venerdì, febbraio 28, 2014

Febbraio. Il meglio del mese



Tra i nomi che potrebbero già finire nella top 10 di fine anno: Sharon Jones and the Dap Kings, St,Paul & the Broken Bones, Hypnotic Eye, Quilt, Nick Pride and the Pimptone, Temples. Tra gli italiani Eugenio Finardi, Bologna Violenta, Plastic man

ASCOLTATO

EUGENIO FINARDI - Fibrillante
Un ritorno duro, in cui Finardi impugna i problemi quotidiani con il piglio battagliero di sempre, sferza, picchia forte e diretto.
In ogni brano c’è un’attualità spiazzante, storie quotidiane, disoccupazione, liberismo che uccide, separazioni, il tutto coronato da un sound moderno e fresco, rock cantautorale di primissima qualità, espliciti riferimenti sonori agli esordi ma espresso con una maturità, un piglio autorevole di chi ha fatto la storia e si ripresenta a muso duro, senza paura e con una classe comune a pochi.
Disco commovente, che prende alla gola e mette in un colpo solo in riga migliaia di arroganti “nuove leve” .

BOLOGNA VIOLENTA - Uno Bianca
Un tremendo “concept” sulle tragiche vicende della “Banda della Uno Bianca” (i 27 brani hanno come titolo, con l’eccezione del conclusivo, orchestrale, drammatico, “Rimini: suicidio Giuliano Savi” - padre dei tre fratelli protagonisti della luttuosa storia -, le date e relativi crimini della banda) che disseminò di morti e feriti, tra la fine degli anni 80 e gli inizi dei 90, l’Emilia Romagna.
Nicola Manzan alias Bologna Violenta realizza un’ipotetica colonna sonora alle vicende (interamente strumentale) a base di un assalto sonoro techno grind con break orchestrali e corredo di rumori ambientali. Non si pensi ad un incedere caotico e scomposto.
 I brani sono rigorosi, austeri, composti ed eseguiti con meticolosa precisione (allo stesso modo in cui lo erano le azioni della banda). La violenza estrema e paradossale della musica è il perfetto quanto devastante commento sonoro all’altrettanto estrema brutalità della sconvolgente storia. Musica classica contemporanea.

STRYPES - 4 track mind
Nuovo EP con quattro sparatissimi brani di classico beat n roll che segna un passo avanti rispetto allo splendido "Snapshot".
Le basi sono ovviamente le stesse ma il sound si è indurito, attualizzato, pur rimanendo MAGNIFICAMENTE DERIVATIVO.
E poi suonano da paura.

ST. PAUL & the BROKEN BONES - Half city
Vengono dall’Alabama e suonano un Southern Soul da paura, intrecciando Otis Redding, Sam Cooke, Bobby Bland e il primo Van Morrison.
Suono molto crudo, pochissimi fronzoli, ottima sezione fiati, ritmica grezza e “vintage” ma approccio modernissimo e album da ascoltare assolutamente.

BECK - Morning phase
Notevole, monumentale ritorno di Beck dopo alcuni passi incerti.
Un album intensissimo, malinconico, orchestrale, semi acustico, delicato, autunnale, dove si spazia tra Neil Young, Nick Drake, i Beach Boys di Brian Wilson, certe ballatone care al migliore Paul McCartney. Un grande ritorno.

TEMPLES - Sun structures
Brillante esordio per gli inglesi TEMPLES.
Siamo dalla parti dei primi Pink Floyd, degli Stones di "Their satanic.." ma anche di Kasabian, Tame Impala e altra psichedelia moderna.

NICK WATERHOUSE - Holly
Al secondo album si conferma ottimo interprete di un sound che mischia rhythm and blues, soul, atmosfere 50's e 60's (non molto lontano da Arthur Alexander e Sam Cooke), un po' di swing e swamp blues.
Molto personale e cool !

THE DIALS - The end of the pier
Da Brighton un’interessante giovane band con un (terzo) album uscito alla fine del 2013 in cui riecheggiano sonorità mod, Kinks, psichedelia inglese tardo 60’s (primi Pink Floyd, Tomorrow, Move) un po’ di surf, addirittura movenze care ai Traffic acustici, un po’ di Weller, Buffalo Springfields.
Molto piacevole e personale.

ELINE GEMERTS - The gloves are off
Cantante jazz olandese, accompagnata dallo stupendo trio Hammond beat dei Super Swamp, con un ottimo album in cui si mischiano blues, soul, funk, jazz, black pop, funk suonati con cuore, anima e competenza.
Voce molto raffinata e delicata.

NENEH CHERRY - Blank project
Al ritorno in chiave solista Neneh Cherry non ripete la magìa di “Cherry thing” con i The Thing.
Basi sintetiche e minimali, voce come sempre stupenda, sound e approccio ben riconoscibili ma l’urgenza dell’album rende il tutto un po’ troppo approssimativo.
Alta classe comunque.

THE LEE THOMPSON SKA ORCHESTRA - The benevolence of sister Mary Ignatius
Il saxofonista dei Madness con questo side project torna alla radici dello ska e del reggae con competenza, classe e un album godibilissimo (uscito lo scorso anno).
Un po’ di cover (riuscitissime quelle di “Mission impossible” e “Soon you’ll be gone” dei Blues Busters). Tutto da ballare.

MELBOURNE SKA ORCHESTRA - MSO
Anche questo uscito lo scorso anno ma da segnalare. Band australiana che raggruppa alcuni dei migliori elementi delle ska band dei canguri.
I 16 brani sono divertenti, ben fatti, in chiave Two Tone con qualche elemento calypso, un po‘ di reggae e tanto entusiasmo.

DOME LA MUERTE AND THE DIGGERS - Supersadobabi
Dome La Muerte è tra le icone rock n roll italiane.
Dopo gli 80’s spesi con i Not Moving (di cui riprende l’inedita “We’ll ride until the end”) e una lunga serie di esperienze successive torna con un nuovo album con i suoi Diggers sui consueti binari di classico rock n roll sporco e street, tra New York Dolls, Stooges (bella la cover di “Little doll”), Johnny Thunders, Fuzztones, Stones dei 70’s, Mc5, DMZ etc.
Il tutto suonato con il giusto tiro e la necessaria convinzione.

RUDE AND THE LICKSHOTS - Lickshots
Grande album di reggae/ska/soul/Clash/rude sound !
"Lickshots" riprende tra gli altri in chiave "Rocky Roberts" (!) il classico "Feccia" dei Ghetto 84 storica band di Rude, "They harder they come" (in spagnolo), "I fought the law" in chiave ska e questa grande "All you fascist bound to lose" di Woody Guthrie.

KARNE MURTA - Swingin taboo
Terzo album e divertentissimo e travolgente sound che viaggia tra i ritmi infuocati e melting pot che furono dei Mano Negra tra sezioni di fiati impazzite, polka alla velocità della luce, influenze latine, salsa, un pizzico di Giamaica, swing, punk, funk e di Gogol Bordello.

I BARBIERI / I FENOMENI - Battle of the bands
CAPT CRUNCH AND THE BUNCH - Capt Crunch and the Bunch
Doppia uscita in 45 in vinile per le sempre benemerita Area Pirata.
Gli storici Barbieri e i nuovi genovesi Fenomeni si dividono due brani a testa in “Battle of the bands” reinterpretando in italiano 4 classici garage: i Barbieri trasformano “The hustler” dei Sonics in “Il fuoriclasse” mentre “She told me lies” dei Chesterfield Kings diventa “Ritornerai” mentre i Fenomeni prendono “Action woman” dei Litter e la fanno diventare “Una donna vera” mentre “Dirty water” degli Standelles prende nuova vita in “Acqua sporca. 45 riuscitissimo.
Allo stesso modo i Captain Crunch and the Bunch traggono ispirazione dal garage punk più ruvido introducendo però ampie manciate di torrido rhythm and blues, blues e beat.
Due brani sono troppo pochi, aspettiamo con impazienza l’album !
www.areapirata.com

THE SENSIBLES - A bunch of animals
Italianissimi ma innamorati di Buzzcocks, power pop e del punk melodico 77 con un pizzico di scanzonato beat alla Gogo’s (grazie alla voce femminile) senza dimenticare il dinoccolato incedere alt rock dei Lemonheads.
Album fresco e godibilissimo, divertente, senza fronzoli, diretto.

EVA BRAUN - Eva Braun
Band veronese operativa nei primi anni 80 che registrò un album mai pubblicato.
Ora reso disponibile da Joyello (Peluqueria Hernandez, Madri della Psicanalisi e blogger di Fard-Rock che del gruppo era la chitarra) via bandcamp http://evabraun80.bandcamp.com
New wave cupa e figlia di Joy Division, Tuxedomoon e certa nowave new yorkese.
Un prezioso reperto.

ASCOLTATO ANCHE
MAXIMO PARK (anonimo nuovo lavoro per i brit wavers dalla tante promesse mal ripagate), DENTE (primo album con una major, solito folk pop leggero leggero con accenn ia De Gregori, Fabi e una lunga serie di esponenti della “canzone d’autore italiana”. Discreto), TINARIWEN (i grandi Tuareg arrivano all’ennesimo ottimo album di blues desertico. Per appassionati ma sempre interessante), LUCIANO CHESSA (“Entomologia” è un album di rock elementare e minimale, dai testi dadaisti e surreali. Molto particolare), SVEN HAMMOND SOUL (solido rock soul blues con insert funk rock. godibile), LYDIA LOVELESS (gradevole cantautrice dalle inflessione alt rock, poco più), BLITZMASH (soul blues dall’Olanda, ben fatto anche se piuttosto prevedibile e scontato) EMINENT STARS (Da Amsterdam propongono un ottimo album di soul, funk, rhythm and blues, blues, suggestioni di stampo New Orleans, swamp blues. Con vari ospiti e cantante che ricorda il primo Joe Cocker), BURLESQUE (da Portici un terzetto innamorato del brit pop più raffinato tra Housemartins, Smiths, primi Blur, Prefab Sprout e una corroborante iniezione di Franz Ferdinand), ROBY MCKELLE & the FLYTONES (un buon soul di marca Stax anche se eccessivamente mainstream e scontato. In ogni caso si ascolta bene), SOULJAZZ ORCHESTRA (ethiojazz, funk soul orchestrato, Philly sound qua e là, non male)

LETTO

CHRISTIAN DE SICA - Figlio di papà
Pensi a Christian De Sica e alle pernacchie (e molto peggio), le commediacce, i cinepanettoni, la sguaitaezza romanesca e immediatamente pensi al papà e a tutto quello che ci ha lasciato.
E l'ingombrante ombra paterna pervade l'intero libro che però è bellissimo, pieno di preziosi ricordi, incontri incredibili con il gotha del cinema mondiale, stupendi aneddoti.
Il tutto scritto benissimo, con la personalità di Christian che emerge esplosiva e che ci fa conoscere anche un insieme di sue opere trascurate e dimenticate.
Consigliatissimo.

CARLO VERDONE - La casa sotto i portici
Autobiografia (uscita nel 2012),gustosa,a base di ricordi struggenti d’infanzia, dei genitori scomparsi, nostalgia della casa in cui è cresciuto.
In mezzo preziosi aneddoti: gli incontri e frequentazioni con Fellini, Sordi, Zeffirelli e tanti grandi del cinema, la passione per il rock e Hendrix in particolare.
Un libro godibile e leggero.

GIAN GILBERTO MONTI - L’amore che fa boum
Un dettagliatissimo (a tratti eccessivamente, si rischia di perdersi e annoiarsi nel calderone di date, nomi, dati, episodi, circostanze) racconto romanzato della tragica vicenda della Banda Bonnot, gruppo di anarchici “illegalisti” (che giustificavano le azioni criminose come mezzo per raggiungere l’anarchia e distruggere il sistema statale) che mise a ferro e fuoco la Francia dei primi del ‘900.
Giangilberto Monti (che, ricordiamolo, è anche protagonista di una valida carriera come cantautore) ricostruisce la storia, inserisce efficaci dialoghi, mantenendo abilmente tutto il racconto in perfetto bilico tra storia reale e romanzo.

VISTO
London River di Rachid Bouchareb
Intenso e delicato, super realista film sui giorni degli attentati di Londra del 2005.
Bello, drammatico, crudo, commovente.

Belle & Sebastien di Nicolas Vanier
Film PULITO, non solo per bambini, solare e davvero godibile.

COSE & SUONI
Lilith and the Sinnersaints in studio di registrazione
Nuove date in giro per la penisola qui:

Sabato 08 marzo : Aosta “Espace”
Sabato 15 marzo : Cremona “Arcipelago”
Martedì 18 marzo : Milano “Rock n Roll Radio”
Sabato 28 marzo : Vittorio Veneto “Mavv”
Sabato 5 aprile : La Spezia “Skaletta”
Sabato 12 aprile : Firenze “Tender”
Domenica 13 aprile : Roma “Le Mura”
Venerdì 25 aprile: Catania TBC
Sabato 26 aprile: Messina TBC
Sabato 10 maggio : Vignola (MO) “Circolo Ribalta”
Sabato 24 maggio: Varese "Sur le Sofa"

www.lilithandthesinnersaints.com
https://www.facebook.com/LilithandtheSinnersaints

Mie recensioni su www.radiocoop.it

IN CANTIERE
Domenica 9 marzo al "Ligera" di via Padova a Milano: presentazione di "Statuto/30" con anche Oskar e Naska degli Statuto. Ore 19.30.

Finalmente vedrà la luce la mia biografia di Paul Weller, in autunno, per VoloLibero scritto SOLO dal sottoscritto.

giovedì, febbraio 27, 2014

Dischi da riscoprire



Come ogni mese una breve carrellata nella rubrica GET BACK di dischi che vale la pena di (ri)scoprire.

DAVID HEMMINGS - Happens
Hemmings è il famoso protagonista di “Blow Up” di Antonioni (poi anche in “Barbarella”, “Profondo Rosso” e “Il gladiatore” tra gli altri).
Nel 1967 si cimentò con la musica incidendo un PREZIOSO album con l’aiuto nientemeno che di Roger Mc Guinn e Chris Hillman dei BYRDS oltre ad un brano inedito di Gene Clark “Backstreet mirror” che apre il lavoro.
Il tutto prodotto da Jim Dickson (produttore di Byrds e Flying Burrito Brothers). C’è anche una buona cover di “Reason to believe” di Tim Hardin e un sound di chiaro stampo folk rock psichedelico che spesso si tempera in un lunghi e ossessivi raga rock con sitar e influenze orientali.
Hemmings canta bene, l’album convince ed è una preziosa perla da recuperare.

Si può ascoltare integralmente qui:
http://www.youtube.com/watch?v=3KXfYzFAB3g

CHI-LITES - (For God’s sake) Give more power to the people
I CHI-LITES, famosi per il classico “Stoned out of my mind” e per sdolcinate soul songs al miele abbracciano un sound più aggressivo e sfornano nel 1971 un buon album in cui mantengono fede alla predilezione per la facile fruizione ma si concedono alcune gustose divagazioni, citando, al limite del plagio stilistico, altre bands come i Temptations (nella title track) o Sly and the Family Stone (in “We are neighbors”).
C’è anche dell’ottimo Northern Soul (“Love uprising”), il pulsante soul funk di “Trouble’s a coming”.

DONNY HATHAWAY - Everything is everything
L’esordio del 1970 del sottovalutato Donny, scomparso tragicamente nel 1979 (uno strano “suicidio” mai chiarito). Quattro album (uno postumo) di alto livello e il primo a base di un ottimo mix di funk, soul, gospel, spesso vicino al mood dello Steve Wonder dell’epoca.
Ottima versione di “I believe to my soul” di Ray Charles oltre al suo classico “In the ghetto” che da solo vale l’album.

INCREDIBILE BONGO BAND - Bongo Rock
INCREDIBILE BONGO BAND - The return

Ristampa di due album usciti nel 1973 e 1974 per questa band americana che riarrangiava classici del rock in versione percussiva e in cui suonavano Jim Gordon (collaboratore di Eric Clapton e co-autore di “Layla”)e il percussionista King Erisson (presente in numerosi dischi della Motown).
Nei due album scorrono “Satisfaction” e “Wipe out!”, “Pipeline” e “In a gadda davida” e tanto altro.

mercoledì, febbraio 26, 2014

Baruch Spinoza



Si va ancora di FILOSOFIA con un breve saggio del nostro ANDREA FORNASARI su SPINOZA

Forse in un'altra occasione parleremo di Cartesio (Descartes, se preferiamo):
la sua influenza fu determinante e in modo particolare per il pensiero di Spinoza, filosofo olandese che visse fra il 1632 e il 1677.

Spinoza apparteneva alla comunità ebraica di Amsterdam ma, nel 1656, venne espulso e scomunicato con l'accusa di eresia: un privilegio che non toccò a molti filosofi in epoca moderna.
Egli venne deriso e perseguitato: cercarono anche di ucciderlo.
Il motivo di questo accanimento era dovuto alle critiche che Spinoza aveva mosso alla religione ufficiale:
secondo lui tanto il cristianesimo quanto l'ebraismo erano tenuti in vita soltanto dalla rigidezza dei dogmi e dai rituali esteriori; fu il primo ad affrontare la Bibbia da un punto di vista storico-critico.
In sostanza rifiutò l'idea che la Bibbia fosse stata totalmente ispirata da Dio, inoltre la predicazione di Gesù rappresentò la liberazione dal dogmatismo e dalla rigidezza dell'ebraismo (ne parlava già sant'Agostino).
Gesù, secondo Spinoza, predicò una religione della ragione che considerava l'amore il valore più alto, un amore che è rivolto sia verso Dio sia verso il prossimo.

Spinoza venne abbandonato anche dalla famiglia che cercò di privarlo dell'eredità a causa della sua eterodossia: per mantenersi molava lenti ottiche.
Un aspetto paradossale è che sono pochi quelli che hanno difeso la libertà di parola e la tolleranza religiosa con maggior fervore di Spinoza.
Nel suo testo più importante, "L'etica dimostrata secondo l'ordine geometrico", Spinoza segue una forma di esposizione che procede, proprio come nella geometria di Euclide, secondo definizioni, proposizioni, dimostrazioni e corollari.
Se Cartesio voleva estendere il metodo matematico anche alle speculazioni filosofiche, usando esclusivamente la ragione, Spinoza si inserisce in questa tradizione razionalistica.
Nella sua "Etica" vuole dimostrare come la vita dell'uomo sia decisa da leggi di natura.
Ma se per Cartesio la realtà è formata da due sostanze nettamente separate, il pensiero e l'estensione, Spinoza non è d'accordo su questa divisione: a suo avviso, tutto può essere ricondotto ad una sola sostanza, che chiamò semplicemente Sostanza, oppure Dio o Natura.
Spinoza possiede quindi una concezione monista e non dualistica: egli riconduce l'intera natura e tutte le relazioni della vita alla medesima sostanza.

Spinoza si allontana dal pensiero ebraico e cristiano nel momento in cui equipara Dio e la Natura o Dio e il Creato: quando parla di natura intende tutto ciò che è, anche ciò che è spirito.
La sua lingua è complessa e non è facile penetrare attraverso le sue rigide formulazioni, tuttavia il suo pensiero è cristallino: secondo Spinoza, Dio (o le leggi naturali) è la causa immanente (cioè interna) di tutto quello che succede. Non è una casua esterna, perchè Dio si manifesta soltanto attraverso le leggi naturali.
Ciò significa che tutto in natura avviene secondo necessità: la sua concezione è senz'altro deterministica.
Spinoza sostiene che esiste un unico essere che è causa di sè, pienamente e totalmente e che quindi può agire in piena libertà: soltanto Dio (o la natura) rappresenta una manifestazione libera e non casuale.
Un uomo può lottare per ottenere una libertà che gli permetta di vivere senza coercizioni esterne, ma non potrà mai raggiungere il libero arbitrio: non siamo noi a decidere cosa avviene al nostro corpo (modo dell'attributo estensione) e analogamente non scegliamo che cosa pensare.
L'uomo non possiede affatto un'anima libera prigioniera in un corpo meccanico.

Secondo Spinoza, sono le passioni umane, come l'ambizione o il desiderio, che ci impediscono di raggiungere la vera felicità e l'armonia: tuttavia, se sappiamo che tutto ciò avviene secondo necessità, possiamo raggingere una conoscenza intuitiva della natura come totalità e sentire in modo chiaro e inequivocabile che tutto è connesso e collegato, che tutto è uno.
La meta finale è cogliere tutto ciò che è in un'unica, totale veduta d'insieme.
Soltanto a quel punto raggiungiamo la massima felicità e serenità di spirito, quello che Spinoza chiamò sub specie aeternitatis, vedere tutto "dal punto di vista dell'eternità".

Che poi ce ne debba fregare qualcosa a tutti i costi, naturalmente, è un'altra storia.

martedì, febbraio 25, 2014

Intervista a RAPHAEL GUALAZZI



Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA, al giornalista FEDERICO GUGLIELMI, ad OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO, al presidente dell'Associazione Audiocoop GIORDANO SANGIORGI, a JOE STRUMMER, a MARINO SEVERINI dei GANG, a UMBERTO PALAZZO dei SANTO NIENTE, LUCA RE dei SICK ROSE, LUCA GIOVANARDI e NICOLA CALEFFI dei JULIE'S HAIRCUT, GIANCARLO ONORATO, LILITH di LILITH AND THE SINNERSAINTS, a Lorenzo Moretti, chitarrista e compositore dei GIUDA, il giornalista MASSIMO COTTO, a FAY HALLAM, SALVATORE URSUS D'URSO dei NO STRANGE, CESARE BASILE, MORENO SPIROGI degli AVVOLTOI e FERRUCCIO QUERCETTI dei CUT, è un grandissimo onore ospitare su queste pagine uno dei personaggi che più ammiro nell'ambito della musica POP COLTA italiana (e che questo blog ha sempre sostenuto) e non solo:
RAPHAEL GUALAZZI, recente protagonista a Sanremo (secondo !) affiancato da(i) BLOODY BEETROOTS.
La breve intervista (in ESCLUSIVA grazie all'amicizia che mi lega ad Enrico Mutti) è volutamente incentrata su tematiche care a questo blog.

Un ringraziamento particolare a Raphael per la squisita disponibilità in un periodo in cui era abbastanza impegnato, direi….

Le precedenti interviste sono qua: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Le%20interviste

1
Negli ultimi anni il vinile, liquidato così in fretta all’avvento del CD, ha ripreso vigore ed è ritornato, seppur in quantità limitate a vendere. Tu che sei amante di soul, jazz, rhythm and blues pensi che un certo tipo di musica vada a braccetto con un certo tipo di formato ?
O è una visione “romantica” e passata ?


Assolutamente.
Credo che la fruizione della musica possa avvenire in mille modi ma il vinile e' il vinile.
Proprio come la musica dal vivo e' la musica dal vivo.
Dipende in un certo senso dal tipo di uso che se ne fa.
Ascolto un brano su youtube dal telefonino per poterlo conoscere, compro il cd o scarico l'mp3 dello stesso brano perché mi piace ma di sicuro acquisto il vinile se voglio ASCOLTARLO.

2
Una domanda che faccio spesso a chi intervisto nel blog è quanto è complicato per un musicista fare questo tipo di mestiere in Italia.
Con le dovute proporzioni immagino che anche un personaggio popolare come te incontri un certo tipo di ostacoli suonando una musica che ha riferimenti ed influenze così desuete per il pop nostrano.


Credo che le collaborazioni e la sperimentazione rappresentino i giusti presupposti per un evoluzione musicale ma questo deve avvenire rispettando la tradizione e ampliando la conoscenza di tutto quello che e' stato fatto nelle 2 grandi tradizioni , classica e jazzistica, europea e afroamericana per esempio.
E poi c'e' un mondo di paesi e nazioni ed ognuno ha il suo 'blues' quindi la ricerca e' infinita come il nostro amore per la musica.
Il jazz e la musica classica sono sempre stai legati nella loro evoluzione alla musica popolare che e' stata spesso l'elemento rinvigorente di queste stesse tradizioni dunque e' impossibile a mio avviso che la musica di chi si ispira costantemente a queste 2 tradizioni possa risultare desueta.

3
Ipotizzando una band ideale e immaginaria con cui vorresti suonare. Chi schiereresti al tuo fianco ? Visto che stiamo fantasticando valgono anche i cari estinti.
E dove faresti questo concerto fantastico ?


E' stroppo difficile come domanda perché' esistono e sono esistiti così' tanti e diversi musicisti …e' impossibile scegliere!
Ma sul luogo mi piacerebbe suonare su un aereo perché' e' un'esperienza che non ho mai vissuto.
Mi piacerebbe anche suonare in Africa dove non sono ancora stato.

4
Disse in un’intervista Paul Weller
"La BLACK MUSIC è così speciale perchè credo che abbia a che fare con qualcosa di ancestrale.
E’ il suono che abbiamo dentro perchè tutti veniamo dall’Africa.
C’è tutta la storia della sofferenza e del riscatto del popolo nero ma all’origine di tutto c’è un ritmo primordiale che hai sentito migliaia di anni fa in Etiopia o nel Mali o dio sa dove, laggiù in Africa."

Lo pensi anche tu ?


Decisamente. Come dice un mio caro amico musicista africano ' camminiamo tutti sulla stessa terra in fondo!'.
Là dove la musica svolge ancora intimamente il suo ruolo 'misterico' di esaltazione della spiritualità' collettiva attraverso i giochi e le combinazioni di suoni e ritmi si cela la grande verità' .

5
Uno degli aspetti che mi sembra si stiano palesando in ambito “pop” è la continua ripetitività di certi schemi compositivi e sonori.
E’ sempre più difficile trovare qualcosa di veramente nuovo, che lasci a bocca aperta (come ha potuto fare Elvis nei 50’s, “Sgt Peppers” nel 1967, Hendrix nello stesso periodo, Frank Zappa, la prima elettronica nei 70’s, il punk, la new wave.
Credi ci sia ancora spazio per qualcosa di veramente nuovo ?


Tutto quello che viene reinterpretato e personalizzato e' nuovo secondo me.
Le grandi rivoluzioni cominciano dal cambiamento e dalla sperimentazione fatta giorno per giorno.
L'apertura mentale e' condizione necessaria nel processo creativo.

6
Una domanda che non manca mai è la famosa lista di dischi (rigorosamente in vinile) che ti porteresti sull’altrettanto famosa isola deserta (dotata di tutti i comfort, stereo incluso)
.

LED ZEPPELIN 2
SONATE DI BEETHOVEN SUONATE DA MAURIZIO POLLINI
MUSICA FROM MY MIND DI STEVIE WONDER
TUTTA LA DISCOGRAFIA ESISTENTE DI DJANGO REINHARDT ED ERROL GARNER e poi un mondo di altri grandi da CURTIS MAYFIELD a AL GREEN , BILL WHITERS, BILLIE HOLIDAY, LOUIS ARMSTRONG…. questo genere di domande mi mettono seriamente in crisi : ))) …..

lunedì, febbraio 24, 2014

Festival di Sanremo 2014



Premetto che non ho guardato granché il Festival, tra prove, concerto, Champions e Europe League.
Però HO ASCOLTATO LE CANZONI.
Lasciamo anche perdere il carrozzone insopportabile di ospiti, gerontofilia, pubblicità, sezione "giovani" etc etc.

Stiamo ovviamente parlando di MUSICA LEGGERA ma anche della più grande vetrina (l'unica ?) della musica italiana in televisione.
Si può (GIUSTAMENTE) IGNORARE, criticare, schifare ma è comunque sempre utile e interessante andare a dare un ascolto.

Personalmente ho trovato cose interessanti e gradevoli:
a partire dalla strana copia RAPHAEL GUALAZZI/BLOODY BEETROOTS, un techno soul di alta qualità e grande spessore (buono anche il brano escluso tra blues e gospel) a cui accoppio volentieri GIULIANO PALMA che ha portato sul palco suoni, colori e un mo(o)d di ispirazione cool 60's molto suggestivi (in particolare con il brano in pien ostile Motown poi escluso).
Non mi entusiasma "Pedala" di FRANKIE HI NRG ma l'incedere reggae/rocksteady in levare è un altro momento piuttosto particolare.

Anche PERTURBAZIONE, CRISTIANO DE ANDRE' e RON (con un country pop molto carino)hanno saputo proporre brani di contenuto e spessore.

E poi mi piace anche ricordare la presenza di "volti noti" da "queste parti" come DAVIDE ROSSI (che fu tastierista degli STATUTO prima , Casino Royale, Mau Mau poi e che ora suona il violino con i COLDPLAY !! tra gli altri, direttore d'orchestra con i Perturbazione) o ROBERTO VERNETTI (dietro a Ron e Sarcina) ex bassista degli Indigesti, già a Sanremo con gli Aeroplani Italiani e che produsse il primo EP di LILITH "Hello I love me!"

Certo, ci siamo dovuti sopportare Arisa e Renga, le Kessler e un'imbarazzante Carrà, Fazio e la palesa Litizzetto, Ligabue (!!!! Ligabueeeee !) e Cat Stevens (stranamente presentato con il nome originale e non con il "nuovo" Yusuf Islam) ma alla fine criticare per partito preso non è utile.

PS: avevo parlato di Sanremo anche lo scorso anno…ma era un festival un tantino diverso...

http://tonyface.blogspot.it/2013/02/festival-di-sanremo-2013.html

domenica, febbraio 23, 2014

Paul Buchanan, "Mid Air"



A cura di ANDREA FORNASARI

Lo scozzese Paul Buchanan non è certo un tipo frettoloso: due ottimi dischi con i Blue Nile negli anni ottanta ed uno a fine novanta altrettanto meritevole.
Poi nel 2004 il quarto album in vent'anni: fine della storia Blue Nile.

"Mid Air" è quindi il primo lavoro solista di Buchanan, arriva dopo otto anni di silenzio ed è uno dei dischi più belli e intensi che mi sia capitato di ascoltare da molto tempo: il ritorno dell'ex Blue Nile sulla scena musicale non poteva essere più consono alla figura sfuggente che gli fornisce quel profilo così appartato nella vita.
Peculiarità che, insieme al fatto di essere stato uno dei protagonisti "minori" del synth pop anni ottanta - quello colto e raffinato, lo rende molto vicino, umanamente e artisticamente, ad un altro anti-divo pop per eccellenza: Mark Hollis.
Non solo.
La stessa idea di minimalismo all'interno della canzone pop, la volontà di ricorrere a poche note suonate e a molte solo "immaginate", la capacità di dilatare gli spazi e i tempi pur dentro la forma canzone classica (soprattutto Buchanan), l'utilizzo di pause e silenzi, nonchè il concetto di suonare il "meno possibile" sono tutte caratteristiche che accomunano Hollis e Buchanan.

"Mid Air" è un gioiello per raffinatezza a capacità evocativa di un immaginario malinconico e avvolgente, dolce e in parte notturno: la voce, il piano e pochissimo altro.
Qualche lamento di synth al posto giusto, qualche arco e due note due appena soffiate, ed ecco apparire rarefatte atmosfere ondeggianti, vibranti nell'aria, che incantano e subito spariscono: una musica talmente diafana che la si potrebbe attraversare.
Romanticismo decadente su rintocchi pianistici, movimenti appena sfiorati come se Arvo Part scrivesse canzoni pop plasmandole nella luce.
Qualcuno lo chiama classicismo pop: non saprei, per me è poesia.

Delizie melodiche sospese che fanno trattenere il fiato: "Wedding party" sogna ad occhi aperti e osserva la vita da una finestra con i vetri appannati, la luce fioca alle nostre spalle, il freddo là fuori e un'alba gelida che nasce nel petto.
"Summer's on it's way" è composta da frammenti di tempo e spazio come improvvisi ricordi di amori perduti o mai nati, il senso del poteva essere e non è stato.
"Fin de siecle" uno strumentale (piano e archi) meraviglioso e inatteso.

Sono brividi sottopelle per epidermidi ipersensibili, per chi in qualche misura riesce ad apprezzare il concetto che sottrarre possa essere meglio che sommare.
Non c'è nulla di celestiale o di neoplatonico, qui l'idea stessa è già forma compiuta in terra, nel gesto quotidiano, senza ascetiche convulsioni metafisiche: è lì, cristallina e lucente, è pensiero compresso in tre minuti o anche meno.
Sono quattordici brevi sospiri che durano in tutto poco più di mezz'ora ma qui, davvero, il tempo non conta più: è un intervallo, una pausa dal mondo, un piccolo abbandono.
In mezzo a tanta mediocrità succede che ogni tanto qualcosa ti ricorda che cos'è un lavoro artistico, che cos'è l'ispirazione, e spazza via tutto il resto.

Ora siamo pronti per tornare a noi stessi?

sabato, febbraio 22, 2014

GIAN GILBERTO MONTI - L’amore che fa boum



Un dettagliatissimo (a tratti eccessivamente, si rischia di perdersi e annoiarsi nel calderone di date, nomi, dati, episodi, circostanze) racconto romanzato della tragica vicenda della Banda Bonnot di JULES BONNOT, gruppo di anarchici “illegalisti” (che giustificavano le azioni criminose come mezzo per raggiungere l’anarchia e distruggere il sistema statale) che mise a ferro e fuoco la Francia dei primi del ‘900, tra l’altro inizialmente con estrema facilità essendo gli unici (e i primi) ad usare auto (rubate) per i loro audaci colpi.

Giangilberto Monti (che, ricordiamolo, è anche protagonista di una valida carriera come cantautore) ricostruisce la storia, inserisce efficaci dialoghi, mantenendo abilmente tutto il racconto in perfetto bilico tra storia reale e romanzo.
Con tragica conclusione con Bonnot ucciso, altri giustiziati, altri ancora condannati a dure pene.
Sullo sfondo ma anche in primo piano la splendida utopia anarchica, l’ideale, gli ideali.

venerdì, febbraio 21, 2014

Dieci motivi per cui quando suonate il locale è vuoto



Suonare è difficile , riempire i locali ancora di più.
Spesso capita perchè:

1)
Immancabilmente in contemporanea suona un gruppo più importante del vostro a poca distanza.

Capita praticamente (quasi) sempre !
Con i Not Moving ci trovammo a Taormina in un locale chic (il giorno prima c’era Gilbert Becaud e il giorno dopo Ornella Vanoni....) a pagamento mentre a poca distanza suonavano i Gang gratis in piazza in una festa finale di un concorso di gruppi locali....
Con Lilith a Colledimacine, ridente paesino arrampicato sulla Maiella, constatammo che a pochi km c’erano invece i Nomadi, gratis in piazza.

2)
E’ mercoledì o giovedì e c’è la Champions o il calcio in TV.
E non ci sono speranze....
Ah, ancora meno se c’è Sanremo...

3)
Il locale non ha MAI fatto concerti “rock” ma per qualche motivo imperscrutabile ha deciso di provarci.
Risultato: la gente del posto non si sogna nemmeno di mettere piede in un posto che abitualmente fa liscio o discoteca

4)
Variante di cui sopra. Il locale, per motivi economico/fiscali/chissàcosa, vuole un gruppo prima della discoteca.
Risultato: suoni davanti ad un sacco di persone che non vedono l’ora che tu smetta per poter ballare, senza curarsi minimamente del tuo concerto o peggio ancora accompagnando la fine dei brani con espliciti “bastaaaaaa !”

5)
Il locale non si è premurato di fare la benchè minima promozione (ne è testimonianza il pacco di locandine che hai spedito che trovi intonso nei camerini) nè sui media locali, talvolta nemmeno all’interno del locale stesso.
Non di rado capita di sentirsi rimproverare di “non aver portato gente”.

6)
La data è fissata per la prima volta il martedì (bisogna abituare la gente piano piano)

7)
La data è fissata durante un ponte da un locale che di solito accoglie al 90% universitari

8)
La data è fissata prima o dopo una festa o un concerto di un gruppo che riempirà/ha riempito

9)
La data è fissata agli inizi di settembre quando c’è ancora caldissimo, a fine maggio quando c’è già caldissimo o in voluta concomitanza con un festival o un concerto ben più importante per rompere le palle ai concorrenti

10)
IL GRUPPO VALE DAVVERO POCO (almeno da quelle parti…..).

giovedì, febbraio 20, 2014

Squadre africane ai Mondiali



Prosegue la rubrica ASPETTANDO IL MONDIALE che ogni settimana proporrà un racconto o una storia relativa all'appuntamento quadriennale che si svolgerà quest'anno in Brasile.
Oggi parliamo delle SQUADRE AFRICANE ai Mondiali.

Qui le altre puntate: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Aspettando%20il%20Mondiale


Da sempre in attesa di un’imminente esplosione, il calcio africano continua invece a faticare ad imporsi come potrebbe.
Tante individualità di livello eccelso ma squadre quasi sempre divise e minate da insolubili problemi organizzativi, rivalità interne, enormi disparità tecniche tra i campioni e altri membri della rosa.

Fino al 1990 le partecipazioni furono prevalentemente simboliche.
Nel 1934, l’Egitto fu su subito eliminato agli ottavi dall’Ungheria per 4-2.

E’ solo nel 1970 che ritroviamo l’Africa ai Mondiali con il Marocco eliminato al primo turno da Germania Ovest, Perù e Bulgaria (con cui rimedia l’unico punto) mentre nel 1974 lo Zaire viene sommerso di gol dalla Jugoslavia (9-0) dopo aver impensierito la Scozia (0-2) e finendo con il Brasile (0-3) che non infierisce.

Nel 1978 la Tunisia porta a casa la prima vittoria africana (e un dignitoso Mondiale) con un 3-1 al Messico prima di venire eliminata dopo la sconfitte con la Polonia (1-0) e un pareggio con la Germania Ovest (0-0).

Il Camerun di Milla spaventa tutti, soprattutto l’Italia nel 1982, tornando eliminato ma imbattuto con due 0-0 con Polonia e Perù e l’ 1-1 con gli azzurri (con strascico polemico circa una presunta combine) mentre l’Algeria di Madjer esce dopo aver batttuto la Germania Ovest e il Cile grazie alla combine tra tedeschi e austriaci.

Nel 1986 fa’ faville il Marocco, vincendo il suo girone dopo due 0-0 con Polonia e Inghilterra e un 3-1 al Portogallo fuori poi di misura agli ottavi 1-0 dalla Germania Ovest mentre l’Algeria si ferma subito raccogliendo 1 punto (1-1 con l’Irlanda del Nord, 0-1 dal Brasile, 0-3 dalla Spagna).

Nel 1990 il Camerun vince il suo girone battendo clamorosamente l’Argentina 1-0 e la Romania 2-1, perdendo poi 4-0 dall’URSS ma arrivando fino ai quarti dopo aver eliminato 2-1 la Colombia ma dove verrà affossato dall’Inghilterra per 3-2. Poca gloria per l’Egitto invece subito fuori nonostante un buon pareggio (1-1) con l’Olanda e con l’Irlanda (0-0) ma sconfitto di misura 1-0 dagli inglesi.

Il Camerun non si riconferma nel 1994, fuori dopo un 2-2 con la Svezia, perdendo 6-1 dalla Russia (con gol del 42enne Milla !) e 3-0 dal Brasile.
La Nigeria invece all’esordio mondiale vince il girone battendo 3-0 la Bulgaria, 2-0 la Grecia e perdendo di misura dall’Argentina 2-1. Negli ottavi saranno castigati 2-1 dall’Italia. Il Marocco perde da Belgio, Olanda e perfino da Arabia Saudita ed esce subito.

Nel 1998 le squadre africane sono ben cinque.
Fuori il Marocco pur pareggiando con la Norvegia e massacrando la Scozia 3-0 (0-3 dal Brasile), il Camerun (ko 3-0 con l’Italia, pari con Cile e Austria), il Sudafrica (due pareggi con Arabia e Danimarca, ko con la Francia) e la Tunisia (1 punto con la Romania), avanti la Nigeria che vince il girone battendo Spagna e Bulgaria ma perdendo dal Paraguay.
Negli ottavi bastonati dalla Danimarca 4-1.

Esordio del Senegal nel 2002 che batte la Francia 1-0, pareggia con i danesi e l’Uruguay, negli ottavi batte la Svezia e si ferma ai quarti contro la Turchia. Fuori il Sudafrica, il Camerun, la Nigeria (nel girone di ferro con Argentina, Inghilterra e Svezia) e la Tunisia.

Nel 2006 l’esordiente Costa d’Avorio viene eliminata subito da Argentina e Olanda, come l’Angola che porta a casa due punti (con Messico e Iran).
Passa il Ghana, insieme all’Italia battendo Rep.Ceca e Usa ma fermandosi (3-0) agli ottavi con il Brasile), niente da fare per il Togo e i suoi zero punti e la Tunisia.

Nell’ultimo mondiale il Sudafrica non ce la fa davanti al pubblico di casa, fuori subito con Uruguay, Messico e Francia.
Neanche la Nigeria, solo 1 punto, come l’Algeria e il Camerun (fermo invece a 0).
Passa il forte Ghana battendo la Serbia e con un pareggio con l’Australia.
Negli ottavi batte gli USA e si ferma ai rigori ai quarti in una rocambolesca partita con l’Uruguay.

Per il 2014 bene può fare la forte Costa d’Avorio (inserita in un girone facile con Grecia, Colombia e Giappone e che agli ottavi troverebbe una tra Italia, Inghilterra o Uruguay).
Più complicata la vita per Camerun, Algeria (piuttosto deboli) e Ghana (quest’ultima con Germania, Portogallo e Usa) mentre la Nigeria con Argentina, Iran e Bosnia ha parecchie possibilità in più (e negli ottavi avrebbe Francia, Svizzera o Ecuador).

mercoledì, febbraio 19, 2014

Arthur Schopenhauer



ANDREA FORNASARI ci regala un consueto saggio di riflessione filosofica. Come sempre da non perdere.

Da leggere anche i precedenti interventi in merito:

http://tonyface.blogspot.it/search/label/Filosofia

Intanto:
"La pietra descrive una linea retta rispetto a un sistema di coordinate rigidamente connesso alla vettura, ma rispetto a un sistema di coordinate rigidamente connesse al terreno (terrapieno), descrive una parabola.
Con l'aiuto di questo esempio, si rende evidente come non esista un fenomeno quale una traiettoria in senso assoluto, ma solo una traiettoria rispetto a un determinato corpo di riferimento".

(Albert Einstein, La teoria generale della relatività)

Nell'opera principale di Arthur Schopenhauer (1788 - 1860), "Il mondo come volontà e rappresentazione", l'interazione di volontà, rappresentazione, religione ed estetica delinea un universo instabile.
Come asseriscono le prime parole di Schopenhauer: "Il mondo è la mia rappresentazione e questa è una verità che vale in rapporto a ogni essere vivente e conoscente, sebbene l'uomo soltanto possa tradurla nella coscienza riflessa, astratta; e se ciò egli fa realmente, ecco che è cominciata in lui la riflessione filosofica".

Per Schopenhauer, la cosa in sè kantiana è introvabile, ma non lo è la volontà per trovarla.
Ciò che inoltre mette a repentaglio e distrugge ogni uomo non è la percezione erronea ma quella stessa volontà. La volontà provoca discordia, sofferenza e malvagità: la sua presa implacabile e compulsiva su un essere razionale rende inutile, e in definitiva assurdo, gran parte dell'agire umano.
"Un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere che ciò che vuole".

Quest'ultime parole di Schopenhauer sono citate da Albert Einstein nel suo "Come io vedo il mondo", ed egli ci dice: "Non credo affatto nella libertà dell'uomo nel senso filosofico della parola.
Ciascuno agisce non soltanto sotto l'impulso di un imperativo esteriore, ma anche secondo una necessità interiore.
L'aforisma di Schopenhauer mi ha vivamente impressionato fin dalla giovinezza; nel turbine di avvenimenti e di prove imposte dalla durezza della vita, quelle parole sono sempre state per me un conforto e una sorgente inesauribile di tolleranza.
Aver coscienza di ciò contribuisce ad addolcire il senso di responsabilità che facilmente ci mortifica e ci evita di prendere troppo sul serio noi come gli altri; si è condotti così a una concezione della vita che lascia un posto singolare allo humour".
Insomma, non male questa rivincita in chiave ottimistica e ironica per un pensatore spesso considerato come un romantico pessimista.
Al di là di ogni prospettiva filosofica sulla verità assoluta, le trattazioni di Schopenhauer sondano il significato del soffrire e suggeriscono che la vita è sostanzialmente priva di un supporto superiore.
Invece di accettare la credenza in ogni assoluto, il filosofo tedesco accetta il mondo così come lo vede o lo vuole ogni uomo: ironicamente, benchè l'uomo disponga di libero arbitrio è imprigonato dalla sua inutilità. Le uniche vie di fuga dalla volontà si realizzano attraverso il sacrificio, l'altruismo e l'abnegazione, così come grazie ad una esperienza estetica.
Schopenhauer sostiene che in realtà l'arte è più importante della conoscenza perchè aiuta l'uomo a trascendere la sua condizione, poichè colui che ascolta musica o assiste a una rappresentazione drammatica beneficia di momenti di libertà dall'autocoscienza e dalla volontà.

Per Schopenhauer è possibile mitigare la volontà attraverso il diniego, le arti, la trascendenza, la convinzione religiosa: alla fin fine, però, non c'è via d'uscita.
L'azione, persino l'auto-immolazione, sono espressioni della volontà che sconfigge l'uomo in cerca di una scappatoia.
Secondo Tommaso d'Aquino, Kant, Leibniz e altri teisti razionali, Dio e la verità esistono affinchè l'uomo e la moralità non siano insignificanti: un uomo retto non può quindi navigare un mondo di monadi mutevoli senza timore di incagliarsi in una secca di false percezioni.
Per Schopenhauer, ateo razionale, la risposta era piuttosto semplice, tanto che venne spesso cooptata dalla religione e oggi è persino venduta e celebrata sulle magliettine: "La compassione è la base di tutta la moralità".
Se Schopenhauer credeva che la verità avesse da compiere un viaggio accidentato per essere convalidata, avrebbe potuto abbracciare la visione di John Keats che equiparava la verità alla bellezza nei celebri versi:

"Bellezza è verità, verità è bellezza / Questo a voi, sopra la terra, di sapere è dato / Questo, non altro, a voi, sopra la terra, è bastante sapere"

martedì, febbraio 18, 2014

Intervista a FERRUCCIO QUERCETTI dei CUT



Dopo FEDERICO FIUMANI dei DIAFRAMMA, al giornalista FEDERICO GUGLIELMI, ad OSKAR GIAMMARINARO, cantante e anima degli STATUTO, al presidente dell'Associazione Audiocoop GIORDANO SANGIORGI, a JOE STRUMMER, a MARINO SEVERINI dei GANG, a UMBERTO PALAZZO dei SANTO NIENTE, LUCA RE dei SICK ROSE, LUCA GIOVANARDI e NICOLA CALEFFI dei JULIE'S HAIRCUT, GIANCARLO ONORATO, LILITH di LILITH AND THE SINNERSAINTS, a Lorenzo Moretti, chitarrista e compositore dei GIUDA, il giornalista MASSIMO COTTO, a FAY HALLAM, SALVATORE URSUS D'URSO dei NO STRANGE, CESARE BASILE, MORENO SPIROGI degli AVVOLTOI, spazio oggi a FERRUCCIO QUERCETTI dei CUT, tra le migliori bands italiane in circolazione e con cui ho avuto l'onore di collaborare in un album di Lilith and the Sinnersaints.

Le altre interviste le trovate qui: http://tonyface.blogspot.it/search/label/Le%20interviste

Perchè, secondo te, il “rock” indie italiano di un certo livello, con poche eccezioni, ha un’età media che va ben oltre i 40 anni ? Abbiamo perso una generazione ?

E' inutile nascondere che anche io mi sento un "veteran of the psychic wars" per dirla con i Blue Oyster Cult.
Ho 41 anni e sono cresciuto in un mondo in cui non c'era niente di quello che c'è adesso per poter ascoltare e conoscere la musica.
Sono cresciuto a Giulianova in Abruzzo, lontano fisicamente e mentalmente da dove avvenivano "le cose".
Eppure per quanto mi riguarda il motivo per cui io sono ancora qua è proprio questo. Io ho avuto "fame" e pure tanta.

Sicuramente anche a te sarà capitato di sentirti dire dai tuoi genitori, che si sono spezzati la schiena sul lavoro per cinquant'anni magari, che il lavoro è importante perché loro hanno sentito la fame, quella vera, e sanno cosa vuol dire non avere quello che oggi dai per scontato.
Ecco, traslando il discorso sul piano culturale e musicale, io ho accumulato troppa fame di musica per potermi saziare a quarant'anni e forse non mi sazierò mai.
La fame, specie quando l'hai provata in giovane età rimane dentro di te, è atavica, ancestrale.
Chi condivide la nostra passione ed è cresciuto in provincia in quegli anni (i famosi ’80) sa benissimo di cosa stiamo parlando.
Infatti quando riuscivo a mettere le mani su un disco, un singolo disco che avevo anelato per mesi, a volte anni io lo divoravo, lo addentavo e poi lo sputavo, lo rimasticavo e lo rimangiavo fino a che non diventava parte di me fino all'ultimo solco.
Era esattamente così, non sto esagerando.
Io so perfettamente, per ciascuno dei dischi che ho ascoltato in quel periodo, il motivo per cui amo (o odio) quella canzone o quell’album.
Conosco bene anche i dischi che non mi piacciono.
Ho avuto modo di assaporarli per bene prima di prendere una decisione al loro riguardo.

Per me ascoltare tanta musica è importante ma il rapporto che stabilisci con questa musica è addirittura essenziale, specie negli anni, diciamo così, di formazione. Con quelle 10/12 canzoni sulle quali riuscivo a mettere le mani ogni 15/20 giorni si stabiliva un rapporto profondissimo, diventavano la colonna sonora delle mie emozioni, dei miei problemi, della mia rabbia, del mio entusiasmo e delle mie delusioni.
Per un adolescente di oggi è possibile fare lo stesso?
E’ possibile stabilire lo stesso rapporto intimo e viscerale con i quarantamila, centomila brani al giorno che si possono scaricare oggi?
Non lo so questo, non è la mia generazione.
Io so solo che personalmente non ci riesco perché il mio gusto e la mia personalità musicale si sono formati nel modo in che descrivevo prima, a questo livello di intensità.

Non parliamo dei concerti poi.
Io non ci dormivo la notte prima di un concerto rock di qualsiasi tipo.
Qualsiasi cosa pur veder salire sul palco dei musicisti con le chitarre a tracolla.
Per me quella era già un'emozione indicibile, ancora prima che iniziasse il concerto. Anche solo vedere come erano fatti i musicisti era incredibilmente eccitante, visto che se andava bene li avevi intravisti sulla copertina del disco o su qualche foto su Rockerilla.
Vivere l’esperienza del concerto era il massimo che potevi desiderare, anche perché all’epoca, a parte qualche VHS sbiadito e passato di mano in mano come si faceva con i film porno, non c’era altro modo di vedere la tua musica dal vivo, non c’erano youtube e lo streaming.
Ancora oggi non ho trovato niente che mi emozioni tanto come una live band selvaggia sul palco di un piccolo club. Portatemi lì e lasciatemici, io sono a posto.
La stessa cosa riguarda lo stare in una band o l'essere coinvolti attivamente nella musica. Io ho desiderato così tanto essere in una band, esprimermi attraverso la musica che questa cosa non la mollo così facilmente. Dal momento in cui io ho formato un gruppo, posso andare in giro a suonare la mia musica e posso fare dei dischi io sono arrivato: non ho bisogno d’altro, lo scopo della mia vita l’ho già raggiunto.
E’ ovvio che sapere che quello che faccio è apprezzato mi fa piacere, ma io non sono qui per essere “piaciuto”: sono qui per stabilire, attraverso il mezzo di espressione che mi emoziona di più di tutti, un contatto vero, non mediato. Sono qui per esprimere quello che è inesprimibile con altri mezzi, per persone che condividono un sentire comune, mai ben definito ma sempre incredibilmente preciso. Io per questo ho fatto una scelta di vita che mi ha salvato e rovinato nello stesso momento, ma che mi definisce totalmente come persona.
Non è che la mollo questa cosa perché è uscito il nuovo Tablet che mi consente di lavorare a un progetto grafico in maniera professionale. Io amo il rock and roll: l'ho bramato, desiderato e sognato. E una volta trovato, in qualche forma, non lo mollo più.
Non è una delle tante cose che faccio nella vita.
E' LA COSA che faccio, l'unica in cui metto tutto me stesso. Tutto il resto è un male necessario per quanto mi riguarda, lavoro in primis.
Ecco, io credo che chi è appartenuto alla nostra generazione e ha amato quello che abbiamo amato noi, ha sentito questa "fame", questa tarlo, questa maledizione.
E' un buco dentro che non si riempirà mai e che anzi continua ad autoalimentarsi.
Non credo, per tutta una serie di motivi legati all'epoca che stiamo vivendo, che sia lo stesso per i ragazzi di questa generazione. Non è meglio e neppure peggio, non voglio giudicare, non è giusto e neppure mi interessa.
Posso solo dire come era per me perché sono praticamente certo che il motivo per cui noi siamo ancora qui è essenzialmente questo.

Per chi è stato adolescente in Italia fino all’inizio degli anni ’90, (già a partire dal Grunge molte cose sono cambiate) ascoltare e vivere questa musica significava fare una scelta che ti avrebbe separato definitivamente dal resto della società.
Questo lo capivi subito, dagli sguardi, dai commenti, dalle prese per il culo, da quante volte iniziavano a fermarti i carabinieri per strada o da quante volte ti trovavi solo con la tua passione. Ma veramente solo.
Anche solo fare cose considerate adesso normalissime, come andare a un concerto o ascoltare un disco, voleva dire mettersi in gioco completamente a tutti i livelli. Voleva dire prendere treni, fare chilometri in vespa, incontrare le persone più disparate, recarsi in ambienti “malfamati e pericolosi”. Voleva dire entrare in contatto con gente strana, con idee politiche radicali: persone con le quali era meglio non farsi vedere in giro. La mia coscienza politica per esempio è cresciuta di pari passo con la mia passione per la musica. Perché è lì che stava la nostra musica. Non stava in televisione. Non stava su internet insieme alle notifiche sul nuovo fidanzato di Belen Rodriguez. La nostra musica si annidava negli ambienti dove stavano quelli diversi, quelli a cui non andava tanto bene come era fatto il mondo e che a loro volta non erano fatti tanto bene per il mondo. Se tu ti sentivi così prima o poi ci andavi a finire in questi posti: se avevi voglia di cercare ovviamente.

Essere alternativi, per usare una bruttissima parola, all’epoca voleva dire questo e non semplicemente abbonarsi a Spotify e aspettarne le notifiche sull’Iphone o digitare “indie music releases” invece che “music releases” su Google: non era solo una questione di gusti più o meno raffinati. Non era come iscriversi a un corso di snowboard, di samba o di meditazione.
Questa musica non te la passava la televisione di stato o quella di Berlusconi e neppure il suo corrispettivo contemporaneo, ovvero internet. Perché se vai su internet adesso puoi scaricare un disco dei Negazione mentre ti salta fuori il pop-up con Maria De Filippi.
E’ tutto sovrapposto, è tutto nello stesso contenitore: io non mi ci voglio abituare a questa cosa.
Prima non era così, certe cose erano nettamente, volutamente separate. I canali attraverso i quali ti arrivavano le cose erano altrettanto importanti delle cose stesse perché diventavano un’esperienza di vita caratterizzante, nel bene e nel male.

Infatti io la "fame" di cui sopra, anche se per gran parte della mia vita l'ho odiata, adesso la benedico. Perché mi ha insegnato che a volte avere un limite da sfidare è più importante di avere infinite possibilità. Perché la tensione che ci hai messo per superarli questi limiti marchierà la tua musica con la tua esperienza che è sempre unica: anche se tutto quello che vuoi è suonare come i Sonics non sarai mai il clone di nessuno perché la tua storia alla fine appartiene solo a te e, volente o nolente, finirà nel tuo sound, con tutta l’intensità che ci vuole. Perché per desiderarle, le possibilità, devi prima avere dei limiti. Le possibilità, le opportunità senza il desiderio, senza la lotta, senza il conflitto non servono a niente. In gran parte della musica che esce oggi non sento l’intensità, il bisogno fisico, viscerale di suonare ed esprimersi: forse perché questa musica la vive, la suona, la esperisce gente che è cresciuta con un diverso modo di rapportarsi ad essa rispetto a noi: un modo diciamo così, molto virtuale e leggero. Non lo so, è un parere da vecchio il mio, me ne rendo conto. Fatto sta che io pretendo molto dai dischi e dai concerti. Pretendo che chi suona mi faccia sapere che per lui quello è il vero motivo per cui si è alzato la mattina, ma non solo quella mattina perché c’è il concerto, intendo tutte le mattine della sua vita.
Perché per me è così e posso dire per esperienza diretta che (per quanto io mi sia rovinato la vita e sia quello che il mondo considera un fallito) a differenza di tanta gente che conosco in vari ambiti, prima di tutto in quello lavorativo, io so perfettamente di avere un motivo vero per alzarmi la mattina, tutti i giorni, da qui fino a quando non crepo.
Soprattutto so di avere un motivo che appartiene solo a me: procurarmi il cibo, il cibo per l'anima, come si diceva una volta.

Vivere di musica in Italia è praticamente impossibile se non scendi a pesanti compromessi.
Nonostante ci sia comunque interesse e un potenziale pubblico. Cosa manca, soprattutto cosa è mancato in questi anni ?


Guarda io sono convinto che l'Italia dal punto di vista meramente musicale se si escludono Inghilterra, Stati Uniti, Canada e Oceania (e forse la Germania degli anni d'oro del krautrock) abbia avuto una scena rock indipendente che non ha niente da invidiare a quasi tutti gli altri paesi esteri.

I musicisti e le band di talento in questo paese ci sono sempre stati.
E non è vero che qui non c'è una cultura rock: questa è una cazzata che sento troppo spesso.
In Italia una cultura rock c'è eccome, solo che non è nazional-popolare e neppure accademica: è una cultura minoritaria, per carbonari. Non è una cultura di massa e neppure una cultura d'élite da far piovere dall'alto. Perché in questo paese funziona così: c'è la discarica culturale nazional popolare oppure la cultura "alta" da guardare con un certo timore, la cultura che si prende sul serio quella delle accademie, degli scrittori e registi da talk show, dei conservatori musicali. Una cultura che si prende incredibilmente sul serio che viene elargita al popolino con aria di superiorità, ma che è più effimera di un romanzo di Harmony. Un fenomeno di cultura popolare stratificato come quello del rock and roll e delle sue derivazione è incomprensibile da questo paese, o perlomeno non a livello di massa. L’organizzazione della circolazione della cultura in Italia non è predisposta per accogliere questo tipo di fenomeni. Potresti esse Jimi Hendrix o Otis Redding e qui da noi non se ne accorgerebbe nessuno, semplicemente, E' un tipo di cultura alla quale non è riconosciuta dignità artistica e nello stesso tempo non muove interessi economici.
Per questo motivo nessuno è mai stato interessato a darle credito né a livello istituzionale né privato. Da questo deriva la nostra condizione di poveri eterni. Perché per avere riconoscimento, e quindi i soldi, in Italia o fai l’artista che si prende sul serio o sei un caimano. In mezzo non c'è niente, anzi ci siamo noi che siamo pochi e non contiamo un cazzo per nessuno.
Ma ci siamo eccome e ci siamo sempre stati. E basta metter il naso fuori da questo posto per capire che possiamo dire la nostra anche all‘estero. Basterebbe che a crederci non fossero sempre e solo i gruppi, ma anche le strutture, anche quelle piccolissime, che dovrebbero supportarli nonché gli appassionati, gli amanti italiani di questa musica. Perché è molto meglio suonare per poche persone un po’ dappertutto in Europa e nel mondo (Italia inclusa, ovviamente) che dover calare le braghe per farsi accettare dalle istituzioni e dalla massa di un paese al quale di quello che fai non gliene po’ fregà de meno comunque. Sarebbe possibile anche viverci con questa cosa, se non pensassimo sempre in maniera autarchica e iniziassimo a confrontarci da subito con un mondo che non ha nessun pregiudizio nei nostri confronti.
A un russo o a un americano interessa ascoltare del buon rock and roll e non gliene frega niente se quelli che suonano sono cingalesi, tedeschi, italiani o spagnoli.
A lui interessa quello che sente, come a noi quando ascoltiamo un disco, che so, di garage svedese: a chi interessa la nazionalità dei musicisti se il disco o il concerto sono buoni? A nessuno in primis a noi, tranne se sappiamo che i musicisti sono italiani: ed ecco che torna il solito provincialismo. I pregiudizi (quelli veri, quelli che ti stroncano) nei nostri confronti ce li abbiamo solo noi e noi italiani siamo maestri di autolesionismo, specie nel confronto con l’estero. Nel nostro caso il grosso errore è stato quello di non essersene andati via quando si era in tempo. Ormai però è andata così quindi bisogna andare avanti senza lamentarsi troppo mantenendo però la consapevolezza di quanto detto sopra e cercando il più possibile di allargare i propri orizzonti.

Voi vi affidate ancora spesso al vinile per le vostre produzioni.
Pensi che come da ogni parte pronosticato il supporto “fisico” sia destinato ad essere inevitabilmente sostituito dalla cosiddetta “musica liquida” fatta di file e mp3 ?


Breve premessa: io sono contento del fatto che oggi grazie a internet si riescano a vedere e ad ascoltare cose prima impensabili.
Però per poterle sfruttare a pieno queste possibilità bisogna prima averle desiderate. Bisogna aver avuto fame, come si diceva sopra. Avere un la possibilità di scaricare un miliardo di brani al giorno non serve a un cazzo, se dall’altra parte della rete non c’è qualcun che li brama, che li desidera questi brani. Da questo punto di vista credo che internet con annessi e connessi sia uno strumento del quale godono più i vecchi come noi, quelli della famosa fame, che non i giovani che ci sono nati "dentro".
Voglio dire se tutti i giorni da quando sei nato ti sei sempre trovato davanti una tavola imbandita è probabile che tu non faccia più caso a quello che mangi. Se invece per procurarti il cibo hai dovuto fare quello che abbiamo dovuto fare noi, il discorso cambia decisamente.
Sono anche contento di poter organizzare un tour europeo e di comunicare con gente di tutto il mondo a costo (e sforzo) quasi zero rispetto al passato. Sarei un ipocrita quindi se dicessi che non sfruttiamo e utilizziamo internet. Tuttavia dal punto di vista creativo credo che internet sia stato una delle più grandi disgrazie mai abbattutesi sull’umanità, in particolare per la musica.

Personalmente non mi rassegno a un mondo in cui la musica è solo un infinito file da scaricare. Noi faremo dischi in vinile anche se fossimo gli ultimi rimasti sul pianeta terra a comprarli ed ad ascoltarli. Continueremo a registrare i nostri dischi con l'idea che chi li ascolterà lo farà con la stessa attenzione con cui li ascoltavamo e li ascoltiamo noi, senza saltare da una traccia all'altra ogni dieci secondi perché bisogna riuscire ad ascoltare i 60 di giga di musica a caso che si è scaricata nella mezz'ora precedente.
Continueremo a fare musica come se ci fosse della gente che ha realmente bisogno di ascoltarla e di farla, perché è così che siamo abituati. E continueremo a utilizzare internet per organizzarci i tour, per far conoscere cosa e per toglierci lo sfizio di vedere quel video dei Cramps che abbiamo desiderato di vedere per anni, quando internet ancora non c'era.

Per molto tempo Bologna è stata in qualche modo una delle principali città di riferimento della scena “indie”/alternativa italiana. Pensi abbia ancora di queste caratteristiche?

Dal punto di vista musicale direi di sì.
Esiste un ricambio creativo continuo dovuto principalmente all'università e al fatto che (anche se in misura minore rispetto al passato per ragioni economiche e della politica diciamo così socio universitaria) continuano ad approdare a Bologna giovani da tutta Italia con ambizioni artistiche di vario genere.
Devo ammettere però che camminando per strada non percepisci più quella vitalità culturale che caratterizzava la città in passato. Gli anni Guazzaloca/Cofferati poi hanno rappresentato il nadir da questo punto di vista. Adesso la città mi sembra decisamente in ripresa rispetto a quel periodo. L'offerta di concerti poi è vastissima, credo che solo un pazzo possa lamentarsi della città da questo punto di vista. Poche capitali europee (Londra, Berlino, Parigi) vedono passare tutti i gruppi internazionali che passano da Bologna e zone limitrofe, specie a livello di musica "alternativa".
Dal punto di vista sociale e direi antropologico la città è cambiata tantissimo anche rispetto ai primi anni '90 quando ho iniziato a viverla io. E’ cambiata l'Italia intera.
C'è molta pressione su Bologna, pressione da "sinistra" se capisci cosa intendo. E' come se la città dovesse essere sempre quell'isola felice di cui si parlava anni fa.
Il problema è che Bologna si trova in Italia e vive delle stesse miserie di cui vive il resto del paese. Non si può portare la fiaccola delle magnifiche arti e progressive per sempre, soprattutto se tutto intorno a te crolla e ti manca pure la terra sotto i piedi. Bisogna sempre ricordarsi che Bologna è stata il laboratorio socio-politico per le sperimentazioni delle nuove tendenze della sinistra italiana, nel bene e nel male. E se consideri la situazione in cui versa la sinistra italiana insomma puoi farti un’idea…

La consueta lista dei dischi da portare sull’isola deserta, un disco dei CUT che consiglieresti a chi vi vuole conoscere e qualcuno che regaleresti per chi è digiuno in materia rock n roll.

E' una domanda a cui per me è impossibile rispondere.
Ti posso dire dieci dischi tra quelli che per me sono stati tra i più importanti per la mia storia personale e per la "formazione" di appassionato e musicista ma ce ne sarebbero tantissimi altri in realtà..

1) The Clash "London Calling"
2) The Rolling Stones "Exile On Mn. St."
3) The Stooges "Funhouse"
4) The MC5 "Kick Out The Jams"
5) Husker Du "Warehouse Songs & Stories"
6) The Wipers "Is This Real?"
7 The Velvet Underground & Nico "VU & Nico"
8) The Damned "Damned, Damned, Damned"
9) The Ramones "The Ramones"
10) Iggy & The Stooges "Raw Power"

Per quanto riguarda il disco per i "digiunati" del rock and roll, beh uno a caso di quelli citati sopra è in grado di cambiarti la vita.
Se dobbiamo attenerci al rock and roll come stile io direi "…With Berry on top" di Chuck Berry oppure un greatest hit del mio blues/rock and roller preferito Bo Diddley. Anche "Here Are…" dei Sonics è un ottimo battesimo del fuoco direi.

Per conoscerci dire "A Different Beat" oppure il live "Battle of Britain" registrato a Liverpool nel febbraio 2011. Lo trovate sul sito della nostra etichetta Gamma Pop oppure tramite Ghost Records.

Ah...avete in programma qualcosa di particolare per il 2014 ? Dischi, tour etc.

Dal 22 al 31 marzo saremo in tour in UK. Per l'occasione uscirà un brano - per ora solo online - con alla voce Pete Bentham cantante di Pete Bentham & The Dinner Ladies gruppo di Liverpool tra Dr. Feelgood e X-Ray Spex.
Pete è un personaggio leggendario della scena punk del Mersey Side. E' in giro dalla metà degli anni'70 e le ha davvero viste tutte. Musicista, promoter, dj radiofonico, label manager: Pete organizza una serata settimanale denominata "ree rock and roll" in un club di Liverpool.
Ci ha invitati a suonare più di una volta in UK e io mi sono occupato di un tuo italiano dei Dinner Ladies. Il nostro piano è di realizzare più avanti uno split con PB&TDL con la nostra versione da un lato e la loro (sempre dello stesso brano) dall'altro.
Ovviamente lo porteremmo poi in tour sia in Italia che in UK. Ad aprile siamo ospiti di un festival a Malta. “Rock The South”
A ottobre/novembre invece ci sarà un tour europeo di due/tre settimane che toccherà Germania, Belgio, Francia, Olanda e altri paesi dell'Europa continentale.
Nel frattempo stiamo lavorando a due cose in contemporanea, ovvero i brani per il nostro nuovo album e una serie di collaborazioni con musicisti e persone che stimiamo sia musicalmente che umanamente diciamo così. La prima è quella con Pete ci cui ti parlavo ma ben presto se ne aggiungeranno delle altre che verranno pubblicate in formati diversi e poi, nella nostra idea, raccolte in un album.
Ah dimenticavo stiamo preparando la ristampa in vinile di A Different Beat, nostro album del 2006.

lunedì, febbraio 17, 2014

Musica italiana all'estero



L’incredibile successo della “reunion” di Albano e Romina a Mosca di poco tempo fa ha sancito il ruolo che certi nomi della musica italiana hanno in alcune parti del mondo in particolare nelle ex Repubbliche Sovietiche dove gli «italianzy» raccolgono successi (e cachet) strabilianti.
In Russia Toto Cutugno, Pupo, Ricchi e Poveri, Al Bano riempiono stadi e palasport, uno come Celentano continua a vendere milioni di copie.

  Nella primavera del 1983 la tv di Stato sovietica (ai tempi di Yuri Andropov) trasmise a sorpresa il Festival di Sanremo di poche settimane prima.
La radio passava solo musica classica e comunicati del partito e la tv mandava in onda musica da camera, balletto, canti popolari, canzoni di guerra e patriottiche.
Toto Cutugno, Al Bano e Romina, Ricchi e Poveri e Riccardo Fogli, Pupo e Celentano divennero in poco tempo i nomi più ricercati e seguiti nel mercato clandestino, “L’italiano e “Felicità” i più cantati.

Successivamente Toto Cotugno ha cantato davanti al presidente del Kazakhistan e a oltre 80.000 persone prima e a quello della Georgia poi, sempre davanti a decine di migliaia di persone, un ministro russo ha chiamato i Matia Bazar ad una festa privata in Crimea, i Ricchi e Poveri pare suonino decine di volte l’anno da quelle parti, per lo più in situazioni private, Pupo ha sbancato la Mongolia ("E' stata un'esperienza incredibile.
All'aeroporto mi hanno accolto da re, con limousine e autorità locali.
Tre spettacoli nel nuovo auditorium della capitale mongola, tremila persone impazzite a sera.
Pensa che mi hanno anche regalato un appartamento.
Ma io che me ne faccio?"
) e il Tagikistan dove è popolarissimo.
Senza dimenticare che i cachet si aggirano tranquillamente intorno alle decine di migliaia di euro (tutti dichiarati ?).
Infine una nota particolare per lo sconosciutissimo Son Pascal (Pasquale Caprino) vera star giovanile in Kazakistan.  

domenica, febbraio 16, 2014

Soul Food



Una breve ma ottima serie di nuove uscite di SOUL MUSIC.
Enjoy !


ST. PAUL & the BROKEN BONES - Half city
Vengono dall’Alabama e suonano un Southern Soul da paura, intrecciando Otis Redding, Sam Cooke, Bobby Bland e il primo Van Morrison.
Suono molto crudo, pochissimi fronzoli, ottima sezione fiati, ritmica grezza e “vintage”, voce particolarissima (tra Van e Mick Hucknall dei Simply Red) ma approccio modernissimo e album da ascoltare assolutamente.

ELINE GEMERTS - The gloves are off
Cantante jazz olandese, accompagnata dallo stupendo trio Hammond beat dei Super Swamp, con un ottimo album in cui si mischiano blues, soul, funk, jazz, black pop, funk suonati con cuore, anima e competenza.
Voce molto raffinata e delicata, ascolto consigliato.

THE GETUP - What If / Ooh Ooh
Si erano segnalati per una riuscita versione funk soul di “Get lucky” dei Daft Punk.
Tornano ora con un bellissimo singolo con due brani super funk come “What If” che rieccheggia i Jamiroquai in versione rozza e vintage e un grande strumentale come “Ooh Ooh” non lontano da un anfetaminico incrocio tra il primo James Taylor Quartet e i Meters.

LACK OF AFRO - Music for adverts
Al quarto album, il DJ Adam Gibbons, aka Lack of Afro, prosegue nella suo assemblaggio delle più disparate forme di black e dance music, mettendo insieme Northern Soul, funk, hip hop, con grande eclettismo e varietà di stili.
Il risultato è ovviamente ben fatto, frizzante, godibilissimo anche se non sembra mai decollare definitivamente.

sabato, febbraio 15, 2014

Tales from Liverpool



Un gustoso racconto da LIVERPOOL dal Nostro CHARLIE

Liverpool è una città musicale, che sia un motivo dei Beatles o lo sciabordio della Mersey sull'Albert Dock poco conta.
Tutto ha un suono e tutto ha un gusto dolcemente retrò, non so se trattasi di suggestione oppure verità comunque in questa città gli anni sessanta sembrano passati da poco.
Sarà perchè forse gli anni 60 a 'Pool, come nel resto del Regno, sono stati una sorta di golden era, sarà perchè poi dalla metà del decennio successivo la città entrò in una progressiva crisi che ebbe il suo culmine con le politiche liberiste della signora (minuscolo d'obbligo) Maggie fatto sta che girare per le strade di Liverpool ti catapulta in una dimensione temporale diversa.
Il mio blitz in terra d'Albione ha però un italianissimo prologo: L'Italia è un paese buffo dove ogni evento atmosferico che duri più di 12 ore genera allarme e manda tutto in tilt.
Venerdì 31 gennaio scendendo dal treno che dalle campagne umbre mi aveva catapultato nella città eterna sento l'annuncio "causa avverse condizioni meteo il servizio da Roma Termini a Fiumicino Aereoporto è temporaneamente sospeso"; sapete quante ore può durare in Italia un servizio sospeso temporaneamente?
Siccome io lo so(e voi pure) mi lancio verso gli autobus Terravision anch'essi bloccati quindi finalmente via, si parte direzione aereoporto con un taxi diviso con altri tre disperati, sorvolo sul costo della corsa e sull'occultamento del tassametro; anyway l'importante è partire per Brum e da li poi raggiungere Liverpool per un weekend di Footie, birra e musica.

Liverpool come detto è un posto particolare, non c'è moltissimo da vedere alla luce del sole ma la città della Mersey vanta una notevole varietà di musei e gallerie d'arte e ovviamente è la città che ha dato i natali alla pop-ular music. Non è roba da poco.
Dove ti giri ti giri sta pur sicuro che i faccioni dei Fab4 ti scrutano sorridenti dai cafè, dai bar, dai pub e dagli shop più o meno tematici.
I locali dove poter ascoltare musica live, fin dal pomeriggio, sono quasi tutti ad ingresso libero, si paga un piccolo pegno solo al Cavern nel caso si voglia entrare dopo le 20.

Il venerdì sera è la serata per eccellenza del weekend inglese, un sacco di gente in giro piena di voglia di divertirsi e piena pure di qualcos'altro (il binge drinking è un problema non da poco specie per i ragazzini) e quindi pure io dopo aver preso posto in albergo e dopo una doccia bollente mi sono lanciato nella mischia.
Al Cavern Club ho beccato prima un ragazzo con chitarra acustica che svariava tra Beatles e musica contemporanea (OCS, Oasis, Pulp fino a toccare punte di delirio con That's Entertainment ) facendosi ascoltare piacevolmente; dopo il local lad (che vedete pure in foto nel suo taglio di capelli welleriano) spazio ai The Rockits, quattro signori di mezza età con beer belly d'ordinanza che hanno sferragliato per due ore incendiando il locale con i classici di Who, Kinks, Small Faces, Searchers etc etc.
Tra il pubblico, di età davvero eterogenea, menzione d'onore ad una coppia fantastica over 50: lei con cofana modello Amy Winehouse (ma platinata), t-shirt senza maniche che metteva in mostra un braccio con su tatuato un veliero, un jolly roger flag e una coppia di pistole da pirati con il calcio stondato in pieno Corsaro Nero style, pantalone di pelle nero e anfibio da combattimento.
Il consorte forse ancor più stagionato di lei dopo una session di ballo si toglie la felpa e sfoggia....rullo di tamburi....la maglia da portiere grigio topo, con tanto di numero 1 sulle spalle, dell'Internacional de Porto Alegre (no, il signore era tutt'altro che brasiliano).
Riflettete: voi ci uscireste di venerdi sera con una maglia da portiere con su scritto tra l'altro Tramontina (suppongo sia lo sponsor tecnico)?
Comunque la serata è stata da urlo e sono uscito sudato fradicio perchè il locale, con ben sapete, è due piani sotto terra, molto affollato e con la temperatura really hot.
Il pezzo che ha raccolto più consensi nel set dei The Rockits è stato Won't get fooled again ma debbo dire che il tiro del concerto è stato di ottimo livello in generale. Stanco morto sono uscito da Cavern con le orecchie incendiate e con un pensiero fisso.....sarò mica nato nel paese sbagliato?

Sabato mattina il vento spettina ma la città già alle 10 è viva e pulsante; il mio stomaco fottutamente continentale fa si che non riesca ad andare oltre un caffè ed un paio di scones e poi sapete com'è, quando il pomeriggio c'è la partita io mi adombro sempre con qualche ora di anticipo.
L'appuntamento con Frank the Legend (negli ultimi 30 anni ha saltato tre trasferte) e gli altri Leoni Latini, i tifosi italiani del Villa, è alle 12 al Philarmonic (date un'occhiata perchè vale la pena http://www.nicholsonspubs.co.uk/thephil ... sliverpool ) in Hope Street, il nome benaugurante non servirà purtroppo, quindi c'è tempo per fare l'immacabile giro a HMV e a vari negozietti di memorabilia beatlesiana.
Dopo aver accoltellato la carta di credito in cd, t-shirt e mugs marcio verso il luogo dell'appuntamento e trovo i miei sodali al tavolo con 6 pirotecnici baschi vestiti nel seguente modo: 3 con la maglia della Real Sociedad, uno con la maglia dell'Athletic e due vestiti in pieno Old Firm Paella (uno con la maglia blanca ed uno vestito di azulgrana)....la democrazia è una bella cosa però... .

I Baschi andranno come noi a Goodison (spero vestiti in maniera migliore), in cinque a sostenere gli evertonian, Arteta Power maybe, mentre il bilbaino in ossequio ad una vecchia amicizia tre le due tifoserie datata anni 90 sosterrà il Villa.
Le pinte al Philarmonic scorrono veloci, ne abbiamo provate diverse, e tra una chiacchiera e l'altra bisogna raggiungere altri Leoni Latini ed amici inglesi al Fly in the Loaf. Una volta compattate le file e dopo aver addentato una porzione generosa di fish and chips ci muoviamo verso Goodison.
La zona dello stadio è tipicamente british, casette a schiera con Stanley Park accanto che guarda sonnacchioso passare una marea Royal Blue con qualche sfumatura vestita con i sacri colori; lo stadio è vecchio stile (frutto del lavoro di Leitch) e purtroppo la visibilità di chi sta nelle retrovie non è ottima (almeno nel settore ospiti) ma io ho un posto vicino al campo, a due file dagli evertonians e con un fantastico seggiolino di legno dove posare il culo. Nel settore ospiti si sta tutti in piedi nonostante lo speaker ci inviti a testare la comodità dei seggiolini e la Travelling Army del Villa è molto rumorosa o quanto meno sembra rumorosissima rispetto ai toffes che forse ancora in botta per la scoppola rimediata pochi km più a est sono molto silenziosi.

Una delle caratteristiche più divertenti delle tifoserie inglesi è il senso dell'ironia e aldilà di qualche fuck sparato a gratis i cori sono molto ironici (nulla a che fare con i vari Terroni Lavatevi col fuoco) e spicca su tutti il classico Can We Sing a Song for You ed il mitico The Library is Our che rimanda all'ultima polemica della Second City con la antica e nobilissima biblioteca della città che di notte si colora di claret and blue (il Villa con la sua fondazione ha finanziato in parte alcuni restauri) creando reazioni biliose dei cuginastri.
Sulla partita poco da dire: i Toffes hanno un allenatore e quindi giocano a calcio, noi abbiamo un manager che ha una visione del gioco alla Ray Charles e quindi i giocatori speculano, rilanciano (spesso a cazzo) e vanno di contropiede.
Tra i miei undici pesta erba mi è piaciuto Bertrand, non male pure Bacuna e Delph mentre ho avuto la conferma che se Holt fino a 22 anni faceva il gommista un motivo doveva pur esserci.
Considerate che Lambert nel suo 3-4-3, che poi altro non era che un 5-2-3 aveva piazzato Holt come attaccante esterno, Gipo Viani tutt'oggi sarebbe tatticamente più lungimirante del fagiano scozzese.
Anyway il Villa stava vincendo in maniera immeritata e quindi i banter verso gli evertonian filavano che era un piacere inframezzati dal coro che i tifosi fanno sempre al giocatore meno dotato di classe ma più simpatico del lotto: sull'aria di I Love Him (il main theme del film Sister Act) la travelling army canta sempre Sylla Sylla Sylla, He Play for Mighty Villa Villa Villa ed il buon Sylla sorridendo ringrazia sempre probabilmente chiedendosi perchè i tifosi inneggiano ad un medianaccio che sta in panca. La risposta è semplice: lui vale qualche contadino che occupa il posto in campo e pesta l'erba di Goodison.
Dal settore ospiti io e miei soci guardavamo con un occhio il tabellone che segnava il tempo e con l'altro sbirciavamo verso l'uscita, in cerca di eventuali agenti di Scotland Yard pronti ad arrestarci per furto con scasso.
Roberto Martinez manager più vispo di Lambo con un paio di mosse (Pieenar e Naysmith in campo) riesce a ribaltare la partita.
Il gol del pari è frutto di una bella azione evertonian e i tifosi locali colti da raptus si ricordano di essere allo stadio ed iniziano ad esultare e prenderci per il culo, restituendoci quintalate di insulti.
Gli animi si scaldano ed i miei vicini di posto cominciano a beccarsi con gli evertonian, nulla di trascendentale, potremmo tradurlo con un "vieni qua se hai coraggio..." - "no vieni qua te che ti gonfio", insomma fatto sta che le tifoserie si avvicinano, gli steward di irrigidiscono e dal nulla si palesano un paio di poliziotti che prendono e si portano via il più esagitato dei Villans ed il più esagitato degli Evertonians e come d'incanto gli animi si calmano per poi riesplodere al gol di Mirallas.

I supporters di casa trasfigurati dalla gioia ce ne dicono di tutti i colori a noi non resta che abbozzare, maledire quel somaro scozzese in panca ed attendere il fischio finale per andare alla ricerca di un buon pub. Il deflusso post gara è tranquillo, finita la gara, portati via i due o tre più agitati del lotto, i tifosi si mescolano e noi Leoni Latini avendo finito la scorta di bestemmie ci dirigiamo a vedere la chiesa di St Luke quella incastonata in un angolo del Goodison.
Detto della gara, detto della nostra pochezza, detto pure del caloroso saluto tra due tifosi avversari che, dopo essersi insultati per 90 minuti, a fine gara si sono stretti la mano (io pensavo che quando si stavano avvicinando lo facessero per gonfiarsi) vi racconto la serata che inizia presto, dopo il match, al Dr Duncans per la pinta di saluto i Leoni Latini e i Villans inglesi.
Il pub è posto vicino a Lime Street Station ed è davvero fantastico sia per range di birre a disposizione, molte delle quali prodotte in birrifici locali (è uno dei tempi della Cains), che per arredo interno.
Dopo una frugale cena faccio il giro dei locali della zona che va da tra Paradise Street e Mathew Street, ce ne sono davvero di divertenti, alcuni provvisti di dancefloor e con alcuni dj che farebbero la felicità dei follower del Blog. Noto che specie la sera del sabato molti posti abusano delle orecchie degli ospiti con l'immancabile karaoke e quindi alla fine ripego di nuovo al Cavern dove suona una band dal nome Cave Dwellers.

La loro caratteristica principale è che una parte del set pricipalemente bleatlesiano lo suonano loro salvo poi lasciare libero accesso a chi vuole esibirsi al microfono.
Notavo difatti che ogni tanto al frontman venivano portati dei bigliettini, la mia ingenuità mi portava a pensare che fossero delle richieste musicali invece no, a mia insaputa il karaoke mi avrebbe colpito pure dentro al Club probabilmente più famoso del mondo. Eh si perchè nella seconda parte dello show i Dwellers si trasformano di fatto in un gruppo di accompagnamento di vari debosciati che si lanciano sul palco senza vergogna: il top è un tizio che strazia Sit Down dei James e una tipa caruccia che tenta di cantare Day Tripper cannando quasi tutto il testo e concludendo con un Up The Villa finale che mi fa pensare che c'è qualcuno che prende la sconfitta con più filosofia di me.
Per fortuna nessuno si è permesso di assassinare In My Life, probabilmente avrei perso il mio classico aplomb.

Charlie