l’Italia che finisce in 9 dopo aver subito un rigore inesistente, con il raddoppio di Victorino, uno dei vari brocchi passati anche per l’Italia (nel Cagliari ovviamente...).
La terza inutile partita del girone tra azzurri e Orange finisce noiosamente 1-1 con gol dell’esordiente Ancelotti e tutti felici a casa prima.
Nell’altro girone giochi più aperti con l’Argentina di Maradona che batte in rimonta 2-1 la Germania e poi pareggia 1-1 con il Brasile di Socrates, Cerezo e Junior che nell’ultima strapazza i tedeschi di Rumenigge, Magath e Briegel con un sonoro 4-1. Finalissima prevista e calcolata tra Uruguay e Brasile che i bianco celeste vincono 2-1 e portano a casa uno dei trofei più inutili e controversi della storia.

martedì, gennaio 28, 2014

The Animals



Una delle band più sottovalutate dell’era BEAT, ingiustamente spesso relegata in secondo piano (dovendosi confrontare con colossi come Beatles, Stones, Who e Kinks) ma tra le più creative, crude, genuine degli interi 60’s forti di un approccio violentemente punk ma che conservava un approccio puro alle radici blues, jazz, rhythm and blues.
Raffinati musicisti come Alan Price alle tastiere, il preciso basso di Chas Chandler, la chitarra acida di Hilton Valentine, il drumming cool di John Steele che supportavano alla perfezione la nerissima voce di Eric Burdon.
Raccolsero una buona manciata di successi, sparsi in una discografia caotica e schizofrenica che, attentamente valutata, conferma l’altissima qualità della proposta.
Di seguito il difficile tentativo di dare un senso agli album usciti tra Usa e Inghilterra, il più delle volte diversi per metà dei brani, usciti a pochi mesi di distanza, talvolta con versioni differenti degli stessi brani.

In questo senso per avere una visione esaustiva sono sufficienti un paio di compilation ma volendosi addentrare in pieno nel mondo degli ANIMALS ecco il dettaglio.

The Animals (Usa)- Settembre 1964 - 8
Esce nel settembre 1964 in USA e contiene 12 brani che condensano al meglio il primo periodo della band, intriso di ruvido blues (“House of the rising sun”, “Right time”, la “Iim mad again” di John Lee Hooker), selvaggi rock n roll/rhythm and blues dall’incedere jazzato (“The girl can’t help it”, “Memphis Tennesse”, “Around and around”, “Blue feeling”, “Gonna send back to you Walker”), beat blues and roll travolgenti come “Baby let me take you home” e una pazzesca, velocissima, versione di “Talking about you” (che sull’album compare in una versione di 1,34 ma che in realtà durava 7 minuti (e fu ripubblicata in “Complete Animals” del 1990) e che dimostra l’incredibile energia e versatilità del gruppo.

The Animals (Uk) - Ottobre 1964 - 8
Ad un mese dall’uscita americana la versione inglese differisce per ben 5 brani su 12.
Non c’è la hit “House of the rising sun” e nemmeno “Baby let me take you home” ma entrano la stupenda “The story of Bo Diddley” in cui Burdon sulla base del brano “Bo Didley” (dello stesso autore) per quasi 6 minuti di indiavolato jungle rock retto da una splendida tastiera snocciola la lunga storia del nostro in cui entrano citazioni di Beatles (“A hard day’s night”) e Rolling Stones (“I wanna be your man”) in una sorta di geniale canzone cabaret.
Capolavoro.
Ma ci sono anche “Dimples” e “Boom boom” di John Lee Hooker, una tiratissima “She said yeah” di Larry Williams e un brano di Price firmato con Al Kooper, un veloce blues in 7/4, “Bury my body” che esplode in un infuocato rhythm and blues.

The Animals on tour (Usa) - Febbraio 1965 - 8
Album uscito solo in Usa che raccoglie alcuni brani già presenti sull’edizione inglese del primo album e alcuni singoli già pubblicati oltre all’intensissimo blues di Chuck Berry “How you’ve changed”, “Mess around” di Ray Charles, una bellissima versione del classico di Jimmy Reed “Bright light big city” e una delle migliori interpretazione in assoluto di Eric, una “I believe to my soul” di Ray Charles da brividi che fa il paio con un altro blues nerissimo come “Worried life blues”.
A completare la saltellante “I’m crying” firmata Burdon/Price, uscito nel settembre del 1964 ed uno dei migliori brani della band.

Animal tracks (Uk) - Maggio 1965 - 7
E’ il secondo album inglese. raccoglie una serie di brani già sparsi su “Animals on tour” e aggiunge il boogie “Roberta”, una discreta versione di “Ain’t got you” (inferiore a quella degli Yardbirds), una buona di “Roadrunner” di Bo Diddley e il blues firmato da Burdon “For Miss Caulker”.

Animal Tracks (Usa) - Settembre 1965 - 7
Stesso titolo ma scaletta decisamente diversa.
11 brani con i due super classici “We gotta get out of this place” e “Don’t let me be misunderstood”, la già citata “Story of Bo Diddley”, una serie di altri brani già pubblicati in Inghilterra e alcuni gioielli firmati da Burdon e Alan Price come la frizzante “Club a Go go”, il boogie di “Take it easy baby” , il divertente blues “I can’t believe it” e “Bring on home to me” toccante versione del classico di Sam Cooke.

Animalisms (Uk) - Giugno 1966 - 6
Terzo album inglese e cambio determinante di formazione con l’uscita di Alan Price rimpiazzato dal buon ma più modesto Dave Rowberry. I lgruppo ha trovato nuovo successo con il singolo “It’s my life”, destinato a diventare un classico dei 60’s ma che non trova posto sull’album che conferma la predilizione per il consueto repertorio blues e rhythm and blues tra brani di Joe Tex (la discreta “On moneky don’t stop no show”), una versione acida di “Maudie” di John Lee Hooker (dove Hilton Valentine anticipa di un paio di anni lo stile poi caro a Robbie Krieger dei Doors), una “Outcast” distorta e caotica, un omaggio scontato a Chuck Berry con “Sweet little sixteen”.
Due brani firmati Rowberry/Burdon l’uno (la buona ballada melodica “You’re on my mind” e la scherzosa e inutile “Clapping” di Rowberry (brano di soli clap) chiudono la facciata A.
In “Gin house blues” di Bessie Smith Burdon raggiunge uno dei suoi vertici assoluti, più banali il rhythm and blues di “Squeeze her treat her” e il blues anonimo di “What am I living for” mentre non brilla troppo la versione di “Put a spell on you” e scorre via indolore “That’s all I am to you” di Otis Blackwell (quello di “Great balls of fire”. Un’altra composizione di Rowberry/Burdon , “She’ll return it”, copia carbone di “Memphis Tennesse” non solleva la debolezza dell’album, assai confuso, poco incisivo e senz auna precisa direzione.

Animalization (Usa) - Luglio 1966 - 7
Consueta stampa americana diversa piuttosto radicalmente da quella inglese.
Nel frattempo la band cambia anche il batterista ed entra Barry Jenkins dei Nashville Teens che compare in alcuni brani.
Cambiano anche, come consuetudine 5 brani rispetto alla versione inglese.
La stupenda “Inside looking out” è un torrido garage blues distorto di grandissimo effetto molto vicina come atmosfere a “Cheating” firmata Burdon/Chandler mentre “See see rider” è il consueto classico rhythm and blues eseguito con feeling e gran tiro.
Il resto sono brani recuperati da altri dischi e singoli.

Animalism (Usa) - Novembre 1966 - 5.5
Non contenti dell’assurda serie di uscite che si sovrappongono (in mezzo alle quali non mancano due Greatest Hits, “The best of Animals” del febbraio 1966, uscito in Usa e “The most of Animals” dello stesso anno ma inglese con brani più o meno simili) in America esce a novembre del 1966 “Animalism” (titolo pressochè uguale all’album inglese di giugno ma con una S in meno !!??!?!!).
Il gruppo è sull’orlo dello scioglimento e i 12 brani sono il consueto tributo alle radici blues and roll con l’eccezione dell’introduttiva più elaborata “All night long” firmata e prodotta da Frank Zappa !
C’è una bella versione di “Shake” di Sam Cooke, un’anonima “The other side of the line” (scritta da Fred Neil che sarà famoso con “Verybody’s talkin” che porterà al successo Harry Nilsson nella colonna sonora di “Un uomo da marciapiede”, un blues prevedibile come “Rock me baby” dal bel solo di chitarra, due riempitivi come “Lucille” e “Smokestack lightning” , una stiracchiata “Hey gip” di Donovan, sofisticata e bluesy quella di “Hit the road Jack”, irrilevante la pur bella “Goin down slow” di Howlin Wolf.
Un album stanco, suonato senza convinzione con brani apparentemente presi a caso dal cestone infinito del bues e dintorni.

La band si dissolve, Eric Burdon prosegue la carriera solista come Eric Burdon and the Animals con album in chiave psichedelica, poi i War e infine con un classico blues rock sempre a buoni livelli, Chas Chandler va a scoprire e produrre Jimi Hendrix prima, gli Slade poi, Alan Price inizia una discreta carriera solista (anche in copia con Georgie Fame), Alan Steel e Hilton Valentine scompaiono nel sottobosco.

Before we were so rudely interrupted - 1977 - 5.5
Gli Orginal Animals (così si fanno chiamare) tornano insieme dieci anni dopo con un discreto album, dignitoso quanto inutile, soprattutto nel momento in cui ovunque esplodono punk e new wave e i pur ottimi blues di Ray Charles (“Lonely avenue”) e le reinterpretazioni di “It’s all over now baby blue” di Dylan e “Many rivers to cross” di Jimmy Cliff risultano terribilmente fuori tempo.

Ark - 1983 - 4.5
Dopo lo scarso interesse suscitato dalla precedente reunion ci riprovano nel 1983, sempre con la formazione originale e Zoot Money in aggiunta alle tastiere.
Il risultato è purtroppo di scarsa qualità. Rock che prova a stare al “passo con i tempi” con movenze da FM, un brano reggae, qualche synth (...). scarsa vena compositiva, voglia di compiacere i gusti del momento.
Da dimenticare.

lunedì, gennaio 27, 2014

Arpad Weisz



A cura di ALBERTO GALLETTI

27-01-2014

Oggi è la giornata della memoria, lo stesso giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa entravano nel campo di prigionia di Auschwitz.
Un breve pensiero a riguardo, fornito da un carissimo amico, noto da queste parti come ‘The Raven’, che mi ha prestato il libro dell’ottimo Matteo Marani sulla triste vicenda di Arpad Weisz e della sua famiglia.

Arpad Weisz era un ebreo ungherese che giocò negli anni 20 per la nazionale magiara.

Passò nel 25 dall’ MTK Budapest, fenomenale compagine danubiana e club ad altra rappresentanza ebraica della capitale ungherese a quell’epoca al Padova prima e all’Inter poi.

Un grave infortunio al ginocchio gli pregiudicò la carriera di calciatore, ma la sua enorme passione per il gioco del calcio lo spinse ad intraprendere la carriera di allenatore, scoprì e fece esordire in prima squadra un certo Giuseppe Meazza e con l’Ambrosiana vinse il primo campionato di Serie A a girone unico, stagione 1929/30.

Dissapori con il nuovo presidente dei nerazzurri lo lasciarono senza impiego e dopo una breve parentesi a Novara e una stagione a Bari venne ingaggiato dal Bologna.
Fu sostenitore del sistema WM inglese rapido modernizzatore del nostro calcio e creatore del Bologna, ‘lo squadrone che tremare il mondo fa’, col quale vinse gli scudetti del 1935/36 e 1936/37, interrompendo la supremazia bianconera della Juve del quinquennio, oltre che la Coppa dell’Esposizione Universale di Parigi nel 1937 quando i felsinei sconfissero incredibilmente gli inglesi del Chelsea FC in finale per 4-1.
Le leggi razziali del 1938 lo costrinsero a lasciare il paese, trovò rifugio prima a Parigi poi in Olanda a Dordrecht dove trovò impiego presso il locale DFC, la squadra della cittadina, il destino tragico stava comunque compiendo il suo percorso.
La Germania nazista invade l’Olanda in cinque giorni e il cerchio intorno ai discendenti di David si stringe tragicamente, dalle prime restrizioni sugli impieghi pubblici, alle liste della polizia politica alle deportazioni in massa.
A poco a poco Arpad Weisz, la moglie e i due figli di 8 e 10 anni finiscono inesorabilmente in un lungo tunnel buio dal quale non usciranno più.
Nel 1944 vengono arrestati, imprigionati e condotti ad Auschwitz, dove appena arrivati vengono separati, Arpad finirà in un campo di lavoro dove resisterà, grazie alla forte fibra fino ai primi del 1945, prima di soccombere al massacrante annientamento psicofisico nazista.
La moglie e i figlioletti verranno passati per le camere a gas di Birkenau poche ore dopo il loro arrivo.
Una vicenda tristissima, come milioni di altre, raccontata con commovente partecipazione e che mi ha molto commosso.
Buona giornata, non dimentichiamo.

domenica, gennaio 26, 2014

Il punk secondo Ciao 2001



Avevo già pubblicato un articolo che paragonava beat e punk da "Best" dell'aprile 1978:
http://tonyface.blogspot.it/2014/01/beat-punk.html


Tesi simili emergono da una retrospettiva sull'anno appena trascorso, il 1977 a cura di Enzo Caffarelli dal Ciao 2001 del 15 gennaio 1978.

Dunque di punk si parlava in Italia e in tempo reale, anche sulle riviste di maggior tiratura e, pur con alcune imprecisioni e approssimazioni (e un linguaggio che va contestualizzato all'epoca), con cognizione di causa.


I gruppi punk ricalcano iconograficamente i beats di 15 anni fa, i mods, i rockers, la musica che esprimevano: Who, Animals,Yardbirds, Stones.
Difficilmente il loro futuro sarà altrettanto lungo ma il paragone calza.
C’è chi dice addirittura che i Clash, gli Stranglers, i Generation X, Graham Parker sono i nuovi Genesis, Yes, Jethro Tull, King Crimson.
Noi…no, naturalmente.
Vedremo quando le maglie si diraderanno e la confusione diminuirà.
Per il momento gli inglesi, a corto di idee e di nuovi volti, hanno spietatamente montato il punk, optando per qualsiasi cosa nuova e a buon mercato si profilasse all’orizzonte.
Il nuovo per il nuovo con altre definizioni che vanno al di là del punk, come la new wave senza dizioni stilistiche o la blank generation per esprimere la totale assenza di ideali e valori.
Sulle implicazioni politiche del punk l’analisi è ancora più tortuosa. Parlare di anarchia o di destra totalitaria sarebbe nella migliore delle ipotesi incompleto.
Se i punk indossano magliette con lo stampino di Hitler, se le svastiche, le aquile naziste e il nero sono i loro simboli non è sempre perché i giovani punk credano in queste idee: piuttosto è un atto di estrema provocazione di voluta aberrazione verso la società che li ha emarginati.
Esasperati e sconfitti ripropongono al mondo quello che di più il mondo ha condannato.

Guerra e odio è il loro slogan l’opposto del “love and peace” degli hippies di 10 anni fa.
Ma in tutto questo moda e conformismo giocano la loro carta vincente e buona parte del fenomeno equivale ad una carnevalata o ad una ricerca di sicurezza nell’arroganza della provocazione e nella falsa difesa della maschera.
Se poi il punk trova la sua espressione più immediata nella musica è solo perché l’educazione musicale inglese d base è notevole.e perché suonare uno strumento è un mezzo idealmente economico e violento per esprimere le proprie opinioni specie se si tratta di una violenza fine a sè stessa.

sabato, gennaio 25, 2014

"Statuto/30. La ribellione elegante" di Antonio Tony Face Bacciocchi



Dal 14 febbraio disponibile "STATUTO/30 - La ribellione elegante" di ANTONIO “TONY FACE” BACCIOCCHI ovvero la biografia di 30 anni di STATUTO.

Antonio Bacciocchi per realizzare questo libro si è avvalso dell’unica fonte originale: gli Statuto stessi che intervengono in prima persona per raccontare aneddoti e storie della loro carriera.
Completano il quadro un’esaustiva discografia e numerosi contributi di: Paolo Pulici, Massimo Gramellini, Enrico Ruggeri, Ron, Nina Zilli, Giuseppe Culicchia, Lilith, Max Casacci (Subsonica), Mixo, Sergio Milani, Alessandra Contini (Il Genio), Davide Salvatore (Assist) Gianni Maroccolo, Giordano Sangiorgi e Rudi Zerbi.


IL LIBRO VERRA’ PRESENTATO IL 14 FEBBRAIO ALLA FELTRINELLI DI TORINO.
SARANNO PRESENTI L’AUTORE E GLI STATUTO.

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venerdì, gennaio 24, 2014

Il punk in Italia nel 1977



Sfogliando vecchie riviste ho trovato alcune divertenti dichiarazioni di personaggi più o meno illustri a proposito del PUNK di cui, ai tempi, stava arrivando anche qualche eco qua in Italia.

Per il punk ho un vero e proprio rigetto, non riesco proprio ad assimilarlo, pur avendo vissuto l’era degli Stones.
Ma allora aveva un senso, ora no
.
(Renato Zero 12 ottobre 1977)

La prima regola del punk è non saper suonare.
E’ la degenerazione totale della musica inglese, non una cosa importante come dicono certi critici che ci mangiano su.
In Italia si vergognerebbero a fare cose di questo tipo.

(Franz Di Cioccio 28 marzo 1977)

Abbiamo impiegato 20 anni per ottenere rispetto per la nostra musica.
E questo punk è una cosa anti musicale, solo pieno di rabbia.
Quasi mi vergogno di ammettere che sono inglese.

(Kim Brown di Kim & the Cadillacs 16 febbraio 1978)

Forse il sistema sta riproponendo un’alternativa alle idee di sinistra.
Andy Warhol e la sua cultura decisamente di destra, sono stati la maggiore contrapposizione ai figli dei fiori.
Così Lou Reed che da Warhol è stato plagiato
.
(Franco Falsini dei Sensation’s Fix 9 gennaio 1976)

Non ricordo molti nome del beat, non comperavo dischi: mi piacevano gli Stones, forse più dei Beatles.
Il punk invece: mi sta bene un pezzettino di rock in mezzo a cinque ore di disco music.
Ma sono cose da copertina, ragazzi mascherati, che danno l’impressione del fenomeno da baraccone.
Chi ha visto da vicino i rockers e i mods dice che non ci sono grosse novità.
Non è per uno spillone in più…
.
(Augusto Daolio 5 febbraio 1978)

Alberto Radius (29 gennaio 1978) ascoltando “Rock n Roll” live dei Led Zeppelin !
Arrivano i punk!
Anche tu sei cascato nel tranello del punk ? Non mi dire di indovinare il nome, sono tutti uguali.
Il chitarrista mi piace, ehi ma qui si è perso !
Chi sono ? I Sex Pistols ?
Il difetto è acustico, si sente solo la chitarra, la voce non si capisce neppure.
Il punk è solo una riedizione del vecchio rockaccio
.

giovedì, gennaio 23, 2014

Usa-Inghilterra 1-0 - 1950



Prosegue la rubrica ASPETTANDO IL MONDIALE che ogni settimana proporrà un racconto o una storia relativa all'appuntamento quadriennale che si svolgerà quest'anno in Brasile.
Oggi a cura di ALBERTO GALLETTI.

Qui le altre puntate
:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Aspettando%20il%20Mondiale

Il Mondiale del 1950 segnò l’ingresso dell’Inghilterra ai campionati del mondo e sarà un debutto, come vedremo, memorabile.
Le federazioni britanniche si erano riaffiliate alla FIFA dopo esserne sdegnosamente uscite nel 1929 causa la lite epocale sullo status dei giocatori da iscrivere al mondiale che dovevano essere dilettanti, come per le Olimpiadi, ma che in realtà erano tutti professionisti che risultavano dilettanti mentre i professionisti britannici risultavano tali e non potevano quindi partecipare al mondiale, il che significa che le squadre britanniche avrebbero potuto partecipare con giocatori dilettanti, cioè dalla V Divisione in giù nel caso degli inglesi.
Accettarono quindi di iscriversi alle qualificazioni e fecero si che il Torneo Interbritannico (Home Championship) valesse come girone di qualificazione, con le prime due classificate qualificate.
La Scozia (la federazione più ultraconservatrice esistente, ancora oggi) dichiarò che sarebbe andata al mondiale solo come campione britannica, cose che non successe in quanto persero 1-0 contro l' Inghilterra la partita decisiva di Hampden Park il 15 aprile 1950, davanti a ben 134.000 spettatori e finirono secondi in classifica rinunciando a partecipare.

L’ Inghilterra fu inserita nel gruppo 2 con Spagna, Cile e USA ed esordì battendo il Cile 2-0 al Maracanà e si presentò all’impegno con i modesti dilettanti americani con l’appellativo di Kings of football dall’alto della loro fama e del loro poderoso ruolino di marcia dal termine del conflitto mondiale che parla di 23 vittorie, 4 sconfitte e 3 pareggi e con vittorie esterne per 4-0 sull’Italia e 10-0 sul Portogallo due settimane prima del mondiale.
Hanno in formazione giocatori formidabili della cosiddetta epoca d’oro del calcio quali Stanley Matthews che fu tenuto colpevolmente a riposo, Stan Mortensen, il capitano Billy Wright, l’interno Mannion e la formidabile ala Finney.
L’attesa degli addetti ai lavori e degli sportivi per vedere all’opera i maestri inglesi in una competizione ufficiale è enorme.
L’Inghilterra da il calcio d’inizio, dopo 90 secondi un cross di Mortensen viene sparato in porta al volo da Bentley, il portiere è sulla traettoria e fortuitamente alza sulla traversa, nel giro dei primi 12’ gli inglesi colpiscono due pali, una traversa e il portiere americano sventa miracolosamente un paio di volte.
Il primo tiro degli USA verso la porta inglese si registra al 25’, rispondono gli inglesi alla mezzora con tre occasioni sparate alte e una parata all’incrocio nel giro di tre minuti.
La palla non entra.
Al 37’ alla seconda discesa USA nella meta campo inglese un cross basso in diagonale dalla tre-quarti viene sfiorato di testa da Joe Gaetjens che mette la palla nel sacco. 1-0 per gli USA!
Gli inglesi assorbono la botta e producono un’altra occasione ma Finney a tu per tu col portiere viene fermato dall’arbitro che fischia la fine del primo tempo.

Alla ripresa, gli americani si presentano con rinnovato vigore e creano occasioni tenendo la gara in equilibrio per circa dieci minuti, il controllo delle operazioni passa quindi in mano agli inglesi che per un quarto d’ora schiacciano gli avversari negli ultimi 30 metri, ma caricando a testa bassa la lucidità comincia a venir meno, ci sono grosse occasioni per Mortensen e grandi parate di Borghi, all’82 ancora Mortensen, che viene atterrato, gli inglesi chiedono il rigore, ma l’arbitro accorda una punizione dal limite, grandi proteste, batte Ramsey che imbecca Mullen il quale di testa inzucca ed esulta per il pari, l’arbitro non convalida sostenendo che la palla non è entrata; le proteste degli inglesi sono veementi ma il tempo è quasi finito e improvvisamente la furia inglese sfuma c’è tempo ancora per un contropiede americano a 1’ dal termine con Ramsey che spazza sulla linea un tiro a porta vuota di Wallace.

Il triplice fischio finale sancisce la fine dell’incontro e anche la sconfitta più umiliante mai subita da una nazionale inglese.
Il livello del tonfo fu a mio avviso enorme, vista la disparità dei valori in campo si tratta di una sconfitta ben più grave di quella che i brasiliani subirono in finale per mano dell’ Uruguay che era una formazione a loro inferiore ma pur sempre piena di grandi giocatori con grande padronanza sia tecnica che grande impostazione tattica.
La eco in Inghilterra destò incredulità prima, stupore, sdegno e imbarazzo poi, incredulità tale da spingere i quotidiani a dare il risultato l’indomani come 10-0 o 10-1 pensando ad un ovvio errore di trascrizione dei dati.
L’unico giornalista americano presente all’incontro Dent Mc Skimming del St. Louis Post-Dispatch descrisse la partita così ‘è come se la squadra dell’Oxford University in gita negli Stati Uniti avesse giocato e battuto i New York Yankees a baseball’.
Fu un giorno veramente infausto per gli inglesi quel 29 giugno 1950 in quanto anche la nazionale di cricket subì una ignominiosa sconfitta, facendosi battere per la prima volta nella storia dalle West Indies, squadra che però nel giro del decennio successivo diventò la più forte al mondo mantenendo una leadership ininterrotta che durò un quarto di secolo.

L’Inghilterra non era ancora eliminata, ma una nuova sconfitta ancora per 1-0, ma questa volta contro la forte Spagna, ne sancì l’eliminazione, per quello che rimane un debutto mondiale per i leoni indimenticabile ma da dimenticare.

Belo Horizonte 29 giugno 1950
Stadio Indipendencia

USA 1 – 0 Inghilterra
Marcatore al 37’ Gatjens

USA (2-3-5): Borghi – Keough, Maca - Bahr , McIlvenny, Colombo – Wallace, Pariani, Gatjens, J. Souza, E. Souza.

INGHILTERRA (3-2-5): Williams – Ramsey, Aston, Wright – Hughes, Dickinson – Mannion, Finney, Mullen, Mortensen, Bentley

Arbitro: Dattilo (Ita)
Spettatori: 10000 circa

mercoledì, gennaio 22, 2014

La pittura a olio



Periodico contributo di ANDREA FORNASARI a base di filosfia, storia, stavolta PITTURA (AD OLIO).
Scherziamo sempre con Andrea prevedendo un crollo di accessi al blog quando si affrontano di questi argomenti invece ogni volta disattesi da interesse, commenti e numeri in media con la normale programmazione musical/calcistica.
La cosa mi/ci conforta. Grazie.


Se pensiamo al '400 europeo, due sono le città simbolo del periodo: una è la Firenze medicea e l'altra è Bruges, nelle Fiandre.
Sono entrambe città commerciali e laniere, con banche e mestieri: in una parola sono ricchissime; politicamente Firenze è repubblicana mentre Bruges è parte del feudo del duca di Borgogna.
Per farci un'idea del clima culturale generale durante i vent'anni di Lorenzo il Magnifico, iniziati nel 1469 - anno in cui diventa signore di Firenze e parimenti anno in cui Leonardo va a bottega del Verrocchio - pensiamo ai capolavori artistici degli anni settanta: Mantegna termina la "Camera degli sposi" e inizia il "Cristo morto", Bellini dipinge la "Pala di Pesaro", Piero della Francesca la "Madonna di Senigallia" e Antonello da Messina il "San Gerolamo" e poi il "San Sebastiano", mentre Botticelli inizia la "Primavera".
Ma sono pure gli anni in cui arriva a Firenze il primo capolavoro fiammingo tutto all'olio di Hugo van der Goes, il "Trittico Portinari".

Firenze sarà la nuova Atene classica d'Europa e uno dei personaggi più importanti per la svolta intellettuale di quegli anni, svolta che riscopre appunto la cultura classica, sarà Marsilio Ficino che traduce Plotino (il massimo neo-platonico della cristianità) e contribuisce alla greco-mania fiorentina.
Leon Battista Alberti, dopo l'esilio a Roma, porterà tutto il suo enorme contributo in campo architettonico e non solo: scriverà di arte e matematica, rivoluzionerà il gusto estetico per la prospettiva e sarà l'intellettuale nella città degli intellettuali.
Naturalmente queste poche righe non possono rendere giustizia, neanche minimamente, alla grandezza e all'importanza di queste due fighure cruciali.

Bruges e le Fiandre non amano la pittura a fresco e più che altro è l'architettura a primeggiare: tuttavia gli artisti fiamminghi sono maestri nella decorazione.
Sarà un banchiere borghese, e futuro sindaco di Gand, tale Josse Vijd, a finanziare il primo capolavoro nel quale si passa alla pittura a olio in grande formato: fra il '26 e il '32 Jan van Eyck dipinge il "Polittico dell'Agnello Mistico", un'opera maestosa che si trova nella cattedrale di san Bavone (a Gand, appunto) e che rivoluziona totalmente l'idea pittorica.
La grande tradizione della pittura italiana si era sviluppata attraverso l'affresco e la pittura su tavola: pigmenti sciolti nell'acqua oppure una mescolanza di tempera e tuorlo d'uovo.
I fiamminghi, invece, figli dell'alchimia medievale, erano riusciti a mescolare i pigmenti con l'olio di lino e con gli essiccanti: il risultato consentiva di impastare la materia colorata e di sovrapporre vari strati di pittura, le famose velature.
La resa delle luci è pazzesca: nel capolavoro di Gand possiamo ammirare i particolari precisissimi e addirittura il riflesso sulle armature.
Nasce l'illusione ottica totale, lo "specchio", la passione per i dettagli: tutto è incredibile e riprodotto alla perfezione, oltre la realtà stessa.
E' l'esaltazione del mondo intimo, del microcosmo: la competizione che nasce produrrà una nuova generazione di artisti, gente del calibro di Botticelli, Perugino e Ghirlandaio.

martedì, gennaio 21, 2014

Intervista a Moreno Spirogi degli Avvoltoi



Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA, al giornalista FEDERICO GUGLIELMI, ad OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO, al presidente dell'Associazione Audiocoop GIORDANO SANGIORGI, a JOE STRUMMER, a MARINO SEVERINI dei GANG, a UMBERTO PALAZZO dei SANTO NIENTE, LUCA RE dei SICK ROSE, LUCA GIOVANARDI e NICOLA CALEFFI dei JULIE'S HAIRCUT, GIANCARLO ONORATO, LILITH di LILITH AND THE SINNERSAINTS, a Lorenzo Moretti, chitarrista e compositore dei GIUDA, il giornalista MASSIMO COTTO, a FAY HALLAM, SALVATORE URSUS D'URSO dei NO STRANGE e CESARE BASILE, spazio oggi a MORENO SPIROGI, immarcescibile voce degli AVVOLTOI, uno dei primissimi (il primo?) a riscoprire il valore e lo spessore del BEAT ITALIANO nei primi anni '80.

Le altre interviste le trovate qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Le%20interviste

1)
Gli Avvoltoi sono stati tra i primissimi a rivalutare il beat italiano in tempi in cui il massimo complimento che riceveva era “stupida canzonetta”.
Nel 2014 c’è, secondo te, un pubblico giovane che si appassiona a queste cose oppure è sempre più solo estetica o uno dei tanti generi da seguire?
“Una volta” chi seguiva certe direzioni vi si dedicava in toto, dall’estetica agli ascolti facendone uno stile di vita ed un’etica. Esiste ancora secondo te una simile attitudine ?


In questo periodo storico il pubblico giovane è disorientato, o meglio non ha più il gusto di dedicarsi anima e corpo ad una tendenza in particolare.
Al giovane è quasi imposta una ricerca frenetica per via di tutte le nuove fonti di facile possesso.
Ai nostri tempi appartenere era anche crescere, fare parte di un movimento, si vivevano più intensamente le cose e di conseguenza avevi risultati meno superficiali o meno contaminati dall'esterno.
Vedo ragazzi che hanno ancora voglia di appassionarsi ma i tempi sono cambiati, sono ogni giorno distratti e hanno troppe informazioni con la conseguenza di perdere il gusto della scoperta che è stata proprio la nostra forza e delle generazioni antecedenti alla nostra Utopia

2
In Italia dagli anni 60 in poi la canzone popolare e quella più sotterranea hanno spesso avuto connotati sociali e politici (dai Nomadi ai cantautori “impegnati”, dagli Stormy Six al punk).
Mi sembra che, fatte poche eccezioni, nonostante una realtà di disoccupazione, disagio (e disastro) sociale in ogni ambito, la musica italiana ne parli sempre meno e sia sempre più rivolta ad altri argomenti.
Cosa ne pensi ?


Negli anno 60 e 70 c'era il sentore di "poter cambiare il mondo", una presa di coscienza collettiva in crescita, non c'era nessun muro davanti, l'informazione non dettava i ritmi.
Col tempo lo spirito critico ha avuto un percorso sempre più singolarista scalzando quasi del tutto quello dell'unione e della massa.
La protesta degli anni '60 era su basi tendenzialmente approssimative, era una prova di protesta, acerba e ingenua ma genuina.
Nel decennio successivo la posizione dei giovani è stata più netta e forte ed è proprio in quel periodo che nascono i cantori di una generazione votata alla politica.
In questi anni esiste più che altro una rilettura neanche troppo aggiornata, gli argomenti ora non sono più confronto ma incoerenza soprattutto politica, ma anche sociale, di conseguenza è difficile cantare la nostra attualità perchè troppo confusa e farneticante, impossibile ottenere una posizione.
Naturalmente ci sono delle eccezioni che portano avanti il loro discorso senza distrazioni, vedi Gang, MCR ed altri.
Generalmente chi ascolta (o fà) musica adesso o ha voglia di divertirsi, stanchi dell'imbarazzante bombardamento mediatico in generale, o affronta il tutto in maniera autoreferenziale e introversa.
Il mercato discografico e le tematiche sono cambiate, dalla fierezza dell'essere indipendenti, all'ansia da mercato e questo anche nei piccoli.
Infatti negli ultimi anni, chi si professa indipendente o indie (termine imbarazzante) vuole arrivare, vuole il disco nelle classifiche e dà credito alle stesse, ovviamente negli anni che vanno dal 70 al 90 era esattamente il contrario.

3
Vivere di musica in Italia è praticamente impossibile se non scendi a pesanti compromessi. Nonostante ci sia comunque interesse e un potenziale pubblico.
Cosa manca, soprattutto cosa è mancato in questi anni ?


Questo è un discorso lungo.
In Italia ci si vergogna di essere italiani, principalmente chi ha a che fare con l'arte e affini.
Guardiamo sempre e troppo ai modelli stranieri, ti faccio un esempio; se una squadra di calcio di serie C si atteggia da squadra di serie A non concluderà mai niente, deve farsi il culo per giocare al meglio il suo campionato ed onorarlo, poi magari lo vince e viene promossa in B e così via.
Noi siamo in C.
E' questione di mentalità, negli anni '70 in questo senso eravamo messi peggio, eppure sono emersi gruppi che hanno fatto la storia del rock mondiale, vedi Area, P.F.M, il Banco ed altri e qualche etichetta investiva sulla capacità creativa.
Ci dobbiamo rendere conto che la musica non è nata in America o in Inghilterra, loro sono solo "portatori sani", hanno creato un businnes.
Ovviamente non è sbagliato prendere come riferimento chi ha saputo investire sulla musica, dico solo che in Italia le potenzialità ci sono, eccome!
Poi ci sono vari casi, c'è chi ci riesce a guadagnare, chi riesce a sopravvivere, chi ci prova e non riesce e chi non gliene frega un cazzo di farci dei soldi.
Poi è anche vero che un gruppo che parte dal basso e riesce a fare "successo" viene automaticamente considerato un venduto, anche senza cambiare la personale linea musicale, magari tanto apprezzata prima.
Mentalità e strutture spesso vanno di pari passo.

4
Il vinile rimane per chi ha passato una certa età un supporto iconico da cui è ben difficile staccarsi.
Pensi che come da ogni parte pronosticato il supporto “fisico” sia destinato ad essere inevitabilmente sostituito dalla cosiddetta “musica liquida” fatta di file e mp3 ?


Spero proprio di no!
Il problema che in Italia non c'è più attenzione per la musica, ha perso il significato originale.
Mi vengono i brividi a pensare che i ragazzi ascoltino musica solo sul computer o in altri formati che non rendono giustizia al valore di un disco.
Il vero problema è che i giovani, che potenzialmente sarebbero i maggiori acquirenti, hanno altri interessi, la musica per la maggior parte di loro è sottofondo.
Il vinile ha una sua funzione, il possesso, il calore, niente telecomando.
Il vinile è fisico, è un messaggio e spero non si perderà mai quel ruolo di unione, quella capacità di sorprenderci che in fin dei conti ha sempre avuto.

5
Per molto tempo Bologna è stata in qualche modo una delle principali città di riferimento della scena “indie”/alternativa italiana e centro propulsivo per arte e musica.
C’è ancora qualcosa di quel fermento ?


C'è da dire che la mia generazione ha vissuto un periodo decisamente magico quindi mi è difficile essere obiettivo verso la nuova.
In tutti i casi le cose sono cambiate, la geografia e la mentalità si sono aggiornate ai tempi, ormai è impossibile tracciare le zone di fermento e riferimento, c'è un livellamento a livello nazionale.
Tornando a Bologna, in effetti c'è ancora tanto da fare ed esiste ancora un "giro" ma in linea di massima, date le premesse precedenti, troviamo molto appiattimento culturale, i locali, quasi tutti, non propongono ma si adattano alle esigenze musicali degli utenti.

6
Gli Avvoltoi dopo gli inizi fedelmente beat hanno saputo destreggiarsi in mille rivoli della canzone “rock” di stampo italiano, rimanendo attaccati a certe radici ma evolvendosi spesso in molteplici altre direzioni.
C’è qualche ulteriore sentiero che state per esplorare nell’immediato futuro.


Beh, intanto ti ringrazio perchè sei un attento osservatore.
Quello degli Avvoltoi è stato un percorso particolare, sono successe tante cose.
Già il fatto di avere quasi trent'anni di carriera è indice di avventura e cambiamenti, soprattutto per i livelli che abbiamo sempre tenuto.
Abbiamo cambiato spesso formazione, siamo stati in stand-by in vari periodi e non abbiamo mai avuto (o voluto) successo mainstream (si dice così?).
E così dal Beat iniziale ci siamo spostati col tempo in varie direzioni, spesso poco capite dalla stampa, abbiamo acquistato personalità e adesso siamo Gli Avvoltoi, col nostro bagaglio sul groppone.
Ogni volta che si sostituisce un elemento, quest'ultimo porta con se novità e un proprio stile.
Ti devo dire che spesso questa è stata la forza del gruppo.
Sicuramente ci sarà un'ennesimo spostamento di suond e come sempre ci saranno delle sorprese...
Dal vivo invece, siamo rimasti spesso schiavi del nostro passato, molti locali o gestori ci chiamano ancora per sentirci riproporre i primi brani, quelli di stampo più sixties e noi lo facciamo volentieri...
Ultimamente in parallelo agli Avvoltoi, stiamo portando in giro "Storia Di Un Gruppo Ridicolo", si tratta di uno spettacolino che ripercorre la storia del gruppo tra canzoni, aneddoti e ricordi di un trentennio di musica in chiave ironica, divertente e divertita così come nel libro.
Il progetto si chiama Questi Avvoltoi e vede impegnati il sottoscritto insieme a Nicola Bagnoli e Michele Rizzoli.

7
La consueta lista dei dischi da portare sull’isola deserta e un disco degli Avvoltoi che consiglieresti a chi non vi conosce.

Dai! Lo sai che è impossibile!
Ci provo, anche se mi toccherà lasciare fuori tantissimi dischi...
Un disco degli Who (quale???)
Un disco di Gaber New Trolls 69 o Le Orme
Balletto Di Bronzo "Sirio 2222"
I Giganti "Terra in bocca" oppure "Orfeo 9" di Tito Schipa Jr.
I primi due di Patto
Poi mi toccherà andare di compilations così ti frego:
Nuggets, Rubble...
Una con Morricone, Trovajoli ecc...
Una con Units, Xtc, Undertones, Jam, Echo, Cope.....
No dai!!! Poi altri mille.....

Degli Avvoltoi consiglierei "Storia Di Un Gruppo Ridicolo", libricino con cd contenente la storia del gruppo.

lunedì, gennaio 20, 2014

Leggere libri in Italia



Da una ricerca ISTAT su libri e lettori italiani nel 2013
http://www.istat.it/it/archivio/108662
si evincono alcune dati sconcertanti o quanto meno preoccupanti.

Nel 2013, oltre 24 milioni di persone di 6 anni e più dichiarano di aver letto, nei 12 mesi precedenti l'intervista, almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali.
Rispetto al 2012, la quota di lettori di libri è scesa dal 46% al 43%.

Nel corso dell'anno ha letto almeno un libro il 49,3% della popolazione femminile e solo il 36,4% di quella maschile.
La fascia di età in cui si legge di più è quella tra gli 11 e i 14 anni (57,2%).

Leggono libri il 75% dei ragazzi tra i 6 e i 14 anni con entrambi i genitori lettori, contro il 35,4% di quelli con genitori che non leggono.

Tra i lettori il 46,6% ha letto al massimo tre libri in 12 mesi.

Le persone che leggono in media almeno un libro al mese, sono il 13,9% dei lettori.

Nel 2013 l’89,2% delle famiglie dichiara di possedere almeno un libro in casa: il 28,9% ne possiede non più di 25 e il 64% ha una libreria con al massimo 100 titoli.
Il 10,3% (pari a circa 2 milioni e 578 mila famiglie) dichiara di non possederne affatto.

Una persona su due si definisce “non lettore”.

In media, i libri comparsi sugli scaffali delle librerie nel 2012 hanno un prezzo di copertina pari a 20,29 euro.

domenica, gennaio 19, 2014

Red Ronnie su "London calling" - Popster 1980



Nel marzo del 1980 RED RONNIE recensiva sul mensile POPSTER il nuovo album dei CLASH, "London calling" dividendo il suo parere in pilatesco doppio giudizio, l'uno antitetico all'altro, ma che ben riassumeva lo stupore di molti punk e affini al cospetto del nuovo stupefacente (per suoni, approccio, varietà) albumn della band di Strummer e soci.
L'ho ricopiato per voi....

A)
I Clash facevano meglio a sciogliersi subito dopo il primo album invece di tentare esperimenti di noioso heavy metal prima e di banale musichetta ora.
Il “Gruppo punk per eccellenza” si è reso definitivamente ridicolo, gettando ombre, fango e merda su un passato glorioso. Anche se questa porcheria farà la loro fortuna commerciale, chi li amava è costretto a voltare le spalle sdegnato.
Ma sono veramente i Clash a suonare ? A parte il brano "London calling" rifiuto di crederlo.
Per i posteri punk significherà d’ora in poi solo Sex Pistols, che troneggiano incontaminati.

B)
I Clash raggiungono finalmente con questo stupendo disco una consacrazione musicale. Abbandonata la sorda rabbia degli esordi ed il poco convincente heavy metal di “Give em enough rope” si aprono ad altre esperienze che colorano in modo vario e godibile la loro musica prima monocolore.
C’è persino dello swing in “Jimmy jazz”. Incuranti di chi , dandoli per spacciati , li aspettava al varco, si sono concessi pause spensierate interpretando brani altrui, come il classico “Brand new Cadillac”.
C’è pure un brano fantasma, “Train in vain”, molto sixties, che, senza alcuna segnalazione, chiude l’ultimo lato.
Con questo doppio album i Clash fanno centro due volte in un colpo solo; ed ora anche l’America che li annoiava tanto (“I’m so bored with Usa”) è ai loro piedi.

PS: Scegliete la recensione che ognuno preferisce, per me pari sono.

POPSTER MARZO 1980

sabato, gennaio 18, 2014

American hardcore



Amo questo tipo di pubblicazioni (gentilmente regalata da Paul 67 Musu) perchè sono Bibbie Definitive su un genere, un argomento, un ambito, che non possono essere superate per completezza, autorevolezza, precisione.
“American Hardcore”, pubblicato nel 2001 dal giornalista e protagonista della scena degli 80’s, Steven Blush, ripercorre nei dettagli più sconosciuti la storia della prima ondata hardcore punk americana (1980/1986) attraverso la storia dei gruppi (città per città) e le parole dei protagonisti (Black Flag, Minor Threat, Bad Brains, Bad Religion, Misfits, SS Decontrol, Adolescents, 7 seconds, Agnostic Front, Faith, Tsol, Youth Brigade, Void, Saccharine Trust, Scream, Negative Fx, Adolescents, Necros, MDC, D.O.A., Dead Kennedys, Dicks, Cro-Mags, Circle Jerks...).

E’ un viaggio affascinante e coinvolgente e che fa rivivere una scena (molto prolifica e artisticamente validissima anche qui in Italia) unica e assolutamente inimitabile.
Il tutto corredato da una discografia dettagliatissima e completa.
Il libro è stato stampato in italiano da Shake con il titolo di “American punk hardcore - Una storia tribale “.

 "Per suonare l'hardcore non hai bisogno di strofe e ritornelli, non hai bisogno di assoli, non hai bisogno di un cazzo!".
Mike Watt – Minutemen/Stooges

venerdì, gennaio 17, 2014

RITA PAVONE - Masters



Prosegue la rubrica GLI INSOSPETTABILI ovvero una serie di dischi che non avremmo mai pensato che... Dopo Masini, Ringo Starr, il secondo dei Jam, "Sweetheart of the rodeo" dei Byrds, Arcana e Power Station, "Mc Vicar" di Roger Daltrey, "Parsifal" dei Pooh, "Solo" di Claudio Baglioni, "Bella e strega" di Drupi, l'esordio dei Matia Bazar e quello di Renato Zero del 1973, i due album swing di Johnny Dorelli, l'unico dei Luna Pop," I mali del secolo" di Celentano, "Incognito" di Amanda Lear, si arriva al NUOVO ALBUM di RITA PAVONE, uscito da pochissimo.

Le altre puntate de GLI INSOSPETTABILI qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Gli%20Insospettabili

La Rita nazionale è da poco tornata sulla scena, dopo 20 anni di silenzio.
Con un doppio CD di 30 brani (!!).
15 classici americani dell’ambito crooner jazz rifatti poi in italiano con diversi arrangiamenti.
E il risultato è sorprendente.
La Pavone ha una voce soul, potente, adattissima a certe sonorità (ascoltare il jazz swing di “All nite long”) anche se non tutto è riuscito e certi arrangiamenti sono quantomeno discutibili.
Ma quando si torna al jazz blues (“Under your spell again” di Buck Owens o “Lazy river”) si piomba in pieno stile Broadway e la Nostra ne esce alla grande pur se talvolta una certa enfasi (tipica del suo stile vocale) può infastidire chi non ama questo tipo di approccio.
La parte in italiano è altrettanto ben fatta, con momenti raffinati (“Pioggia” e “Tu mi tieni”) e un bel beat rhythm and blues (“Sono fatti miei”).
Non affannatevi alla ricerca dell'album ma se capita date un ascolto e rimarrete piacevolmente stupiti.

giovedì, gennaio 16, 2014

Gli scandali nei Mondiali di Calcio



Scovare l’ombra oscura dell’accordo sottobanco, del “biscotto”, dello scandalo nella storia dei Mondiali di calcio non è difficile.
L’elenco è lungo e penoso e si può implementare con numerosi ed ulteriori esempi.
Ci limitiamo a quelli più clamorosi partendo da quelli che hanno coinvolto gli AZZURRI.

***
Il Mondiale vinto nel 1934 fu fonte di numerose illazioni su presunti favoritismi che spinsero l’Italia al successo (dall’assenza del formidabile portiere Zamora nella seconda sfida con la Spagna alle pressioni che pare furono fatte ad avversari ed arbitri in occasione della finale con la Cecoslovacchia).
In realtà l’Italia riuscì comunque a piegare gli ottimi spagnoli e i fortissimi austriaci nei quarti e in semifinale lo squadrone austriaco che aveva fatto fuori i temibilissimi ungheresi.

Nel 1962 in Cile invece le prendemmo dai padroni di casa.
Letteralmente: a Maschio fu rotto il naso, altri presi a calci e pugni dai cileni mentre l’arbitro tollerava il tutto in silenzio.
La pur forte Italia (con Sivori, Altafini, Sormani, Maldini, Buffon, il giovanissimo Rivera) se ne tornò a casa.

Nel 1982 sfidiamo dopo due deludenti pareggi con Polonia e Perù, il Camerun ancora imbattuto.
Secondo il giornalista Oliviero Beha, alcuni giocatori del Camerun furono convinti ad accettare il pari per poter concludere il Mondiale imbattuti, pur non conquistando la qualificazione. E pare vennero coinvolti anche esponenti del governo africano.
Fatto sta che poi vincemmo il Mondiale.

In Corea nel 2002 volammo fuori agli ottavi dai padroni di casa, abbondantemente aiutati dall’operato dell’arbitro Moreno che venne ritenuto il solo responsabile dell’eliminazioni degli Azzurri.
In realtà l’Italia, in vantaggio, venne raggiunta solo a due minuti dalla fine e sprecò una clamorosa occasione con Vieri nei supplementari che ci avrebbe qualificato con il Golden Goal.
Che la Corea sia stata palesemente favorita fu comunque comprovato da un’altra serie di errori a suo favore nei quarti contro la Spagna, che la proiettarono in semifinale.

Nel 1974 ci furono parecchie polemiche su un tentativo di combine tra Italia e Polonia che con un pareggio sarebbero passate entrambe. La cosa saltò e la Polonia ci castigò con un 2-1 che ci rispedì a casa.

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I casi più eclatanti risalgono però ad altri Mondiali.
Nel 1978 l’Argentina padrona di casa dopo aver battuto la Polonia per 2-0 ed aver pareggiato col Brasile, l'Argentina deve vincere con almeno 3 gol di scarto, segnandone minimo 4 - il Perù per superare il Brasile nella differenza reti e qualificarsi.
Il Perù schiera Quiroga, nato a Rosario in Argentina e l’Albiceleste vince 6-0 (vincendo poi il Mondiale).
Quiroga confesserà anni dopo di aver percepito soldi insieme ad altri connazionali per far vincere gli avversari.

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Quattro anni dopo in Spagna Germania e Austria, si giocano la qualificazione nell'ultima gara della fase a gironi.
Gli austriaci con due vittorie hanno 4 punti in classifica, la Germania 2 così come l'Algeria.
Gli africani superano il Cile per 3-2.
La Germania passa in vantaggio al 10°, sancendo la qualificazione per entrambe che per i restanti 80 minuti evitano di giocare, eliminando così la forte ALGERIA DI Madjer.
La Fifa, dopo questo episodio decise di far disputare in contemporanea le gare dell'ultima giornata.

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La vittoria della Germania nel 1954 sull’Ungheria non è mai stat ben chiarita. Sotto di 2-0 i tedeschi si presentarono nel secondo tempo completamente trasformati e instancabili.
Scrisse Brera che Conclusi i mondiali 1954, i tedeschi sono tutti finiti all'ospedale con l'epatite: è voce comune che si siano drogati come cavalli secondo dettami biochimici allora ignoti agli altri comuni mortali.

Il gol fantasma del 3-2 degli inglesi nella finale vinta con la Germania nel 1966 a Londra non è ascrivibile al capitolo scandali. Solo una svista (poi gli inglesi vinsero 4-2).
Non dimentichiamo la mano di Henry che negli spareggi del 2009 eliminò ingiustamente l’Eire del Trap.

Infine gli scandali ancora più subdoli e ignobili sono quelli che continua a perpetrare la Fifa con sorteggi assurdi e pilotati come quello del Mondiale 2014 che piazza la Francia di Platini in un girone materasso e Inghilterra, Uruguay e Italia (7 mondiali in tre) nello stesso gruppo o che assegna il Mondiale 2022 al Qatar (il Qatar !!!!) dove non si può giocare nella stagione estiva !!!!

mercoledì, gennaio 15, 2014

Teddy Bob



Quindicinale nato nel luglio del 1966 e proseguito per 154 numeri fino al 14 novembre 1972 TEDDY BOB era un fumetto di ispirazione beat/flower power in cui il protagonista era un giovane capellone amante di pace e giustizia e che si muove in un contesto che fa continuo riferimento all’estetica beat, affrontando il cattivo di turno a bordo della sua moto Drago con cui si affianca alla gang di motociclisti chiamata Branco.
Spesso il fumetto affronta temi particolari a cui la gioventù dell’epoca incominciava ad essere sensibile come razzismo, droga, antimilitarismo, delinquenza giovanile.
Ogni numero presentava un'avventura completa e in quarta copertina allegava un ritratto di star della canzone, del cinema o dello sport.

Grazie al successo ottenuto viene creato il Clan di Teddy Bob e pubblicato anche in Francia oltre ad avere anche una malriuscita imitazione (Johnny Beat) che duro' pochi mesi e addirittura una sexy-beat .
Uno degli aspetti più curiosi (e ridicoli) era l’uso di un linguaggio che voleva essere “giovane” ma che non aveva alcun riscontro con la realtà nè nessun giovane dell’epoca si sognò mai di parlare