lunedì, novembre 05, 2012
Di cosa parliamo quando parliamo di musica 6 : etichette indipendenti in Italia
Una rubrica (che nel titolo cita un racconto di Raymond Carver) che cerca di definire ciò di cui parliamo quando parliamo di musica. Ovvero una visione personale di quello che è la musica oggi in tutte le sue componenti (dischi/album, concerti, registrazione,video, etichette, distribuzione, promozione etc).
Sono passati parecchi decenni dall’inizio dell’avventura delle etichette indipendenti in Italia.
Già negli anni 70 l’autoproduzione aveva mosso i primi passi e situazioni storiche come la Cramps Records (Area, Finardi, Camerini, Skiantos e il cosiddetto “Rock 80”) e Bla Bla (Battiato in particolare ma anche Aktuala e Arigliano) erano diventate riferimenti importanti all’interno della musica italiana.
Poi ci fu l’epoca pionieristica delle piccole label il più delle volte basate sul lavoro e la passione di un unico personaggio (o del gruppo di amici) come Electric Eye, Vox Pop o le più professionali Italian Records, IRA e Contempo, giusto per fare qualche nome.
Ci si sarebbe aspettato un salto in avanti, di qualità, ma soprattutto di spessore. Dopo un decennio di rodaggio, errori, stabilizzazione, era lecito attendersi un consolidarsi di qualche realtà di riferimento (giusto per citare un paio di esempi, una Rough Trade o una Sub Pop italiana).
Invece non è accaduto.
Gli esempi sono infiniti, le eccezioni anche (vedi recentemente La Tempesta Records, dal Teatro degli Orrori ai Tre Allegri Ragazzi Morti o qualche anno fa la Mescal della Donà, MCR, Afterhours, la sempre verde Irma Records e tantissime altre piccole labels che lavorano bene come buoni artigiani) ma il succitato consolidamento non è avvenuto.
Si continua a viaggiare tra la buona volontà di singoli personaggi o di ristretti gruppi di persone, con una purtroppo necessaria mancanza di pianificazione (leggi zero o poco più soldi da investire e zero o poco più ritorno economico se non disastri finanziari) con la acquisita normalità del gruppo che paga lo studio (e non di rado anche la stampa del disco).
E all’orizzonte non mi sembra di vedere nulla di buono.
Purtroppo è una triste constatazione sulla quale non si può che essere d'accordo
RispondiEliminaPurtroppo si.
RispondiEliminaIn 30 anni non si è mosso quasi nulla.
Tante iniziative, meritorie e bene fatte, ma di sostanza sempre poca.
Il tema mi sembra poco rilevante.
RispondiEliminaSpiego:
La casa discografica "tradizionale", major o indipendente, è un retaggio di un passato diverso, pace e amen.
Ora è già possibile un diverso modo di distribuzione via web (netlabels, diy, bandcamp, soundcloud, fund raising...) della musica, ma c'è ancora molto da fare e da inventare: la situazione mi sembra ottima.
Diverso è il discorso relativo a quello che è successo negli anni passati, ma qui siamo sempre alle solite: le dimensioni del mercato, principalmente.
Un mercato che permetteva la vendita in media di 1000 copie non poteva dare vita a realtà professionali serie, punto.
Realtà professionali ce ne sono state,invece...
RispondiEliminail fatto è che non si è potuto continuare sulla scia iniziale(vedi Toast,ad esempio),perchè esiste un evidente dislivello tra la musica proposta in rete (che è troppa,considerato il livello medio,piuttosto dilettantesco) e la richiesta,che è sempre più carente,vista la concentrazioni su pochissime realtà e nomi,che ormai esistono da decenni.
Si fa molta meno fatica a promuovere un prodotto già rodato e confermato nel tempo,piuttosto che una "nuova proposta" qualsiasi,anche la più facile all'approccio.
Il "mercato" (che poi è un entita quantomai astratta) NAZIONALE è sceso persino al di sotto della media di 1000 copie,ma analizzandone le cause mi pare persino di continuare a sentire le stesse frasi,che ci ripetiamo addosso...forse più che continuare a dire cosa NON si è fatto per impedire questo tracollo,bisognerebbe cominciare a dire cosa si potrebbe fare.
Me ne rendo conto ancor più oggi,dopo aver visto il baratro che ci separa da altri paesi,in quanto ad organizzazione e promozione di musica e cultura...sul post di facebook qualche spunto interessante è venuto fuori.
Detto ciò sono pienamente soddisfatto di realtà nuove come Psychout ed Areapirata,che pur rivolgendosi ad un settore di nicchia,lavorano in maniera coerente e libera da condizionamenti di "mercato".
Fondiamo la CASULA Records e facciamola finita
RispondiEliminaC
Ursus, hai ragione, non mi sono espresso bene.
RispondiEliminaSono esistite realtà professionali, certo, come quelle citate da te e da Tony.
Nessuna di queste realtà è però riuscita a fare il salto dimensionale di Rough Trade o di Sub Pop, finendo prima o poi per scomparire, perchè i numeri non lo permettevano allora, figuriamoci ora.
Psychout e Areapirata, conosco e apprezzo, ma lavorare in maniera libera dai condizionamenti del mercato è parte del problema: vuol dire che nel mercato non ci sei...
E allora è inevitabile rimanere nelle nicchie.
Secondo me potenzialmente poteva e potrebbe essere una nicchia di mercato finchè si vuole ma autosufficiente. Basterebbero invece delle canoniche 500 copie (1.000 sono già tante) , poco più: 2000, 3.000 copie, non un'esagerazione.
RispondiElimina2.000 copie a 7 euro (al distributore) e 10 al consumatore, possono fare qualcosa come 15.000 euro ovvero i soldi per stampare il CD, pagare lo studio e mettere da parte due soldi.
Il problema è che manca quello: il cliente.
Manca un mercato di 50.000 persone che acquistano Cd di gruppi "indie"
Un altro aspetto del compratore (aspetto già qui più volte analizzato) è l'età.
RispondiEliminaL'altra sera a Torino a vederci c'erano, su 100 persone , 90 ultraquarantenni, forse più (anche noi siamo ultra, anzi ultra 50 enni).
Però non c'era NESSUN giovane.
Ai miei tempi (ehhh bei tempi) a vedere i concerti (ANCHE di vecchi) c'erano soprattutto giovani.
Che poi acquistavano etc etc
Quello che dice Tony è l'esatta descrizione della situazione : manca essenzialmente il ricambio generazionale,che non è un luogo comune (come molti credono) ma è la causa principale di questo semi-deserto.
RispondiEliminaAppena completeremo lo scritto,pubblicheremo QUI un resoconto (molto amozionale e poco professionale,comunque,perchè non siamo scrittori) del nostro breve tour in Japan,un paese dove la situazione è esattamente ribaltata ed i primi a riscoprire la musica (nella sua interezza,che sia antica o moderna) sono i giovanissimi !
E da quello mi piacerebbe che venissero fuori altre considerazioni,noi le nostre le abbiamo già fatte,vivendo un'esperienza che ci resterà dentro per sempre :-)
50.000 persone che comprano i dischi "indie" italiani?
RispondiEliminaSaremmo tutti ricchi... :)
Il ricambio generazionale c'è eccome, ma su altre musiche.
Non ci sono stato perchè non mi piace, ma ho letto che l'altra sera a Milano il concerto di Bon Iver era pieno di venti-trentenni.
La "nostra" nicchia invece, lo dice la parola stessa: ci si sta in pochi, per lo più nostalgici, e non è facile entrarci.
Lilith & the Sinnersaints sono una band attualissima,vibrante e MAI scontata : lucidi e personali come pochi,anche nella vastità di riferimenti storici !
RispondiEliminaMa sono nati nel posto sbagliato,ahimè (come tutti noi,del resto).
In molti casi la classica frase "...nulla hanno da invidiare ad USA ed UK" era una puttanata,roba da bassa reclame giornalistica...ma sul gruppo in questione sento di poter confermare.
Piccola consolazione,magari,ma questo ci resta :-)
eh grazie Ursus, la stessa cosa penso io ( e Rita) di voi.
RispondiEliminaEd è la solita storia: ce la suoniamo e ce la cantiamo tra di noi.
Se suonaste a Piacenza ti posso fare l'elenco delle 100 persone che verrebbero, nomi e cognomi. Cioè i soliti...e nessun giovane...
Che probabilmente e giustamente vanno a vedere altre cose: I cani, Lo Stato Sociale, Dente, Denise e tanta altra indie che personalmente non riesco ad apprezzare perchè sono vecchio.
In effetti, cosa c'entra se Lilith e No Strange sono buoni gruppi o no? (
RispondiEliminaNon si stava parlando di etichette indipendenti?
Due cose:
1 - il ricambio generazionale vale sia per il pubblico che per gli artisti, i ventenni ascoltano la musica fatta dai loro coetanei.
Mi sembra normale.
Io a vent'anni non avrei MAI ascoltato un gruppo di cinquantenni. Credo neppure voi due... ;)
2 - Nati nel posto sbagliato, boh.
Tenete presente che in Usa o Gb il mercato era più grande ed era più facile fare della musica anche indie una professione, ma la concorrenza era molto più alta che in Italia.
Nati nel posto GIUSTO,ma nel momento sbagliato...diciamo così !
RispondiEliminaAd ogni modo,per me,la concorrenza non è affatto un handicap,perchè questa da lo sprone a far sempre meglio...onestamente sarei ben felice di avere come "concorrenti" dei gruppi interessanti e che mi piacciano (almeno a pari livello),al contrario vedo pochissimi epigoni con cui potersi confrontare e questo mi demoralizza abbastanza.
Ma ripeto : non lo dico per chi,come noi o i nostri coetanei,ha già dato abbastanza (forse persino troppo,per le nostre possibilità nazionali)ma per chi cerca di iniziare adesso : a fronte di molti vantaggi TECNICI che oggi esistono (primo fra tutti internet e la diffusione veloce delle opere),rimane il grosso rischio di perdersi in innumerevoli proposte mediocri. Il mercato estero si è contraddistinto soprattutto per la PROFESSIONALITA' degli operatori,in tutti i sensi,mentre da questo settore italiano pochissimi sono i musicisti che vivono esclusivamente di suoni e di musica,proprio perchè (come si diceva prima) i numeri sono ALTRI e le possibilità moltiplicate per 100 o persino per 1000.
Alla fine penso che il problema,nato come ECONOMICO,sia col tempo divenuto CULTURALE...basterebbe,forse,distaccarsi dai soliti clichè fatti e confezionati su imitazione delle mode importate,come diceva bene qualcuno su facebook (non so se ne avete sentito parlare,è quella piccola imitazione del blog casula,ogni tanto ci si sente pure lì)...
Bè, io sto cercando di fare uscire un disco proprio di questi tempi e mi piacerebbe molto uscire (anche) per un'italiana. Vi saprò dire com'è andata.
RispondiEliminainfatti : non vi e' ricambio generazionale? e di chi e' la colpa? dello stato? dei giovani? della madonna?
RispondiEliminaProbabilmente della madonna.
RispondiEliminaNon è grave. E' solo una constatazione.
si è vero. Dalle nostre parti poi quasi tutto è colpa sua: la Madun...a!
RispondiEliminaTony, a proposito delle nostre parti: ma siamo ancora piacentini della provincia o diventiamo granducali insieme ai June?
sempre servidellagleba altro che granducali
RispondiEliminaHa ha ha ha dovrai re-intitolare il libro
RispondiElimina.
'Storia del rock parmense (vol.1 la scena piacentina)', what a let down!
ahahahah! bravo Albert!! che stoccata.....
RispondiEliminaC