martedì, gennaio 31, 2017
Altri mondi, Est, Est, Est
A cura di CLODOALDO
In uscita sul prossimo numero di Sport-Box.
EST
Il 1989 è una data fondamentale per la storia dell’ Europa e quindi per il mondo.
A fine anno cade il Muro di Berlino e con esso si dissolve nel nulla quella che fu chiamata Cortina di Ferro , o più semplicemente Est Europa. Essa naturalmente non scomparirà geograficamente, ma, culturalmente, socialmente, economicamente e politicamente i paesi dell’ex Patto di Varsavia cambieranno fisionomia per sempre e, probabilmente, dopo più di 5 lustri si può affermare che ciò non sempre abbia portato miglioramenti nelle società post comuniste.
Il 1989 è l’ultimo anno in cui un viaggio verso Est , nei paesi del socialismo reale, assume un carattere didascalico, nella misura in cui si riescono ancora a collegare immagini , sensazioni, profumi ed impressioni che solo in quei luoghi e fino a quella data furono presenti.
Certamente sono lontani i tempi pioneristici di chi, negli anni settanta , dopo viaggi che duravano almeno due giorni, si spingeva fino alle spiagge romene del Mar Nero (anzi i più temerari fino a quelle bulgare), ma ancora, a fine anni ottanta, programmare un viaggio oltrecortina non risultava poi così semplice.
Abituati ormai alla tecnologia ( Internet, Tom-Tom, Tripadvisor, Via Michelin, ecc.ecc.) ed ai voli Low Cost, risulta difficile immaginare che per certe mete , neppure troppo remote, l’unico supporto fosse allora l’Agenzia viaggi. Il fai da te rimaneva quanto meno un azzardo, soprattutto spostandosi verso i paesi dell’Est, luoghi sicuramente a prezzi contenuti, ma difficili. Di contro la nostra Lira in quelle regioni assurgeva a ruolo di moneta forte e la proverbiale generosità dell’italiano medio all’estero, garantiva la risoluzione di infinite problematiche ben più che l’integerrimo comportamento di tedeschi e nord europei. ( soprattutto ai confini e nelle dogane).
Una volta scelto il fai da te ed il mezzo di trasporto ( l’auto, naturalmente), rimaneva da decidere la destinazione.
Praga è sempre stata la meta più gettonata, era, ed è tuttora, la perla dell’Est Europa; città di una bellezza struggente, ma troppo mitteleuropea, troppo Asburgica dentro e fuori, troppo austera.
La Polonia , soprattutto Cracovia, grazie a Wojtyla era troppo inflazionata e meta di un turismo religioso fin troppo ostentato. Fermo restando che per luoghi più complicati come Mosca, Leningrado, la Transilvania, il delta del Danubio o le città baltiche erano necessari sia più giorni a disposizione che una certa preparazione, un solo luogo rimaneva a disposizione di chi volesse “ sentirsi” l’Est addosso : Budapest.
La capitale magiara era la vera porta d’oriente: le colline di Buda l’ultimo avamposto imperiale e la piana di Pest uno spazio aperto verso la steppa Sovietica , senza soluzione di continuità, fino agli Urali. Da sempre terra di confine, di conflitti tra Ottomani ed Asburgo e capitale di quell’impero multirazziale che fu l’Austria-Ungheria, la capitale magiara riassume in sé un crogiuolo di culture che vanno dal caffè letterario ai bagni turchi.
Inoltre per gli amanti del calcio, Budapest e l’Ungheria, rappresentano la “summa” del movimento Danubiano, nato nell’Austria negli anni venti , progredito nella Cecoslovacchia degli anni trenta ed esploso in terra magiara appena prima e soprattutto dopo la II Guerra Mondiale.
Nomi come Sarosi, Veisz, Erbstein, a molti non dicono nulla, ma furono alla base del calcio moderno come lo intendiamo noi, al di fuori dall’Inghilterra, e, senza di loro, l’epopea della grande Ungheria, l’Aranycsapat di Puskas, Hidegkuti, Kocsis, probabilmente non sarebbe esistita.
Budapest quindi la meta, l’itinerario da seguire invece, da sempre, fonte di contrasto. La maggioranza dei viaggiatori che già erano stata sul posto, proponeva il più veloce , semplice ma oneroso passaggio dall’Austria, via Tarvisio, Klagenfurt, Graz per entrare poi in Ungheria da Kormend e via di filato verso la capitale.
Era la direttrice preferita da Austriaci del sud e dell’ovest e dai Bavaresi, gente con poco tempo e molta fretta per cui il viaggio è succube della destinazione. Nulla a che vedere invece con il più romantico e difficoltoso attraversamento del nord della Jugoslavia, rotta preferita da sempre da camionisti veneti e friulani ( doganieri più morbidi e locandiere più affabili!) ricca di notevoli spunti naturalistici e paesaggistici, per il quale era necessario mettere in conto un viaggio tra le 14 e 15 ore , pesante forse, ma assolutamente gratificante.
I più fortunati erano muniti di cartina Touring , gli altri si accontentavano dell’Atlante geografico De Agostini , tutti si partiva sulla scorta di fantastici racconti di cugini od amici più grandi che parlavano di Mamaia o Praga , di Budapest o Timisoara come fossero il Catai di Marco Polo e delle meravigliose donne danubiano-balcaniche come fossero gheise giapponesi; raccontavano di coprifuoco, oscuramento, di militari e spie come nei romanzi di Follett o Forsythe. Racconti fantasiosi più che fantastici, ma noi non lo sapevamo ancora.
EST, EST
Di solito si snobbava Trieste e, per entrare in territorio jugoslavo, si passava da Gorizia dove le formalità doganali erano più spicce anche se la sensazione di confine tra due mondi era palpabile: torrette, garitte, filo spinato, sbarre e percorso a zig-zag nella terra di nessuno, controlli precisi anche se non pedanti.
A questo punto , lasciata l’Italia in direzione Postumia, dopo pochi chilometri si aveva veramente la sensazione di entrare in un’altra realtà. Scomparsa subito la lingua italiana nonostante la vicinanza del confine, facevano mostra di sé villaggi di campagna come si vedevano nelle vecchie cartoline in bianco e nero degli anni cinquanta, lasciando un senso di dignitosa ma dimessa vita di comunità rurale. In seguito dopo Postumia, verso Lubiana, tra colline carsiche ricche di vegetazione, sulle rare strade a doppia corsia, i Bife , sorta di autogrill/locanda del posto, offrivano selvaggina , formaggi e l’immancabile Lasko , la birra nazionale slovena, in ambienti che richiamavano le osterie dei nostri nonni.
Incominciavi presto a capire perché ci sarebbero volute così tante ore quando ti ritrovavi dietro a qualche camion cecoslovacco e bulgaro carico di legname impossibile da superare, allora il viaggio diventava vacanza e la pausa una necessità ed un piacere. Questa parte di Slovenia è il regno della pesca sportiva con la mosca e gli italiani sono tuttora molto presenti, ai tempi era anche zona di caccia purtroppo poco regolamentata e gradita ai nostri connazionali. Ancora dopo la capitale slovena sulla statale per Maribor, si incontrava in inverno qualche rara auto con la (I) che saliva verso le convenientissime piste slovene, ma nessuno negli altri periodi dell’anno se non qualche Tir che veniva salutato come se non si vedessero italiani da decenni!
A Slovenska Bystrica si piegava verso destra e dopo la bellissima Ptuj , adagiata sulla Drava , ci attendevano 80 km di pianura ondulata in puro stile steppa russa. Villaggi sparsi e rari , una sola cittadina Cacovec , e campagna a perdita d’occhio. Qui veramente si sentiva l’aria di confine e di frontiera e nonostante tutto, poteva capitare di fermarsi per una birra su una collinetta nei pressi di una scuola superiore e capire perché i mostri sacri della pallacanestro europea fossero jugoslavi. Quando già da noi imperava la tattica più sfrenata, al confine jugoslavo/magiaro ragazzi che davano del tu al pallone da basket, tiravano incessantemente a canestro da ogni posizione e giocavano, inconsapevoli, all’americana, uno contro uno fregandosene di zone, zone miste ed altre diavolerie, con giovani professori che si misuravano con loro senza interrompere, se non per spiegazioni tecniche,il flusso del gioco, il tutto in una scuola sperduta nel nord della Croazia , a chilometri da Zagabria o Belgrado ed a migliaia di chilometri dalla sognata NBA.
Dopo Hodosan la macchia scura degli olmi che costeggiano la Mur, sono il segnale del confine ungherese, a Gorican ( ironia del destino) si lasciava la Jugoslavia e si percorreva un chilometro in terra di transizione fino alla dogana di Letenye appena aldilà del fiume.
Ora per chi non avesse mai affrontato una frontiera stradale ad Est, bisogna chiarire che il visto sul passaporto era reperibile solo all’ambasciata a Roma ( il consolato di Milano apponeva visti solo per i viaggi aerei) oppure nelle dogane al confine. I neofiti ( ed i tedeschi) arrivavano in frontiera con l’idea e la pretesa che tutto si risolvesse in pochi minuti e quando questo puntualmente non accadeva incominciavano a protestare ed innervosirsi…errore fatale con i funzionari ed i frontalieri del luogo! Quello che poteva risolversi in 40 minuti, se si era fortunati, richiedeva dalle tre alle quattro ore con relativa minuziosa ispezione dell’auto, ricontrollo estenuante dei documenti e richieste in lingua locale: il magiaro che, come il finlandese e l’estone, è lingua asiatica non indoeuropea , per cui assolutamente incomprensibile. Quindi trovare un’altra auto italiana ferma in piazzola ed addirittura un’ auto targata Pavia poteva essere di conforto soprattutto quando entrati negli uffici per il visto vedevi i pavesi in questione bere apricot brandy in compagnia del comandante della stazione. Il turista italiano si riconosceva a distanze siderali quindi subito si veniva apostrofati nella nostra lingua, scoprirsi dello stesso luogo in certi casi è utile e piacevole. Le formalità doganali si possono svolgere in un’oretta al costo di una stecca di Marlboro ed inoltre viaggiatori esperti di frontiera possono dare indicazioni utili per il viaggio, ristoranti ed hotel per il soggiorno
..Visto Ungherese per il transito automobilistico Travel Ceque , al tempo la più sicura fonte di pagamento all’ estero.
Si spiega allora come si possa finire a Siofok, sul lago Balaton , nell’Hotel della televisione magiara invece di arrivare a Budapest di notte evitando così il rischio di dormire in auto.
Siofok, ora turisticamente frequentatissima, ai tempi era un tranquillo paesone con cottage sulle rive del lago , qualche albergo stile sovietico, ottimi ristorantini di pesce , una vecchia ferrovia che collegava Budapest a Trieste ed un piccolo imbarcadero pieno di barche a vela e nessun motoscafo essendo il Balaton un lago laminare come il Trasimeno con acque bassissime e calde.
Ferrovia Budapest - Trieste nei pressi di Siofok con locomotiva a vapore ancora attiva
EST, EST, EST Il 3 maggio 1989 l’albergo della MTV non è deserto come ci avevano descritto gli amici in frontiera, anzi c’è una certa agitazione: gente con taccuini, qualche vecchia telecamera e persone con sciarpe bianco verdi. Per un patito di calcio è lecito pensare che il bianco verde ungherese si chiami Ferencvaros, come è altrettanto lecito chiedersi cosa ci faccia a Siofok la pluridecorata squadra di Budapest. Quindi, una volta preso possesso di una suite al sesto piano per la cifra irrisoria di 100 Forint ( le vecchie 15.000 lire di allora) e lasciata l’altra metà della famiglia a godersi una vasca calda, è logico che il patito di calcio cerchi di capirne di più.
La cosa più semplice è seguire i tipi con le sciarpe che dopo una buona scorta di birra si recano in quello che sembra un campo da gioco malamente illuminato. A questo punto l’agitazione per una probabile gara del Ferencvaros in patria da raccontare agli amici incomincia ad aumentare fino alla doppia porta in legno dello “ stadio “ del Siofok . Il complesso ha un ingresso stile cascina lombarda, ma effettivamente ci sono tribune in legno sui tre lati e collinette terrazzate in terra battuta sugli angoli delle curve che richiamano vagamente le “terraces” inglesi.
Naturalmente non si capisce un accidenti di quello che dice l’altoparlante gracchiante, né di ciò che è scritto sul manifesto esposto all’entrata, se non, che per la Magyar Kup, alle 21 il Siofok non incontra il mitico Ferencvaros, ma un certo Domsodi SE.
Delusione cocente!
Ma visto che ormai la curiosità ha preso il sopravvento, non rimane che entrare per vedere cosa promette lo spettacolo. Con 50 Forint si sale in tribuna premium, cioè una gradinata tipo quella di Torre d’Isola, riservata ai pochi che possono permettersi il biglietto.
I tifosi bianco verdi sfilano a destra mentre a sinistra si vede un a massa rossoblu con fumogeni stile carnevale e bidoni del Dixan ( letteralmente) usati come tamburi : gli ultras locali. Il terreno è perfetto , ma l’illuminazione sembra quella di un nostro oratorio anni 70, sui corner ci sono decisi angoli bui, incomincia ad affluire gente e qualche ungherese osserva il personaggio sconosciuto in tribuna.
Biglietto tribuna Vip !!
Ora, quando si conosce una sola parola locale : Olasz , non si pensa che pronunciata a mo’ di giustificazione per la propria presenza, scateni una simpatica reazione a catena. Invece almeno una decina di persone sembrano interessati, anzi un vecchietto incomincia a battere la mani esclamando Olaszorsag! scodella a memoria,mangiandosi le vocali: Zoff,Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati e via via la nazionale di Bearzot e dopo una bella pacca sulla spalla, anche altri in tribuna sono ormai coinvolti. Chi storpia la Juve del Trap chi l’Inter del mago, i magiari dicono tutto ciò che passa loro per la mente da Zenga a Meroni…sbalorditivo!! La situazione è surreale , probabilmente non c’è mai stato un italiano su quel campo. L’ottantenne di prima ci riprova con le formazione della finale del 38 , gli ungheresi ammiccano ma tra i pochi nomi che si capiscono ci sono Piola e Meazza, ma poi chiede silenzio intorno ed inizia con la filastrocca calcistica più famosa del calcio italiano: Bacigalupo, Ballarin Maroso e stavolta in italiano perfetto, non ne sbaglia uno , roba da pelle d’oca!! e si sofferma sul nome Erbstein indicando il campo con la mano che non capisci se intende dire che Erbstein sia di lì, abbia giocato su quel campo o se intende semplicemente dire che fosse ungherese. Nel frattempo lo stadio si è riempito a metà ( alla fine circa 2.000 spettatori), i verdi sono in un bel numero, i locali fanno un baccano da fiera, dal bar salgono due dozzine di birre e l’italiano è gradito ospite.
Alle 21 fanno i loro ingresso in campo le due squadre, vestono divise incredibili: ospiti in Bianco Verde acrilico stile Avellino anni 80 , Siofoki in riquadroni rossoblu scurissimo di lanetta con i lacci sotto il collo come un Genoa od un Cagliari anni 60. Inizia l’incontro ed i locali sono nettamente padroni del campo, hanno un satanasso di centravanti e già all’intervallo conducono 2-0, la cosa sembra scontata e non crea alcun problema tra i verdi, anzi. Nel frattempo una processione dalle curve si dirige verso il bar sotto la tribuna , da cui escono tazze fumanti di gulasch e vaschette di carpa del Balaton con patate. Certamente e’ corsa voce di uno straniero in tribuna poiché tutti ,passando, guardano verso l’alto incuriositi.
Ad inizio ripresa il Domsodi attacca in forze e generosamente , ma è solo sul 5-0 che riesce a segnare il goal della bandiera. Da notare l’assoluta mancanza di forze dell’ordine all’interno dell’impianto , c’è da chiedersi se il regime di suo bastasse a mantenere la calma in queste situazioni; considerate le frange violente degli anni successivi viene da pensare fosse così.
Il rientro in hotel è forzatamente a tappe, i nuovi amici obbligano l’Italiano a seguirli nei rari locali aperti e dove si vende solo birra.
In definitiva i tifosi più felici sembrano essere quelli ospiti. In albergo però scatta la caccia ad un qualsiasi giornale che permetta di capirci qualcosa e finalmente si comprende che l’incontro era il ritorno dei quarti di finale della coppa nazionale ( gara già decisa all’andata) e che Domsod è un paese di 6.000 abitanti a sud della capitale e milita in terza serie, ma in coppa ha eliminato a sorpresa il Beckescsaba e la mitica MTK , entrambe compagini della massima serie. Il Siofoki Baniasz SE invece milita in serie A e la settimana prima ha seppellito il Vasas 4-1, non una roba da niente. Certo che vista da fuori, considerando i paesi di provincia sarebbe come a dire Stradella- Belgioioso in coppa Italia professionisti. Alla settima birra con la mente offuscata è doveroso prendere congedo, i saluti ed i commenti si sprecano , ma il loro significato rimane del tutto ignoto.
Il mattino seguente, durante la colazione rigorosamente all’ungherese ( roba che non si può fare per tre giorni di seguito), ci si accorge che non solo i tifosi ma tutto il team di Domsod ha soggiornato in hotel e fa quasi tenerezza vedere le borse in plasticona adidas e sei/sette corriere ( non pullman) pronte a riportare a casa l’allegra brigata.
Gli italiani ripartono e sulla superstrada sorpassano strombazzando i torpedoni che ricambiano,, trascorsi cento chilometri e dopo aver aggirato il sobborgo di Budaors e la collina della Cittadella vengono accolti dalla bianca mole dello Erszbet Hid , il ponte Elisabetta che li invita in città, ma questa è un’altra storia , un’altra volta.
Ndr. Quindici giorni più tardi scenderà veramente sul Balaton il Ferencvaros e, davanti a 13.500 persone ( dove le avranno messe?),tuttora record dello stadio, il Siofoki vincerà 2- 1 con una grande rimonta.
Al ritorno i bianco verdi trionferanno 3-0 ma perderanno la finale al Nep Stadion contro l’Honved che bisserà la vittoria in campionato ottenuta sempre a spese del Ferencvaros. Il Siofoki si salverà alla penultima giornata. Il Domsodi SE arriverà secondo nel girone D della terza serie mancando la promozione per un soffio. Sarà la stagione migliore dalla fondazione nel 1955 per i “piccoli” bianco verdi. Siofok –Ferencvaros 2-1 . La rete del Ferencvaros
venerdì, gennaio 27, 2017
Coco Schumann
Come ogni anno questo blog celebra LA GIORNATA della MEMORIA con un ricordo a sfondo sportivo o musicale
Coco Schumann è nato nel 1924 a Berlino da madre ebrea e padre tedesco ovvero quello che iu nazisti chiamavano “Mischehe”, figlio di matrimoni misti.
Affascinato dal jazz e dallo swing dopo aver imparato a suonare la chitarra, inizia a suonare in vari locali, fino a quando, nel 1943 viene internato nei campi di concentramento di Theresienstadt, di Auschwitz e di Dachau e dove diventa il batterista del gruppo musicale “Ghetto-Swingers” che allieta nazisti ( "Sono stato costretto a suonare per dei criminali, ad allietare le loro serate, sempre insicuro di come sarebbe finita, dipendevo dal loro umore, un piccolo errore mi sarebbe costato la pelle").
Dopo la guerra ritorna ad essere protagonista della scena jazz di Berlino, suonando con i più famosi musicisti internazionali americani come Louis Armstrong.
Tormentato dai ricordi si trasferisce in Australia con la moglie. Tornerà in Germania molti anni dopo, pubblicherà la sua autobiografia “Der Ghetto-Swinger – Eine Jazzlegende erzählt” (Il musicista swing del ghetto – una leggenda del jazz racconta) e continuerà a suonare con il suo Coco Schumann Quartett.
“Chi ha dentro di sé lo swing, non importa se stia in una sala o su un palco, non potrà più marciare a passo uniforme”
martedì, gennaio 24, 2017
Stop !
Per un breve periodo il blog andrà a velocità ridotta, con post saltuari già programmati (grazia ad Alberto Galletti e Clodoaldo).
Ci risentiamo verso la metà di febbraio.
https://www.youtube.com/watch?v=Qyclqo_AV2M
Life is very short and there's no time
For fussing and fighting, my friend
lunedì, gennaio 23, 2017
Il meglio del mese. Gennaio 2017
Con un po' di anticipo il Meglio di gennaio 2017
ASCOLTATO
SLOWLY ROLLING CAMERA - All things
La band gallese firma un eccellente album di grande fusion di stili dal jazz al funk al soul, spiritual jazz, insert free. Molto personali, potenti, interessanti.
SOUL SCRATCH - Pushing fire
Inizia bene l'anno in ambito NEW SOUL con un ottimo album d'esordio per la band californiana. Molto Otis oriented ma anche sferzate in puro stile James Brown, favolosi grooves, voce davvero particolare e grande padronanza strumentale.
HALF JAPANESE - Hear the lions roar
In pista dal 1975, da sempre outsiders inclassificabili con il loro personalissimo art-rock che ha influenzato non poco il sound di bands come Sonic Youth o Dinosaurs Jr tra i tanti. Questo è il sedicesimo, caotico, album, ancora una volta tanto interessante quanto anarchicamente impossibile da incasellare.
FLAMING LIPS - Oczy Mlody
Sempre avuto grande rispetto e fascinazione per i Flaming Lips anche se non li ho seguiti assiduamente. Questo nuovo album lo trovo noioso, dispersivo, senza capo nè coda. Mah...
FRED THOMAS - Changer
Tipo strano che ha come riferimenti Jonathan Richman, Dream Syndicate, Billy Bragg e tira fuori una serie di canzoni sghembe, pulsanti, rotolanti. Interessante.
BRIAN ENO - Reflection
Nuovo lavoro riconducibile ai suoi progetti di Ambient Music.
Suggestivo, cerebrale, affascinante, mi rimane il dubbio (personale e opinabile) sull'utilità artistica di operazioni simili.
Non la colgo, è un mio limite.
JAPANDROIDS - Near To The Wild Heart Of Life
Powerful guitar rock, qualche sguardo a certi Clash ma sostanzialmente poco interessante.
THE FIVE FACES - Sx 225
La band genovese, tornata in attività recentemente dall'infinito passato dei primi 80's, mette a segno un nuovo colpo firmando un nuovo album per l'inglese Detour Records (che aveva già curato la stampa di un DVD live in Inghilterra e di un album sempre live).
Curato nei minimi particolari presenta una band fresca e che fa dell'immediatezza sonora la sua principale caratteristica.
Sarebbe facile derubricarli a mod revival del 79. Personalmente credo si tratti invece del Sound of 78, quello che attingeva ancora dal pub rock più elettrico (Dr. Feelgood, Eddie and the Hot Rods), si affiancava a primi Jam, Buzzcocks, Undertones e Jolt, anticipava di un soffio l'arrivo di bands come Vapors, Purple Hearts o Chords.
C'è energia ma anche tanta melodia di gusto 60's pop, ottimi brani, chitarre sporche ma ben calibrate, ritmica potente, belle voci.
WORKING VOODOO CLUB - One
Vengono dall'Olanda ma a guidarli c'è una vecchia conoscenza della scena italiana, quel Fabrizio Carrieri che diede i natali e guidò a lungo una delle prime mod band italiane, i pugliesi THE ACT (dopo gli esordi con gli Steady Beat).
Partiti nel 2008 con un classico set a base di rhythm and blues, si sono evoluti verso sonorità che sempre da quei selvaggi primordi black a cavallo tra 50's e 60's attingono ma a cui si aggiungono umori jazzati, swamp blues in arrivo direttamente da New Orleans, da qualche vecchio disco di Dr. John, dal gusto funk soul di Professor Longhair, dai Los Lobos di "Kiko".
Album personale, particolare, suonato benissimo, gusto sopraffino.
BAUSTELLE - L’amore e la violenza
Osannato dalla critica a prescindere.
Un viaggio nel pop italiano più evocativo e pseudo impegnato (da Battiato alla disco pop degli anni ’80) e in certo brit pop (Pulp in particolare) con tanto di abbondanza di arrangiamenti enfatici.
Inutile e irritante.
ALEX FORNARI - L’interruzione
L'ex voce dei Pale Tv, una delle prime band a portare la new wave in Italia nei primi anni 80, torna con il secondo album solista dove, ancora una volta dopo l'esordio di "Di tutte le ferite", riesce a convincere con un lavoro di grande qualità.
Una base di rock malato che prende ispirazione da Lou Reed, Iggy Pop e Bowie dei 70's e 80's ma con un approccio e una visione assolutamente attuali.
Brani potenti, elettrici, scarni, di efficacia immediata, con la voce di Alex a farla da protagonista.
BIG MOUNTAIN COUNTY / LAME - split
Prezioso split ep 12 pollici condiviso, due brani a testa, da quella meravigliosa realtà rock psichedelica romana dei Big Mountain County con i torinesi Lame (band composta da (membri di Movie Star Junkies, Two bo's Maniacs, Cave Dogs).
I BMC confermano di essere tra i principali esponenti di una forma moderna di psichedelia che guarda al passato ma con un'attitudine proiettata nello spazio futuro (e un retro gusto kraut rock che rende il tutto ancora più saporito).
Più garage oriented i Lame con un sound che non disdegna riferimenti a certo rock n roll oscuro caro ai Cramps.
GIAMPAOLO CORRADINI & the WEEKEND WARRIORS - s/t
La band reggiana è all'esordio ma Corradini ha alle spalle una lunga militanza con altre realtà come Substitutes e The Youngs.
Gli otto brani dell'album coniugano la passione per le sonorità 60's (Animals, Who, Kinks) con una visione moderna che dai Jam va al brit pop. Sound chitarristico, asciutto, elettrico, nervoso, brani ottimi, energia a profusione. Un album che soddisferà in pieno chi ama il mod sound e affini.
STRATO'S - Lo sbirro, la liceale, il maniaco
I giovanissimi parmigiani sono entrati in studio e in una giornata hanno sfornato un delizioso album strumentale perfettamente in linea con il titolo.
Tra questi solchi si evoca quel sound di chiara provenienza 70's che marchiava le colonne sonore dei polizieschi italiani o delle commedie sexy dell'epoca. Ai tempi ad appannaggio di autori come Ennio Morricone, Franco Micalizzi, Piero Piccioni, Riz Ortolani, ripresi recentemente con grande cura dai Calibro 35. Effetto finale godibilissimo e suggestivo, ben suonato e perfettamente in linea con il gusto e il sound dei tempi ricordati. Ottimo.
RADAR - Re-pop
Storica band (veronese) che nel 1982 pubblicò il primo album per la Wea e che ora ritorna con un nuovo lavoro e formazione rinnovata, ripartendo dalle stesse coordinate elettro pop degli esordi, con un pizzico di Duran Duran e un approccio lirico che riporta spesso, nell'uso dell'ironia e della scansione del cantato, ad Elio e le storie tese (vedi "Cuoca calabra"). Ben fatto, brani accattivanti e di facile fruibilità, molto divertente e coinvolgente. Bentornati !
LOVE THIEVES - Soft
Godibile e gradevolissimo esordio della band toscana che rinverdisce la freschezza di certo pop punk che dai primi Blondie arriva a Primitives e Cardigans con quel gusto per la melodia 60's che rende il tutto stupendamente fruibile. La ruvidezza chitarristica di fondo aggiunge pepe e urgenza al contesto, l'immediatezza delle composizioni garantisce genuinità.
Ben suonato e cantato, produzione senza fronzoli, ottime le canzoni.
ZIZKOV - Antracite
La band bolognese è attiva dal 2005 ma all'attivo c'è solo un ep sei anni fa. Finalmente il silenzio discografico è compensato da un album di otto brani, registrato in diretta e lo-fi in sala prove, mettendo in campo un sound molto particolare e intrigante a base di atmosfere noir, di gusto surf, jazz, dalle parti dei Tornados e degli Shadows, Link Wray fino al John Zorn di "Naked City" e certe atmosfere scurissime che furono care ai Morphine.
Strumentale e inquietante, molto interessante.
LETTO
RAY CHARLES - Brother Ray
Rilettura di un classico.
L’autobiografia, sincera e “senza filtri” di Brother Ray, attraverso i successi, le cadute,l’eroina, il sesso sfrenato e tanto altro. Non te l’aspetti dal piacione sorridente ma qui c’è tutto il ver oRay, con pregi e tan ti difetti. Sempre ottima lettura.
COSE & SUONI
Mie recensioni quotidiane su www.radiocoop.it e mensili su CLASSIC ROCK
domenica, gennaio 22, 2017
Il Disco Genetico
La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia, particolari o estremi.
I precedenti post:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo
Ritrovato in Colombia dal ricercatore Klaus Dona, il Disco Genetico è uno dei reperti archeologici più particolari e misteriosi.
E' un disco in pietra (lidite, una pietra nera) di epoca precolombiana (datato a circa 6.000 anni fa) di circa 2 kili e 27 cm di diametro che sulle sue due facce racchiude i “segreti della vita” in quanto sembra contenere informazioni genetiche, una sorta di rappresentazione di un processo evolutivo dalla rana all'uomo.
Sono visibili organi genitali, spermatozoi, ovuli e la fecondazione dell’ovulo che si trasforma in embrione fino ad arrivare alla formazione del feto.
Sono raffigurati anche un uomo ed una donna, con i genitali in evidenza mentre compaiono anche un bambino, un uomo ed una donna, ma con tratti somatici particolari e piuttosto diversi da quelli dell'essere umano.
L’aspetto più misterioso e particolare sono le piccole immagini di un ovulo e degli spermatozoi che, come è noto, sono visibili solo attraverso il microscopio.
Il Disco Genetico è esposto al Museo di Scienze Naturali di Vienna
sabato, gennaio 21, 2017
Radio Garden
Esiste un sito (spettacolare) grazie al quale si può viaggiare nel mondo e ascoltare centinaia di RADIO LOCALI (in ogni continente) in tempo reale.
Interessantissimo e divertentissimo.
http://radio.garden/
venerdì, gennaio 20, 2017
Antonio Virgilio Savona – E' Lunga La Strada
GLI INSOSPETTABILI è una rubrica che scova quei dischi che non avremmo mai pensato che... Dopo Masini, Ringo Starr, il secondo dei Jam, "Sweetheart of the rodeo" dei Byrds, Arcana e Power Station, "Mc Vicar" di Roger Daltrey, "Parsifal" dei Pooh, "Solo" di Claudio Baglioni, "Bella e strega" di Drupi, l'esordio dei Matia Bazar e quello di Renato Zero del 1973, i due album swing di Johnny Dorelli, l'unico dei Luna Pop," I mali del secolo" di Celentano, "Incognito" di Amanda Lear, "Masters" di Rita Pavone, Julian Lennon, Mimmo Cavallo con "Siamo meridionali"e i primi due album dei La Bionda di inizio 70's, il nuovo album dei Bastard Son of Dioniso, "Black and blue" dei Rolling Stones, Maurizio Arcieri e al suo album "prog" del 1973 "Trasparenze", Gianni Morandi e "Il mondo di frutta candita", il terzo album degli Abba, "666"degli Aphrodite's Child, la riscoperta di Gianni Leone in arte Leonero, il secondo album di Gianluca Grignani, Donatella Rettore e il suo "Kamikaze Rock 'n' Roll Suicide", Alex Britti e "It.Pop", le colonne sonore di Nico Fidenco , il primo album solista dell'e Monkees, Davy Jones, Mike McGear (fratello di Paul McCartney), Joe Perrino, il ritorno di Gino Santercole, l'album del 1969 di Johnny Hallyday con gli Small Faces, la svolta pop della PFM, gli esordi degli Earth Wind and Fire e quelli degli UFO, e l'ultimo di Jovanotti, uno dei primi lavori di Bruno Lauzi, l'album prog del 1972 dei Dik Dik, Riccardo Fogli e la sua opera prog rock del 1979 "Matteo", del nuovo di Massimo Ranieri "Malìa", la dimenticata opera rock dei Giganti "Terra in bocca", l'esordio di Riccardo Cocciante del 1972 con l'opera prog rock "Mu", Pooh (già citati con "Parsifal") con il primo "Per quelli come noi" del 1966, gli Small Faces riuniti alla fine dei 70's, Frank Sinatra e il suo album più anomalo, "Watertown", i due lavori che Bobby Solo ha dedicato a Johnny Cash e John Lee Hooker, Massimo Ranieri e la seconda pare del progetto "Malìa", parliamo oggi di un album di ANTONIO VIRGILIO SAVONA, voce del Quartetto Cetra.
Le altre puntate de GLI INSOSPETTABILI qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Gli%20Insospettabili
ANTONIO VIRGILIO SAVONA è stato membro del QUARTETTO CETRA, noto per le canzoncine di sapore swing leggero, per le divertenti e gigione apparizioni televisive in bianco e nero, per la buffa versione di “Nella vecchia fattoria” ma è stato anche un brillante compositore (che per il Quartetto Cetra scriveva la musica e la maggior parte delle canzoni oltre a curare gli arrangiamenti vocali) che negli anni ’70 ha scelto una strada imprevedibile e imprevista, indirizzandosi al cantautorato impegnato, con testi duri ed estremi e una poetica militante, dal linguaggio diretto e senza freni inibitori.
“E’ lunga la strada” è il suo capolavoro e un album dimenticato che meriterebbe un posto di primo piano nella storia della musica italiana.
L’approccio musicale è molto vicino a quello di De Andrè, ballate malinconiche prevalentemente pianoforte (o chitarra) e voce mentre i testi, di stampo marxista, anti americano e anti clericale, sono quanto mai duri.
Voce sicura, brani minimali ma arrangiati con cura e di ottima presa.
Di Antonio Virgilio Savona parlammo già qui:
http://tonyface.blogspot.it/2014/09/virgilio-savona.html
Sono cose delicate
https://www.youtube.com/watch?v=zHK8qRVYGBY
La merda
https://www.youtube.com/watch?v=1RTJv8sZQ6A
Il testamento del parroco Meslier
https://www.youtube.com/watch?v=fFvUs_Skz64
giovedì, gennaio 19, 2017
The Five Faces - SX 225
La band genovese, tornata in attività recentemente dall'infinito passato dei primi 80's, mette a segno un nuovo colpo firmando un nuovo album per l'inglese Detour Records (che aveva già curato la stampa di un DVD live in Inghilterra e di un album sempre live).
Curato nei minimi particolari presenta una band fresca e che fa dell'immediatezza sonora la sua principale caratteristica.
Sarebbe facile derubricarli a mod revival del 79.
Personalmente credo si tratti invece del Sound of 78, quello che attingeva ancora dal pub rock più elettrico (Dr. Feelgood, Eddie and the Hot Rods), si affiancava a primi Jam, Buzzcocks, Undertones e Jolt, anticipava di un soffio l'arrivo di bands come Vapors, Purple Hearts o Chords.
C'è energia ma anche tanta melodia di gusto 60's pop, ottimi brani, chitarre sporche ma ben calibrate, ritmica potente, belle voci.
Support !
https://www.facebook.com/TheFiveFaces
mercoledì, gennaio 18, 2017
Lola - Kinks
LOLA è uno dei brani più particolari e curiosi dei KINKS, scritta da Ray Davies e inclusa in Lola Versus Powerman and the Moneygoround, Part One, e pubblicata su singolo nel 1970.
Nella sua autobiografia, il fratello Dave Davies sostiene di essere lui l'autore della musica, dicendo che dopo che ebbe mostrato al fratello gli accordi della melodia, Ray ci scrisse sopra un testo.
Il testo racconta la storia di un ragazzo che incontra un travestito in un night club nel quartiere londinese di Soho.
Nel libro The Kinks: The Official Biography, Ray racconta (senza troppi giri di parole) che l'ispirazione gli venne da un episodio capitato al manager della band, Robert Wace.
« Nel suo appartamento, Robert aveva ballato tutta la notte con questa negretta, e diceva: "Mi sembra di sentire qualcosa qui".
Ed era tutto okay fino a quando ce ne andammo verso le 6 di mattina e io dissi: "Gli hai visto la mazza?", lui rispose di si, ma anche che era troppo fatto e ubriaco per preoccuparsene. »
Ray Davies dichiarò che non importava "di che sesso fosse Lola, lei è OK ".
Pare che il riferimento reale fosse per l'attrice trans Candy Darling (star della Factory di Andy Warhol per cui recitò in Flesh e alla quale LOU REED dedicò il brano "Candy Says" e la citò in "Walk on the wild side") con cui (si mormora) Ray Davies abbia avuto una breve relazione.
Il brano non venne censurato alla radio per l'argomento a sfondo sessuale, bensì per il riferimento alla Coca-Cola all'inizio del brano, che successivamente dovette essere modificato in "Cherry Cola" (Ray Davies dovette tornare con un volo dagli States dove i Kinks erano in tour per sostituire il verso "Coca Cola" con "Cherry Cola").
Il singolo raggiunse la seconda posizione in classifica in Inghilterra e la nona in USA.
https://www.youtube.com/watch?v=NGdqCtX4VCM
https://www.youtube.com/watch?v=aAMrqqFGZjo
martedì, gennaio 17, 2017
Jack Nitzsche
La rubrica DARK SIDE OF THE SUN va alla scoperta di quei personaggi rimasti sempre nell'ombra di grandi artisti (talvolta parenti stretti) ma essenziali nella loro carriera senza godere mai delle luci della ribalta. Dopo Enrico Ciacci (fratello e chitarrista di Little Tony), Ian Stewart pianista fondatore dei Rolling Stones, Simon Townshend, fratello di Pete, il padre/manager di Paul Weller, John Weller, Marco Pirroni, da sempre nelle retrovie di alcuni tra i principali act della scena punk/new wave, Andy Summers, nomade della musica dagli anni 60 ad oggi, Pat Smear, dai Germs ai Nirvana ai Foo Fighters, l'attore Gianni Agus, Chris Spedding, Henry Padovani escluso dai Police poco prima dell'esplosione commerciale, Bruce Foxton, da sempre nelle retrovie con Jam, Stiff Little Figers, Casbah Club, Glen Matlock fuori dai Sex Pistols appena prima del successo, il grande batterista Jim Keltner, Steve Jones, ex Sex Pistols e tanto altro, Dave Davies dei Kinks, Ari Paffgen (figlio di Nico e Alain Delon), Linda Eastman , Daryll Jones dei Rolling Stones, tocca oggi a JACK NITZSCHE, produttore e compositore.
Le precedenti puntate qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Dark%20side%20of%20the%20sun
Figura quasi se,pre in ombra ma di spessore artistico eccelso JACK NITZSCHE ha lavorato a fianco di Rolling Stones, Willy De Ville, Neil Young, Graham Parker, oltre ad avere composto decine di colonne sonore per titoli prestigiosi.
Inizia come braccio destro di Phil Spector (con cui arrangia "River Deep, Mountain High" di Ike and Tina Turner), suona il sax, compone "Needles and Pins" per Jackie DeShannon poi ripreso dai Searchers.
Nel 1964 incontra i ROLLING STONES con cui suona pianoforte, percussioni e altri strumenti in "The Rolling Stones No. 2", "Out of Our Heads", "Aftermath" e "Between the Buttons" e nei singoli "Paint It, Black" e "Let's Spend the Night Together" curando gli arrangiamenti per i cori di "You Can't Always Get What You Want".
Produce parecchi lavori di NEIL YOUNG (in particolare "Harvest") e suona in tour con lui nei 70's.
Rompe con Neil Young e finisce male tra droga e depressione.
Torna in attività alla fine dei 70's lavorando con Graham Parker in "Squeezing Out Sparks" e WILLY DEVILLE in "Cabretta", "Return to Magenta" e "Coup de Grâce".
Si è dedicato a lungo alle colonne sonore (tra cui quella di "Head" dei Monkees e "Performance"), vincendo anche parecchi premi.
Tra queste:
L'esorcista, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Hardcore, Cruising, Ufficiale e gentiluomo, 9 settimane e ½, The Hot Spot - Il posto caldo , Sirene.
lunedì, gennaio 16, 2017
Rotte Indipendenti
“Rotte Indipendenti: Bologna, Milano, Torino e Roma“ è un viaggio video di quattro ore all’interno degli ultimi 30 anni (dagli anni ‘70 ai primi 2000) della scena musicale indipendente italiana e attraverso il suo profondo rinnovamento, realizzato su idea di Giordano Sangiorgi e Giangiacomo De Stefano, curata poi insieme a Lara Rongoni per la SonneFilm.
Ben fatti, piuttosto esaustivi e suggestivi nel ricostruire un tempo (attraverso la voce dei principali protagonisti) che sembra sempre più lontano nella sua creatività, urgenza, spontaneità.
Un documento prezioso.
BOLOGNA
https://www.youtube.com/watch?v=v36Pgkci70Q
MILANO
https://www.youtube.com/watch?v=htodA1Ri9d4
TORINO
https://www.youtube.com/watch?v=H5BEPBpYmhw
ROMA
https://www.youtube.com/watch?v=uUweAoGbcrA
domenica, gennaio 15, 2017
Transfagarasan
La fine del mondo è la rubrica domenicale che va ad esplorare i luoghi abbandonati dalla storia, particolari o estremi.
I precedenti post:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/La%20fine%20del%20mondo
E' considerata tra le più belle e suggestive strade del mondo.
La Transfagarasan si snoda per 152 kilometri attraversando riserve naturali fino a raggiungere il lago glaciale Balea e collega le Regioni della Transilvania e della Muntenia.
Fu costruita per volere di Nicolae Ceauşescu ( da cui il nomignolo la Follia di Ceauşescu), tra il 1970 e il 1974, per permettere alle truppe rumene di attraversare i Carpazi rapidamente in caso di invasione sovietica.
Parte da Bascov, vicino a Pitesti, passa per Curtea de Arges e si snoda attraverso le montagne più alte della Romania (intorno ai 2.000 metri) regalando viste mozzafiato, tra paesaggi aridi e verdi vallate, e termina a Cartisoara tra gallerie, viadotti e numerosi tornanti.
La Transfagarasan è aperta solo 4 mesi l’anno, quelli estivi, a causa delle condizioni climatiche.
sabato, gennaio 14, 2017
Working VoodooClub - One
Vengono dall'Olanda ma a guidarli c'è una vecchia conoscenza della scena italiana, quel Fabrizio Carrieri che diede i natali e guidò a lungo una delle prime mod band italiane, i pugliesi THE ACT (dopo gli esordi con gli Steady Beat).
Partiti nel 2008 con un classico set a base di rhythm and blues, si sono evoluti verso sonorità che sempre da quei selvaggi primordi black a cavallo tra 50's e 60's attingono ma a cui si aggiungono umori jazzati, swamp blues in arrivo direttamente da New Orleans, da qualche vecchio disco di Dr. John, dal gusto funk soul di Professor Longhair, dai Los Lobos di "Kiko".
Album personale, particolare, suonato benissimo, gusto sopraffino.
http://www.workingvoodooclub.com/
venerdì, gennaio 13, 2017
I vinili più venduti nel 2016
I VINILI più venduti in Italia nel 2016 (il 4% delle vendite di musica) premiano, come in tutto il mondo, "Blackstar" di DAVID BOWIE che precede "Le migliori" di MINA e CELENTANO e l'immancabile "Dark side of the moon" dei PINK FLOYD.
Poi "Black cat" di ZUCCHERO, AMY WINEHOUSE con "Back to black", ancora PINK FLOYD con "The Wall", i LED ZEPPELIN con "4" mentre ci sono anche i VELVET UNDERGROUND al 14° posto con la ristampa dell'esordio, "Abbey Road" dei BEATLES al 15° posto e JOHN COLTRANE al 19° con "Blue train"....
In Inghilterra "Blackstar" ha venduto 3.200.000 copie, risultando il vinile più venduto negli ultini 25 anni !
La classifica inglese (dove il vinile rappresenta il 2,6% delle vendite complessive) è questa:
1) David Bowie - 'Blackstar'
2) Amy Winehouse - 'Back To Black'
3) Various Artists - 'Guardiani della Galassia Mix 1'
4) Radiohead - 'A moon shaped pool'
5) Fleetwood Mac - 'Rumours'
6) The Stone Roses - 'Stone Roses'
7) Bob Marley - 'Legend'
8) The Beatles - 'Sgt Pepper Lonely Hearts Club band'
9) Prince - 'Purple Rain'
10) Nirvana - 'Nevermind'
giovedì, gennaio 12, 2017
Gli album più venduti in Italia nel 2016
La FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) ha reso noto la CLASSIFICA degli ALBUM PIU' VENDUTI nel 2016.
Diciassette album italiani tra le prime 20 posizioni (nove nelle prime dieci).
“Le Migliori” di Mina e Celentano, conquista la prima posizione, segue “Il mestiere della vita” di Tiziano Ferro e Ligabue in terza posizione con "Made in Italy".
Poi Vasco, Alessandra Amoroso, la Pausini, Modà, Coldpay, Zucchero e Benji&Fede.
Salmo è 12°, "Blackstar" di BOWIE al 16°, EZIO BOSSO al 29°, RED HOT CHILI PEPPERS al 36°, RADIOHEAD al 45°, AFTERHOURS al 68°, "Dark side of the moon" dei PINK FLOYD al 77° (....) e THE WALL all'82°, LEONARD COHEN all'88°, "Nevermind" dei NIRVANA all'89° (....), "Back to black" di AMY WINEHOUSE al 96°.
Mina e Celentano (con quattro dischi di platino) hanno superato le 200.000 copie vendute mentre quello di Ferro e Ligabue hanno passato le 150.000.
L’Italia è tra i pochi Paesi che mostrano una così alta percentuale di artisti locali ai vertici delle vendite di dischi.
Nel 2016 si sono alternati nella prima posizione della classifica album 33 titoli differenti, di cui 25 italiani per un totale di 39 settimane su 52.
Anche nel segmento dei vinili si riscontra una forte presenza di titoli italiani: durante l’anno si sono registrati 20 titoli italiani al primo posto.
Lo streaming, in termini di volumi, sfiora nel 2016 i 100 milioni di stream in Italia, con un incremento del 54% e il segmento premium che, per la prima volta, supera il free.
Il vinile continua a segnare una tendenza crescente con un +74%.
mercoledì, gennaio 11, 2017
Martin Sharp
Martin Sharp è stato un personaggio di primo piano nella cultura underground e rock dei 60's e 70's.
Disegnò le copertine di Disraeli Gears e Wheels of Fire dei CREAM e scrisse il testo del loro "Tales of Brave Ulysses" ma fu autore di poster anche per Bob Dylan e Jimi Hendrix.
Con Richard Neville e Richard Walsh fondò l'irriverente mensile satirico OZ, prima a Sydney e poi a Londra.
I suoi artisti di riferimento come De Chirico, Van Gogh e Hokusaifurono spesso utilizzati per creare montaggi di estrema creatività e di sapore tipicamente psichedelico.
La sua Gioconda in topless è la più conosciuta delle sue copertine e i suoi raccontini satirici divennero enormemente popolari.
Dopo anni trascorsi a Londra, nel 1970 tornò nella natìa Sydney e per due anni si dedicò a ristrutturare e decorare la sua celebre Yellow House, uno dei tanti tributi a Van Gogh, che presto divenne una comune di artisti, in cui ogni stanza era una creazione artistica.
Aperta 24 ore al giorno, accolse migliaia di visitatori fra il 1971 e il 1973, quando chiuse.
E' scomparso nel 2013.
martedì, gennaio 10, 2017
Max Roach - We Insist! Max Roach's Freedom Now Suite
We Insist! Max Roach's Freedom Now Suite è un favoloso album, uscito nel 1960, scritto da MAX ROACH in collaborazione con Oscar Brown Jr, autore dei testi (i due litigarono aspramente prima delle fine del disco).
Lavoro esplicitamente politico, incentrato sulla storia dello schiavismo e sulla rivendicazione dei diritti per i neri contribuì all'inserimento di Roach nella "lista nera" dell'industria discografica statunitense nella seconda metà degli anni sessanta, e lo costrinse a diradare la sua presenza in studio d'incisione.
Inizialmente in titolato "The Beat" e concepito come opera che avrebbe raccontato "la storia dell'Africa dai tempi antichi al presente, il tutto al ritmo dei tamburi", pur se attribuito al solo Roach è in realtà un album "collettivo" in cui emerge la voce della sua futura moglie Abbey Lincoln.
Strutturato in cinque tracce separate ma unite in un concetto di suite, racconta l'epopea del popolo afroamericano nel suo lungo cammino storico, dalle piantagioni di cotone alle periferie-ghetto delle città statunitensi, incitando il popolo nero al riscatto e ad una presa di coscienza.
Nel disco suonano Coleman Hawkins, Booker Little, Julian Priester, Walter Benton, James Schenck, i percussionisti africani e caraibici Michael Olatunji, Ray Mantilla, Tomas du Vall, oltre alla già citata Abbey Lincoln.
E' jazz avanguardistico, quasi free a tratti ma con forti componeti afro e blues.
Eccellente.
Alcuni dei brani dal vivo alla televisione belga.
https://www.youtube.com/watch?v=IF6q6XKKrik
https://www.youtube.com/watch?v=EsAnAQfdyKY
https://www.youtube.com/watch?v=SPhA6Ze_rSg
lunedì, gennaio 09, 2017
I figli di Brian Jones
Carattere particolare, per usare un eufemismo, icona 60's, icona rock, genio etc etc, BRIAN JONES ha lasciato alle spalle tanti rimpianti ed una lunga scia di figli, mai riconosciuti e per lo più dati in adozione (per le ragazze/madri era pressochè impossibile crescere da sole un figlio nell'Inghilterra dei tempi).
Parte di loro non è consapevole dell'identità del vero padre.
Storie piuttosto tristi e che non depongono a favore dell'eticità del ROLLING STONE.
Ricostruire le sue paternità non è semplice.
Incominciò presto, nel 1959 (all'età di 17 anni), quando una ragazza sedicenne di Cheltenam, Valerie Corbett, mise al mondo il primo figlio Simon (nonostante l'invito di Brian ad abortire), dato subito in adozione ad una famiglia e la cui sorte è sconosciuta.
A causa di questo episodio la coppia si separò e Brian partì per la Scandinavia alla ricerca di fortuna.
Gli è attribuita una figlia, concepita con una donna sposata (Angeline) e nata il 4 agosto del 1960, rimasta, di nascosto dal marito di lei, in famiglia.
Il 22 ottobre del 1961 nasce il suo terzo figlio Julian Mark , avuto dalla fidanzata Pat Andrews.
Il 23 luglio 1964 è la volta del suo quarto figlio con la nuova fidanzata Linda Lawrence, Julian Brian Lawrence (Julian adottò il cognome Leitch dopo che la Lawrence sposò Donovan il 2 ottobre 1970).
Il 24 marzo del 1965 è la volta di Paul, poi chiamato John dalla famiglia a cui venne dato in adozione, avuto da Dawn Molloy.
Gli è stata attribuita, a livello di gossip, anche la paternità di Marlon Richards, nato da Keith Richards e Anita Pallenberg ma, anche se da piccolo aveva una certa somiglianza con Brian, ha nel tempo evidenziato i caratteri somatici del padre effettivo, Keith.