domenica, settembre 30, 2012
Get Back: Dischi da (ri)scoprire
Nei giorni del raduno Mod di Marina d Ravenna la rubrica mensile che si occupa di album del passato che consiglio di riscoprire è dedicata a tre piccoli gioielli di power pop/beat strettamente legati alla scena MOD.
LAMBRETTAS - Beat boys in the jet age (1980)
I Lambrettas furono una discutibile meteora del panorama mod, spesso accusati di essere saltati nella moda più in voga al momento, ma lasciarono un album molto piacevole, che sembrava voler accorpare artificialmente tutte le sonorità che potevano essere gradite ai mods, dal beat allo ska, un po’ di irruenza, numerosi e svariati riferimenti ai 60s’.
Alla fine l’album è fresco e scanzonato ed ha retto alla prova del tempo.
L’anno successivo con “Ambience” si spostarono verso sonorità più mature e contaminate, molto più pop, a tratti vicini ai Police ma senza successo.
Si sono recentemente riformati nonostante il leader e compistore Jez Bird sia scomparso qualche anno fa.
THE MOMENT - The work gets done (1985)
Jam sound, un po’ di psichedelia, riferimenti Byrdsiani, eccellenti canzoni.
Erano l’essenza dell’esordio dei grandi Moment di Adrian Holder.
Purtroppo il lavoro non ebbe un seguito e le enormi potenzialaità del gruppo si persero nel nulla.
“The work gets done” è ancora un eccellente lavoro opportuno da riscoprire.
CLIQUE – Self preservation society (1995)
Attivi dalla fine degli 80’s, passati attraverso vari cambi di formazione, singoli sparsi, un album mai uscito per la Acid Jazz con James Taylor, i Clique riuscirono però a firmare questo piccolo capolavoro di british beat, tra Small Faces,Yardbirds, Who, Kinks, tuttora convincente.
sabato, settembre 29, 2012
Soul Time !
Tre splendidi recenti titoli di soul music da segnalare !
MARTHA HIGH and the Speedometers - Soul overdue
Lei era nelle Jewels nella James Brown Revue e con JB è restata qualcosa come 30 anni (con anche un album solista nel 1979 e alcuni singoli prodotti dal nostro).
Poi anni con Maceo Parker ed or affiancata dagli Speedometers alle prese con un CAPOLAVORO SOUL FUNK di incredibile bellezza.
A partire dalla fulminante cover di “No more heartaches” di Vicky Anderson, quella travolgente di “I’d rather go blind” di Etta James, il grande funk di “Mama feelgood” di Lyn Collins (anno di grazia 1973 provenienza, guarda caso, dalla James Brown Revue) per chiudere con il soul in chiave bossa di “Sunny” di Bobby Hebb e l’immortale, tiratissima, anfetaminica “Save me”.
Ma tutto l’album è a livelli altissimi con la voce di Martha incredibilmente fresca e una band da paura alle spalle.
Disco da ascoltare in loop per ore senza timore di annoiarsi.
HANNAH WILLIAMS and the TESTMAKERS vengono da Londra e sono all’esordio con “A hill of feathers” per la “nostra” preziosissima e infallibile RecordKicks.
Giovani, freschi, hanno già diviso il palco con alcuni nomi classici del new soul, da Sharon Jones ai DapKings.
Sound pieno e diretto, eccellente uso della sezione fiati, ritmica che segue le orme del Curtis Mayfield dei primi 70’s (“The kitchen strut”), voce impressionante per potenza e “negritudine”.
E’ deep soul che si mischia in continuazione con il 70’s funk (ascoltare il groove JB di “Get it”) ma che indulge anche in lente ballate di sapore Otis Redding (o come in “Washed up” con tonalità quasi gospel) e Aretha Franklin (ascoltare “Say you’re mine”), uno stile a cui ci ha ben abituato recentemente Charles Bradley.
Stupenda la versione di “I’m a good woman” di Barbara Lynn, rivisitata e rinfrescata nel migliore dei modi.
Album di altissima qualità.
BETTYE LAVETTE - Thankful and thoughtful
Nome leggendario, festeggia i 50 anni di attività nel music business con un album in cui coverizza con gusto blues, soul e funk alcuni brani poco noti di Dylan (“Everything is broken”) , Neil Young ("Everybody Knows This Is Nowhere"), Tom Waits (“Yesterday is here”) , Black Keys, perfino “Crazy” di Gnarls Barkley's e un brano di Jon Bon Jovi.
Classe, eleganza, raffinatezza, un ottimo album.
venerdì, settembre 28, 2012
"C'è su internet": la verità ai tempi del web
Sul numero 38 del 21 settembre del settimanale “Sette” Antonio D’Orrico ha parlato del “curioso” scontro tra lo scrittore Philip Roth e Wikipedia.
Roth ha chiesto alla nota enciclopedia on line, con una lettera iniziata con un esplicito “I am Philip Roth” di correggere un errore relativo ad un suo libro.
Wikipedia ha risposto che l’autore non è da considerarsi fonte attendibile nei confronti della sua opera.
Ci vuole un’altra fonte.
Roth allora insiste e pubblica una lettera aperta a Wikipedia sul New Yorker , di fronte alla quale l’errore viene subito corretto elencando però chi aveva approvato e sostenuto la scheda sbagliata.
Dice D’Orrico: “come se un errore non fosse un errore per il fatto di essere commesso da molti (una specie di via democratica allo sbaglio. Se a farlo è la maggioranza diventa verità)”.
Internet, paradiso dell’anonimato e spesso dell’approssimazione spacciata (e presa ) per verità, finisce per contare di più di quello che è il volere del proprietario dell’opera.
Una volta si diceva per avvalorare una tesi: “L’ha detto la televisione”
Non è cambiato nulla: “C’è su internet”.
giovedì, settembre 27, 2012
Proto Punk: Caravaggio
Avevo in questo blog, tempo fa, ricercato i germi della ribellione giovanile nel passato, nella rubrica Teenage Kicks, parlando dei francesi Apache, dei tedeschi Wondervogel e Swing Kids, dei congolesi Bills tra gli altri.
Oggi un salto (scherzoso) alla fine del 1500 quando uno dei più grandi pittori della storia, Michelangelo Merisi, detto CARAVAGGIO, si segnalò, oltre che per il genio artistico, anche per il suo ribellismo ad ogni regola, per il comportamento anarchico, violento, estremo, tra risse (culminate un paio di volte in omicidio), vita dissoluta, passione per la pallacorda (una specie di tennis).
Molti dei suoi dipinti sono caratterizzati da rappresentazioni macabre, violente e spesso riflettono l’ambiente che era solito frequentare: bische, strade equivoche, bordelli, osterie oltre ad esaltare luna presunta omosessualità ( senonaltro bisessualità).
Nel suo curriculum di “strada” un presunto omicidio che lo costrinse a lasciare Milano (dove si era già distinto in numerose risse tra bande giovanili), nel 1604 fu arrestato varie volte per possesso d'armi abusivo e ingiurie alle guardie cittadine, nel 1605 ferisce un notaio genovese (a causa di una donna) e successivamente viene ricoverato a Roma per una ferita di spada, viene condannato alla decapitazione (da chiunque lo avesse incontrato per strada...) per l’omicidio (pare per debiti di gioco , gelosia o anche ragioni politiche) di Ranuccio Tomassoni.
Dopo aver ottenuto, durante un soggiorno a Malta, il grado di Cavaliere di grazia, viene espulso “come membro fetido e putrido», nel 1594 viene descritto “ a mal termine si ridusse senza denari e pessimamente vestito...”, la sua “Morte della vergine” del 1604 (ora al Louvre) gli fu rifiutata e rimossa perchè era “ritratto in persona di Nostra Dama una cortigiana da lui amata” e perchè “aveva fatto con poco decoro la Madonna gonfia e con gambe scoperte”.
Muore nel 1610: “come disperato andava per quella spiaggia sotto la sferza del Sol Leone...arrivato in un luogo della spiaggia misesi in letto con febbre maligna e senza aiuto humano tra pchi giorni morì malamente come appunto male havea vivuto”
Il ritratto perfetto di un PROTO PUNK.
mercoledì, settembre 26, 2012
Sweet Soul Music : Soul Punk
Nelle foto:
Redskins, Bellrays, Clash ai tempi di "Sandinista", Mitch Ryder and rge Detroit Wheels, ancora Redskins.
Do you like good music ?
That sweet soul music<
Un viaggio periodico alla scoperta di tutti i filoni della SOUL MUSIC dal Chicago Soul allo Pychedelic Soul, via Northern, Country Soul, Blue Eyed Soul, Memphis Soul, Smooth, Southern etc.
Dopo Philly sound, Blue eyed soul e country soul tocca al SOUL PUNK.
Ambito inesistente “ufficialmente” (difficilmente se ne trova menzione) si intende per SOUL PUNK quella miscela di suoni esplicitamente punk ma che assorbono una forte influenza soul negli arrangiamenti e nell’approccio compositivo.
Uno dei primi esempi in tal senso è da ricercare negli album dei mid 60’s di MITCH RYDER and the DETROIT WHEELS che univa ad un rock n roll aspro, duro, distorto e veloce, la voce soul bianca di Mitch, cover black e un’attitudine tipicamete rhythm and blues alla Wilson Pickett.
Ma se quelle sono l vaghe radici 60’s il primo esempio di espllicito connubio tra soul e punk è stato quello dei CLASH del periodo “London calling” /”Sandinista”.
Pur avendo Joe e soci privilegiato sempre reggae e funk tra le sonorità black, il soul aleggia ben presente in “London calling” ma soprattutto in “Sandinista” tra le movenze gospel di ”Sound of sinners” o in quello che può essere un prototipo perfetto di soul punk come “Police on my back”.
Di influenze soul non è immune nemmeno “Go fot it” terzo album del 1981 degli STIFF LITTLE FINGERS, mentre “The sin of pride” degli UNDERTONES (quarto album del 1983) è un esplicito omaggio al black sound pur se filtrato attraverso ritmiche ed elettricità ancora debitrici agli esordi punk rock.
EDDIE AND THE HOT RODS nel primo album “Teenage depression” del 1976 coverizzarono in chiave punk/pub rock “Shake” di Sam Cooke e “Show me” di Joe Tex.
Nella scena MOD post 79 è facile trovare numerose connessioni tra retaggi punk e marcate influenze soul (Secret Affair, gli stessi Jam in tutta la discografia, i primi STATUTO che in brani come “Borghesi” o “Ghetto” non risparmiavano rabbia e furore sonori pur con un marcato accento black).
Ma la band che meglio ha saputo incarnare il concetto di cui parliamo visse tra il 1982 e il 1986 lasciando un solo album, alcuni singoli, un ricordo indelebile e un motto che riassume alla perfezione l’essenza SOUL PUNK : “Walk like the Clash ,sing like the Supremes”.
Si chiamavano REDSKINS e il loro LP “Neither Washington nor Moscow”, singoli come “Keep on keepin on” o “Kick over the statues” sono la quintessenza della fusione tra punk e soul (con condimento di testi improntati alla sinistra estrema).
Il loro discorso è stato ripreso con più furore e maggior estremismo (sia sonoro che politico) recentemente dai danesi THE MOVEMENT.
Negli anni 90 il soul ha spesso filtrato con sonorità dure (dette allora cross over) parenti lontane del punk ma con il quale qualche affinità c’era e gruppi come i primi Red Hot Chili Peppers, Living Colour, Fishbone non sono lontani dall’ambito di cui stiamo trattando.
Da annotare anche le esperienze di OBLIVANS, DIRTBOMBS, DELTA 5, MAKE UP, dei primi INTERNATIONAL NOISE COSPIRACY, DETROIT COBRAS, NOW TIME DELEGATION, i THE SOLUTION di Scott Morgan e GORIES.
Al pari dei REDSKINS il gruppo più fedele al termine SOUL PUNK è quello dei BELLRAYS, esplosivo, pazzesco, quartetto americano, guidato dalla voce ultra black di Lisa Kekaula che attraverso 14 album in 22 anni di attività si sono lentamente ritagliati un ruolo personalissimo, riconoscibile ed originale nella scena mondiale.
Un’ultima annotazione per i THE HEAVY, fragorosi nell'accostare voce e fiati soul ad un sound rock ma dall’andatura che talvolta riporta al buon vecchio punk rock.
DISCOGRAFIA CONSIGLIATA
MITCH RYDER AND THE DETROIT WHEELS - Sock it to me (1967)
CLASH - Sandinista (1980)
REDSKINS - Neither Washington nor Moscow” (1986)
BELLRAYS - Have a little faith (2006)
BELLRAYS - Black lightning (2010)
THE MOVEMENT - Fools like you (2012)
Redskins, Bellrays, Clash ai tempi di "Sandinista", Mitch Ryder and rge Detroit Wheels, ancora Redskins.
Do you like good music ?
That sweet soul music<
Un viaggio periodico alla scoperta di tutti i filoni della SOUL MUSIC dal Chicago Soul allo Pychedelic Soul, via Northern, Country Soul, Blue Eyed Soul, Memphis Soul, Smooth, Southern etc.
Dopo Philly sound, Blue eyed soul e country soul tocca al SOUL PUNK.
Ambito inesistente “ufficialmente” (difficilmente se ne trova menzione) si intende per SOUL PUNK quella miscela di suoni esplicitamente punk ma che assorbono una forte influenza soul negli arrangiamenti e nell’approccio compositivo.
Uno dei primi esempi in tal senso è da ricercare negli album dei mid 60’s di MITCH RYDER and the DETROIT WHEELS che univa ad un rock n roll aspro, duro, distorto e veloce, la voce soul bianca di Mitch, cover black e un’attitudine tipicamete rhythm and blues alla Wilson Pickett.
Ma se quelle sono l vaghe radici 60’s il primo esempio di espllicito connubio tra soul e punk è stato quello dei CLASH del periodo “London calling” /”Sandinista”.
Pur avendo Joe e soci privilegiato sempre reggae e funk tra le sonorità black, il soul aleggia ben presente in “London calling” ma soprattutto in “Sandinista” tra le movenze gospel di ”Sound of sinners” o in quello che può essere un prototipo perfetto di soul punk come “Police on my back”.
Di influenze soul non è immune nemmeno “Go fot it” terzo album del 1981 degli STIFF LITTLE FINGERS, mentre “The sin of pride” degli UNDERTONES (quarto album del 1983) è un esplicito omaggio al black sound pur se filtrato attraverso ritmiche ed elettricità ancora debitrici agli esordi punk rock.
EDDIE AND THE HOT RODS nel primo album “Teenage depression” del 1976 coverizzarono in chiave punk/pub rock “Shake” di Sam Cooke e “Show me” di Joe Tex.
Nella scena MOD post 79 è facile trovare numerose connessioni tra retaggi punk e marcate influenze soul (Secret Affair, gli stessi Jam in tutta la discografia, i primi STATUTO che in brani come “Borghesi” o “Ghetto” non risparmiavano rabbia e furore sonori pur con un marcato accento black).
Ma la band che meglio ha saputo incarnare il concetto di cui parliamo visse tra il 1982 e il 1986 lasciando un solo album, alcuni singoli, un ricordo indelebile e un motto che riassume alla perfezione l’essenza SOUL PUNK : “Walk like the Clash ,sing like the Supremes”.
Si chiamavano REDSKINS e il loro LP “Neither Washington nor Moscow”, singoli come “Keep on keepin on” o “Kick over the statues” sono la quintessenza della fusione tra punk e soul (con condimento di testi improntati alla sinistra estrema).
Il loro discorso è stato ripreso con più furore e maggior estremismo (sia sonoro che politico) recentemente dai danesi THE MOVEMENT.
Negli anni 90 il soul ha spesso filtrato con sonorità dure (dette allora cross over) parenti lontane del punk ma con il quale qualche affinità c’era e gruppi come i primi Red Hot Chili Peppers, Living Colour, Fishbone non sono lontani dall’ambito di cui stiamo trattando.
Da annotare anche le esperienze di OBLIVANS, DIRTBOMBS, DELTA 5, MAKE UP, dei primi INTERNATIONAL NOISE COSPIRACY, DETROIT COBRAS, NOW TIME DELEGATION, i THE SOLUTION di Scott Morgan e GORIES.
Al pari dei REDSKINS il gruppo più fedele al termine SOUL PUNK è quello dei BELLRAYS, esplosivo, pazzesco, quartetto americano, guidato dalla voce ultra black di Lisa Kekaula che attraverso 14 album in 22 anni di attività si sono lentamente ritagliati un ruolo personalissimo, riconoscibile ed originale nella scena mondiale.
Un’ultima annotazione per i THE HEAVY, fragorosi nell'accostare voce e fiati soul ad un sound rock ma dall’andatura che talvolta riporta al buon vecchio punk rock.
DISCOGRAFIA CONSIGLIATA
MITCH RYDER AND THE DETROIT WHEELS - Sock it to me (1967)
CLASH - Sandinista (1980)
REDSKINS - Neither Washington nor Moscow” (1986)
BELLRAYS - Have a little faith (2006)
BELLRAYS - Black lightning (2010)
THE MOVEMENT - Fools like you (2012)
martedì, settembre 25, 2012
John Lennon, Yoko Ono e le ghiande a Tito
Il 15 giugno del 1968 JOHN LENNON e YOKO ONO piantarono due ghiande nei pressi della Coventry Cathedral.
Le due ghiande simboleggiavano le fazioni politico culturali dell’Ovest e dell’Est, ai tempi divisi da muri e Guerra Fredda, unite insieme, auspicio per una pace che non c’era.
In breve furono trafugate da qualche fan beatlesiano.
Fu l’inizio di una serie di iniziative pacifiste culminate con i famosi Bed In (immortalati nel brano “The ballad of John & Yoko” dei Beatles).
Dall’aprile del 1969, per otto mesi, John e Yoko inviarono una serie di scatolette con dentro delle ghiande ad una cinquantina di leader mondiali, invitandoli a piantarle in segno di pace.
In molti ignorarono l’invito, altri risposero cortesemente assicurando che avrebbero provveduto, altri ancora ringraziando, pare che gli americani abbiano invece fatto esplodere la busta per paura di un attentato.
Solo Josip Broz Tito, presidente della Jugoslavia accettò con piacere il dono e provvide a piantarle personalmente nel giardino del palazzo presidenziale.
Recentemente le querce ultra quarantenni sono state ritrovate vive e vegete (nonostante non abbiano portato particolare fortuna alle sorti della pace da quelle parti).
Il progetto “YOKO LENNON TITO-one conceptual event”, dopo Novi Sad e Belgrado in Serbia, in Slovenia a Portorose, ha allestito in Italia a Muggia (Trieste) presso la Sala Comunale d’Arte “Giuseppe Negrisin” una grande mostra-evento transfrontaliera promossa dal Comune di Muggia, dal Comune di Pirano e dalle Obalne Galerije di Pirano in cui vengono mostrate foto e documenti relativi a questo avvenimento.
dal 14 settembre al 14 ottobre 2012
YOKO LENNON TITO one conceptual event
Museo d'Arte Moderna Ugo Carà, via Roma, 9
Sala Comunale d'Arte Giuseppe Negrisin, piazza Marconi, 1
orario: da martedì a venerdì 10.00-12.00 e 17.00-20.00
sabato e domenica 10.00-13.00 e 17.00-20.00
ingresso libero
lunedì, settembre 24, 2012
Di cosa parliamo quando parliamo di musica ? Parte 2 : l'informazione musicale nell’era del web
Una rubrica (che nel titolo cita un racconto di Raymond Carver) che cerca di definire ciò di cui parliamo quando parliamo di musica .
Ovvero una visione personale di quello che è la musica oggi in tutte le sue componenti (dischi/album, concerti, registrazione,video, etichette, distribuzione, promozione etc)
Fino all’avvento massivo del web l’informazione musicale è stata monopolio esclusivo di poche riviste specializzate (parlando d’Italia l’elenco è il consueto: da “Ciao 2001” a “Il Mucchio”, via “Rockerilla”, “Buscadero”, “Rockstar”, “Jam” etc) a cui dagli anni 80 in poi facevano da contraltare di assoluta nicchia fanzines più o meno seguite e dalla vita breve.
Con l’avvento del web sono esplosi decine, centinaia, migliaia di siti e blog che scrivono di musica, recensiscono, intervistano.
La democrazia del web, giusto ?
Premesso che non c’è alcuna nostalgia per il passato e che indietro non si torna, era meglio il limitato pluralismo del “monopolio”, bene o male competente e comunque ben identificabile (e con una redazione che verifica(va) i contenuti) o l’infinità attuale, talvolta altrettanto se non più competente dei “veri giornalisti” ma altrettante volte assolutamente impreparata, improvvisata ma che, appiattita nell’anarchia del web, trova uguale importanza e dignità ?
Nel frattempo uno studio Gartner appena uscito prevede che entro il 2014, fra il 10% e il 15% di tutte le recensioni (non necessariamente musicali ma anche) che compaiono sui social media saranno tarocche, fabbricate ad hoc dalle aziende per scopi di auto promozione.
sabato, settembre 22, 2012
Secret Affair - Soho Dreams
Per chi non fosse avvezzo alle vicende musicali ascrivibili alla sfera MOD si può tranquillamente affermare che il nome dei SECRET AFFAIR è tranquillamente ai primi posti nei gusti e preferenze di ogni mod , dopo Jam, Small Faces e Who.
Tra i leader della scena revivalista del 1979 seppero sfornare tre piccoli gioielli a 33 giri, il classico “Glory boys” (1970) tra soul, rhythm and blues e raffinato mod rock, il più eleborato “Behind closed doors” (1980) dai sofisticati arrangiamenti di fiati ed archi eil conclusivo “Business as usual” (1982) più essenziale e beat e una serie di riusciti 45 giri tra cui l’inno “Time for action” del 1979 e “My world” del 1980 raggiunsero la top 15 delle classifiche inglesi.
Dopo lo scioglimento, 30 anni di silenzio discografico (a parte alcune poco riuscite avventure soliste o con altri gruppi dei leader Ian Page e Dave Cairns), la sporadica reunion nel 2002 e quella definitiva del 2009 che riporta i due in studio per concretizzare i nuovi sforzi in “Soho dreams”, quarto album della band pubblicato dalla loro I Spy Records e che vedrà a breve la luce in Italia (su CD e con probabile esclusiva mondiale in vinile) per AREA PIRATA (www.areapirata.com).
Ogni timore che accompagna le reunion (soprattutto discografiche) dopo, addirittura, decenni viene cancellato da un album superbamente riuscito.
Con classe, creatività, freschezza, spontaneità e un’incredibile, immensa, personalità.
I SECRET AFFAIR riescono nel raro intento di conservare le caratteristiche dei loro tre pur diversi album ma di proporsi con qualcosa di decisamente nuovo e originale. Ritroviamo ritmiche e approcci decisamente soul, gli arrangiamenti ricercati di fiati, l’elettrica intensità degli esordi ma anche un’incredibile capacità compositiva, una maturità stilistica e una serie di canzoni, spesso ambiziose e complesse (in ben 4 casi superiamo i 6 minuti di durata con “Soul of the city” che arriva a 7 minuti e mezzo).
La voce di Ian Page si esibisce senza paura in voli difficili, la chitarra di Cairns è potente, in costante evidenza ma allo stesso tempo perfettamente adeguata in ogni intervento, mai invasiva, la sezione ritmica è precisa, professionale e ispirata, la sezione fiati da paura.
Un album destinato a rimanere negli annali del mod sound ma in grado di fare parecchia strada ovunque.
Si parte con "Soho dreams", un buon brano che parte lento con inflessioni soul e un’occhiata alle ballate di “Quadrophenia” (in generale agli Who dei primi 70’s) e si impenna con un tipico orecchiabile ritornello alla Secret Affair, un marchio di fabbrica ben riconoscibile.
I 6 minuti di “Walk away” ci riportano con l’incedere ritmico alla “Shake and shout” alle atmosfere del primo album ma i sontuosi e jazzati arrangiamenti dei fiati e una bellissima prestazione vocale di Ian Page ci portano immediatamente al 2012 e ad una band matura e preparatissima.
“Turn me on” è invece una scarica di elettricità chitarristica power pop, riff secco, tempo tiratissimo, un ritornello da subito indimenticabile, ritmica precisissima, travolgente.
La versatilità della band si palesa subito dopo con una ballata intensa, "Love's unkind", melodica, allo stesso tempo rabbiosa, con la voce di Page che ricorda quella di Van Morrison e archi “quadrophenici” nel ritornello.
Difficile riuscire a dare nuova linfa ad un classico come “Don’t need no doctor” di Ray Charles.
I Secret Affair ne fanno una cover INCREDIBILE con una sezione fiati sontuosa, sorretta da una chitarra potentissima e un coro dalle tinte gospel a rispondere alla scatenata vocalità di Page, mentre un Hammond urla in sottofondo.
Il brano prosegue per 6 minuti e mezzo tra soli di tastiera, armonica, interventi corali, irruzioni ritmiche e si chiude in un ripudio di suoni. Bellissima.
Il brano più atipico è “Lotus dream” dalle caratteristiche folk blues con corredo di suoni ambientali. Un brano affascinante e che ribadisce la capacità della band di spostarsi con noncuranza anche in territori inusuali.
Cantata da Dave Cairns “In our time” supera i 7 minuti di durata ed è un classico brano rock debitore agli Who del periodo “Who’s next” / “Quadrophenia”.
“Land of hope” è una sostenuta ballata mid tempo sinceramente un po’ anonima nonostante il buon ritornello subito memorizzabile che riporta alle atmosfere di “Behind closed doors”.
Hammond e un’imponente sezione fiati (ancora una volta perfettamente arrangiata e con un suono raro da ascoltare in produzioni “indie”) sono la struttura della veloce e scoppiettante e souleggiante “All the rage” mentre “Soul of the city” è una ballata jazz blues di sette minuti e mezzo ma che regge benissimo la lunga durata.
Chiude la lunga cavalcata di “Ride” brano già ascoltato negli scorsi anni, che in oltre 6 minuti concede pieno sfogo a Ian e Dave per assoli e jam in libertà. Un finale degno per un vero e proprio gioiello musicale destinato alle vette altre delle mie preferenze 2012.
venerdì, settembre 21, 2012
Cultura 70's: Muzak e Gong
Primi anni settanta, epoca di continui cambiamenti anche in ambito musicale, dove al beat e alla psichedelia degli anni 60 si era sostituita una nuova visione musicale, più complessa ed elaborata che passava attraverso il prog, le contaminazioni tra jazz e rock, mentre la tradizione del decennio precedente si evolveva in hard rock e glam.
In Italia si aggiunsero cantautori e una strettissimo connubio con l’estremismo politico.
In ambito editoriale a fianco dell’istituzionale “Ciao 2001” e a varie pubblicazioni underground, furono due le riviste che provarono ad aprire altri orizzonti e ad entrare più dettagliatamente e con più coraggio nei nuovi gusti giovanili: MUZAK e GONG.
MUZAK nasce nell’ottobre 1973 (400 lire per 68 pagine) con l’eloquente sottotitolo di “Mensile di musica Progressiva-Rockfolkjazz”, direttore Giaime Pintor e redattori come Lidia Ravera (che fu anche vice direttore nel 1975 e di inchieste sui giovani studenti medi e la libertà sessuale), Riccardo Bertoncelli , Fernanda Pivano, Enzo Caffarelli, Marco Ferranti, Manuel Insolera, Piero Togni.
Spazio alla musica dei tempi, molto jazz, tanta politica (la provenienza era l’estremismo radicale di sinistra) e riferimenti alla cultura della droga.
A giugno del 1974 una parte della redazione si staccò dalla rivista per fondarne un'altra, Gong, a novembre dello stesso anno interruppe le pubblicazioni per qualche mese per riprenderle poi ad aprile del 1975 e chiuderle definitivamente a giugno del 1976.
GONG nasce nell’ottobre del 1974 (800 lire per 80 pagine) con direttore Antonino Antonucci Ferrara e i succitati giornalisti esuli da Muzak e altri collaboratori (tra cui il disegnatore Moebius) L’impostazione ricalca quella di “Muzak” con grande spazio a prog, Frank Zappa e jazz sperimentale, con Bertoncelli che nel numero 3 demolisce Beatles e John Lennon e subito dopo Bob Dylan ma spazio anche alla Kosmische Music e agli 'omosessuali rivoluzionari' del F.U.O.R.I.
Si stroncano anche gli Stones e si esaltano Area, Alan Stivell, Fugs, Popol Vuh, Rober Wyatt, Sonny Rollins, Soft Machine ma nel 1976 si parla anche dell’esordiente Patti Smith).
Frequente lo spazio a tematiche extra musicali come “Sessualità e politica” , Medicina alternativa o nel 1975 all’avanzata della sinistra alle recenti elezioni amministrative, una guida (nel 1976) alle prime Radio Libere che incominciavano a nascere in Italia e poi femminismo e omosessualità, del dopo Mao in Cina, si inseriscono interessanti fumetti.
Nel 1977 si parla anche (ironizzando) del punk mentre la rivista incomincia ad allegare (anche per giustificare l’aumento del prezzo , ora a 1.500 lire) EP dal vivo di Pink Floyd, Neil Young, Bob Dylan, Sam Rivers.
Nel 1978 la rivista incomincia ad avere seri problemi, cambia spesso direttore ed indirizzo editoriale e chiude i battenti alla fine dell’anno.
In Italia si aggiunsero cantautori e una strettissimo connubio con l’estremismo politico.
In ambito editoriale a fianco dell’istituzionale “Ciao 2001” e a varie pubblicazioni underground, furono due le riviste che provarono ad aprire altri orizzonti e ad entrare più dettagliatamente e con più coraggio nei nuovi gusti giovanili: MUZAK e GONG.
MUZAK nasce nell’ottobre 1973 (400 lire per 68 pagine) con l’eloquente sottotitolo di “Mensile di musica Progressiva-Rockfolkjazz”, direttore Giaime Pintor e redattori come Lidia Ravera (che fu anche vice direttore nel 1975 e di inchieste sui giovani studenti medi e la libertà sessuale), Riccardo Bertoncelli , Fernanda Pivano, Enzo Caffarelli, Marco Ferranti, Manuel Insolera, Piero Togni.
Spazio alla musica dei tempi, molto jazz, tanta politica (la provenienza era l’estremismo radicale di sinistra) e riferimenti alla cultura della droga.
A giugno del 1974 una parte della redazione si staccò dalla rivista per fondarne un'altra, Gong, a novembre dello stesso anno interruppe le pubblicazioni per qualche mese per riprenderle poi ad aprile del 1975 e chiuderle definitivamente a giugno del 1976.
GONG nasce nell’ottobre del 1974 (800 lire per 80 pagine) con direttore Antonino Antonucci Ferrara e i succitati giornalisti esuli da Muzak e altri collaboratori (tra cui il disegnatore Moebius) L’impostazione ricalca quella di “Muzak” con grande spazio a prog, Frank Zappa e jazz sperimentale, con Bertoncelli che nel numero 3 demolisce Beatles e John Lennon e subito dopo Bob Dylan ma spazio anche alla Kosmische Music e agli 'omosessuali rivoluzionari' del F.U.O.R.I.
Si stroncano anche gli Stones e si esaltano Area, Alan Stivell, Fugs, Popol Vuh, Rober Wyatt, Sonny Rollins, Soft Machine ma nel 1976 si parla anche dell’esordiente Patti Smith).
Frequente lo spazio a tematiche extra musicali come “Sessualità e politica” , Medicina alternativa o nel 1975 all’avanzata della sinistra alle recenti elezioni amministrative, una guida (nel 1976) alle prime Radio Libere che incominciavano a nascere in Italia e poi femminismo e omosessualità, del dopo Mao in Cina, si inseriscono interessanti fumetti.
Nel 1977 si parla anche (ironizzando) del punk mentre la rivista incomincia ad allegare (anche per giustificare l’aumento del prezzo , ora a 1.500 lire) EP dal vivo di Pink Floyd, Neil Young, Bob Dylan, Sam Rivers.
Nel 1978 la rivista incomincia ad avere seri problemi, cambia spesso direttore ed indirizzo editoriale e chiude i battenti alla fine dell’anno.
giovedì, settembre 20, 2012
Mod Heroes: André Courrèges
André Courrèges (nato nel 1923) è un creatore di moda francese che nel 1964 (in coppia con la moglie Coqueline, enrambi provenienti dalla scuola di Balenciaga) lanciò lo stile “space age” nella moda sfruttando soluzioni assolutamente innovative, futuriste, moderniste, giovani introducendo l’uso della plastica e del PVC nei vestiti e influenzando a sua volta il design e l’arte.
Colori forti e brillanti, metallici e acidi non solo per i vestiti ma anche per accessori, borse, stivali, occhiali, cappelli.
E non è mai finita la battaglia con Mary Quant su chi “inventò” la mini gonna.
Le sue creazioni sono icone dell’estetica 60’s e tipicamente MODerniste nel concetto e nella realizzazione.
Dagli anni settanta firma anche occhiali, ombrelli, gioielli, profumi, vestiario per l'infanzia e vestiti da sposa.
Colori forti e brillanti, metallici e acidi non solo per i vestiti ma anche per accessori, borse, stivali, occhiali, cappelli.
E non è mai finita la battaglia con Mary Quant su chi “inventò” la mini gonna.
Le sue creazioni sono icone dell’estetica 60’s e tipicamente MODerniste nel concetto e nella realizzazione.
Dagli anni settanta firma anche occhiali, ombrelli, gioielli, profumi, vestiario per l'infanzia e vestiti da sposa.
mercoledì, settembre 19, 2012
Sweet Soul Music : Country Soul
Do you like good music ?
That sweet soul music
Un viaggio periodico alla scoperta di tutti i filoni della SOUL MUSIC dal Chicago Soul allo Pychedelic Soul, via Northern, Country Soul, Blue Eyed Soul, Memphis Soul, Smooth, Southern, Soul Punk etc.
Tra le ibridazioni più ardite ma in alcuni casi ben riuscite c’è senz’altro quella tra country e soul.
Non così azzardata in quanto spesso le radici gospel e blues del soul si avvicinavano a quelle del country originale e di cui molti degli artisti soul sono sempre stati grandi fan.
Non è raro trovare nel repertorio di molte star della soul music espliciti omaggi al country anche se quello che più esplicitamente gli rese tributo fu RAY CHARLES con "Modern Sounds in Country and Western Music" del 1962.
Album seminale che influenzò numerosi artisti successivamente ma che rappresentò un momento storico in ambito artistico (e sociale) essendo il primo tentativo, pienamente riuscito, di abbattere le barriere tra due generi rispettivamente pertinenti a soli artisti bianchi e neri.
Inoltre fu il primo artista nero in assoluto ad occuparsi interamente della produzione della propri musica.
L’album contiene 12 classici country rivisti attraverso la sensibilità black e soul di Ray Charles (che riprese il sound in “Love country style” del 1970).
Successivamente artisti come Solomon Burke (in particolare in “Nashville” del 2006 tributerà un omaggio completo al country affiancato da Emmylou Harris, Dolly Parton, Patty Griffin), Etta James (spesso vicina al country rivisto in chiave black vedi “Damn your eyes”, “Let's Burn Down the Cornfield” di Randy Newman I Worship the Ground You Walk On ), Arthur Alexander, Joe Tex (“Soul country” del 1968, registrato a Nashville), Charlie Rich, Candi Staton, Staple Singers, Dobie Gray, sperimentarono sonorità affini.
RAY CHARLES - Modern sounds in country and westerm music (1962)
JOE TEX - Country soul (1968)
STAPLES SINGERS -Soul folk in action (1968)
SOLOMON BURKE - Nashville (2006)
martedì, settembre 18, 2012
Batteristi "sconosciuti": Gegè Di Giacomo
Prosegue il viaggio tra i batteristi sconosciuti ovvero quelli, pur bravi e che hanno fatto la storia ma che non trovereste mai in una classifica dei migliori.
Si è parlato di Tony Allen, Fred Below, Buddy Ascott e Seb Shelton, Viv Prince, Jabo Starks e Clive Stubblefield, Mick Avory, Dave Ruffy, Terry Chimes, Giovanni Naska Deidda.
Più che sconosciuto GEGE’ DI GIACOMO è un batterista dimenticato, sicuramente snobbato.
Quanti se ne ricordano ?
Eppure aveva una tecnica mostruosa, debitrice ma non per questo inferiore, soprattutto in creatività, a quella di mostri sacri come Gene Krupa o Buddy Rich.
La sua notorietà è legata al successo dell’orchestra di RENATO CAROSONE con cui suonò dalla fine degli anni ’40 gli inizi dei 60, nel periodo dei suoi più grandi successi (e di trionfali tour in America e Cuba).
Istrionico e con grande senso dello spettacolo si dedicò successivamente ad una meno fortunata carriera solista prima di essere costretto al ritiro per motivi di salute negli anni 90, prima di scomparire nel 2005.
In questo video tutta la sua tecnica e la sua simpatia.
http://www.youtube.com/watch?v=FNys5m55ZFE
Si è parlato di Tony Allen, Fred Below, Buddy Ascott e Seb Shelton, Viv Prince, Jabo Starks e Clive Stubblefield, Mick Avory, Dave Ruffy, Terry Chimes, Giovanni Naska Deidda.
Più che sconosciuto GEGE’ DI GIACOMO è un batterista dimenticato, sicuramente snobbato.
Quanti se ne ricordano ?
Eppure aveva una tecnica mostruosa, debitrice ma non per questo inferiore, soprattutto in creatività, a quella di mostri sacri come Gene Krupa o Buddy Rich.
La sua notorietà è legata al successo dell’orchestra di RENATO CAROSONE con cui suonò dalla fine degli anni ’40 gli inizi dei 60, nel periodo dei suoi più grandi successi (e di trionfali tour in America e Cuba).
Istrionico e con grande senso dello spettacolo si dedicò successivamente ad una meno fortunata carriera solista prima di essere costretto al ritiro per motivi di salute negli anni 90, prima di scomparire nel 2005.
In questo video tutta la sua tecnica e la sua simpatia.
http://www.youtube.com/watch?v=FNys5m55ZFE
lunedì, settembre 17, 2012
Il punk
Il PUNK che ho conosciuto io era malato, volgare, violento.
C’erano tossici, alcolizzati e gente rabbiosa, pronta ad essere violenta senza un perchè.
Era inquietante, decadente, malato, rivoltante, anfetaminico, disturbante, senza nessuna speranza per il futuro, senza nessuna implicazione politica.
Qualcosa di estremamente potente, pericoloso e assolutamente scorretto.
Poi si è organizzato, dato delle regole, obiettivi, limiti, speranze e si è aperto verso il futuro.
Ed è stato un’altra cosa.
Nessun rimpianto per quel punk, faceva davvero schifo e paura.
Ma è stato una cosa unica e irripetibile.
domenica, settembre 16, 2012
The Movement "Fools like you"
Dopo gli album "Move!" del 2003 e "Revolutionary Sympathies" del 2005, una lunga pausa durante la quale il leader Lukas Sharfey si era dedicato ad una carriera solista all'insegna del soul, tornano in tutto il loro furore, i danesi MOVEMENT una delle migliori MOD BAND di sempre.
La miscela è semplice e tremendamente efficace: le chitarre e i ritmi devastanti dei primissimi JAM, l'incedere soul punk dei REDSKINS, una costante pennellata di melodie 60's, un po' di soul, funk, ska e pop, il tutto condito da testi esplicitamente anti fascisti, anti capitalisti e marxisti (non disdegnando però anche tematiche più soft parlando di amore).
Dieci i brani, una mezzoretta di musica che passa dalla ballata tipicamente Welleriana (dalle parti di "That's entertainment") dell'introduttiva "Monday morning" all'anfetaminico e travolgente beat punk di brani come "We got Marx" e "Fools like you".
Breve pausa all'insegna del soul beat con “Since You’ve Been Gone” e si torna a tirare ai 100 all'ora ancora tra beat, power pop, rock n roll fino alla stupenda ballata acustica conclusiva “If Just My Heart Was Turning”.
Albun fulminante, essenziale, crudo, per quanto mi riguarda stupendo e tra i migliori del 2012.
We got love, we got hope, we got Marx !
http://themovement.dk/
sabato, settembre 15, 2012
Greetings from Usa : LA
Torna ad allietarci con un reportage americano , il nostro White (in arte Matteo Bianchi), questa volta con qualche riga su LOS ANGELES (dopo S.Francisco la scorsa settimana)
L.A. Casula:
Dopo San Francisco, ci metto LA: la città degli angeli mi ha colpito più di quanto mi sarei aspettato, soprattutto grazie al Gaino, parmigiano che vive a LA da vent'anni, che ci ha fatto da cicerone, cuoco e guida spirituale alla scoperta dei luoghi di culto cinemarocknroll: l'Hyatt Hotel, dove i Led Zeppelin scorrazzavano in moto nei corridoi del settimo piano, il Whisky a go-go, il vicolo dietro al Viper dove è morto River Phoenix, l'hotel Chateau Marmont dove è morto John Belushi, il Guitar Center con le impronte delle mani dei Guitar Heroes (anche Lou Reed!?!?!), il Circle Bar a Santa Monica, il bar preferito da Charles Bukowski...non potevano mancare una visita al Teatro Cinese e sulla Walk of Fame, ma con un pigmalione come il Gaino (uno dei primissimi punk parmigiani, tra l'altro) è tutt'un'altra immersione nel mondo del cinema, di cui è profondo conoscitore di storia e aneddoti...
Molti turisti italiani restano delusi perchè disorientati:
LA si estende per oltre 120 km lungo la costa e non ha un vero centro storico...il "centro" si sposta in continuazione...bisogna imparare a conoscerla e a viverla (certo, una cosa che ho capito, è che per vivere bene in USA ci vogliono i soldi - in fondo è così ovunque, ma lì un po' di più)...
Di LA mi hanno colpito la luce, l'atmosfera, la California è veramente incredibile...
Venice Beach è un gran posto, con La Blue House di Jim Morrison proprio sul broadwalk che fa un certo effetto, e poi è bellissima la parte storica di Venice con i canali superstiti...
il Gaino ci ha spiegato che Venice è stata concepita all'inizio del '900 da un certo Abbott Kinney sul modello di Venezia ed ha avuto un forte richiamo e successo fino agli anni '20, poi nella zona hanno trovato il petrolio, Venice è bruciata in un misterioso incendio e oggi resta una piccola parte della cittadina originale, riqualificata, a testimonianza del passato..
la spiaggia resta il luogo più famoso (se uno uno refrattario alla vita da spiaggia come me, ci si è trovato bene..) bohemienne e mistico, una cosa un po' difficile da spiegare e da capire, un po' come tante cose in America...come Las Vegas, l'apoteosi dell'americanata, un'enorme scenografia, inutile, superflua, torrida, dove tutto è concesso (in un Paese dove quasi tutto è proibito) e ogni divertimento e intrattenimento è di casa, una città/luna park nel deserto...
eppure affascinante e tentatrice (solo per una notte o un week end)...
Insomma, è difficile parlarne in poche in poche righe...