martedì, gennaio 31, 2017

Altri mondi, Est, Est, Est





A cura di CLODOALDO

In uscita sul prossimo numero di Sport-Box.

EST
Il 1989 è una data fondamentale per la storia dell’ Europa e quindi per il mondo.
A fine anno cade il Muro di Berlino e con esso si dissolve nel nulla quella che fu chiamata Cortina di Ferro , o più semplicemente Est Europa. Essa naturalmente non scomparirà geograficamente, ma, culturalmente, socialmente, economicamente e politicamente i paesi dell’ex Patto di Varsavia cambieranno fisionomia per sempre e, probabilmente, dopo più di 5 lustri si può affermare che ciò non sempre abbia portato miglioramenti nelle società post comuniste.

Il 1989 è l’ultimo anno in cui un viaggio verso Est , nei paesi del socialismo reale, assume un carattere didascalico, nella misura in cui si riescono ancora a collegare immagini , sensazioni, profumi ed impressioni che solo in quei luoghi e fino a quella data furono presenti.
Certamente sono lontani i tempi pioneristici di chi, negli anni settanta , dopo viaggi che duravano almeno due giorni, si spingeva fino alle spiagge romene del Mar Nero (anzi i più temerari fino a quelle bulgare), ma ancora, a fine anni ottanta, programmare un viaggio oltrecortina non risultava poi così semplice.

Abituati ormai alla tecnologia ( Internet, Tom-Tom, Tripadvisor, Via Michelin, ecc.ecc.) ed ai voli Low Cost, risulta difficile immaginare che per certe mete , neppure troppo remote, l’unico supporto fosse allora l’Agenzia viaggi. Il fai da te rimaneva quanto meno un azzardo, soprattutto spostandosi verso i paesi dell’Est, luoghi sicuramente a prezzi contenuti, ma difficili. Di contro la nostra Lira in quelle regioni assurgeva a ruolo di moneta forte e la proverbiale generosità dell’italiano medio all’estero, garantiva la risoluzione di infinite problematiche ben più che l’integerrimo comportamento di tedeschi e nord europei. ( soprattutto ai confini e nelle dogane).

Una volta scelto il fai da te ed il mezzo di trasporto ( l’auto, naturalmente), rimaneva da decidere la destinazione.
Praga è sempre stata la meta più gettonata, era, ed è tuttora, la perla dell’Est Europa; città di una bellezza struggente, ma troppo mitteleuropea, troppo Asburgica dentro e fuori, troppo austera.
La Polonia , soprattutto Cracovia, grazie a Wojtyla era troppo inflazionata e meta di un turismo religioso fin troppo ostentato. Fermo restando che per luoghi più complicati come Mosca, Leningrado, la Transilvania, il delta del Danubio o le città baltiche erano necessari sia più giorni a disposizione che una certa preparazione, un solo luogo rimaneva a disposizione di chi volesse “ sentirsi” l’Est addosso : Budapest.

La capitale magiara era la vera porta d’oriente: le colline di Buda l’ultimo avamposto imperiale e la piana di Pest uno spazio aperto verso la steppa Sovietica , senza soluzione di continuità, fino agli Urali. Da sempre terra di confine, di conflitti tra Ottomani ed Asburgo e capitale di quell’impero multirazziale che fu l’Austria-Ungheria, la capitale magiara riassume in sé un crogiuolo di culture che vanno dal caffè letterario ai bagni turchi.

Inoltre per gli amanti del calcio, Budapest e l’Ungheria, rappresentano la “summa” del movimento Danubiano, nato nell’Austria negli anni venti , progredito nella Cecoslovacchia degli anni trenta ed esploso in terra magiara appena prima e soprattutto dopo la II Guerra Mondiale.
Nomi come Sarosi, Veisz, Erbstein, a molti non dicono nulla, ma furono alla base del calcio moderno come lo intendiamo noi, al di fuori dall’Inghilterra, e, senza di loro, l’epopea della grande Ungheria, l’Aranycsapat di Puskas, Hidegkuti, Kocsis, probabilmente non sarebbe esistita.
Budapest quindi la meta, l’itinerario da seguire invece, da sempre, fonte di contrasto. La maggioranza dei viaggiatori che già erano stata sul posto, proponeva il più veloce , semplice ma oneroso passaggio dall’Austria, via Tarvisio, Klagenfurt, Graz per entrare poi in Ungheria da Kormend e via di filato verso la capitale.
Era la direttrice preferita da Austriaci del sud e dell’ovest e dai Bavaresi, gente con poco tempo e molta fretta per cui il viaggio è succube della destinazione. Nulla a che vedere invece con il più romantico e difficoltoso attraversamento del nord della Jugoslavia, rotta preferita da sempre da camionisti veneti e friulani ( doganieri più morbidi e locandiere più affabili!) ricca di notevoli spunti naturalistici e paesaggistici, per il quale era necessario mettere in conto un viaggio tra le 14 e 15 ore , pesante forse, ma assolutamente gratificante.

I più fortunati erano muniti di cartina Touring , gli altri si accontentavano dell’Atlante geografico De Agostini , tutti si partiva sulla scorta di fantastici racconti di cugini od amici più grandi che parlavano di Mamaia o Praga , di Budapest o Timisoara come fossero il Catai di Marco Polo e delle meravigliose donne danubiano-balcaniche come fossero gheise giapponesi; raccontavano di coprifuoco, oscuramento, di militari e spie come nei romanzi di Follett o Forsythe. Racconti fantasiosi più che fantastici, ma noi non lo sapevamo ancora.

EST, EST
Di solito si snobbava Trieste e, per entrare in territorio jugoslavo, si passava da Gorizia dove le formalità doganali erano più spicce anche se la sensazione di confine tra due mondi era palpabile: torrette, garitte, filo spinato, sbarre e percorso a zig-zag nella terra di nessuno, controlli precisi anche se non pedanti.

A questo punto , lasciata l’Italia in direzione Postumia, dopo pochi chilometri si aveva veramente la sensazione di entrare in un’altra realtà. Scomparsa subito la lingua italiana nonostante la vicinanza del confine, facevano mostra di sé villaggi di campagna come si vedevano nelle vecchie cartoline in bianco e nero degli anni cinquanta, lasciando un senso di dignitosa ma dimessa vita di comunità rurale. In seguito dopo Postumia, verso Lubiana, tra colline carsiche ricche di vegetazione, sulle rare strade a doppia corsia, i Bife , sorta di autogrill/locanda del posto, offrivano selvaggina , formaggi e l’immancabile Lasko , la birra nazionale slovena, in ambienti che richiamavano le osterie dei nostri nonni.
Incominciavi presto a capire perché ci sarebbero volute così tante ore quando ti ritrovavi dietro a qualche camion cecoslovacco e bulgaro carico di legname impossibile da superare, allora il viaggio diventava vacanza e la pausa una necessità ed un piacere. Questa parte di Slovenia è il regno della pesca sportiva con la mosca e gli italiani sono tuttora molto presenti, ai tempi era anche zona di caccia purtroppo poco regolamentata e gradita ai nostri connazionali. Ancora dopo la capitale slovena sulla statale per Maribor, si incontrava in inverno qualche rara auto con la (I) che saliva verso le convenientissime piste slovene, ma nessuno negli altri periodi dell’anno se non qualche Tir che veniva salutato come se non si vedessero italiani da decenni!

A Slovenska Bystrica si piegava verso destra e dopo la bellissima Ptuj , adagiata sulla Drava , ci attendevano 80 km di pianura ondulata in puro stile steppa russa. Villaggi sparsi e rari , una sola cittadina Cacovec , e campagna a perdita d’occhio. Qui veramente si sentiva l’aria di confine e di frontiera e nonostante tutto, poteva capitare di fermarsi per una birra su una collinetta nei pressi di una scuola superiore e capire perché i mostri sacri della pallacanestro europea fossero jugoslavi. Quando già da noi imperava la tattica più sfrenata, al confine jugoslavo/magiaro ragazzi che davano del tu al pallone da basket, tiravano incessantemente a canestro da ogni posizione e giocavano, inconsapevoli, all’americana, uno contro uno fregandosene di zone, zone miste ed altre diavolerie, con giovani professori che si misuravano con loro senza interrompere, se non per spiegazioni tecniche,il flusso del gioco, il tutto in una scuola sperduta nel nord della Croazia , a chilometri da Zagabria o Belgrado ed a migliaia di chilometri dalla sognata NBA.

Dopo Hodosan la macchia scura degli olmi che costeggiano la Mur, sono il segnale del confine ungherese, a Gorican ( ironia del destino) si lasciava la Jugoslavia e si percorreva un chilometro in terra di transizione fino alla dogana di Letenye appena aldilà del fiume.
Ora per chi non avesse mai affrontato una frontiera stradale ad Est, bisogna chiarire che il visto sul passaporto era reperibile solo all’ambasciata a Roma ( il consolato di Milano apponeva visti solo per i viaggi aerei) oppure nelle dogane al confine. I neofiti ( ed i tedeschi) arrivavano in frontiera con l’idea e la pretesa che tutto si risolvesse in pochi minuti e quando questo puntualmente non accadeva incominciavano a protestare ed innervosirsi…errore fatale con i funzionari ed i frontalieri del luogo! Quello che poteva risolversi in 40 minuti, se si era fortunati, richiedeva dalle tre alle quattro ore con relativa minuziosa ispezione dell’auto, ricontrollo estenuante dei documenti e richieste in lingua locale: il magiaro che, come il finlandese e l’estone, è lingua asiatica non indoeuropea , per cui assolutamente incomprensibile. Quindi trovare un’altra auto italiana ferma in piazzola ed addirittura un’ auto targata Pavia poteva essere di conforto soprattutto quando entrati negli uffici per il visto vedevi i pavesi in questione bere apricot brandy in compagnia del comandante della stazione. Il turista italiano si riconosceva a distanze siderali quindi subito si veniva apostrofati nella nostra lingua, scoprirsi dello stesso luogo in certi casi è utile e piacevole. Le formalità doganali si possono svolgere in un’oretta al costo di una stecca di Marlboro ed inoltre viaggiatori esperti di frontiera possono dare indicazioni utili per il viaggio, ristoranti ed hotel per il soggiorno

..Visto Ungherese per il transito automobilistico Travel Ceque , al tempo la più sicura fonte di pagamento all’ estero.
Si spiega allora come si possa finire a Siofok, sul lago Balaton , nell’Hotel della televisione magiara invece di arrivare a Budapest di notte evitando così il rischio di dormire in auto.
Siofok, ora turisticamente frequentatissima, ai tempi era un tranquillo paesone con cottage sulle rive del lago , qualche albergo stile sovietico, ottimi ristorantini di pesce , una vecchia ferrovia che collegava Budapest a Trieste ed un piccolo imbarcadero pieno di barche a vela e nessun motoscafo essendo il Balaton un lago laminare come il Trasimeno con acque bassissime e calde.
Ferrovia Budapest - Trieste nei pressi di Siofok con locomotiva a vapore ancora attiva

EST, EST, EST Il 3 maggio 1989 l’albergo della MTV non è deserto come ci avevano descritto gli amici in frontiera, anzi c’è una certa agitazione: gente con taccuini, qualche vecchia telecamera e persone con sciarpe bianco verdi. Per un patito di calcio è lecito pensare che il bianco verde ungherese si chiami Ferencvaros, come è altrettanto lecito chiedersi cosa ci faccia a Siofok la pluridecorata squadra di Budapest. Quindi, una volta preso possesso di una suite al sesto piano per la cifra irrisoria di 100 Forint ( le vecchie 15.000 lire di allora) e lasciata l’altra metà della famiglia a godersi una vasca calda, è logico che il patito di calcio cerchi di capirne di più.

La cosa più semplice è seguire i tipi con le sciarpe che dopo una buona scorta di birra si recano in quello che sembra un campo da gioco malamente illuminato. A questo punto l’agitazione per una probabile gara del Ferencvaros in patria da raccontare agli amici incomincia ad aumentare fino alla doppia porta in legno dello “ stadio “ del Siofok . Il complesso ha un ingresso stile cascina lombarda, ma effettivamente ci sono tribune in legno sui tre lati e collinette terrazzate in terra battuta sugli angoli delle curve che richiamano vagamente le “terraces” inglesi.

Naturalmente non si capisce un accidenti di quello che dice l’altoparlante gracchiante, né di ciò che è scritto sul manifesto esposto all’entrata, se non, che per la Magyar Kup, alle 21 il Siofok non incontra il mitico Ferencvaros, ma un certo Domsodi SE.
Delusione cocente!
Ma visto che ormai la curiosità ha preso il sopravvento, non rimane che entrare per vedere cosa promette lo spettacolo. Con 50 Forint si sale in tribuna premium, cioè una gradinata tipo quella di Torre d’Isola, riservata ai pochi che possono permettersi il biglietto.
I tifosi bianco verdi sfilano a destra mentre a sinistra si vede un a massa rossoblu con fumogeni stile carnevale e bidoni del Dixan ( letteralmente) usati come tamburi : gli ultras locali. Il terreno è perfetto , ma l’illuminazione sembra quella di un nostro oratorio anni 70, sui corner ci sono decisi angoli bui, incomincia ad affluire gente e qualche ungherese osserva il personaggio sconosciuto in tribuna.

Biglietto tribuna Vip !!

Ora, quando si conosce una sola parola locale : Olasz , non si pensa che pronunciata a mo’ di giustificazione per la propria presenza, scateni una simpatica reazione a catena. Invece almeno una decina di persone sembrano interessati, anzi un vecchietto incomincia a battere la mani esclamando Olaszorsag! scodella a memoria,mangiandosi le vocali: Zoff,Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati e via via la nazionale di Bearzot e dopo una bella pacca sulla spalla, anche altri in tribuna sono ormai coinvolti. Chi storpia la Juve del Trap chi l’Inter del mago, i magiari dicono tutto ciò che passa loro per la mente da Zenga a Meroni…sbalorditivo!! La situazione è surreale , probabilmente non c’è mai stato un italiano su quel campo. L’ottantenne di prima ci riprova con le formazione della finale del 38 , gli ungheresi ammiccano ma tra i pochi nomi che si capiscono ci sono Piola e Meazza, ma poi chiede silenzio intorno ed inizia con la filastrocca calcistica più famosa del calcio italiano: Bacigalupo, Ballarin Maroso e stavolta in italiano perfetto, non ne sbaglia uno , roba da pelle d’oca!! e si sofferma sul nome Erbstein indicando il campo con la mano che non capisci se intende dire che Erbstein sia di lì, abbia giocato su quel campo o se intende semplicemente dire che fosse ungherese. Nel frattempo lo stadio si è riempito a metà ( alla fine circa 2.000 spettatori), i verdi sono in un bel numero, i locali fanno un baccano da fiera, dal bar salgono due dozzine di birre e l’italiano è gradito ospite.

Alle 21 fanno i loro ingresso in campo le due squadre, vestono divise incredibili: ospiti in Bianco Verde acrilico stile Avellino anni 80 , Siofoki in riquadroni rossoblu scurissimo di lanetta con i lacci sotto il collo come un Genoa od un Cagliari anni 60. Inizia l’incontro ed i locali sono nettamente padroni del campo, hanno un satanasso di centravanti e già all’intervallo conducono 2-0, la cosa sembra scontata e non crea alcun problema tra i verdi, anzi. Nel frattempo una processione dalle curve si dirige verso il bar sotto la tribuna , da cui escono tazze fumanti di gulasch e vaschette di carpa del Balaton con patate. Certamente e’ corsa voce di uno straniero in tribuna poiché tutti ,passando, guardano verso l’alto incuriositi.
Ad inizio ripresa il Domsodi attacca in forze e generosamente , ma è solo sul 5-0 che riesce a segnare il goal della bandiera. Da notare l’assoluta mancanza di forze dell’ordine all’interno dell’impianto , c’è da chiedersi se il regime di suo bastasse a mantenere la calma in queste situazioni; considerate le frange violente degli anni successivi viene da pensare fosse così.

Il rientro in hotel è forzatamente a tappe, i nuovi amici obbligano l’Italiano a seguirli nei rari locali aperti e dove si vende solo birra.
In definitiva i tifosi più felici sembrano essere quelli ospiti. In albergo però scatta la caccia ad un qualsiasi giornale che permetta di capirci qualcosa e finalmente si comprende che l’incontro era il ritorno dei quarti di finale della coppa nazionale ( gara già decisa all’andata) e che Domsod è un paese di 6.000 abitanti a sud della capitale e milita in terza serie, ma in coppa ha eliminato a sorpresa il Beckescsaba e la mitica MTK , entrambe compagini della massima serie. Il Siofoki Baniasz SE invece milita in serie A e la settimana prima ha seppellito il Vasas 4-1, non una roba da niente. Certo che vista da fuori, considerando i paesi di provincia sarebbe come a dire Stradella- Belgioioso in coppa Italia professionisti. Alla settima birra con la mente offuscata è doveroso prendere congedo, i saluti ed i commenti si sprecano , ma il loro significato rimane del tutto ignoto.

Il mattino seguente, durante la colazione rigorosamente all’ungherese ( roba che non si può fare per tre giorni di seguito), ci si accorge che non solo i tifosi ma tutto il team di Domsod ha soggiornato in hotel e fa quasi tenerezza vedere le borse in plasticona adidas e sei/sette corriere ( non pullman) pronte a riportare a casa l’allegra brigata.
Gli italiani ripartono e sulla superstrada sorpassano strombazzando i torpedoni che ricambiano,, trascorsi cento chilometri e dopo aver aggirato il sobborgo di Budaors e la collina della Cittadella vengono accolti dalla bianca mole dello Erszbet Hid , il ponte Elisabetta che li invita in città, ma questa è un’altra storia , un’altra volta.

Ndr. Quindici giorni più tardi scenderà veramente sul Balaton il Ferencvaros e, davanti a 13.500 persone ( dove le avranno messe?),tuttora record dello stadio, il Siofoki vincerà 2- 1 con una grande rimonta.
Al ritorno i bianco verdi trionferanno 3-0 ma perderanno la finale al Nep Stadion contro l’Honved che bisserà la vittoria in campionato ottenuta sempre a spese del Ferencvaros. Il Siofoki si salverà alla penultima giornata. Il Domsodi SE arriverà secondo nel girone D della terza serie mancando la promozione per un soffio. Sarà la stagione migliore dalla fondazione nel 1955 per i “piccoli” bianco verdi
. Siofok –Ferencvaros 2-1 . La rete del Ferencvaros

24 commenti:

  1. Odissea epica.
    Gran bel pezzo, grande Clodoaldo!

    RispondiElimina
  2. Epicità a livelli di guardia!La cosa incredibile è come il racconto porti nel lettore una crescente,incontrollabile, voglia di saltare in macchina e ripercorrere l'intero itinerario, sulle orme di CLODOALDO!Complimenti, sia per l'avventura che per la narrazione!Tra 2 anni si potrebbe festeggiarne il 30simo anniversario organizzando torpedone tonyfaceiano, così da ripetere tutto pari-pari!
    MajorTom

    RispondiElimina
  3. ....e stavolta magari cercare di beccare il Ferencvaros

    RispondiElimina
  4. Magari insieme alla cartina del Touring Club, una copia del Guerino di inizio stagione ti avrebbe illuminato sul programma del campionato ungherese.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ahahah!!...sono andato a caso e mi è andata bene...a budapest non avrei avuto nessuna possibilità ..come puoi immaginare

      Elimina
    2. Avresti sempre potuto chiederglielo...

      Elimina
  5. Ma poi magari l''altra metà della famiglia' si sarebbe insospettita e allora altro che gol, gulash fumante e carpe in carpione....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti!!!...ma la tua coscritta era talmente stanca che manco si è accorta dove fossi finito!!

      Elimina
    2. E quindi giusto premio alla presenza di spirito. E valore aggiunto alla spedizione!

      Elimina
  6. Stratosferico Clodoaldo! batteremo la tue piste centimetro per centimetro..
    Est!Est!Est! come il vino )))
    C

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mio papà tra i temerari dell'epoca. In macchina da Santa Cristina a Varna via Belgardo/Porte di Ferro col Ford Capri. Anno 1971

      Elimina
  7. Urca ..grazie per i complimenti...da neofita del settore mi sento lusingato.
    E da buon neofita ho.fatto un po' di casino nell'impaginare le foto a cui sarebbero dovute seguire le didascalie in corsivo che invece s'iframezzano nel testo..accidenti!!
    Son certo però che voi esperti frequentatori del blog siate stati in grado di mettere ogni cosa al posto giusto.scusate ancora e grazie a Tony per lo spazio ed a voi per la pazienza (in effetti è lunghetto!!)
    Clodoaldo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Aggiungerei anche che tutto il brano è attraversato da un lieve e malinconico filo di poesia che me lo ha reso godibilissimo. Ho sorriso praticamente per tutta la durata della lettura.

      Elimina
    2. Siofoki SE 5-1 Domsodi SE.
      Che partitazza! nel 1989!
      Adesso son capaci tutti, W i pionieri

      Elimina
    3. Gallo tu sei troppo buono ..
      Anche se devo ammettere che mentre scrivevo le immagini erano nitide come fossero passati pochi giorni.
      La malinconia è dovuta al fatto che la semplicità ( e la povertà indubbiamente,ma dignitosa) della gente e dei luoghi lasciavano su di me un alone che mi riportava all'infanzia ,inizio anni 70 nelle campagne attorno al tidone dai nonni materni...cioè ritrovavo all'est la stessa atmosfera che ricordavo da bambino da loro. Solo una suggestione forse,ma che dopo la caduta del.muro non ho.più ritrovato
      Clodoaldo

      Elimina
    4. Appunto. Intendevo dire che la si respira nel racconto, e riesco a condividerla avendo vissuto anche io negli stessi luoghi allo stesso tempo.

      Elimina
  8. Colpa di Tony, prima o poi dovrà decidersi a pubblicare i pezzi contenenti foto lungo la narrazione.

    RispondiElimina
  9. E visto che ci siamo un salutone al Boss!

    RispondiElimina
  10. bellissimo racconto.
    io da piccolo andai nel 1981 in campeggio in vacanza al mare oltre dubrovnik, ci spingemmo fino alle bocche di cattaro. viaggio avventuroso durato due giorni, al ritorno per spezzare il viaggio dormimmo in 12 (eravamo 3 famiglie) in due stanze, alcuni su una cassapanca. strutture quasi zero, al limite del campeggio libero, mare e natura stupendi, prezzi irrisori, dubrovnik e mostar le ricordo splendide nonostante avessi 10 anni.

    RispondiElimina