giovedì, aprile 30, 2020
Il meglio del mese. Aprile 2020
Parte bene l'anno con Igorrr, X, Lux Hotel, Real Estate, Christian McBride, Gil Scott Heron/Makaya McCraven, Devonns, Soul Motivators, Isobel Campbell, Monophnics, Black casino and the Ghost, Martha High and the Italian Royal Family, Crowd Company, Ben Watt. Moses Boyd, Shabaka and the Ancestors, Field Music.
Per l'Italia Calibro 35, Ritmo Tribale, Dining Rooms, Era Serenase, Ok Bellezza e Handshake.
THE X - Alphabetland
Sono passati 40 anni dall'insuperabile classico "Los Angeles", poco meno di 30 dall'addio discografico (il pessimo "Hey Zeus" é del 1993 ma il chitarrista Billy Zoom se ne era già andato da parecchio).
Una serie di live, varie reunion con la line up originale, tour, la lotta contro brutte malattie di Exene e Billy, progetti solisti. Ma di nuovi dischi non se ne parlava (nel 2017 Billy Zoom dichiarava laconicamente che "non funzionerebbe, la chimica non sarebbe la stessa, viviamo distanti, non suonerebbe come un disco degli X").
E invece dopo un singolo arriva un album fresco, pulsante, vitale, bello, in cui ritroviamo tutta l'alchimia che ha reso grandi gli X. 27 minuti, 11 brani che spaziano dal loro classico rock n roll/punk a un consueto omaggio al funk ("Cyrano De Berger's back", cover dei Flesheaters, da tempo in repertorio), a furiosi hardcore ("Goodbye year goodbye" e "Delta 88 nightmare") al clamoroso finale in chiave smooth jazz/spoken word di "All the time in the world" con la chitarra di Robbie Krieger dei Doors (che chiude il cerchio a 40 anni dal primo album prodotto da Ray Manzarek).
Per gli amanti della band un disco da amare incondizionatamente, per i cultori di un certo suono e periodo un ritorno comunque ad altissimi livelli.
IGORRR - Spirituality and distortion
Gautier Serre da una quindicina d'anni percorre una strada unica, originalissima e stupefacente. Nella sua musica convergono brutal metal (di cui ospita spesso esponenti di spicco nei suoi dischi), death metal, grind core, elettronica estrema, sonorità classiche, barocche, folk balcanico, mediterraneo e francese, sperimentalismi di ogni sorta. Un'affascinante e sconvolgente visione sonora dal sapore inedito, suonata in modo eclatante, di assoluta inventiva, condita da una buona dose di (auto)ironia.
HOTEL LUX - Barstool Preaching
Da Portsmouth, abbracciati alle nuove leve brit come Shame, Fontaines DC, Goat Girl. Giovanissimi, aspri, melodicamente dissonanti, "storti", addirittura Doorsiani, assorbendo Wire, Gang of Four, Fall.
Ep d'esordio da urlo!
THE DEVONNS - s/t
La band americana all'esordio con un avvolgente e sinuoso mix di soft soul di sapore vintage, tra Impressions, Curtis Mayfield, il Marvin Gaye dei 70, un gusto Northern soul ma soprattutto canzoni di primissima qualità. Produce la nostra Record Kicks, album gradevolissimo.
THE SOUL MOTIVATORS - Do the damn thing
Spettacolare album della band canadese, nove membri ma con la voce incredibile di Shahi Teruko a condurre una carovana di vintage funk potentissimo.
La tradizione del groove di James Brown che si mischia alla modernità di marchio Daptone.
Travolgenti e probabile album "black" dell'anno.
MARTHA HIGH AND THE ITALIAN ROYAL FAMILY - Nothing's going wrong
Un piccolo grande capolavoro, con un'abbondante dose di condimento italiano. Grazie alla backing band tutta tricolore, guidata da Luca Sapio che produce anche artisticamente l'album.
Classic soul in tutte le sue principali accezioni e sfumature, cantato divinamente, suonato alla perfezione con ogni suono al punto giusto.
E in più una spolverata di tipico groove caro alle colonne sonore dei 60's italiani. A corollario i testi che guardano al sociale e alla situazione politica attuale come insegnarono i maestri Gil Scott Heron, Curtis Mayfield e Marvin Gaye nei primi 70.
Pura eccellenza.
RITMO TRIBALE - La rivoluzione del giorno prima
Tornano i Tribali con il primo album dal 1999. E spaccano come sempre con la consueta grinta, con le ritmiche serrate, chitarre compresse, liriche sempre più mature e incisive. Ci sono il grunge dei 90, l'attitudine punk rock, i Killing Joke e la migliore post wave anni 80 ma soprattutto un'immediata riconoscibilità, una personalità unica, onesta, sincera.
DREAM SYNDICATE - The universe inside
Terzo album del nuovo recente corso della band di Sgteve Wynn.
Un'ora di musica, brani lunghissimi, psych kraut jazz rock ipnotico, frutto di lunghe jam session. Un nuovo interessante passo ma eccessivamente auto indulgente, progettualmente armonico e in progress ma, alla fine, trascurabile. Per quanto si rimanga ad alti livelli.
OS MUTANTES - ZZYZX
Della formazione originale é rimasto solo Sergio Dias. Niente più tropicalismi ma un divertente e godibile rock di ispirazione 60's, beatlesiano, cantato in inglese, molto gradevole e con belle canzoni.
LUCINDA WILLIAMS - Good souls better angels
Atmosfere rauche e dolenti, roots rock di forte impronta blues per la "sorella" americana di Marianne Faithfull. Più immediata e grezza Lucinda ma tremendamente efficace in un album solo apparentemente immediato, in realtà complesso e sofisticato.
TOM MISCH & YUSSEF DAYES - What Kinda Music
Dalla scena inglese new jazz un grande mix di spiritual jazz, funk, lounge pop, sperimentazione, un tocco psichedelico, tanto groove dal drumming (ispirato da Tony Allen) di Yussuf Dayes). Coinvolgente e progressivo.
BROWNOUT - Berlin Sessions
La band di Austin al primo album con brani autografi dopo aver trasformato in latin funk Black Sabbath, Prince, Public Enemy. E colpiscono di nuovo nel segno: heavy funk, influenze latine, texmex, caraibiche, soul, rock, Prince (di cui fecero anche la backing band), afro, in un minestrone super piccante ed esplosivo.
PS: Berlin è Steve Berlin dei Los Lobos che produce il tutto.
LAURA MARLING - Song for our daughter
Il valore della cantautrice inglese è ampiamente riconosciuto e il nuovo album ce lo conferma. Deliziose ballate folk (in odore di Joni Mitchell), blues, pop, country. Voce pulitissima e avvolgente. Album riuscitissimo.
FIONA APPLE - Fetch the bolt cutters
Unanimemente salutato come capolavoro dalla critica, è sicuramente un ottimo album in cui la Apple sperimenta, osa, attinge da canzone, avanguardia, jazz, forme free. Interessante e stimolante.
YAZMIN LACEY - Morning matters
Dalla scena new jazz inglese un delizioso album di soft soul tra Lauryn Hill, Macy Gray, Erikah Badu, accompagnata da Moses Boyd, gli Ezra Collective e altri membri del giro brit. Splendidamente estivo, caldo, rilassato.
SMALLTOWN TIGERS - Five things
Il trio all female romagnolo ha bruciato le tappe in pochissimo tempo (grazie anche al decisivo apporto di Stiv Cantarelli, musicista, produttore e profondo conoscitore delle più oscure trame del rock 'n' roll). Concerti (anche londinesi), soddisfazioni, plausi diffusi e ora l'esordio con un album tirato, essenziale, asciutto, come nella migliore tradizione dei loro amati Ramones. Ma qui c'è di più: garage, rock n roll, glam, power pop, suonati con la giusta attitudine e devozione. Divertenti, oneste, sincere. Support!
AA.VV. - Rock These Ancient Ruins - Mamma Roma's Kids
Una fulminante compilation che raccoglie una preziosissima testimonianza dalla scena punk romana degli ultimi 40 anni. In cui confluiscono suoni di chiara matrice '77, esplosioni più veloci, contaminazioni di vario tipo. Le 14 band spaccano.
Dai Taxi (dalle cui ceneri nasceranno gli acclamati Giuda) ai Plutonium Baby, Idol LIps, Wendy?. Ogni brano è travolgente, coinvolgente, elettrico, semplicemente ultra cool. Indispensabile per i cultori del genere.
STRANGE FLOWERS - Songs for imaginary movies
All'ottavo album la band pisana conferma, ancora una volta, di essere una delle band più interessanti e in progress della scena neo psichedelica mondiale (per quanto il termine sia, nel loro caso, ormai piuttosto riduttivo).
Le radici sono sempre nell'universo 60's (tra Syd Barrett e l'ampio spettro freakbeat) ma l'approccio è personale, distintivo, creativo, moderno. Album di primo livello.
PERTURBAZIONE - (dis)amore
La lunga carriera della band torinese si arricchisce di uno dei capitoli più ambiziosi e complessi, un lungo concept di 23 brani sulle variabili dell'amore. I Perturbazione sono tra coloro che meglio sanno coniugare canzone d'autore, pop e amore per sonorità oblique che vanno dagli Smiths ai Belle and Sebastian. Ottimo album, di ampio respiro e grande maturità.
A LEMON - Green
Il polistrumentista catanese Alessandro Moncada compone un piccolo gioiello di equilibrio tra pop e la psichedelia elettronica di Tame Impala, un tocco di shoegaze, rtimiche dall'approccio funk. Un lavoro che merita la massima attenzione, un nome da annotare.
UMBERTO PALAZZO - Lost in the city
“Lost in the city” è un film indipendente, purtroppo ancora inedito, di Lara Kalifilm Calenza su un homeless berlinese. Umberto Palazzo, musicista dalla lunghissima carriera (dai Massimo Volume ai Santo Niente a varie esperienze soliste) ne ha curato la colonna sonora. Immergendoci in un sound che evoca atmosfere berlinesi tardo anni 70 (dalle parti di David Bowie e della sua “trilogia” ispirata a quegli anni e a quei luoghi) ma con un taglio che riporta spesso anche alla New York del periodo, intrisa di decadenza e di aspra new wave. Prevalentemente strumentale, con due brani cantati di grande suggestione da Alia Spizz-Clay e Amerigo Verardi, una cruda escursione nel reggae e tanti spunti interessanti. Ottimo.
PATH - Small Town Boy
Un nuovo ottimo tassello nella storia del cantautore/rocker laziale. Una mini opera folk con allegato un racconto di 40 pagine che svela un mondo combattente, che ancora fa argine al pauperismo ideologico che ci sta travolgendo. Canzoni che viaggiano tra la canzone d'autore italiana (con uno sguardo al primo Bennato) e l'approccio di Billy Bragg. Musica necessaria.
ANDREA CUBEDDU - Nostos
Lasciato alle spalle (per il momento?) il deep blues più duro e primitivo degli esordi, Cubeddu abbraccia una forma cantautorale che mantiene il blues come fondamenta ma si dirige verso una dimensione più personale e intimista. Lunghi brani talvolta quasi in forma di raga/mantra ipnotico che guarda anche al desert sound africano e che si avvicina alla lezione di Cesare Basile. Interessantissimo.
VALERIO CINQUE - Un labile tepore
Un concept di chiaro stampo cantautorale, prevalentemente acustico, che mette in risalto un grande spessore qualitativo a livello compositivo e di grande respiro espressivo. Ci sono Luigi Tenco, Jeff Buckley, Nick Drake, Domenico Modugno, Sergio Endrigo e un'anima prog che permea alcune canzoni. Ma ci sono soprattutto una maturità e una personalità raramente riscontrabili in un esordio. Eccellente.
PUGLIA - Faith and a little wine
Splendido, maturo, originale, personale, album per Marco "Puglia" Puglisi che si inerpica in sentieri inusuali per il panorama italiano, proprio perché hanno un respiro internazionale (e il suo eccellente inglese lo aiuta parecchio in tal senso). Sonorità semi acustiche che ci portano alla scrittura di Alex Chilton ma che non disdegna marcati riferimenti beatlesiani (dalle parti di Paul McCartney soprattutto), a Ray Davies dei Kinks, agli XTC ("Fancy" sembra un'outtake dalla loro indimenticabile discografia), Syd Barrett, fino alle linee melodiche del Pete Townshend dei 60's. Eccellente.
TIEDBELLY & MORTANGA - Old Joe Gravy & Three More Songs
Come sempre qui si scava nel fango melmoso del blues più profondo. Quattro brani di folk blues ruvidissimo, sporcato da un'attitudine punk cara a Jon Spencer, Jeffrey Lee Pierce, Junior Kimbrough, Bisogna essere capaci di carpire l'essenza di certi suoni e riuscire a renderla in questo modo. Grandi!
ASCOLTATO ANCHE:
PEARL JAM (tronfio, pomposo e noioso. Come sempre), STROKES (riconoscibili ma mosci e tranquillamente dimenticabili), MISTERY JETS (pallosissimo pop emo alt rock), SORRY (alt wave rock inglese. Senza anima), FAKE NAMES (supergruppo di ex hardcores ma che alla fine suona come dei Foo Fighters appena più incazzosi)
LETTO
HOLLY GEORGE-WARREN - Alex Chilton. Un uomo chiamato distruzione
C'é chi é nato perdere e chi vincente ma ce l'ha messa tutta per perdere tutto.
E' incredibile, a tratti paradossale, la pervicacia di ALEX CHILTON per distruggere ogni tassello del suo successo.
E ci è riuscito.
Sempre.
Famosissimo già da adolescente minorenne con i BOX TOPS di "The letter", adorato con i BIG STAR, artista di culto, cercato e riverito da musicisti, fan, produttori, scelse uno stile di vita a dir poco dissoluto che annientò rigorosamente ogni traccia del suo successo.
Scoprì e produsse i primi CRAMPS e i PANTHER BURNS di Tav Falco, poi i Gories, continuò disordinatamente a suonare quando voleva (e come voleva), a incidere dischi solisti a caso, senza senso e continuità, a sopravvivere facendo il taxista o il lavapiatti, frequentò la scena punk new yorkese agli esordi, riprese un po' di soldi con le reunion dei suoi precedenti gruppi.
Ritrovò notorietà (e tranquillità economica) poco prima di andarsene tragicamente nel 2010.
Il libro di Holly George-Warren è una minuziosa e dettagliatissima (forse eccessiva per chi non é pienamente dentro al mondo di Alex) ricostruzione della sua turbolenta vita.
La discografia finale è quanto di più esaustivo ci possa essere, il taglio è avvincente, le 400 pagine comunque veloci.
ELISA DE MUNARI - Countin' the blues
"Countin' the blues" (sofisticato doppio senso tipicamente blues) è un pregevole saggio socio politico antropologico sul ruolo delle DONNE nel BLUES, negli anni 20, quelle che precorsero di decenni il concetto più spontaneo e puro di FEMMINISMO e di autodeterminazione.
"In ogni tempo e in ogni società l'ago della bilancia per quanto riguarda le questioni morali é sempre stato il corpo delle donne, costantemente trattato come qualcosa da nascondere e controllare, perché ritenuto pericoloso e ricco di tentazioni"...
Elisa De Munari (musicista tra le più apprezzate in ambito alt blues in Italia ed estero con il nome di ELLI DE MON), analizza in maniera precisa e profonda il significato della musica blues, attualizzandolo con le esperienze personali di blues woman.
Raccontando le difficoltà, ancora oggi, di essere donna in un ambiente che si presupporrebbe libero da certi pregiudizi e che rimane invece spesso pesantemente maschilista.
Il libro, attraverso alcune canzoni di personaggi iconici, spesso sconosciuti ai più, ci porta nelle nicchie più nascoste e profonde del blues primordiale declinato al femminile, nel disperato affrancamento da razzismo, maschilismo, oppressione.
Una lotta durissima, aspra, spesso persa ma che ha marchiato a fuoco il concetto di autodeterminazione.
A corredo l'intervento di una serie di artiste e musiciste italiane.
Protagoniste Ma Raney, Bessie Smith, Lucille Bogan, Bertha Chippie Hill, Alberta Hunter, Lottie Kimbrough, Sippie Wallace, Memphis Minnie, Elizabeth Cotten, Victoria Spivey, Geeshie Wiley.
Libro importante ed essenziale.
JACK LONDON - Il vagabondo delle stelle
In questi giorni di forzata clausura il libro di JACK LONDON, pubblicato nel 1915, è la perfetta soluzione per capire come vivere in una realtà coercitiva da cui evadere con la mente e lo spirito.
Il condannato a morte Darrell Sterling, in attesa della soluzione finale, torturato dai carcerieri con una camicia di forza sempre più stretta e asfissiante, si libera, grazie alla mente e allo SPIRITO e vola nella STORIA, innalzandosi dalla miseria umana, esplorando i luoghi delle sue precedenti incarnazioni, diventando IL VAGABONDO DELLE STELLE.
Terribile quanto immenso, nella sua profondità e originalità.
Il mio libro preferito di sempre.
VISTO
"Get On Up - La storia di James Brown" di Tate Taylor
Non male. Chadwick Boseman è molto ma molto bravo nelle vesti del Funky President, la storia un po' troppo saltellante e, ovviamente, enfatizzata ma il risultato è più che gradevole e credibile.
Capita di rado nei film sui personaggi musicali.
Produce MICK JAGGER.
COSE VARIE
Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it, ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà", ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
Periodicamente su "Il Manifesto".
Sul sito di RadioCoop va in onda il TG musicale "3 minuti con RadioCoop" condotto da me , Carlo Maffini e Paolo Muzio.
IN CANTIERE
Tutto fermo come è noto.
I progetti non mancano: entro l'anno un paio di nuovi LIBRI (tra cui una sorpresa molto particolare), uno a cui ho collaborato attivamente, una ristampa, un altro agli inizi del 2021.
Si lavora intanto a un nuovo disco.
mercoledì, aprile 29, 2020
Get Back. Dischi da (ri)scoprire
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
BOX TOPS - Dimensions
L'ultimo album della band di "The letter", del 1969, è un'ottima fotografia di quella frangia del rock che passò indenne dalle suggestioni psichedeliche e dal soul beat incominciava a traghettare verso suoni più rock blues.
Grandi blue eyed soul songs come "Soul deep" e "Midnight angel", pop blues come "Cream ladies" e i 9 minuti finali di "Rock me baby" tra Doors e CCR.
BIG STAR - Third
Registrato tra il 74 e il 75, uscito solo nel 1978, è il drammatico epilogo della meteora Big Star, partita con un power pop di gusto Byrdsiano e conclusa in questa testimonianza del disagio di un Alex Chilton in pieno declino psico fisico, la fotografia di una sconfitta, di una vita buttata alle ortiche. Ma con un fascino indescrivibile. Ballate dolenti e decadenti, gli Who in copia carbone in "You can't have me" e tanto altro.
TAV FALCO'S PANTHER BURNS - Behind the Magnolia Curtain
Un esordio fulminante del 1981. Il rock 'n' roll più primitivo, oscuro, profondo, il blues, il rhythm and blues, suonati solo con l'urgenza e la spontaneità che era propria del punk. Al piano Jim Dickinson (che suonò con Rolling Stones e Bob Dylan, Flamin Groovies, Ry Cooder, Cramps e produsse Big Star, Willy De Ville, Toos and the Maytals etc etc), alla batteria Jim Sclavunos, futuro Bad Seeds con Nick Cave. Alla chitarra Alex Chilton.
ALAN VEGA, ALEX CHILTON, BEN VAUGHN - Cubist Blues
Registrato in presa diretta, sorta di jam session in stile jazz, nel 1995, da tre perdenti per eccellenza, è un deragliante quanto commovente e irresistibile omaggio al blues, al rock 'n' roll più "sconfitto", all'attitudine di chi ha deciso di non aver nulla da perdere. Ci sono i Suicide, Elvis, i Velvet Underground ("Candyman"), Roy Orbison e un mondo irripetibile.
martedì, aprile 28, 2020
Elisa De Munari - Countin' the blues
"Countin' the blues" (sofisticato doppio senso tipicamente blues) è un pregevole saggio socio politico antropologico sul ruolo delle DONNE nel BLUES, negli anni 20, quelle che precorsero di decenni il concetto più spontaneo e puro di FEMMINISMO e di autodeterminazione.
"In ogni tempo e in ogni società l'ago della bilancia per quanto riguarda le questioni morali é sempre stato il corpo delle donne, costantemente trattato come qualcosa da nascondere e controllare, perché ritenuto pericoloso e ricco di tentazioni"...
"Le donne iniziarono per prime a usare il blues come un vero e proprio spazio dove avere un pieno controllo sulla propria sessualità.
Si definirono pubblicamente come esseri sessuali dando spazio al loro desiderio carnale, senza remore o falsi pudori.
Riprendere la propria sessualità significò allora combattere il potere oppressivo prima e la morale borghese poi."...
Elisa De Munari (musicista tra le più apprezzate in ambito alt blues in Italia ed estero con il nome di ELLI DE MON), analizza in maniera precisa e profonda il significato della musica blues, attualizzandolo con le esperienze personali di blues woman.
Raccontando le difficoltà, ancora oggi, di essere donna in un ambiente che si presupporrebbe libero da certi pregiudizi e che rimane invece spesso pesantemente maschilista.
"Credo che i giornalisti, gli organizzatori e spesso anche i musicisti (maschi) non siano consapevoli fino in fondo di quanto certi comportamenti possano risultare maaschilisti".
Il libro, attraverso alcune canzoni di personaggi iconici, spesso sconosciuti ai più, ci porta nelle nicchie più nascoste e profonde del blues primordiale declinato al femminile, nel disperato affrancamento da razzismo, maschilismo, oppressione.
Una lotta durissima, aspra, spesso persa ma che ha marchiato a fuoco il concetto di autodeterminazione.
A corredo l'intervento di una serie di artiste e musiciste italiane.
Protagoniste Ma Raney, Bessie Smith, Lucille Bogan, Bertha Chippie Hill, Alberta Hunter, Lottie Kimbrough, Sippie Wallace, Memphis Minnie, Elizabeth Cotten, Victoria Spivey, Geeshie Wiley.
Libro importante ed essenziale.
Elisa De Munari
Countin the blues. Donne indomite.
Arcana.
16 euro.
La musica rappresentava per gli schiavi uno dei pochi modi per esprimere la sofferenza originata dal terrore razziale. (Paul Gilroy)
"Le cantanti blues erano associate al diavolo perché celebravano quella dimensione dell'esistenza umana considerata immorale e malefica, secondo i tenenti della chiesa. Erano delle peccatrici perché cantavano di amore e sesso" (Angela Davis).
Le donne del blues vennero demonizzate, ecco perché la musica del diavolo.
I benpensanti non potevano sopportare la visione di donne vive che sapevano ascoltare i propri bisogni più profondi, compresi quelli più carnali: l'amore, il desiderio, la sessualità, il piacere.
Il blues non fece distinzione tra sacro e profano, mantenne una prospettiva unica e continua.
Tutto della vita è sacro, tutte le dimensioni dell'esistenza interagiscono, tutto è uno: in questo c'é l'eredità africana.
lunedì, aprile 27, 2020
The Clash - Rat Patrol from Fort Bragg
Alla fine del 1981 (tra novembre e gennaio 1982) i CLASH si ritrovano in studio per iniziare i demo per il nuovo album.
Dopo il triplo "Sandinista", il doppio "London calling", l'ep "Black market Clash" la band non ha esurito creatività e voglia di sperimentare.
Purtroppo i rapporti sono compromessi, con Topper Headon fuori dai giochi, perso nei peggiori abissi della dipendenza e Mick Jones che fronteggia la coppia Joe Strummer e Paul Simonon, tra beghe legali e scelte artistiche.
La band registra una ventina di brani destinati a un doppio album, Mick Jones prende le redini creative e artistiche e si siede al mixer.
Il risultato finale sarà respinto dalla band, dai discografici, dal manager, il mix affidato a Glyn Johns e l'album sintetizzato in un singolo con dodici tracce (buona parte delle quali tagliate, ripulite, ridotte a lunghezze compatibili a un ascolto veloce), COMBAT ROCK, lasciando buona parte del lavoro inedito.
RAT PATROL FROM FORT BRAGG sarebbe stato un album sperimentale, evoluzione del sound contaminato di "Sandinista" tra funk, breakbeat, calypso, reggae, dub, jazz con brani dilatati, talvolta caotici, pieni di suoni avanguardistici (per i tempi).
Lontano dal formato molto più accettabile (e di enorme successo) di "Combat Rock".
Testimonia come un'opera concepita come unicum, se ridotta artificialmente, perda il suo principale significato artistico.
Un album irrimediabilmente perduto (uscito poi in bootleg e nel box "Sound System") che segnerà formalmente la definitiva rottura dei Clash.
LA SCALETTA di Rat Patrol from Fort Bragg
The Beautiful People Are Ugly Too – 3:45
Brano inedito. È conosciuto anche con il nome The Fulham Connection e Man in a Box
Kill Time – 4:58
Altro brano inedito. È conosciuto anche con il nome Idle in the Kangaroo Court, Idle in Kangaroo Court W1 e (Licence to) Kill Time
Should I Stay or Should I Go – 3:05
Questa versione non presenta lo stesso cantato (eccetto i cori), il basso non viene suonato in maniera "aggressiva", i cori partono dalla seconda strofa, più urli verso la fine del pezzo, e a 1:54 circa viene introdotto un sassofono.
Rock the Casbah – 3:47
Questa versione include tutti gli effetti presenti nella Radio Edit americana del singolo. Introduzione differente.
Know Your Rights – 5:04
Versione estesa con cantato differente
Red Angel Dragnet – 5:12
Versione estesa.
Ghetto Defendant – 6:17
Versione estesa con cantato (Strummer) e parlato (Ginsberg) differente.
Sean Flynn – 7:30
Versione estesa.
Car Jamming – 3:53
Versione simile a quella standard ma con più sequenze basso-batteria-voce e basso-batteria. Assolo di batteria tagliato.
Inoculated City – 4:32
Versione estesa con più effetti e più campionamenti.
Death Is a Star – 2:39
Versione molto simile all'originale, con l'introduzione ed il finale leggermente modificati.
Walk Evil Talk – 7:37
Brano strumentale inedito. Presenta un duetto pianoforte-batteria.
Atom Tan – 2:45
Versione quasi identica alla versione standard. Prolungamento della parte finale.
Overpowered by Funk (demo) – 1:59
Prova strumentale. Overpowered by Funk fu infatti annessa all'album solo all'ultimo momento.
Inoculated City (uncensored version) - 2:30
Stessa versione dell'album, ma con il finale accorciato.
First Night Back in London – 2:56
Stessa versione della "B-side" di Know Your Rights.
Cool Confusion – 3:10
Stessa versione della "B-side" di Should I Stay or Should I Go.
Straight to Hell (versione estesa) – 6:56
Versione estesa, pubblicata in seguito su Clash on Broadway.
domenica, aprile 26, 2020
Classic Rock
20 Righe e PopUp Fotografia
20Righe (www.20righe.com), racconta la situazione Coronavirus nei paesi del mondo intervistando i miei contatti in loco.
"Ho messo già parecchie interviste (Mongolia, India, Madagascar, Messico, Norvegia, Islanda, Benin etc...) e a breve pubblicherò interviste da New York, Congo, Giappone etc."
Segnalo qui: https://www.popupfotografia.it/ l'iniziativa di POP – UP, una piattaforma fotografica nata con lo scopo di contribuire alla raccolta fondi destinati a chi sta combattendo contro il Coronavirus.
Accedete al sito!
sabato, aprile 25, 2020
venerdì, aprile 24, 2020
The X - Alphabet land
Sono passati 40 anni dall'insuperabile classico "Los Angeles", poco meno di 30 dall'addio discografico (il pessimo "Hey Zeus" é del 1993 ma il chitarrista Billy Zoom se ne era già andato da parecchio).
Una serie di live, varie reunion con la line up originale, tour, la lotta contro brutte malattie di Exene e Billy, progetti solisti.
Ma di nuovi dischi non se ne parlava (nel 2017 Billy Zoom dichiarava laconicamente che "non funzionerebbe, la chimica non sarebbe la stessa, viviamo distanti, non suonerebbe come un disco degli X").
E invece dopo un singolo arriva un album fresco, pulsante, vitale, bello, in cui ritroviamo tutta l'alchimia che ha reso grandi gli X.
27 minuti, 11 brani che spaziano dal loro classico rock n roll/punk a un consueto omaggio al funk ("Cyrano De Berger's back", cover dei Flesheaters, da tempo in repertorio), a furiosi hardcore ("Goodbye year goodbye" e "Delta 88 nightmare") al clamoroso finale in chiave smooth jazz/spoken word di "All the time in the world" con la chitarra di Robbie Krieger dei Doors (che chiude il cerchio a 40 anni dal primo album prodotto da Ray Manzarek).
Per gli amanti della band un disco da amare incondizionatamente, per i cultori di un certo suono e periodo un ritorno comunque ad altissimi livelli.
Intervista a JOHN DOE:
http://tonyface.blogspot.com/2020/02/intervista-john-doe-x.html
Intervista a EXENE CHERVENKA:
http://tonyface.blogspot.com/2019/02/intervista-exene-cervenka-x.html
giovedì, aprile 23, 2020
Irving Penn
IRVING PENN è stato uno dei più grandi fotografi di sempre. In grado di spaziare da elegantissime foto di moda, ritratti di un'intensità unica (i suoi "Corner's Penn"), ad immagini etnologiche, alla gente di strada e "comune".
Maestro assoluto.
https://irvingpenn.org/
mercoledì, aprile 22, 2020
Nagyvaradi AC 1943/44
ALBERTO GALLETTI ci porta in un affascinante nuova (breve) serie, "Il piede in due scarpe":
le squadre che hanno vinto un campionato in due nazioni diverse!
Sono una manciata, nella storia del calcio europeo, le squadre che sono riuscite a laurearsi campioni nazionali in due diversi campionati.
Molte di più quelle che a due campionati diversi hanno partecipato; alla base, nella quasi totalità dei casi, sconvolgimenti politici conseguenti a guerre e/o spostamenti di confini.
Oradea, oggi in Romania, da prima dell'anno 1000 e fino al 1919, è stata parte sostanziale dell'Ungheria nonché uno degli insediamenti più importanti della sua regione.
Posizionata al’inizio della piana ungherese fu dotata di cittadella per proteggere il territorio dalle invasioni di mongoli e tartari e da questi ultimi distrutta, fu quindi riedificata dagli Arpadi che ne fecero il loro mausoleo.
Qui era sepolto San Ladislao, primo re d’Ungheria, che molti suoi successori qui vennero a venerare; qui studiò Mattia Corvino. Ha anche un nome tedesco, Großwardein, dovuto alla colonizzazione sveva del XIII secolo.
Quando fu fondato il Nagyvaradi Atletikai Club, nel 1910, la città era un fiorente centro della Transilvania, appartenente al Regno d’Ungheria, parte integrante dell’allora Impero Austro-Ungarico che aveva conosciuto uno sviluppo urbanistico e un fiorire architettonico e culturale a partire dal XVIII secolo.
Dalla seconda metà dell’800 era diventata anche un importante centro per i trasporti e commercio; la sua popolazione era in gran parte impiegata, ed al tempo al 90% ungherese.
Il calcio vi trovò terreno fertile portatovi da gente che aveva lavorato o studiato a Budapest.
I soci fondatori del club erano tutti ungheresi, i colori scelti, bianco-verde, simbolici della tradizione calcistica ungherese.
Il club fu affiliato ovviamente alla federazione ungherese e nel giro di poco tempo divenne il simbolo calcistico della città.
La squadra non riuscì comunque mai ad andare oltre il livello regionale.
Il campionato ungherese aveva visto la luce nel 1901: cinque formazioni, tutte di Budapest, in un gironcino con partite di andata e ritorno, otto in tutto.
Prima squadra campione il Budapest Torna Club; otto vittorie su otto partite, 35 gol fatti, 7 subiti: una paleopotenza.
Il campionato si allargò via via, Budapest nella prima metà del XX secolo fu terreno veramente fertile per il gioco del calcio e mantenne per decenni un’egemonia pressoché totale sul calcio ungherese.
Ci vollero altri venticinque anni prima che una formazione proveniente dalla provincia riuscisse a giocare nella massima serie.
Al termine della prima guerra mondiale e in seguito al Trattato del Trianon, Nagyvarad passò alla Romania; il nome cambiato in Oradea.
Il club esisteva ancora e, così come la città, rimaneva saldamente in mani ungheresi; la frontiera era (ed è) a 10 km dalla città.
Fu iscritta al campionato della Transilvania che mandava la vincente alle finali per il campionato romeno ma dovette subire il dominio delle formazioni delle città transilvane vicine, segnatamente Chinezul e Ripensia, entrambe di Timişoara, che si aggiudicarono 10 dei primi 16 campionati romeni del primo dopoguerra.
Incluso nel primo campionato a girone unico nel 1934/35, retrocesse al termine del 1937/38.
A dispetto del rendimento altalenante, il CA Oradea diede ad ogni modo in quegli anni diciotto nazionali romeni che erano , chiaramente, quasi tutti ungheresi; oppure ebrei o tedeschi; più qualche nazionale ungherese.
Il che rispecchia il tessuto etnico della società cittadina dell’epoca.
Le fortune sul campo declinarono, ma per uno strano scherzo del destino fu un altro scombussolamento politico alla frontiera orientale dell’Ungheria a far da spinta per il rilancio della squadra.
Quando a seguito del secondo arbitrato di Vienna del 1940 che restituì all’Ungheria, molto brevemente, alcuni dei territori persi a seguito del trattato del Trianon, il campionato fu allargato a 16 squadre per far posto a tre squadre provenienti dalle nuove acquisizioni territoriali che avevano vinto i rispettivi gironi regionali di seconda divisione: UAC (Újvidéki Athlétikai Club in ungherese), NAK (Novosadski atletski klub in serbo) da Novi Sad; il Kolozsvári Atlétikai Club (in ungherese) o Ferar Cluj (in romeno) da Cluj-Napoca ed infine il Nagyvaradi AC (in ungherese) o Clubul Atletic Oradea (in romeno) da Oradea.
La squadra riprese il vecchio nome di Nagyváradi AC e andò direttamente in Serie A senza giocare una partita in quanto di gran lunga la miglior squadra della Transilvania nel 1941 (lo riporto come annotato tra parentesi dalla pagina del sito mondiale di statistiche, notoriamente parco di note tra parentesi).
Come mai? Successe che l' apertura della frontiera da quella parte provocò, oltre ad una circoscritta migrazione interna vera e propria, una migrazione di calciatori verso le tre città principali che rientravano nel giro del calcio maggiore.
Bodola, il più grande giocatore rumeno degli anni ’30 e ‘40 rientrò subito da Bucarest, dove giocava nel Venus, insieme a Juhasz e Demetrovits, che vennero con lui; oltra a Spielmann dal Reşita UD. L’anno dopo si unirà loro Petschowski, dalla vicina Timişoara, e Toth III dall’ Újpest; e nel 1943, Lorant, Fernbach-Ferenczi ( Kolzsvári AC) e F. Meszaros (Ujpest).
Involontariamente, o meglio date le circostanze, fu messa su una squadra di all-stars diremmo oggi.
Alla sua prima stagione si piazzò quinto, un po a sorpresa. L’anno dopo andò ancora meglio e finì secondo a soli tre punti dall’altrettanto sorprendente Csepel, ma davanti al grande Ferencvarós.
Il ritorno un Ungheria di Alfred Schaffer, che aveva vinto lo storico scudetto come allenatore della Roma nel 1942 e andava ora ad accomodarsi sulla panchina del Ferencvarós, lasciava pochi dubbi agli esperti su come sarebbe andata a finire la lotta per il titolo.
Inoltre, nessuna squadra da fuori Budapest aveva mai vinto un campionato.
Fu una stagione difficile, spostarsi per giocare le partite era un impresa, Ferencváros e Csepel reclamarono poi di non esser riuscite, più di una volta, ad andare in trasferta con la squadra al completo; mai in Transilvania tra l’altro.
Ebbe inizio il 22 agosto 1943 con una vittoria a Szolnok, seguirono tre partite in casa e altrettante vittorie , inclusa quella sui campioni in carica (3-1) alla quarta giornata, e primato in classifica.
La sconfitta sul campo dell’ Újpest alla quinta giornata costò al NAC il primo posto in classifica, ma la vittoria casalinga sul Debrecen la domenica successiva valse di nuovo il primato.
Era il 10 ottobre, da questa domenica il NAC rimarrà in testa alla classifica fino all’ultima giornata.
Seguiranno altre otto vittorie consecutive prima della seconda sconfitta in campionato, prevedibile, sul campo del Ferencváros; seguita, questa si inattesa, dalla prima e unica sconfitta casalinga della stagione ad opera del Diósgyőri che vincerà anche la partita di ritorno rivelandosi bestia nera stagionale.
L’unico pareggio fu un 1-1 in casa del Vasas parte di un’altra serie positiva tra la sedicesima e la ventiquattresima giornata: otto vittorie e un pari, quello appunto.
Nuova sconfitta a Kolozsvár (Cluj); seconda rivelazione stagionale che, ammessa al campionato ungherese per gli stessi motivi del NAC, chiuderà terza.
Ma la partita simbolo della stagione fu l’incontro di ritorno contro il Ferencváros giocato in casa il 21 maggio a campionato già vinto.
Diecimila tifosi, nonostante un tempo infame, riempivano quel giorno il piccolo stadio cittadino stracolmo di entusiasmo per un titolo nazionale vinto contro ogni pronostico e trepidanti per la sfida contro quella che era comunque la squadra più vittoriosa del paese, la più seguita; inoltre c’erano da regolare i conti relativamente alla partita di dicembre.
Sotto una pioggia battente e su un campo in condizioni tremende le squadre danno vita d un primo tempo combattuto ma senza reti.
Al rientro in campo i padroni di casa fanno valere tutto il loro vigore atletico e il loro entusiasmo e segnano tre volte nel giro di un quarto d’ora.
Accorciano gli ospiti al 76’ ma sono ormai crollati; due altre segnature del NAC fissano il punteggio su un memorabile 5-1.
Mai una squadra della provincia ungherese aveva vinto il campionato e credo mai, prima di allora, il Ferencváros aveva preso cinque gol lontano da Budapest.
L’egemonia dei club della capitale che durava da quarantadue anni si interrompe; ce ne vorranno altri quaranta prima che un’impresa del genere si ripeta.
Ecco la squadra che compì quell’impresa straordinaria: (2-3-5) Vecsei – F. Meszaros, Onodi I – Demetrovits, Juhasz, Petschowski – Kovacs II, Stibinger, Spielmann, Bodola, Toth III.A disposzione: Krausz, Lorant, Tóth I, Fuszek , Ferenczi - Allenatore: Ferenc Rónai.
Ma, la storia stava per interrompere nuovamente la brillante parabola dei bianco verdi campioni d’Ungheria.
Quasi nello stesso momento in cui il Nagyváradi raggiunse la gloria, il conflitto mondiale entrava nella fase decisiva: gli alleati sbarcarono in Normandia mentre l’ Armata Rossa sferrava la grande offensiva in Polonia e Bielorussia, operazione Bagration.
Il ritiro nazista condusse i sovietici alle porte di Varsavia e ai piedi dei Carpazi: dopo diversi negoziati, i rumeni cambiarono schieramento e si unirono ai sovietici, fino ad allora loro nemici.
Ora l’Ungheria cercava l’armistizio con gli alleati per porre fine al conflitto e alla doppia minaccia dell'occupazione tedesca e sovietica.
Tutti i tentativi del governo furono vani.
Gli anglo-americani erano lungi dal voler irritare Mosca, e quando Hitler venne a sapere dei negoziati segreti ordinò l'immediata invasione dell'Ungheria e l'istituzione di un governo fantoccio filo-tedesco.
Nell’autunno del 1944, tutte le terre riottenute con il secondo arbitrato di Vienna nel 1940 erano cadute nelle mani dei russi e dei loro alleati rumeni, compreso Nagyvaradi, che tornava in Romania e a chiamarsi Oradea.
Il Nagyvaradi AC cominciò il campionato 1944/45 ma non potè difendere il titolo in quanto, in virtù di ciò che abbiamo appena descritto, il campionato fu interrotto dopo la quarta giornata e sostituito da una campionato di guerra comprendente dodici squadre, tutte di Budapest; senza i nostri eroi intorno vinse il Ferencváros.
Il club riprenderà l’attività nel 1946, questa volta nel campionato romeno, con il nome cambiato in Clubul Sportiv Libertatea Oradea .
Diversi giocatori erano partiti nel 1944 o immediatamente dopo la guerra: Demetrovits in Germania, F. Meszaros, Petschowski e Bodola si erano accasati al Ferar Cluj , Onodi I a Ferencvaros, Stibinger a Kosice, Simatoc al Vasas Budapest, Toth III al Carmen Bucarest, Fernbach-Ferenczi a Karres Mediaş, Moniac al CFR Timişoara.
In quel primo campionato del dopoguerra, la squadra,senza più gli assi di tre anni prima, finì all’ottavo posto, dietro a diversi ex-rivali regionali dei campionati ungheresi. Vinse infatti lo IT Arad, con tra i suoi ranghi Mészáros, Lóránt, Petschowski e Toth III.
Nella stagione 47-48, il Libertatea Oradea chiude al sesto posto in classifica, ancora una volta vinse lo IT Arad; ma l'anno successivo i bianco-verdi, ora denominati Intreprinderea Comunala Oradea (ICO), compiono una seconda impresa storica e vincono il campionato rumeno, cinque anni dopo essersi laureati campioni d’Ungheria.
Eroe di quella stagione György Váczi, che fu capocannoniere e stella di una squadra in cui rimanevano solo tre sopravvissuti della grande squadra del 1944: il portiere Adolf Vécsey, l'attaccante János Kovács e l’atro attaccante Ferenc Spielmann-Sárvári, ormai trentareenne.
In panchina un ex-giocatore Nicoláe Kovàcs , fratello maggiore di János ma anche Stefan che allenerà l’Ajax negli anni settanta guidandolo alla doppia vittoria in Coppa dei Campioni nel 1972 e 1973.
Quindi la parabola del Nagyváradi inizia un lento ma progressivo declino.
Nel 1951 un nuovo cambio di nome in Progresul Oradea; nel 1955 arriva in finale della Coppa di Romania, ma perde ai supplementari contro lo Steaua di Bucarest. L’anno dopo, ritorna in finale e questa volta vince sconfiggendo la modesta di Aranyosgyéres (Campia Turzii) .
È l'ultimo grande successo del club, che nel 1958 retrocede in seconda divisione.
Nel 1962 fu di nuovo promosso alla massima categoria, ma retrocedette immediatamente l'anno successivo.
Il 1963 segna il punto finale di questa parabola intensa, in quell’ultima stagione viene richiamato in panchina Rónay che non riesce a salvare la squadra dalla retrocessione; a fine campionato le autorità sciolgono il club mettendo la parola fine su oltre mezzo secolo di calcio vissuti, orgogliosamente, intensamente, pericolosamente e rocambolescamente.
Una storia di gente, di una città, di confini che si spostano, di popolazioni che vanno e vengono e di successi che si presentano quando tutto sembra andare nella direzione opposta; una grande storia di calcio.
La città di Oradea da lì in avanti conterà poco sulla mappa calcistica della Romania e dell’Europa ma le imprese di quella squadra, in quei pochi anni segnati dalla tragedia della guerra, resero immortale il suo nome in ambito calcistico:
la prima squadra non di Budapest a vincere il campionato ungherese e una delle poche a vincere un campionato in due nazioni diverse.
martedì, aprile 21, 2020
Terry Ork
Difficile che il suo nome sia noto ai più ma è uno dei tanti che è stato indispensabile nell'inestricabile tassello che ha costituito la prima scena PUNK New Yorkese.
Approdato alla fine degli anni 60 nella Factory di ANDY WARHOL (a cui curava la serigrafia delle sue opere), lavorò poi in un negozio specializzato in cinema, il "Cinemabilia", dove incontrò i futuri TELEVISION e in cui Richard Hell era un commesso.
Entrato nell'embrionale scena punk wave New Yorkese produsse "Little Johnny Jewel", esordio della band di Tom Verlaine", per la sua ORK RECORDS.
"Senza di lui non sarebbe successo niente" (dichiarò Richard Lloyd dei Television).
Richard Hell che dalla band era appena uscito dichiarò più spietatamente che
“Era un fascio di gioia. L'ho adorato. Ma era fondamentalmente un imbroglione, un edonista e un dilettante, come molte persone a New York."
A RICHARD HELL produsse "Blank generation", pubblicò lavori di Mick Farren, Prix, Erasers e l'ep d'esordio solista di ALEX CHILTON (di cui gestì anche una serie di date a New York). ma senza ottenere grandi successi.
Ork è scomparso nel 2004.
lunedì, aprile 20, 2020
Lo strano caso di Fiona Appe e "Fetch the bolt cutters"
La cantautrice new yorkese FIONA APPLE pubblica il quinto album di una prestigiosa carriera. Oggettivamente un lavoro più che ottimo.
Ma che ha avuto un'accoglienza incredibile e unanime, salutato ovunque come CAPOLAVORO, in particolare da testate come Pitchfork, New York Times, Guardian, Consequence of sound, Telegraph, The indipendent, il nostro Rolling Stone che gli hanno tributato il massimo del punteggio, DIECI.
Ovvero album degno di entrare nella storia della musica pop rock, a fianco dei soliti classici che ben conosciamo.
Ne é nato un dibattito acceso, innanzitutto sull'unanimità del giudizio ("cartello" concordato per spingere l'album? sudditanza psicologica ovvero "se non ne parlo altrettanto entusiasticamente sono uno sfigato incompetente"?) e ovviamente sull'effettivo valore dell'opera.
Personalmente ribadisco un giudizio positivo e accetto la relativizzazione del punteggio massimo a un periodo circoscritto (l'anno in corso? gli ultimi anni?) ma (MI) riesce difficile porlo al livello dei cosiddetti capolavori.
sabato, aprile 18, 2020
Il Manifesto
Oggi nelle pagine di Alias/Ultrasuoni de IL MANIFESTO (SUPPORT!) dedico due pagine alle FANZINES.
Dalle prime, negli anni 30, di science fiction a "Crawdaddy" e la nostra "Mondo Beat" fino al periodo PUNK, da "Sniffin Glue" e "Punk" (la mia "Faces...") alla lenta e inesorabile estinzione.
Una palestra per molti futuri giornalisti, grafici, editori e scuola di mini imprenditoria ma soprattutto TOTALE e LIBERA CREATIVITA'.
venerdì, aprile 17, 2020
Gianni Berengo Gardin
Uno dei più importanti fotografi italiani, nato nel 1930, ha collaborato con le maggiori testate nazionali e internazionali.
Paesaggi, vita quotidiana, attimi fuggenti, sono tra le principali caratteristiche di ciò che il suo occhio fotografico sa cogliere.
Berengo Gardin ha esposto in centinaia di mostre e pubblicato 250 libri fotografici.
Dovrei avere circa un milione e ottocento scatti.
E' stato celebrato in mostre che hanno celebrato il suo lavoro e la sua creatività in diverse parti del mondo, dal Museum of Modern Art di New York, alla George Eastman House di Rochester, alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
Una foto modificata non è più una fotografia, è un’immagine. Photoshop andrebbe abolito per legge
L’importanza della fotografia è il documento, il racconto di un’immagine, di qualcosa che abbia un significato.
Non è fare un mazzo di fiori scimmiottando la pittura.
Io mi sento artigiano, mi piace lavorare con le mani.
La capacità del fotografo è quella di registrare il momento giusto.
Ed è qui che ci vuole un po’ di fortuna.
giovedì, aprile 16, 2020
The Clash - Something about England
https://www.youtube.com/watch?v=NUnV-486qTk
"Something about England è così assurda e ricercata da sembrare un brano dei Jethro Tull" (Nick Kent su "Melody Maker").
Uno dei brani meno conosciuti dei CLASH, "nascosto" nella magniloquenza del mai troppo lodato "SANDINISTA", album seminale e monumentale, quanto bistrattato, incompreso e sottovalutato.
Ma come disse JOE STRUMMER:
“There are some stupid tracks, there are some brilliant tracks. The more I think about it, the happier I am that it is what it is.”
Composto da Strummer e Jones, cantato da entrambi, suonato da Mick Jones al piano, Topper Headon alla batteria, cantato a botta e risposta da Strummer e Jones con la sezione fiati di Gary Barnacle (già con i Ruts e successivamente con McCartney, Bowie, Costello, Jamoroquai e decine di altri), suo padre Bill (noto jazzista) e David Yates), mai suonata dal vivo.
Un brano complesso, orchestrale, impostato su atmosfere da music hall, genere piuttosto in voga in Inghilterra, strutturato su un'immaginaria conversazione tra Mick Jones e un vecchio malmesso, veterano della Prima Guerra Mondiale (Joe Strummer) che racconta impietosamente un secolo di Inghilterra, con le sue ingiustizie, storture, disgrazie.
Uno dei testi più politici, lucidi, lirici dei Clash e della musica degli anni 80.
They say immigrants steal the hubcaps
Of the respected gentlemen
They say it would be wine an' roses
If England were for Englishmen again
Well I saw a dirty overcoat
At the foot of the pillar of the road
Propped inside was an old man
Whom time would not erode
When the night was snapped by sirens
Those blue lights circled fast
The dancehall called for an' ambulance
The bars all closed up fast
My silence gazing at the ceiling
While roaming the single room
I thought the old man could help me
If he could explain the gloom
You really think it's all new
You really think about it too
The old man scoffed as he spoke to me
I'll tell you a thing or two
I missed the fourteen-eighteen war
But not the sorrow afterwards
With my father dead and my mother ran off
My brothers took the pay of hoods
The twenties turned the north was dead
The hunger strike came marching south
At the garden party not a word was said
The ladies lifted cake to their mouths
The next war began and my ship sailed
With battle orders writ in red
In five long years of bullets and shells
We left ten million dead
The few returned to old Piccadily
We limped around Leicester Square
The world was busy rebuilding itself
The architects could not care
v But how could we know when I was young
All the changes that were to come?
All the photos in the wallets on the battlefield
And now the terror of the scientific sun
There was masters an' servants an' servants an' dogs
They taught you how to touch your cap
But through strikes an' famine an' war an' peace
England never closed this gap
So leave me now the moon is up
But remember all the tales I tell
The memories that you have dredged up
Are on letters forwarded from hell
The streets were by now deserted
The gangs had trudged off home
The lights clicked off in the bedsits
An' old England was all alone
traduzione italiana di Lorenzo Masetti da https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=40656&lang=it
QUALCOSA SULL'INGHILTERRA
Dicono che gli immigrati rubano le borchie
alle macchine dei rispettati gentiluomini
Dicono che sarebbero rose e fiori
se l'Inghilterra fosse di nuovo degli inglesi
Beh ho visto un soprabito sudicio
ai piedi del pilastro della strada
c'era appoggiato un vecchio
di quelli che il tempo non logora
Mentre la notte era lacerata dalle sirene
I lampeggianti blu giravano veloci
Dalla discoteca una chiamata a un'ambulanza
I bar chiusero tutti in fretta
Il mio silenzio fissava il soffitto
vagando per la stanza singola
Pensai che il vecchio mi avrebbe potuto aiutare
spiegandomi la sua malinconia
"Credi davvero che sia una novità?
Ci credi davvero?"
mi schernì il vecchio
"ti dirò un paio di cose."
"Mi sono perso la guerra del 14-18
ma non il dolore che ne è seguito
Mio padre morto, mia madre fuggita via
i miei fratelli presero una brutta strada
Gli anni 20 passarono, il nord era stremato
lo sciopero della fame marciò verso sud
Non se ne fece parola al ricevimento in giardino
Le signore si portavano la torta alla bocca
v Cominciò l'altra guerra e la mia nave partì
con ordini di battaglia scritti in rosso
Nei cinque lunghi anni di pallottole e granate
Abbiamo lasciato dieci milioni di morti
I pochi superstiti tornarono alla vecchia Picadilly
noi ciondolavamo zoppicando intorno a Leicester Square
Il mondo era occupato a ricostruire
E gli architetti se ne fregavano
Ma come potevamo sapere quando ero giovane
tutti i cambiamenti che ci aspettavano?
Tutte le foto nei portafogli sui campi di battaglia
E adesso il terrore del sole scientifico
C'erano padroni e servi, e servi e cani
Vi hanno insegnato a fare il saluto militare
Ma tra scioperi e carestie e guerra e pace
L'Inghilterra non ha mai colmato quel divario
Allora lasciami adesso, la luna è alta nel cielo
Ma ricorda le storie che ti racconto
I ricordi che hai rivangato
Sono su lettere inoltrate dall'inferno."
Le strade erano ormai deserte
Le gang si trascinavano verso casa
Le luci si spensero nelle camere
E la vecchia Inghilterra rimase sola.
mercoledì, aprile 15, 2020
Everton 1984/85
ALBERTO GALLETTI ci porta con EVERTON 1984/85 all'interno della nuova rubrica dedicata alle GRANDI STAGIONI calcistiche.
Nessun decennio ha mai visto una città dettare legge sul calcio inglese come Liverpool con le sue due squadre negli anni ’80.
In totale ci furono otto i campionati vinti, sette dei quali consecutivi; ma anche 3 FA Cup, due delle quali arrivate in finali derby, mai successe prima; più due altre finali perse; 4 Coppe di Lega con un’altra finale derby e altre due finali perse. Poi l’Europa: 2 Coppe dei Campioni, 1 Coppa delle Coppe; quindi l’Heysel e la seconda metà del decennio passato, squalificati, a guardare gli altri.
Sicuramente sarebbe arrivato ancora qualcosa.
Nel 1983/84 il Liverpool aveva completato un treble di tutto rispetto: vittoria in campionato, la terza consecutiva, quindicesima in totale; vittoria in Coppa dei Campioni, la quarta; e vittoria in Coppa di Lega, quarta consecutiva.
Proprio in quest’ultima competizione, i finalisti sconfitti furono i concittadini dell’Everton che si riaffacciavano al vertice dopo un quindicennio di alti, pochi, e soprattutto bassi.
Guidati da Howard Kendall, una leggenda del club che da giocatore aveva vinto l’ultimo campionato fino a quel momento (1970), come parte di quella che i tifosi definirono la ‘Holy Trinity’ del centrocampo, gli altri due erano Colin Harvey e Alan Ball, era tornato a Goodison Park a fine carriera, trentaseienne, come giocatore/allenatore e con il chiaro intento, avendo vissuto gli ultimi anni trionfali del club, di riportarceli.
La sua prima mossa fu di ingaggiare il portiere Neville Southall dal Bury che si rivelerà anche uno dei suoi migliori acquisti.
Sicuro e affidabile, ebbe grande parte con le sue parate decisive in tutte le vittorie che seguiranno e metterà insieme oltre 600 presenze per il club oltre a 92 caps per il Galles.
Nell’ 82 arrivò Peter Reid dal Bolton per sole 60.000 sterline, un’affare per un mediano solido, e decisivo nella stagione della prima vittoria in campionato; seguito nell’83 da Trevor Steven, un’ala diciannovenne dal Burnley, con grande propensione al tiro (e al gol),entro due anni sarà in nazionale e giocherà due mondiali.
L’Everton chiuse quel campionato al settimo posto dopo essere stato al lungo a ridosso della zona retrocessione.
Andy Gray, arrivato a metà stagione dai Wolves aveva dato più soluzioni all’attacco, ma soprattutto la necessaria scossa.
La squadra andò anche in finale di FA Cup e vinse, 2-0 al Watford di Gaham Taylor e Elton John.
Pochi, a inizio stagione 1984/85 pronosticavano quello che poi sarebbe accaduto.
L’Everton rimaneva nelle ottime mani di Kendall e poteva contare, oltre ai tre descritti sopra, su una coppia di difensori centrali formata da Mountfield, compassato stopper col vizio del gol e dal capitano Kevin Ratcliffe proveniente dal settore giovanile, un duo affidabile, veloce e potente dotato della giusta esperienza, in campo si facevano rispettare.
Quindi Gary Stevens, terzino fluidificante, si diceva al tempo, prodotto del vivaio, aveva esordito in prima squadra nell’82. Le sue scorribande offensive risultavano spesso incontenibili, inesorabile in difesa e dotato di una rimessa laterale lunghissima e micidiale che si rivelerà un’arma vincente in più di un occasione.
Anche lui sarà presto un nazionale.
A centrocampo Trevor Steven, Peter Reid e Kevin Sheedy formavano un reparto con pochi uguali in Inghilterra, dinamico, intelligente ed equilibrato. Davanti la coppia formata da Adrian Heath, 19 centri la stagione precedente e Graeme Sharpe, uno scozzese alto magro e fortissimo. Per la stagione che andava ad iniziare due acquisti: Pat van den Hauwe dal Birmingham City che andava a terzino sinistro, ruvidissimo; e Paul Bracewell dal Sunderland a fare l’interno di centrocampo. Entrambi pagati poco, entrambi si integreranno ottimamente nella squadra, entrambi daranno un’apporto essenziale alla stagione; entrambi dimostrazione, infine, della grande capacità di Howard Kendall di pescare giocatori di talento e affidamento da serie inferiori, pagarli poco e renderli giocatori di primaria grandezza. Un allenatore come se ne sono visti pochi.
La stagione si aprì nel migliore dei modi con una vittoria a Wembley sui cugini nel tradizionale Charity Shield.
Nonostante l’autorete di Grobbelaar, la sensazione che i blues potessero competere seriamente con i più titolati avversari fu palpabile.
Ma il campionato cominciò male: in vantaggio dopo un quarto d’ora nell’incontro d’esordio, vennero poi travolti, 1-4, dal Tottenham. Seguì una nuova sconfitta, 2-1, al the Hawthorns il sabato successivo. La vittoria per 1-0 in casa del Chelsea alla terza giornata riportò un po di sereno sulla testa di Howard Kendall che già era stato a rischio esonero per almeno metà della stagione precedente e sulla cui sorte, ancora, il board non aveva le idee propriamente chiare.
Fu questa anche l’unica partita dell’Everton ad essere trasmessa in diretta tv quell’anno, un anticipo al venerdì sera sulla BBC.
La forma sembrava ormai trovata e l’ entusiasmante vittoria per 5-4 in casa del Watford all’8° giornata fu la prima di una serie di otto vittorie consecutive, comprensiva di vittoria nel derby, 1-0 ad Anfield Road con gol capolavoro di Sharp e demolizione del Manchester United per 5-0, bissata tre giorni ad Old Trafford in Coppa di Lega. Settembre e ottobre passarono senza sconfitte, e il 3-0 al Leicester del 3 novembre valse anche il primo posto in classifica.
La serie positiva fu chiusa da una sconfitta per 4-2 a Carrow Road il 24 novembre. Quattro giorni prima era svanito il primo traguardo stagionale: il modesto Grimsby Town, allora in seconda divisione vinse a Goodison Park la partita del quarto turno di Coppa di Lega. A niente valgono diciotto corner a uno, undici tiri nello specchio della porta contro uno, due salvataggi sulla linea di cui uno con la mano e rigore non dato. L’Everton è eliminato.
Il primo dicembre lo Sheffield Wednesday impone un pari a Goodison Park, ma l’Everton mantiene la testa della classifica; perde però Heath ch si infortuna al ginocchio a causa di un duro tackle Marwood, per lui stagione finita.
E’ un duro colpo per la squadra, il centravanti fin lì era andato a segno in campionato ben 11 volte in 13 incontri, ma il vecchio leone Andy Gray non lo farà rimpiangere.
Quindi seguono un altro pari e una vittoria prima di una nuova sconfitta, questa volta in casa,il 22 dicembre ad opera del Chelsea che restituisce la scortesia di agosto e si impone per 4-3; il Tottenham nel frattempo si fa sotto.
Il periodo natalizio, iniziato male, prosegue con tre vittorie consecutive.
Il primo gennaio ’85 dopo il successo casalingo sul Luton (2-1) l’Everton è secondo appaiato al Tottenham con 46 punti ma con una differenza reti di +20 contro il +24 dei londinesi; segue il Manchester United a 41, quindi l’Arsenal a 39; il Liverpool è a -11.
Nel frattempo, grazie alla vittoria in FA Cup del maggio precedente, l’Everton era tornato a giocare in Europa dopo quattro stagioni.
Un sorteggio facile al primo turno aveva dato luogo ad un doppio confronto con gli irlandesi dell’ University College Dublin risoltosi con una qualificazione davvero stentata (0-0 e 0-1), ma si era ancora ad inizio stagione, forse la forma non era ancora delle migliori.
Già al secondo turno, ottobre/novembre, le cose erano un po migliorate e i cecoslovacchi dell’ Inter Bratislava erano stati regolati abbastanza agevolmente grazie ad una doppia vittoria: 1-0 in trasferta all’andata e 3-0 al ritorno a Goodison Park.
Poi pausa fino a marzo, alla ripresa dell’attività l’avversario sorteggiato furono gli olandesi del Fortuna Sittard.
Lo scatenato Andy Gray realizza una tripletta nell’incontro, a senso unico, di andata in casa che chiude d fatto il discorso qualificazione
. Al ritorno in Olanda una nuova vittoria, questa volta per 2-0 con reti di Sharp e Reid con prima qualificazione ad una semifinale europea.
La squadra è ormai in stato di grazia e va a mille.
Dalla 21° giornata alla 38ma infilerà una serie di 16 vittorie e due pareggi.
Quando, il 20 aprile, il Tottenham unico distanziato inseguitore, perde clamorosamente in casa (2-3) contro l’Ipswich terzultimo, l’impresa è quasi compiuta.
L’impresa serve mercoledì 24 aprile quando il Bayern Monaco, guidato dal poderoso capitano Augenthaler, rende visita a Goodison Park per la semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe
. Son qui per vincere e andare in finale. A Monaco Southall tenne ha galla i suoi, e preservato un prezioso 0-0.
L’atmosfera è quella delle grandi occasioni, 49.476 tifosi stiparono quelle vecchie e gloriose gradinate per spingere l’Everton in finale; l’accoglienza alle squadre al loro ingresso in campo è entusiasmante.
Si presero però una doccia fredda quando Hoeness portò in vantaggio i tedeschi verso la fine del primo tempo.
Nella ripresa, due rimesse laterali di Stevens seminarono il panico nella difesa tedesca permettendo prima a Sharp e poi a Gray di ribaltare il risultato.
Trevor Steven chiuderà i conti a cinque minuti dal termine superando Pfaff in uscita con un bel pallonetto; e prima pagina di storia scritta.
Per la seconda appuntamento al 6 maggio, ancora a Goodison Park, ospite stavolta il QPR non ancora salvo.
Difficile da credere oggi, ma la partita non era in diretta tv, e non era prevista prevendita. L’inimitabile John Motson annunciò in diretta, erano le 13,00, dai microfoni di Football Focus, al tempo l’unico strumento di conoscenza calcistica televisiva in fase di presentazione della giornata di campionato, che gli ingressi dello stadio erano già chiusi e che 50.000 spettatori si trovavano già all’interno (50.514 per l’esattezza): mancavano due ore all’inizio della partita.
Un gol per tempo di Mountfield e Sharpe diedero la vittoria all’Everton e il primo trionfo in campionato in 15 anni, l’ottavo della serie per il club. All’interno del venerando impianto scene di tradizionale invasione di campo e grandi festeggiamenti per una vittoria che solo dieci mesi prima, per una tifoseria sottomessa da anni allo strapotere dell’altra metà calcistica della città, sembrava impossibile.
E con ancora cinque partite tra recuperi e calendario da giocare.
In FA Cup, dopo il trionfo dell’anno prima, l’Everton si ripropose con intenti di vittoria.
Furono eliminati nell’ordine Leeds United (2-0), Doncaster Rovers (2-0), Telford United (3-0) e Ipswich Town che costrinse i blues al replay (2-2 e 1-0), prima della semifinale contro il Luton, che andò ai supplementari e fu vinta, 2-1, dopo essere stati a lungo in svantaggio.
L’appuntamento per la finale era fissato per il 18 maggio a Wembley, ad attenderli il sempre temibile Manchester United e la possibilità di un’inedita quanto prestigiosa tripletta.
Con la finale di Coppa delle Coppe fissata il mercoledì precedente, 15 maggio, non sorprende che la visita resa al City Ground sabato 11 maggio si risolse in una sconfitta, 1-0 per il Forest, che interruppe la serie di 18 risultati utili consecutivi.
Ma la testa era altrove.
A Rotterdam, dove ad attenderli c’era il secondo trofeo stagionale in palio, con la possibilità di cogliere la prima prestigiosa affermazione europea e oltre 25.000 tifosi che avevano fatto in qualche modo il viaggio dall’ Inghilterra.
Oltre al Rapid Vienna, guidato dal veterano Hans Krankl, anch’esso alla prima finale europea.
L’Everton vinse abbastanza agevolmente, gli austriaci furono avversario tutt’altro che temibile.
Dopo un primo tempo incolore, Andy Gray e Steven portarono avanti i nostri nel giro di un quarto d’ora; e anche quando Krankl ridusse le distanze a 2-1, mancavano cinque minuti, Sheedy impiegò meno di un minuto a ripristinarle.
Fu un trionfo, in una serata distesa.
Non ci furono incidenti, i tifosi si comportarono bene; ci furono partite di calcio con la polizia olandese nel pomeriggio, scambi di sciarpe, berretti e birre con tifosi austriaci, forze dell’ordine e appassionati locali.
Per l’Everton, che non aveva mai centrato un ‘double’ domestico si trattò senz’altro, già a questo punto della miglior stagione di sempre. Altri tre giorni ed ecco la possibilità concreta di centrare un tripletta da favola e rendere la stagione veramente ineguagliabile, vincendo la finale di FA Cup.
Ovviamente i favori del pronostico erano tutti per i neo-campioni, in virtù dei freschi trionfi stagionali e dei precedenti in campionato, in special modo il 5-0 di ottobre.
Ma come spesso accade, i pronostici vengono poi rovesciati dai fatti.
Il Manchester United era comunque una squadra di tutto rispetto.
La partita fu comunque tesa e abbastanza equilibrata, ma quando Moran fu espulso al un quarto d’ora dalla fine per un’entrataccia su Reid, le sorti dell’incontro parvero segnate.
Errore perché lo United trovò orgoglio e compattezza per resistere fino al 90’; e poi anche il gol vittoria a 5’ dalla fine dei supplementari con Whiteside che con un tiro a giro dal limite trafisse Southall sul palo più lontano.
Finirono qui i sogni di gloria da tripletta, non la stagione, con ancora tre recuperi da disputare il primo dei quali, derby in casa contro il Liverpool, offre la possibilità all’Everton di un pronto riscatto.
E riscatto sarà, vittoria 1-0 grazie a una prodezza di Wilkinson davanti al più alto pubblico casalingo della stagione: 51.045 spettatori.
Nelle ultime due partite in programma l’Everton schiererà principalmente riserve e perderà entrambi gli incontri.
Sconfitte che non intaccarono niente.
Fu una stagione trionfale, nonostante la delusione di Wembley. 90 punti totalizzati in campionato, 13 in più del Tottenham e Liverpool appaiati al secondo posto; 88 reti realizzate, miglior attacco, e una differenza reti di +45.
Vittoria in Coppa delle Coppe ottenuta senza aver perso un’incontro e con due soli gol al passivo subiti, di cui il primo già nella semifinale di ritorno e il secondo in finale a cinque minuti dalla fine, a fronte di 16 realizzati.
Fu questa la prima di tre grandi stagioni al vertice giocate dall’Everton sotto la guida di Howard Kendall, profeta in patria. La stagione successiva si chiuse con un doppio secondo posto sempre alle spalle dei cugini.
Kendall ingaggiò il capocannoniere Lineker dal Leicester che confermò le proprie qualità laureandosi ancora capocannoniere con 30 reti, che non bastarono.
Il Liverpool fece 2 punti in più in campionato e vinse la finale di FA Cup per 3-1.
Nuovo trionfo in campionato nel 1986/87 sempre davanti al Liverpool distanziato stavolta di nove punti.
Il 1984/85 fu anche una stagione in cui la squadra non fu seguita come avrebbe meritato. Delle manchevolezze di BBC e ITV relativamente alla programmazione televisiva ho già accennato; ma la media spettatori per gli incontri casalinghi fu solamente di 32.131, a fronte di una capienza dello stadio di 53.419.
Le 50.000 presenze furono superate solamente due volte, per l’incontro decisivo contro il QPR del 6 maggio e per il derby della settimana dopo.
I tempi errano del resto assai duri a Liverpool nella prima metà degli anni ’80 e la cura da cavallo imposta dal governo Thatcher all’economia britannica aveva causato una forte recessione economica e disoccupazione in massa in posti come Liverpool ancora legati alla vecchia economia industriale e campi correlati.
Soldi in giro ce n’erano pochi, per il calcio anche meno.
L’Everton avrebbe sicuramente potuto scrivere altre pagine gloriose in Europa, ma le nefandezze perpetrate dai loro dirimpettai a Bruxelles due settimane dopo la vittoria di Rotterdam portarono all’estromissione dei club inglesi dalle competizioni europee per i successivi cinque anni e le speranze, tutt’altro che peregrine, di dominare l’Europa morirono sul nascere.
I protagonisti:
Formazione tipo (presenze/ gol):
1 Neville Southall (63/0)
2 Gary Stevens (58/4)
3 Pat van den Hauwe (46/0)
4 Kevin Ratcliffe (61/0)
5 Derek Mountfield (58/14)
6 Peter Reid (57/4)
7 Trevor Steven (61/16)
8 Adrian Heath (26/13) poi Andy Gray (31/14)
9 Graeme Sharp (55/30)
10 Paul Bracewell (57/4)
11 Kevin Sheedy (42/17)
Allenatore: Howard Kendall
Quindi:
Kevin Richardson (18/4); John Bailey (21/0); Alan Harper (15/0); Terry Curran (8/0); Ian Atkins (6/1); Paul Wilkinson (4/2); Darren Hughes (2/0).
E’ stata una delle ultime squadre inglesi a schierare il centravanti col n.8, secondo una vecchia tradizione inglese. Lo aveva Heath, lo avrà Lineker l’anno dopo. Lo ebbe Rush fino a qualche anno prima.
martedì, aprile 14, 2020
Holly George-Warren - Alex Chilton. Un uomo chiamato distruzione
C'é chi é nato perdere e chi vincente ma ce l'ha messa tutta per perdere tutto.
E' incredibile, a tratti paradossale, la pervicacia di ALEX CHILTON per distruggere ogni tassello del suo successo.
E ci è riuscito.
Sempre.
Famosissimo già da adolescente minorenne con i BOX TOPS di "The letter", adorato con i BIG STAR, artista di culto, cercato e riverito da musicisti, fan, produttori, scelse uno stile di vita a dir poco dissoluto che annientò rigorosamente ogni traccia del suo successo.
Scoprì e produsse i primi CRAMPS e i PANTHER BURNS di Tav Falco, poi i Gories, continuò disordinatamente a suonare quando voleva (e come voleva), a incidere dischi solisti a caso, senza senso e continuità, a sopravvivere facendo il taxista o il lavapiatti, frequentò la scena punk new yorkese agli esordi, riprese un po' di soldi con le reunion dei suoi precedenti gruppi.
Ritrovò notorietà (e tranquillità economica) poco prima di andarsene tragicamente nel 2010.
Il libro di Holly George-Warren è una minuziosa e dettagliatissima (forse eccessiva per chi non é pienamente dentro al mondo di Alex) ricostruzione della sua turbolenta vita.
La discografia finale è quanto di più esaustivo ci possa essere, il taglio è avvincente, le 400 pagine comunque veloci.
Jimenez Edizioni
Traduzione di Gianluca Testani
450 pagine
Prezzo: 22 euro
domenica, aprile 12, 2020
Cagliari Campione d'Italia
Il 12 aprile di 50 anni il Nostro unico Scudetto, il più bello.
CAGLIARI 1969/70:
Prima Squadra:
Enrico Albertosi, Mario Martiradonna, Giulio Zignoli, Pierluigi Cera, Comunardo Niccolai, Giuseppe Tomasini, Angelo Domenghini, NENÉ de Carvalho, Sergio Gori, Ricciotti Greatti, Luigi Riva.
Allenatore: Manlio Scopigno
Panchina: Adriano Reginato, Eraldo Mancin, Cesare Poli, Mario Brugnera, Corrado Nastasio, Mariano Tampucci
Presidente: Efisio Corrias
venerdì, aprile 10, 2020
Cecil Beaton e i 60s'
Celebre fotografo e costumista inglese (vinse due Oscar per "Gigi" e "My Fair Lady"), CECIL BEATON lavorò a lungo nella moda e lo spettacolo per "Vogue" ma fu anche valente fotografo di guerra durante il secondo conflitto mondiale.
Personaggio eclettico si inserì alla perfezione nella Swinging London, fotografando spesso gli Stones, Twiggy ma anche Bowie, Marylin Monroe e altri.
Forse il secondo delitto più atroce è la noia. Il primo è essere noiosi (Cecil Beaton)