venerdì, novembre 30, 2012

Novembre 2012. Il meglio



Manca un mese alla fine del 2012 e i nomi che ritroveremo nella top a fine anno sono ormai abbastanza delineati:
Secret Affair, Martha High, Slim Moore and the Mar Kays, Patti Smith, Garland Jeffreys, Jack White, Paul Weller, Motorpsycho, JImmy Cliff, Quantic+Alice Russell, Leonard Cohen, Dojo Cuts, Micatone , Mark Lanegan, Fay Hallam, Off! , Neneh Cherry and the Thing, Men of north country, Movement, Jon Spencer Blues Explosion, Jessica Lauren Four, Hiromi, Galileo 7, Macy Gray, Madness
Tra gli italiani Julie’s Haircut, Mr.T-Bone & Young Lions, Infernal Quinlan, Giardini di Mirò, Mike Painter/Viola Road, Redska, Lo.Mo, Sir Frankie Crisp, Glincolti, Rookies, Guignol, Liars, B.E.S.T., Umberto Maria Giardini, Xabier Iriondo, Deaf Players, Kaams, An Apple Day, Assist, Barbicans

ASCOLTATO

MACY GRAY - Talking book
Rifare un album per intero è rischioso.
Tanto più se parliamo di “Talking book” uno dei migliori lavori dell’immenso Stevie Wonder.
Macy Gray il rischio se lo prende tutto e ne esce vincitrice con un lavoro eccellente che gronda soul, classe, eleganza, stile ma anche funk, blues e credibilità. Su tutte una versione jazzy di “Superstition”, la bossa di “You’re the sunshine”, il bellissimo modern soul “You’ve got it bad girl” e una grande interpretazione di “Big Brother”.
Gioiello ! Tra i top 2012

MADNESS - Oui oui, si si, ja ja , da da
Nuovo lavoro per la storica band inglese e, di nuovo, le attese non sono tradite. Grande qualità, maturità, brani divertenti che si alternano a momenti riflessivi. Reggae, soul, pop di sapore 100% brit, ironia, riferimenti a valanga alle mille influenze che permeano tutto l’album.
Lo trovo inferiore al precedente capolavoro “The liberty...” ma rimane ugualmente un Signor Album.

ASSIST - Stereobeat
Sono passati gli anni ma il nuovo album del quartetto torinese non ha perso un grammo di quella freschezza, della particolare energica spontaneità, quasi naif che ha sempre caratterizzato il loro sound: brillante, potente, pulito che non ha smesso di attingere dai maestri John,Paul,George,Ringo, dagli Oasis, dai Supergrass, Ordinary Boys, Stone Roses in tutte le loro evoluzioni, da quel 60’s beat che intrecciava melodia e ruvidezza (Kinks, Small Faces, Who).
Ma che suona stupendamente moderno, abbracciando quell’ala pop italianacon uno sguardo ai 60 che hanno saputo mettere a buon frutto gruppi come Velvet, Luna Pop, il Cremonini, gli stessi Statuto in alcuni momenti della loro fulgida carriera.
Un album maturo per il grande salto, senza tradire le radici di sempre.

BARBACANS - No hits for the kids
Non c’è niente di nuovo in questo nuovo, secondo, album dei Barbacans. Solito garage a marca Fuzztones, con sferzate di british beat mid 60’s alla Yardbirds, e poi Morlocks, Gravedigger V, Miracle Workers.
Una miscela PAZZESCA !
Un album grondante elettricità, energia, aggressività adolescenziale, suonato benissimo con brani stupendi incarnati nei 60’s ma attualissimi.
Uno degli album italiani dell’anno.
Ah già non c’è nulla di nuovo in questo album. QUEL solito sound che ci fa impazzire sempre e per sempre.

AA.VV. - The World of Daptone Records
Se qualcuno non è avvezzo ai suoni Daptone questi 20 brani gli apriranno un mondo multicolore dove quello prevalente è però il black.
Si viaggia ai 100 all’ora in mezzo a funk, soul, rhythm and blues, con nomi come Sharon Jones, Sugarmen Three, Menahan Strett Band, Budo’s Band e tanti altri.
Qualità elevatissima, groove spaventosi, Hammond urlanti, ritmiche JB’s.
Aria freschissima !

BORDERLINE SYMPHONY - Ragazze con pistole
Duo italo-svizzero che regala un sorprendente ottimo album in cui convergono pop e suggestioni 60’s psichedeliche che riportano ai Lombroso e Dellera, per restare in Italia, ai Charlatans guardando Oltremanica.
Bello.

CHARLESTONES - Off the beat
Da Udine con un ottimo album carico di influenze 60’s da Beatles, a distorsioni garage, buone dosi di brit pop (dagli Oasis ai Beady Eye), e Arctic Monkeys a profusione.
Le canzoni sono belle e fresche e il risultato finale di alto livello.

FLORA - s/t
Piacentini, attivi dal 1998, protagonisti di un post rock dalle tinte jazz molto particolare, giungono al terzo album, dove apportano coloriture avanguardiste, tracce di prog 70‘s evoluto, basi indie wave.
Il tutto valorizzato da un buon uso della voce (femminile) e da discreti interventi di sax.

THE GROOVE - "Groove Ep"
I GROOVE arrivano, dopo due anni di attività, all’esordio con un EP digitale dove funk, Hammond beat, soul e un approccio melodico debitore allo swinging beat inglese dei mid 60’s si accostano alla perfezione.
Ideale party band, ha il pregio di non assomigliare a nessuno in particolare pur muovendosi in campi sonori dai riferimenti ben definiti e precisi.

NUMERO 6 - Dio c’è
Quarto album della band genovese sempre alle prese con un pop sghembo (a tratti memore di certi XTC, perfino Ivan Graziani qua e là) dall’inconfondibile personalità. Album interessante, pieno di spunti e di sprazzi di genialità.

ASCOLTATO ANCHE:
AMPARO SANCHEZ (texmex sound, ballate che odorano di latino e Sud America, piglio alla Manu Chao. Ottimo lavoro), THE GAMES (puro power pop in stile Big Star, Romantics, Shoes, Barracudas, Flamin Groovies. Album cristallino, energico e piacevolissimo) TIMO LASSY (Saxofonista finlandese con un album di splendido cool jazz tra be bop, latin jazz, viaggi nelle atmosfere del primo Herbie Hancock. Splendido ascolto), JOSEPHINE (gospel soul di buona fattura anche se non senpre convincente), RACE HORSES (gallesi alle rese con fantasmi di primi Blur e Suede. Gradevoli),VIV ALBERTINE (ex Slits con un nuovo lavoro electro pop wave, a tratti accattivante ma mai convincente), PAWS (trio scozzese che rieccheggia i Dinosaurs Jr degli esordi con un po’ di punk sparso. Un ascolto lo meritano), BLACKIE and the OHOOS (semi psichedelia orinetata al pop e ai Cocteau Twins), IL CARICO DEI SUONI SOSPESI (funk metal che occhieggia a tratti i Ratm), SEA CAHOONE (cantautorato Usa un po’ troppo risaputo. Bella voce, canzoni anonime), TYVEK (garage and roll ruvido e lo fi. Un po’ sempre la solita roba), LIANNE LA HAVAS (soft soul, tinte cantautorali, qualche buon brano ma l’album non lascia grandi segni), THE BABIES (guitar lo fi rock a tinte garage senza lode nè infamia), ALICIA KEYS (alcune belle cose, molto manierismo, black sound stinto e commerciale ma con spunti di classe), KING OF THE OPERA (in molti ne parleranno come disco italiano dell’anno..mah...), GUIDED VOICES (spaziano come sempre tra indie lofi, psichedelia, Dinosaurs Jr e tanta altra roba. Buoni) MICHAEL KIWANUKA & METROPOL ORKEST (l’esordio “Home again” riarrangiato con Orchestra..zzzzzzzz...)

LETTO

PETE TOWNSHEND - Who I am
La lungamente attesa autobiografia di uno dei più grandi compositori musicali del ‘900 non delude le aspettative.
Una lunga e dettagliatissima storia, assolutamente unica anche se si perde troppo spesso in dettagli quasi maniacali, date, elenco di sbronze, amanti, strumentazioni, budget, cachet, progetti etc.
Forse troppo.

ERRI DE LUCA - Non ora non qui
L’esordio letterario di De Luca tra ricordi d’infanzia, eccessiva enfasi, una certa cripticità anche se è già evidente la grande capacità evocativa e la qualità di una delle migliori penne italiane.

SERGIO MILANI - Battaglione Aosta. 1942 destinazione Montenegro
Un esaustivo libro di Sergio (quello dei Kina per intenderci) su alcuni sconosciuti e drammatici avvenimenti della seconda guerra mondiale. Sempre istruttivo leggere e ricordare.

VISTO
“My name is Joe”
Durissimo come sempre, Loach narra una triste e spietata storia di sobborghi working class inglese, di perdenti, senza futuro, passato da dimenticare e scarso presente. E il finale non rassicura, anai...Ken Loach rimane un maestro e uno dei miei registi preferiti.
“Paul Mick e gli altri”
Sempre Loach e le sue storie di disoccupazione, emarginazione lavorativa, difficoltà periferiche. Con ironia anche nel dramma.

COSE & SUONI
Continua l’attività di Lilith and the Sinnersaints dopo una quindicina di date promozionali del nuovo album “A kind of blues”.
In dicembre si suona a Parma al "Joe Strummer Tribute" (con Gang, Raw Power, Klasse Kriminale e tanti altri) il 15, il 18 a Brescia e i l20 a Piacenza.

www.tonyface.it
www.lilithandthesinnersaints.com

News sui Beatles su www.pepperland.it by me
Recensioni di musica piacentina su www.piacenzasera.it nella rubrica PCTunes

IN CANTIERE
“Rock n goal” di Antonio Bacciocchi e Alberto Galletti in libreria a marzo 2013 per Volo Libero Edizioni
Si chiude il 2012 di Lilith and the Sinnersaints.
Libro su Weller per Arcana a fine gennaio: “This is the modern world”.
Viaggia spedito il libro sugli Statuto.

giovedì, novembre 29, 2012

Get Back: dischi da (ri)scoprire



La rubrica mensile che invita alla riscoperta di dischi dimenticati che vale la pena di riascoltare.

THE WHO - Endless wire (2006)
Accolsi con grande entusiasmo il ritorno discografico degli Who del 2006 dopo decenni di silenzio (e le ultime due prove “Face dances” e “It’s hard” piuttosto deboli e deludenti) e prove soliste dei componenti raramente esaltanti.
Sei anni dopo, sedimentato lo stupore per un ritorno così convincente, “Endless wire” trova una collocazione più consona all’interno della storia degli Who.
Non un capolavoro ma un lavoro che rimane comunque dignitoso e convincente e che vale la pena riascoltare.
Townshend e soci occhieggiano frequentemente alle atmosfere di “”Who’s next” e “Quadrophenia”, ritrovano energia e verve elettrica in grandi episodi come “Sound round” e “Pick up the peace” ma soprattutto si addentrano in una dimensione epica e cantautorale dai controni quasi “classici” in piccoli gioielli come “Tea and teathre” o “Man in a purple dress”.
L’album contiene anche la stupenda mini opera “Wire and glass” suddivisa 10 brani che trasuda freschezza, genuinità, intuizioni compositive a cui ci ha da sempre abituato Townshend.
Peccato che questo “nuovo inizio” non abbia (ancora) avuto alcun seguito discografico.

LAMONT DOZIER - Black bach (1974)
Lamont Dozier l’autore del trio Holland-Dozier-Holland (tra i suoi brani successi di Marvin Gaye, Temptations, Supremes, Four Tops, Martha reeves etc etc) dagli inizi dei 70’s si dedicò alla carriera solista, come compositore e cantante.
“Black bach” è uno strano album del 1974 dove mischia funk, blaixploitation e sontuosi arrangiamenti sinfonici (un po’ sull’onda di Isaac Hayes).
Interessante e particolare.

ERIC BURDON & te WAR - “Eric Burdon declares War” (1970)
L’inizio del fantastico connubio tra la blck voice delll’ex leader degli Animals e della fuunk soul band americana.
Un album esplosivo con una grande versione di “Tobacco Road” e brani lunghi in cui funk, sonorità vicine al Santana dell’epoca con influenze latin rock e anima blues si mischiano alla perfezione.

mercoledì, novembre 28, 2012

Sweet Soul Music: Soul Train



Un viaggio periodico alla scoperta di tutti i filoni della SOUL MUSIC. Dopo Philly sound, Blue eyed soul, country soul e Soul punk, Psychedelic Soul, Soul Jazz e Smooth Soul, Latin Soul, Northern Soul, Southern Soul, Soul Funk.
Oggi ci occupiamo della trasmissione SOUL per eccellenza:
SOUL TRAIN

PUNTATE PRECEDENTI:
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-il-philly-sound.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-blue-eyed-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-country-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-soul-punk.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/sweet-soul-music-psychedelic-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/sweet-soul-music-soul-jazz.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/sweet-soul-music-smooth-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/do-you-like-good-music-that-sweet-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/sweet-soul-music-northern-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/sweet-soul-music-southern-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/sweet-soul-music-soul-funk.html

Trasmissione in onda dal 1970 al 2006 SOUL TRAIN è stata uno dei principali mezzi di diffusione della BLACK MUSIC in USA accompagnandone nel tempo tutte le variazioni e le evoluzioni.

Nata da un’idea dal produttore e presentatore televisivo DON CORNELIUS (tragicamente scomparso nel febbraio di quest’anno) “Soul Train” è andata in onda oltre 1.100 volte nei 35 anni di vita.

Debuttò il 17 agosto del 1970 con Jerry Butler, Chi-Lites e Emotions e nel corso degli anni ha ospitato i principali nomi della black music, da James Brown a Chuck Berry, Aretha Franklin, Funkadelic, Al Green, Ike & Tina Turner, Little Richard, Supremes dando spazio anche a nomi non propriamente affini al black sound come David Bowie o Duran Duran.

Molti video sono reperibili su Youtube oppure su www.soultrain.com.

martedì, novembre 27, 2012

I 60's dietro la Cortina di Ferro: Romania

Credo che in pochi immaginino la presenza di una scena “beat” o vagamente rock nell’Europa dell’est comunista degli anni 60, in cui il controllo sulla società (e la cultura) era particolarmente rigido ed ottuso e le uscite discografiche erano consentite SOLO attraverso le etichette di stato.

Dopo l'UNIONE SOVIETICA
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/i-60s-dietro-la-cortina-di-ferro-unione.html
la BULGARIA
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/i-60s-dietro-la-cortina-di-ferro.html
la GERMANIA EST
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/i-60s-dietro-la-cortina-di-ferro_20.html
è oggi la volta della ROMANIA.

Altra nazione particolarmente rigida nei confronti delle iniziative giovanili fu la Romania di Ceausescu.
Se negli anni 50 forme musicali occidentali come latin jazz e tango furono tollerate (pur se costrette ad introdurre testi che esaltavano le conquiste del proletariato, del governo e dei lavoratori con risultati spesso di dubbio gusto), i 60’s non ebbero altrettanta fortuna.
Le maglie del regime si strinsero parecchio, la lontananza geopolitica con l’occidente non favorì la penetrazione di nuove forme musicali e i nomi da segnalare rimangono circoscritti a pochissime iniziative isolate (le cui poche tracce sonore esclusivamente pubblicate sull’etichetta di stato Electrecord).

La musica che proveniva dall’Ovest venne battezzata “Musica per chitarra elettrica” nonostante attingesse palesemente da beat e rock n roll (in particolare Cliff Richard, Shadows, Beatles, Rolling Stones ma acnhe, come vedremo nelle discorafie da nomi più particolari come Small Faces, Dave Clark Five, Troggs).

Dai COMETELE (The Comets) di Bucarest (un 45 giro del 1966 con 4 brani, tra cui una versione di “My babe”) e URANUS di Timisoara ai COLOR (di Petrosani), gli OLIMPIC 64 (di Bucarest), MONDIAL , SIDERAL, CORAL, CLASIC XX, PIONEERS.

I SINCRON attivi nella seconda metà dei 60’s hanno lasciato alcune tracce discografiche come il 10 pollici “Ryding” del 1967 con 10 brani in inglese (tra cui “Let’s dance” , “Green sleeves”, “Kansas city” , “Swanee River Rock”e una versione di un brano degli Small Faces reintitolato “Cha la la la lee” !!!), un EP con 4 canzoni (”Wooly bully” , “Melodie” (versione di “FBI” degli Shadows), “Hippy shake” e “The gadfly”) tra twist, shake e rock n roll, un EP con 6 brani in rumeno e un EP con 4 brani (in rumeno) colonna sonora del film "Impuscaturi pe portativ" con la cantante Margareta Paslaru.
Gli ENTUZIASTII realizzarono due EP: il primo con 4 brani, nel 1964, con cover di “I’m a believer” dei Monkees e “Glad all over” e Can’t you she’s mine” dei Dave Clark Five il secondo l’anno successivo con “Dynamite” , “Girl like you” dei Troggs “Got a funny feeling” e “She’s so sweet”.

Infine gli SFINTII (The Saints, costretti successivamente a cambiare nome in quanto il riferimento ai “santi” era sospetto di “propaganda religiosa”) diventati PHOENIX e uno dei più noti gruppi rumeni di tutti i tempi, sopravvissuti fino ad oggi.
Nati nel 1962 come Sfintii iniziarono a suonarono in piccoli club e nelle gare scolastiche con cover di Beatles, Stones, Who.
Nel 1965 le autorità imposero il cambio di nome che diventò PHOENIX ma che non impedì al gruppo di acquisire sempre più fans e notorietà (anche in altri paesi della Cortina di Ferro dove spesso suonarono).
Nel 1968 incisero il primo EP “Vremuri” con quattro brani (due originali e due covers, “Lady Madonna” dei Beatles e “Friday on my mind” degli Eaybeats) seguito da un altro ep di quattro brani originali intitolato “Floreana stincilor” in pieno stile beat.
Negli anni 70 anche a causa di un irrigidimento delle politiche culturali da parte del governo abbandonarono il beat e si diressero verso forme di folk e musica popolare fino alla rocambolesca (e pericolosissima) fuga in Germania nel 1977 dove proseguono l’attività fino ai giorni nostri.

lunedì, novembre 26, 2012

Di cosa parliamo quando parliamo di musica: ascolta i fan! Give the people what they want

In molti hanno stigmatizzato la decisione degli Who (vedi post precedente) di far “partecipare” in video i defunti Keith Moon e John Entwistle al nuovo tour 2012-2013.
A proposito di Who: lo stesso Pete Townshend nella sua recente autobiografia rimarca il fastidio che spesso accompagnava certi concerti solisti in cui il pubblico gli richiedeva in continuazione brani degli Who (qualcuno anche di rompere la chitarra).

Pensiamo, rimanendo nel “nostro”, a come ogni album di Paul Weller venga accolto dai nostalgici puristi quando constatano la mancanza di brani soul o “alla Jam”.
I Clash tradirono il loro pubblico con il secondo album “hard rock”, a sua volta tradito dal melting pot sonoro “leggero” di “London calling”, tradito dal successivo “Sandinista” dalle atmosfere del tutto black, tradito dal “commerciale” “Combat rock” , tradito da “Cut the crap”.
Ogni fan PRETENDE dal proprio idolo una linea artistica, pretende un certo tipo di scelte, di comportamento, abbigliamento, idee, parole, attitudine.
Fino a che punto il fan ha voce in capitolo ?
Fino a che punto l’artista lo deve ascoltare ?

Probabilmente chi ha capito bene la solfa sono i Rolling Stones che ripropongono da secoli sè stessi tali e quali o Paul McCartney che, ben conoscendo i suoi polli, infarcisce i concerti di brani dei Beatles.

Come cantavano nel 1982 i Kinks
Give the people what they want
You gotta give the people what they want
The more they get, the more they need
And every time they get harder and harder to please

sabato, novembre 24, 2012

The Who - Quadrophenia Tour 2012. Live in Boston

Gli WHO sono di nuovo in tour (USA in questo momento) per riproporre l'opera rock "QUADROPHENIA".
Stefano Bellezza ex chitarra di Underground Arrows, PUB e tanti altri li ha intercettati in quel di Boston e ci ha gentilmente regalato questa recensione del concerto.

“Guarda qui (link). Vedi un po’ che poi fa’”.
Con questo post di un amico sul mio diario di Facebook di grossomodo lo scorso luglio inizia tutto un percorso chesi conclude con un’email del mio cantante ricevuta verso fine ottobre e il cui succo è: “ho preso due biglietti per vedere gli Who a Boston e vorrei offrire il concerto al più grande fan degli Who in Massachusetts a parte me”.
Per tutto il tempo ho avuto tentennamenti che, ovviamente, sono saltati di fronte a un’opportunità del genere; ma sarà bene spiegarli tanto per dare il tono a quello che dirò poi.
Io non sono in realtà mai stato un fan sfegatato di nessuno – troppo razionale e tecnico nel mio approccio alle cose.
Ho molti gruppi che mi piacciono moltissimo, ma non posso dire di conoscere tutta la produzione di nessun artista.
Per quanto mi è possibile dire di amare un gruppo rispetto a un vero fan, gli Who sono sicuramente fra i miei preferiti di sempre: mi riconosco nel loro modo di fare musica, Townshend ha avuto un’influenza fondamentale sulla mia formazione come chitarrista, ho suonato in una tribute band per due anni con cui abbiamo realizzato la cosa forse più ambiziosa della mia intera carriera di musicista (suonare tutto Tommy dal vivo).
Mi è però impossibile nascondermi che troppe cose sono cambiate: non esce un disco originale degli Who dal 2006; due membri sono morti; i due rimasti sono alle prese con l’ovvia realtà di avere quasi settant’anni (non c’è problema se fai musica da camera, un po’ più se la tua musica è fisica, potente e aggressiva); e i cedimenti alla tentazione di imbarocchire le esibizioni portandosi ospiti a volte fuori contesto ci sono stati e non mi sono piaciuti.
Con tutto ciò, io gli Who dal vivo non li ho mai visti, né veri né finti, e la mia parte più istintiva mi diceva che, almeno una volta nella vita, era il caso di vederli.

Il luogo in cui si tiene il concerto è il TD Garden, il palazzo dello sport in cui giocano i Boston Celtics; contiene una quindicina di migliaia di persone e, a occhio e croce, è pieno.
Noi siamo lassù in alto, nella prima fila di una balconata. Gli Who sono degli omarini là in fondo ma, fra binocoli e megaschermi, si fruisce abbastanza bene. Il suono, per essere una struttura non nata specificamente per la musica, è decisamente buono e si riesce a distinguere praticamente tutto.
L’impatto visivo della band è lievemente incoerente.
Sullo sfondo, 2 fiatisti e 3 tastieristi molto defilati, provvedono l’ossatura sonora portante ma sono quasi invisibili.
Nella fila davanti, si può dire che l’unico con dei capelli degni di questo nome sia Roger Daltrey, gli altri hanno tutti il classico taglio cortissimo da calvizie avanzata che adorna anche la testa del vostro affezionato cronista. Pino Palladino, al basso, è lungo come un asparagio, piuttosto più mobile di John Entwistle ma ben lontano da certe sue irrinunciabili gigionate (bassi con forme assurde e pieni di lucette) che contribuivano a definire l’aspetto degli Who sul palco. Simon Townshend ha uno spolverino grigio che avrei onestamente lasciato a casa ma un bel parco chitarre e uno spettacolare amplificatore 3rd Power bianco con casse triangolari che sembra una piramide Maya – gli si perdona quasi il fatto che si muova poco e niente.
Daltrey è vestito con la stessa giacca, la stessa camicia e gli stessi occhiali tondi che mette dal vivo da dieci anni a questa parte, tenta qualche rotazione di microfono ma si vede che la sua preoccupazione principale è come raggiungerà quelle maledette note alte.
Pete Townshend (accidenti, ma allora non ingrasso solo io!) ha fregato una tovaglia a quadri bianchi e rossi da un ristorante italiano dei dintorni e se l’è messa per camicia; saltare salta poco, ma ancora mulina il braccio come nessun altro è mai riuscito a fare.
Direi che, là in mezzo, il gigante è Zak Starkey: maglietta bordeaux, pantaloni scozzesi rossi e frangia alla Small Faces, è seduto dietro a una batteria a fusti trasparenti rossi e blu molto simile al set-up che usava Keith Moon, doppia cassa e un ventaglio di pezzi distribuiti simmetricamente.

Il set prevede tutto Quadrophenia (il disco originale, non la colonna sonora), e a mio avviso i pezzi migliori di questa parte sono 5.15, The Rock e Bell Boy, mentre il resto si mantiene su un livello dignitoso (con il povero Daltrey che fa fatica ma a volte riesce a stupire), anche se l’introduzione di Love reigns over me, che pure Pete dirà essergli piaciuta moltissimo, non mi piace nella versione troppo ambiziosa e jazzista in cui la rende il pianista.
Seguono altre 4-5 canzoni che comprendono Who are you, Baba O’Riley e Won’t get fooled again – con qualche toppa disastrosa da base non seguita bene e un Townshend avaro di assoli per qualche motivo, ma comunque una canzone che per me è sempre un’emozione speciale e quindi va bene così.
Rolling Stone riportava come Townshend abbia stavolta lasciato a Daltrey l’incarico di organizzare la messa in scena, e Daltrey ha optato per la semplicità: suoni del disco riprodotti con precisione certosina, niente ospiti, niente lunghissime narrazioni di Townshend fra un pezzo e l’altro. Quadrophenia viene in effetti suonato a martello, senza pause né presentazioni.
L’unica narrazione è stata lasciata alle immagini che scorrevano sui megaschermi alternandosi alle riprese dal vivo dei musicisti.
Devo dire, sono grato per la scelta: una delle mie paure era l’effetto circo, invece è stato uno spettacolo godibile e molto rispettoso della musica.

Ecco, ci sono arrivato: la parola chiave di questo concerto secondo me è proprio “rispetto”.
Rispetto da parte di Zakk Starkey, un batterista molto più adatto di Simon Phillips a rimpiazzare Keith Moon. Perché Moon, con tutta la sua sregolatezza, era in realtà in grado di esercitare un sorprendente autocontrollo; e, nel suo essere estremamente riempitivo, era però sobrio.
Sentite la versione di Tommy nell’edizione speciale di Live at Leeds per capire che cosa intendo.
Starkey suona il giusto, mai poco ma neanche mai troppo; qualche momento più moderno e tecnico di Moon, ma mai quanto fece Simon Phillips; e sicuramente molto più dinamico e vitale di Kenney Jones.
Rispetto da parte di Simon Townshend, che il fratello ha plasmato in un suo clone.
Esegue le parti di chitarra di Pete con estrema precisione e, soprattutto, canta come
Pete vent’anni fa: spesso è lui a fornire a Daltrey quell’appoggio sulle parti alte di cui avrà spesso bisogno. Rispetto, anche troppo, da parte di Pino Palladino: al quale sarà necessario far capire che il basso di Entwistle non fa “dummm”, fa “SBDRLENNG!” e che, senza “SBDRLENNG!”, non hai gli Who.

È proprio il rispetto che fa sì che l’operazione che ha scandalizzato molti, ossia la presenza in video dei cari estinti in un paio di pezzi-chiave, non sia necrofilia ma qualcosa di bello.
Quando Keith Moon compare con il suo sorriso gaglioffo e la cuffia in testa a cantare, da dietro la batteria, “I have a good job and I’m newly born, you should see me dressed in my uniform!”, è tutto così giusto e naturale che scalda il cuore e non si può capire come avrebbero potuto rendere “Bell Boy” diversamente; e quando a un certo punto John Entwistle si scatena in un assolo di basso mitragliato di cinque minuti in perfetta coordinazione dinamica con Zakk Starkey, soli sul palco, uno su sul megaschermo e l’altro giù dietro la batteria, l’effetto è esaltante.
Non mi credete? Dovevate esserci.
Quello del rispetto introduce un altro tema, che ha a che fare con l’essenza degli Who e di conseguenza con l’anima di Pete Townshend: il passato.
Townshend guarda indietro, al percorso che lo ha portato lui ad essere quello che è e il mondo ad arrivare dove è arrivato; e lo vede pieno di battaglie, di resistenza caparbia per continuare a esistere e andare avanti, di affetti perduti e portati nel cuore, mai dimenticati anche se la vita è continuata ed è stato necessario superarli.
Pete celebra tutto questo, da sempre. Lo ripetono le immagini dai megaschermi, raccontandoci in brevi flash Enola Gay e Marilyn Monroe, il Vietnam e l’undici settembre, Kennedy e la caduta di Saddam, e tanti, tanti morti vissuti ciascuno come una perdita: Lady Diana, prima in foto e poi in un feretro con la scritta “Mummy”, la prima pagina del Sun con la foto di John Lennon in occasione del suo assassinio; la tomba di Keith Moon. E tutto questo si distilla in quelle schitarrate potenti, vero marchio di fabbrica di Pete Townshend più di qualunque assolo: ogni volta che colpisce le corde e le lascia risuonare, dando all’amplificatore briglia sciolta, Pete pensa a tutto questo.
Il gesto simboleggia, ripete e sublima la rabbia, la testardaggine, il dolore, il sollievo di avercela fatta ancora per una volta, la disperata consapevolezza che domani si ricomincia come prima ma che non c’è un’altra possibilità.
È questo che mi porto via dal primo e ultimo concerto degli Who che vedrò: un patrimonio immenso e preziosissimo, perché consolida una volta per tutte quello che questa band mi ha dato in più di trent’anni che li ascolto e che continuerà a darmi finché respiro.
Gli Who sono morti con Keith Moon e quella che gira è la migliore tribute band degli Who in circolazione; ma il loro contributo alla musica rock è stato talmente fondamentale da non poter contare i musicisti che hanno tratto ispirazione dalla loro opera; e vederli dal vivo, in un concerto in cui, con alti e bassi, hanno fatto di tutto per raccontare i se stessi dei loro giorni di gloria, è stata la migliore dimostrazione di tutto questo.

venerdì, novembre 23, 2012

L'Italia al tempo della crisi: la meteo mania



E’ ormai esplosa da un po’ di tempo anche in Italia la Meteo Mania.
Tra le trasmissioni televisive più seguite (per non parlare dei siti web) pare che quelle a sfondo metereologico riscuotano successo unanime con punte del 30% di share.

Da qualche anno sapere che tempo farà il giorno o una settimana dopo è diventato ormai assolutamente indispensabile, non c’è telegiornale in cui manchi (il più delle volte enfatizzando e drammatizzandone gli effetti) un servizio sul meteo, giornali e riviste snocciolano costanti articoli con previsioni (talvolta assolutamente inattendibili da un punto di vista scientifico, come quando in estate si parla di come sarà l’inverno).

Il tutto nasconde un business e un giro d’affari di grandi proporzioni.
Basti sapere che istituzionalmente sono attivi otto centri di radiosondaggi, centinaia di stazioni di rilevamento locali più 900 persone dedicate, tra cui 120 meteorologi Costo per lo Stato: 75-80 milioni l'anno.
Il sito più seguito, Ilmeteo.it risponde con 14 dipendenti tra cui tre o quattro meteorologi (in Italia non serve alcun requisito per autoproclamarsi professionista nel campo).
Nel 2010 fatturava un milione di euro.
Nel 2012 crescerà del 30-40 per cento e raccoglierà 6 milioni di pubblicità.
Lontani i tempi del Colonnello Bernacca e il suo "Che tempo fa"

giovedì, novembre 22, 2012

Morphine



Continua l'esplorazione degli anni 90 più creativi e meno conosciuti grazie al prezioso aiuto del nostro AndBot (conosciuto in famiglia con il bizzarro nome di Andrea Fornasari).
Spazio ai MORPHINE e alla loro particolare (e triste) storia
.

"We are Morphine, at your service"

Tre luglio 1999, una data che forse qualcuno ricorderà: Mark Sandman, leader dei Morphine, passa a miglior vita durante un live della band a Roma.
Curioso destino, per una delle band più innovative degli anni novanta, quello di perdere il proprio leader sul finire del decennio.
Una fine da rock-star, un "the end" che Jim Morrison avrebbe pagato.
Ma Sandman non era una rock-star, pur disponendo di una personalità complessa al pari di quella di Morrison, e i Morphine non erano esattamente una band rock-blues.
Si è mai vista una rock-band priva di chitarra?
Senza lo strumento per antonomasia del rock' n' roll?
In apparenza i Morphine potevano sembrare più un trio jazz: basso, sax, batteria.
Ma si è mai sentito un gruppo jazz che non si lancia in virtuosismi?
E il blues?
Si, ci può stare, di quello moderno, alla Tom Waits e Nick Cave.
Ma se il blues è la musica che salva l ' anima tormentata attraverso un doloroso rituale di purificazione (il gospel, lo spiritual), allora siamo nuovamente fuori strada, perchè i Morphine non hanno nessuna anima da salvare, ma solo angoscia da tenere sotto controllo (o quasi) grazie alla lezione numero uno del post-rock anni novanta: zitto e avanti.
I Morphine sono stati una band rivoluzionaria per attitudine: senza urla, senza rumore, semplicemente (si fa per dire) spogliando i tre elementi cardine della loro musica (appunto il rock, il blues e il jazz) di tutti gli orpelli, riducendo la formula all' osso.
Non meno grandi, quindi, di Waits e Cave.
La voce profonda di Sandman che duetta con il sax, quel basso così cupo che sembra davvero arrivare dagli abissi dell' anima, i tempi dispari della batteria, il tutto minimale e perfetto, mai fuori posto.
Il gusto eccelso delle composizioni, la costante sperimentazione, portano il trio verso una nuova forma non solo stilistica ma soprattutto concettuale della musica nera e del rock.
E' auto-esplorazione attraverso la musica che non può portare a nient' altro che al vuoto esistenziale: questo suonavano i Morphine, con pudore ma senza paura.
Naturalmente si possono anche trovare tracce di post-rock e post-punk, anche una certa inquietudine wave, ma la cifra stilistica dominante del loro sound rimane sempre quella notturna e fumosa delle melodie del sax, unita alla poesia delle liriche di Sandman, poeta si maudit, ma che non eccede mai nell' auto-commiserazione o, viceversa, nell' esaltazione o nell' auto-compiacimento della propria opera: la sua poetica è più vicina a quella di un Bukowski, per capirci, che non a quella di una Patti Smith.
Sono canzoni che potrebbero vivere della sola voce accompagnata dal sassofono, una nuova strada al rock che fa dei Morphine una delle formazioni più originali di sempre.
"We are Morphine, at your service" amava dire Sandman prima di iniziare un live.
Ne siamo onorati.

"Good", Accurate, (1992) Voto: 9,5
Sarebbe sicuramente interessante, per i completisti, ascoltare i precedenti dischi a nome Treat Her Right (mi pare esista anche una antologia riassuntiva), formazione dedita a un rock-blues molto particolare e in cui si può apprezzare la già notevole personalità del cantante/bassista Mark Sandman.
Dopo una serie di altre brevi esperienze, Sandman si dedica al basso a due corde e insieme a Dana Colley al sax e a Jerome Deupree alla batteria forma i Morphine.
L' esordio è già un capolavoro assoluto: il tratto distintivo è la mancanza di accordature perfette (basso e sax raramente risultano accordati alla perfezione) e il registro languido, da crooner, di Sandman.
Waits, Cave, Lee Pierce (Gun Club) sono gli stessi fantasmi che agitavano i suddetti che fluttuano costantemente sopra il disco senza tuttavia mai farsi riconoscere in pieno: è un blues moderno anni novanta, teso ma paradossalmente quasi privo di emozioni, dimesso, spinto dalle progressioni del sax e del basso, carezzato dalla voce ora vellutata ora suadente, ma sempre "controllata". Il sound spazia dalla ballata jazzy ("You look like rain", "The only one") al blues straniante di cui sopra di "Good" (la title-track) e "Claire", sempre paludoso anche quando i tempi si fanno più serrati ("On the other side") fino a incendiarsi con "Test-tube baby".
Un disco meraviglioso che sperimenta l' apatia dei novanta sopra il tessuto senza-tempo del blues.

"Cure for pain", Rykodisc, (1993) Voto: 9
Il secondo album è più curato e raffinato, le trame jazz e blues diventano riconoscibili, predomina la forma-canzone.
C' è un cambio di formazione: Billy Conway prende il posto di Deupree alla batteria, mentre il sax di Colley diventa spesso il protagonista assoluto, il sound si fa più energico e complesso, meglio articolato e più tradizionale.
E' ancora capolavoro, meno sperimentale rispetto a "Good", ma forse anche il loro album più equilibrato: un super-classico della band.

"Yes", Rykodisc, (1995) Voto: 9,5
Si completa la trilogia dei Morphine: le atmosfere sono meno notturne, i brani più immediati e ritmati ("Honey white", posta in apertura), la cura per la melodia si fa maggiore. La band suona ormai come una mini-orchestra (e pare una cosa assurda per un trio), fra revival swing e be bop, rockabilly e rhythm and blues, rock' n' roll 50's e ballate, con armonie sempre più sofisticate e complesse.
Sandman è al massimo della forma, così come tutta la band: i brani sono tutti classici, da "Super sex" a "Jury", da "Scratch" a "Sharks patrol these waters", ma è impossibile trovare il migliore.
Probabilmente l' apice del trio per originalità e solidità, a mio parere uno dei migliori dischi "rock" di sempre.

"Like swimming", Rykodisc, (1997) Voto: 6
I Morphine arrivano al quarto disco un po' a corto di nuove idee, e non poteva essere altrimenti dopo tanta grazia.
L' album è raffinatissimo, ma si "limita" a ricostruire vecchie atmosfere affidandosi alla qualità sopraffina di sax e batteria.
Sostanzialmente non aggiunge nulla alla loro carriera e Sandman sembra aver smarrito quelle qualità uniche che lo contraddistinguevano nei precedenti lavori.

"The night", Dreamworks, (2000) Voto: 7,5
Sandman fa appena in tempo a terminare il quinto album della band prima di approdare in Italia per lasciarci, purtroppo, le penne.
La strumentazione è ricca (viola, cello, contrabbasso, piano e organo) e cameristica, il sound introspettivo e fragile nonostante le apparenze da orchestra sinfonica.
Il lavoro è ancora una volta originale e coraggioso nel suo mischiare sonorità lontanissime fra loro come soul-gospel e percussioni brasiliane, ritmi voodoo e languido blues.
Un crossover di stili riuscito e affascinante, che avrebbe potuto dar seguito a nuove intuizioni, che avrebbe potuto nuovamente rinnovare il suono di questa incredibile band.
Ma il destino la pensava in maniera diversa.

mercoledì, novembre 21, 2012

Sweet Soul Music: Soul Funk



Un viaggio periodico alla scoperta di tutti i filoni della SOUL MUSIC. Dopo Philly sound, Blue eyed soul, country soul e Soul punk, Psychedelic Soul, Soul Jazz e Smooth Soul, Latin Soul, Northern Soul, Southern Soul è la volta del SOUL FUNK.

PUNTATE PRECEDENTI:
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-il-philly-sound.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-blue-eyed-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-country-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/09/sweet-soul-music-soul-punk.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/sweet-soul-music-psychedelic-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/sweet-soul-music-soul-jazz.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/sweet-soul-music-smooth-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/10/do-you-like-good-music-that-sweet-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/sweet-soul-music-northern-soul.html
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/sweet-soul-music-southern-soul.html

Molto labile la possibilità di definire l’ambito SOUL FUNK.
Il funk è un’evoluzione della soul music ed in breve tempo ha affinato uno stile assolutamente ben definito e distinto dalla matrice originaria.
La nascita del funk viene abitualmente accreditata ai dischi dei mid 60’s di JAMES BROWN mentre è “Funky Broadway” di Dyke and the Blazers ad introdurre il termine ufficialmente.
Dalla fine dei 60’s, esplodendo poi nei primi 70’s, il funk diventa un genere a sè stante.
Anche se sono definibili ambiti in un cui la commistione tra sul e funk sono è più netta.
Artisti come James Brown, Wilson Pickett, Meters, il primo Sly and the Family Stone, George Clinton con i primi Funkadelic, Temptations, Isley Brothers, Ike and Tina Turner, BarKays nei 60’s e primi 70’s, O’Jays, George Benson, Commodores nei 70’s inoltrati e Prince successivamente hanno prodotto album in cui il marchio Soul Funk è ben evidente.
Ai nostri giorni artisti come Sharon Jones and the Dap Kings, Martha High, Macy Gray tra i tanti si muovono spesso nella stessa direzione mentre nei 90’s la scena acid jazz ha prodotto parecchio materiale affine.

JAMES BROWN - Papa’s Got a Brand New Bag (1965)
JAMES BROWN - Cold sweat (1967)
CURTIS MAYFIELD - Roots (1971)
SLY AND THE FAMILY STONE - Stand (1969)
GEORGE BENSON - It’s uptown (1966)
MARTHA HIGH & SPEEDOMETER - Soul overdue (2012)

martedì, novembre 20, 2012

I 60's dietro la Cortina di Ferro: Germania Est - DDR

Credo che in pochi immaginino la presenza di una scena “beat” o vagamente rock nell’Europa dell’est comunista degli anni 60, in cui il controllo sulla società (e la cultura) era particolarmente rigido ed ottuso e le uscite discografiche erano consentite SOLO attraverso le etichette di stato.

Dopo l'UNIONE SOVIETICA
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/i-60s-dietro-la-cortina-di-ferro-unione.html
e la BULGARIA
http://tonyface.blogspot.it/2012/11/i-60s-dietro-la-cortina-di-ferro.html
si parla oggi della DDR, la GERMANIA EST.

Altro paese particolarmente rigido nei confronti della propria gioventù, la Germania Est fu ancora più restrittiva rispetto alla “madre” Urss, dovendo gestire la vicinanza con la Germania Ovest, la presenza di Berlino Ovest nel proprio territorio e una campagna socio culturale di “disturbo” da di là del Muro, reso nel tempo sempre più impermeabile e invalicabile.
Prima della costruzione del Muro di Berlino e relativo inasprimento dei controlli su eventuali contatti con l’Ovest, la Germania Est produsse un notevole numero (si parla di circa 4.500 “orchestre” da ballo di cui solo 300 a Berlino) di situazioni musicali che attingevano dalla tradizione popolare ma inserendo anche elementi occidentali come blues, country, il solito Shadows sound strumentale, twist.

I primi gruppi di estrazione beat compaiono tra il 1964 e il 1965 con gli SPUTNIKS , i BUTLERS, Il FRANKE ECHO QUINTETT e il DIANA MOSTRA QUARTETT tutti indirizzati verso il surf strumentale.
Gli SPUTNIKS nascono nel 1963 dallo scioglimento dei Telstars e dei Magdeburg Big Town Boys, incidono 4 singoli come “Gitarenn twist” , “Shazam”, “Mich hat noch keiner beim Twist geküßt” e “Leila” , prima di subire le restrizioni del regime.
Il THEO SCHUMANN COMBO fu attivo per tutti i 60’s realizzando numerosi 45, tra cui versioni in tedesco di “I should known better” dei Beatles e “Last time” degli Stones (nel 1965) proseguendo fino agli anni 70 inoltrati.
Più orientato a sonorità jazzistiche il MICAHEL FRITZEN QUARTETT e al surf beat il FRANKE ECHO QUINTETT.
Tutti gruppi che comparvero nei due volumi che l’etichetta di Stato AMIGA dedicò alla scena beat nazionale nel 1965, “Big Beat 1” e “Big Beat 2”.

Nel 1965 i disordini scoppiati a Berlino Ovest ad un concerto dei Rolling Stones indusse il governo a stringere drasticamente i cordoni intorno alla libera espressione giovanile e a chiudere il programma radiofonico “DT64” che trasmetteva parecchia musica occidentale.

Solo nel 1967 ripresero alcune pubblicazioni di bands DDR con connotati beat come la THEO SCHUMANN BAND, il GUNTHER FISCHER QUINTET, , Gerhard-Stein-Combo, Günther Fischer Quintett, Manfred Ludwig Sextett, Ulrich Gumpert Quintett, Horst Krüger Sextett, Die Alexanders, Joco Dev Sextett, Dresden-Sextett, Reinhard Lakomy Combo, Music-Stromers e Thomas Natschinski.

Si sviluppò però parallelamente al bando del beat una scena di cantanti femminili che si richiamavano al beat, al twist e a forme di rock n roll leggero.
La figura femminile non veniva considerata foriera di rivolte giovanili ed era tollerata anche se non conforme con le direttive artistiche della SED (il Partito Comunista della DDR).

In particolare RUTH BRANDIN (già nel gruppo vocale delle KOLIBRI) definita “La regina del twist” che realizzò l’album “Teenager-Party mit Ruth” nel 1964 (prima che le parole americane venissero proibite !!) oltre ad una lunga serie di singoli per poi cadere in disgrazia per essersi rifiutata di collaborare con la Stasi per spiare i colleghi.
Lasciò successivamente l’est e si trasferì a Berlino Ovest.
INA MARTELL incise tantissimi singoli, collaborando anche con il Thomas Natschinski & seine Gruppe (considerati i Beatles della DDR), già TEAM 4, prima di dover cambiare nome (troppo “inglese”...) tra cui “Wenn du Hochzeit hast/Helle Nächte und Küsse” con il Theo Schumann Combo
Ina alla fine dei 70’s lascia la carriera e diventa impresaria di pompe funebri (...).
BRITT KERSTEN arrivò al successo nel 1964 con Santa Lucia Twist, continuò con altri singoli pop fino al 1972 con änner müssen Männer sein (un brano di glam rock) e al ritiro nel 1977.
Da segnalare anche il duo alla Sonny & Cher CHRIS DOERK/FRANK SCHOBEL e PETRA, la prima a cantare e ballare il twist alla televisione nazionale nel 1962.
GABRIELE KLUGE partì nel 1965 con i CONNYS per intraprendere poi una discreta carriera solista.
HELGA BRAUER fu la promotrice di un rock n roll autarchico promosso dal Partito alla fine degli anni 50 per combattere quello originale che furoreggiava all’Ovest, battezzato LIPSI con brani come Heute tanzen alle jungen Leute im Lipsi Schritt e Mister Brown aus USA.
KARIN PROHASKA si segnalò con due hit nel 1965, Bis zur Hochzeit wird alles wieder gut  (il disco più venduto in DDR quell’anno) e Ich such’ mir meinen Bräutigam all eine aus (coverizzati per il mercato dell’ovest da Helen Shapiro)

lunedì, novembre 19, 2012

Punky reggae party


New wave, new craze

Come with your heart and soul

Come 'a come and rock your boat

Cause it's a punky reggae party

Wailers still be there

The Jam, The Dammed, The Clash

Wailers still be there

Dr. Feelgood too, ooh


Erano alcuni versi della canzone di BOB MARLEY “Punky Reggae Party” pubblicata nel 1977 come Bside del singolo “Jamming”, dedicata ai Clash che inserirono una cover della minor hit di Junior Marvin “Police and thieves” nel loro primo album e a tutta la Nuova Onda che arrivava dall’Inghilterra unendo punk e reggae.
Due brani che sancivano l’unione, inedita, di due sonorità, culture, identità, radicalmente lontane come quella giamaicano caraibica, rappresentata musicalmente da reggae e ska e il punk rock, erede diretto, esasperazione del rock n roll.
Fu un periodo breve, fulminante, come molti dei suoni di quegli anni, ma un numero di eccezionali gruppi seppe mischiare le due influenze alla perfezione creando un nuovo sound, che si inseriva nel contesto new wave/punk ma con tutt’altro linguaggio.

I Clash del primo album e poi di “London calling” , i Ruts, Police, Joe Jackson, i Coventry Automatics (di lì a poco diventeranno Specials con il primo album prodotto da Costello), Elvis Costello, Members, le Slits, PIL di John Lydon e Jah Wobble (che assimilano parecchio dub) parlano questo linguaggio, a cui, non del tutto a caso, già aveva accennato Patti Smith nel 1975 in “Horses” con “Redondo beach”.
Il DJ Don Letts al “Roxy”, il “tempio” punk londinese passava brani reggae durante i concerti delle prime punk bands, bands reggae inglesi come Aswad o Steel Pulse giravano l’Inghilterra con le punk bands.

Un’esplosione di energia , l’assorbimento di un sound in un altro per produrne uno completamente nuovo.
Durò poco, il tutto divenne poi consuetudine ma in quel momento fu assolutamente rivoluzionario !!

In un’ipotetica veloce compilation del meglio di quel periodo i Clash con “Police and thieves” , “White man in Hammersmith Palais”, “Bankrobber” “Guns of Brixton, “Rudie can’t fail”, “Revolution rock, i Ruts di “Jah war” “Give youth a chance” e “Love in vain”, Elvis Costello e “Watchin the detectives”, “Less than zero”,“Living in paradise”,“I don’t want to go to Chelsea”, i Members con “Offshore banking business” i Police dei famosissimi “Roxanne”, “So lonely”, “I can’t stand losing you”,,“Message in a bottle”, “Walking on the moon”, “Bring on the night” le Slits con “Grapevine”, la citata Patti Smith di “Redondo beach”, gli Stiff Litlle Fingers “Johnny was”, tutto il primo album degli Specials, il primo Joe Jackson di “Sunday papers” e “Is she really going out with him?”, gli Stranglers di “Peaches” e “Nice and sleazy”

domenica, novembre 18, 2012

I No Strange in tour in Giappone: il resoconto

Non poteva mancare su questo blog un resoconto del TOUR GIAPPONESE dei NO STRANGE dalla diretta voce dei protagonisti.

Nelle foto il poster giapponese, alcune fan di Tokyo e il vostro blogger preferito nei camerini dello United di Torino con Ursus e Alba dei no Strange.

URSUS
Tornati dal breve tour giapponese,lo confessiamo, ci si sente un po'come Sordi e Monica Vitti alla fine del famoso film "Polvere di stelle".
Come qualcuno che ha gustato per pochi giorni una sconvolgente esperienza di "fama e celebrità" e di colpo si ritrova con la consueta routine ordinaria di sopravvivenza.
Il nostro pubblico d'oltre oceano è forse la cosa più incomprensibile ed affascinante che potessimo mai conoscere da vicino: incomprensibile se si segue un modello di pensiero che è il nostro classico occidentale,ma chiarissimo se lo si rapporta al LORO modello culturale e organizzativo, presente a tutti i livelli della vita sociale.
I giapponesi sono gelosissimi della loro arte, della propria musica, dei loro prodotti e manufatti (anche per via di un vicino troppo ingombrante quale la Cina).
Applicano un protezionismo che pare estremo (molto prima di partire ci hanno imposto l'ipoteca su video e registrazioni dell'evento,come fanno con tutti) e si contraddistinguono per una precisione totale,anche nei minimi particolari.
Hanno curato il tragitto ora per ora,con puntiglio assoluto,fino alla scelta della strumentazione e di ogni apparato tecnico,delle scenografie,delle luci e dei nostri ritmi personali (comprese le pause,l'alimentazione ed il riposo).
Probabilmente,per come siamo nati e cresciuti noi balordi latini,saremmo incompatibili su molti altri aspetti.
Viviamo in pianeti diversi ancor più che in continenti.

Ma è un pianeta sconvolgente ed affascinante,perchè accoglie in modo entusiasta chiunque si esprima con linguaggi a loro affini, perlomeno nei gusti e nella ricerca estetica.

L'arte italiana è da loro vista come patrimonio dell'umanità,per cui ne seguono da tempo ogni minimo aspetto...ma nella musica convergono TUTTI (dall'adolescente fino all'anziano) nell'adorazione dei nostri nomi più interessanti, senza alcuna differenza tra passato o presente, nè tra notorietà o meno.
Infatti gli artisti italiani che si sono esibiti in Japan hanno riempito locali che contengono migliaia di posti, mentre qui in patria non riuscirebbero neanche a vedersi tra un ristretto giro di amici e parenti (potrei citarne molti, soprattutto dello storico panorama underground fine 60 e inizio 70), ma tutti avevano,come segno comune,queste peculiarità :
Sonorità "mistiche" a metà strada tra il prog ed i corrieri cosmici,di teutonica memoria,psichedelia figlia di "Ummagumma" e dei nuovi folletti alle porte della percezione.
Infatti di altre espressioni musicali quali il punk,la techno,il rap ecc... si curano molto poco, li vedono come un sotto-prodotto della amata/odiata cultura anglosassone, che serve giusto per svaghi notturni, nei momenti in cui si trasformano da dr.Jekill a Mr.Hyde (perchè nel privato sanno essere anche molto trasgressivi,fino agli eccessi).
Nei locali e nei teatri in cui siamo stati noi, pubblico numerosissimo (mi dicono circa un migliaio di presenze a concerto), ordinato,composto e caloroso allo stesso tempo...
Persone di tutte le età e tipologie: nessun punk o metallaro, parecchi mods o psycho-beat con abbigliamento sui generis e contaminazioni frequenti tra il glam ed il freak, ma sempre molto curati e mai volgari,comprese le bellissime ragazze (persino una coppia di ottantenni in viaggio di nozze!).
Nell'ultima giornata della troppo breve ma intensissima settimana (a noi pareva quasi un secolo) hanno intervistato me ed Alberto,in una radio gestita da studenti : quanto di più sconvolgente e sbalorditivo potessimo trovare in un paese così lontano,con dischi alle pareti,incorniciati come cimeli...e tra questi dischi campeggiavano anche "Trasparenze e suoni" e "L'universo",nel mezzo di una selezione di gruppi storici di casa nostra,quali Osanna,Orme e Balletto di Bronzo.
La trasmissione si è aperta con Le Stelle di Mario Schifano e da lì la coppia di speaker,ragazzo e ragazza,ha introdotto la nostra storia a partire dalle origini fino ai più recenti album e partecipazioni alle varie compilation : sempre puntigliosi,esperti,informatissimi...peccato dover sempre aspettare le traduzioni per discuterne e per potersi capire totalmente su tutti i termini,ma è stato qualcosa di indimenticabile,davvero.

CRISTINA Che bella Tokyo.
Che strana metropoli con le sue luci sfavillanti.
Le persone sono davvero molto gentili.
Imbarazzanti quasi.
Però sembrano tutti ingessati. Così rigidi nell'osservare il programma stabilito.
Abbiamo mandato in paranoia il nostro tour-manager-inteprete-guida solo perchè abbiamo chiesto di poter uscire da Roppongi per vedere altri quartieri!
Avremmo voluto tuffarci nei negozi di dischi e/o strumenti, avremmo voluto cazzeggiare per cavoli nostri!
Invece abbiamo avuto troppo poco tempo e troppe cose da fare!
L'organizzazione rigida e precisa è stata davvero eccellente.
Il concerto alla Waseda (l'Università) per me è stato il momento più toccante.
Il pubblico è stato grandioso per l'intensa partecipazione emotiva.
I ragazzi non me ne vorranno se dico che all'Università erano più sciolti e più rilassati della sera prima.
Bello il live al Bunkamura-Theatre, ma in mezzo a quella moltitudine di ragazzi e ragazze in piedi a ballare.
Sono soddisfazioni che non riesco ad esprimere.
Sul lungo viaggio di ritorno mi sono auto-para-flesciata al contrario. In aereo mi sono raccontata mentalmente questa incredibile esperienza.
Il bagaglio di sensazioni ed emozioni ha arricchito il mio cuore.
Per giorni e giorni, e ancora ora quando ci ripenso, il mio viso è identico a quello di Otafuku: la divinità shinto resa famosa come la maschera sorridente del Teatro Noh!
E se chiudo gli occhi mi vedo- ci vedo ancora lì in teatro, o in radio o all'Università.
Nella mente e nel cuore le note di Cristalli Sognanti: ma in fondo al mio cuore brucia un fuoco ancora acceso!
Konnichiwa Tokyo People, ArigatÚ Mr. Hasamoto, Thank you so much sweety Hiriki

Ps: Lo so. Vi aspettavate che vi raccontassi aneddoti gustosi, tipo quando Salvo si è perso al Gengis Khan Airport seguendo delle hostess di una improbabile compagnia aerea o quando pensava che non ci fosse nessun italiano nei paraggi e ha esclamato uno dei suoi innumerevoli: dioffà o di quando Lucio ha accarezzato il sogno di potersi tenere la bellissima batteria messagli a disposizione al Teatro, di quando Alberto si è dimenticato il suo bel cappello alla Indiana Jones nel taxi o quando ci han cuccato me e Pino fumare sulle scale come dei liceali, e del culo formato casa popolare di Tokyo che ci han fatto! o quando...
No. Niente di tutto ciò. Sono Nostrangica io!!!
Ppss: Non chiedeteci video e/o audio. Non sappiamo più come dirlo. Abbiamo firmato un contratto che dava l'esclusiva all'organizzazione giapponese! (e come direbbe Salvo: dioff)

ALBERTO
Un sogno? A me talvolta capita di sognare sapendo che sto sognando.
Un viaggio di ore ed ore, poi arrivi, suoni, canti, assapori un mondo che conoscevi tramite Kawabata, Mishima, Murakami, che ami, così pieno di contraddizioni, assurdo, totalmente altro, totalmente strano.
Ma qualcuno l'avrà capito cosa vuol dire No Strange?
Strani loro, strani noiÖSuoni, mangi, dormi, parli un casino: con chi? In che lingua? Chi traduce? Chi capisce qualcosa? Eppure passa tutto, quello che provi e quello che vorresti, passa quello che sei e che qui a casa riesci appena ad essere ma è un sogno, appunto, un sogno che sai di sognare e da cui non ti vorresti svegliare.
Sai che a casa non è e non sarà lo stesso (Nemo propheta in patria) e allora respiri profondo, cerchi un dojo zen, un teatro Noh ma ogni scritta è indecifrabile come un enigma, splendidi ghirigori che intuisci vogliano dire qualcosa ma puoi soltanto rimanere inebetito lì ad ammirarli , splendidi disegni tra gente che corre.
Vorrei andare un po' in giro da solo ma so che mi perderei e allora gli unici riferimenti sono i taxi.
A Torino è troppo facile: la Mole, di qua la collina, di là le montagne, a Tokyo hai solo i taxi che aprono e chiudono le porte da soli, come automi.
Strano, dall'impatto urbano con la tecnologia credevo amassero più i Kraftwerk che i suoni italiani o il bel canto, ci dicono, forse non han le idee cosÏ chiare!
Apro gli occhi e sono di nuovo in aereo , son sveglio?
con il mio poggiatesta gonfiabile ma chi riesce a dormire?

LUCIO
Un viaggio faticoso,ma entusiasmante,dove abbiamo conosciuto un mondo molto diverso dal nostro,proprio per questo interessante,in tutto il suo insieme e le sue mille sfaccettature.
Pubblico ultra-caloroso e festante,anche nel perfetto stile orientale e nella loro proverbiale compostezza.
Forse sarà l'unica volta in cui vedremo folle così entusiaste,soprattutto di giovani e ragazzi/e innamorati della nostra musica,che pur arriva da lontano e da una sua storia decennale...abbracci calorosi per tutti i partecipanti e per tutti coloro che ci hanno accompagnato in questa avventura extra-continentale ed in special modo per Shirai ,instancabile guidatore del pulmino messoci a disposizione dall'emittente radio-TV di Tokyo.

PINO
Estremo Oriente sempre più estremo.
Le città che non dormono mai tra onirici orizzonti scomparsi,nascosti.
Ore di veglia senza il giusto ristoro del sonno.
Profumi di sudore, donne e cibo e folla accalcata negli angoli delle strade.
Non un momento,un istante di giusta pausa, foriera di pace.
Il divenire perpetuo occulta líantica tradizione degli uomini.
Forse tocca a me cercarla .
Oriente aspettami ,non ho ancora finito !

sabato, novembre 17, 2012

Assist: StereoBeat



Troppo facile (difficile?) per me parlare degli ASSIST.
Ne produssi il primo album “Pop club” per la mia Face Records nel 1998 con tanto di distribuzione Sony e molte speranze, dopo essere rimasto affascinato da uno splendido demo, beatlesiano fino al midollo.
Sono passati gli anni ma il nuovo “Stereobeat” (pubblicato da Irma con distribuzione Audioglobe)non ha perso un grammo di quella freschezza, della particolare energica spontaneità, quasi naif, che ha sempre caratterizzato il sound della band torinese.

Undici brani, ospiti illustri (Max Casacci dei Subsonica, Oskar degli Statuto, Luca Re dei Sick Rose), un sound brillante, potente, pulito che non ha smesso di attingere dai maestri John,Paul,George,Ringo, dagli Oasis, dai Supergrass, Ordinary Boys, Stone Roses in tutte le loro evoluzioni, da quel 60’s beat che intrecciava melodia e ruvidezza (Kinks, Small Faces, Who), dalla fabbrica di stile che fu la Motown Records.
Ma che suona stupendamente moderno, abbracciando quell’ala pop italiana con uno sguardo ai 60 che hanno saputo mettere a buon frutto gruppi come Velvet, Luna Pop, Cremonini, gli stessi Statuto in alcuni momenti della loro fulgida carriera.
Un album maturo per il grande salto, senza tradire le radici di sempre.

venerdì, novembre 16, 2012

Lilith and the Sinnersaints a Milano all'Arci Ohibò



Dopo due date particolarmente riuscite LILITH AND THE SINNERSAINTS tornano su un palco milanese (la quinta volta nel 2012).
All'ARCI OHIBO' di via Benaco 1 a MILANO dalle 22.30 il solito cabaret di blues, punk, canzone, Velvet Underground, Television, Nuns, Robert Johnson, Adamo, Not Moving e tanto altro dai nostri quattro album.

Poi chiuderemo l'anno con Parma (al "Mu per il Joe Strummer Tribute sab 15 dicembre) Brescia (al "Lio Bar" il 18 dicembre) e Piacenza al "Baciccia" il 20 dicembre.

www.lilithandthesinnersaints.com
www.associazioneohibo.it

Heroes: Robin Friday



Nelle foto: Robin Friday mostra la V (up yours) al portiere del Luton dopo averlo battuto con una tremenda fucilata da 30 metri.
Il portiere si era rifiutato di dargli la mano dopo che Friday gliel’aveva porta per scusarsi di un‘ entrata a gamba tesa.
Robin Friday bacia in bocca un poliziotto durante Rochdale-Reading nel 1975.
"Era lì solo, al freddo e sembrava davvero stufo. Volevo tirarlo un po su".


Il nostro Alberto Galletti ci parla di un working class hero del calcio inglese, sconosciuto ai più, ma dalla vita e dalle gesta che ne fanno un’icona del modo di intendere calcio e vita: ROBIN FRIDAY

Robin Friday non giocò mai nella I divisione inglese, si ritirò a 25 anni dopo tre stagioni tra i professionisti, il risultato più alto che ottenne fu una finale di Coppa del Galles persa (Cardiff City 2-1 e 0-3 Shrewsbury Town) nel 1977.
Nel 1990 a 38 anni era morto.

A 12 anni entrò nei giovanissimi dal Crystal Palace, a 13 passò al QPR, a 14 lo prese il Chelsea,uno dei più promettenti giovani attacanti in circolazione.Cominciò a drogarsi all’età di 15 anni, a 16 finì in riformatorio per 14 mesi, dopo una serie ripetuta di furti, a 17 sposò una ragazza di colore che aveva messo incinta causando grande costernazione.
Questo non fermò la sua frenetica attività di donnaiolo, grande bevitore e consumatore di droghe.
Per fronteggiare la situazione firmò per i semi-professionisti del Walthamstow Avenue e poi con l’ Hayes, più vicino a casa. Con quest’ultima maglia fu grande protagonista di uno sfortunato turno di FA Cup contro il Reading, ma le sue prodezze impressionarono l’allenatore dei Royals, che lo tesserò.
All’esordio tra i professionisti segnò due gol memorabili nella vittoria contro l’Exter City.
Fu capocannoniere col Reading per tre stagioni consecutivi, la terza si concluse con la promozione alla III divisione. Dopo quello che il Daily Mirror definì il gol dell’anno, l’arbitro (internazionale che arbitrò mondiali ed europei) gli disse ‘ non ho mai visto un gol così bello, neanche ai mondiali’, rispose ‘Davvero? Dovresti venire qui più spesso, lo faccio tutte le settimane’.

In un'altra partita mentre s’involava sulla fascia vide un tifoso del Reading che beveva dalla fiaschetta, uscì palla la piede dalla linea laterale, saltò i cartelloni pubblicitari, strappò la fiaschetta di mano al tifoso e tirò un generoso sorso. Fu ammonito dall’arbitro per esser uscito dal campo senza permesso e gli rispose ‘Ma arbitro non avevo ancora bevuto la mia pinta!’ Per tutta risposta l’arbitro lo espulse.
Al suo secondo matrimonio fu filmato dalla TV mentre in attesa della sposa rollava (e poi si fumò) una canna sui gradini della chiesa. Al ricevimento c’erano a disposizione quantità enormi di marijuana e champagne dei quali i circa duecento invitati abusarono senza posa, finendo poi a picchiarsi, sfasciare il locale e rubare i regali degli sposi, la cosa più divertente che mi sia capitata disse la sposa. Fu ceduto al Cardiff dove arrivò in treno senza biglietto e dovette essere rilasciato dietro cauzione versata dal suo nuovo allenatore. Lo ripagò al sabato segnando due gol e facendo un assist nella vittoria 3-0 sul Fulham, durante la partita schiacciò anche i testicoli al grande Bobby Moore.

Chiuse la carriera con un espulsione per aver dato un proditorio calcio in faccia a Mark Lawrenson del Brighton e dopo aver guadagnato anzitempo gli spogliatoi, gli cagò nella borsa.
La sua carriera declinò rapidamente tra divorzi, sbronze colossali, abuso di droghe, arresti e si ritrovò a fare l’asfaltatore.
L’arbitro del famoso gol lo andò a trovare chiedendogli di mettere giudizio: in due o tre anni sarai in nazionale, Robin gli rispose ‘Che vuoi? Ho la metà dei tuoi anni e ho vissuto due delle tue vite!’

Finì ancora in prigione per aver finto di essere un poliziotto ed essere andato in giro a confiscare droga ad altri.
Fu trovato morto in casa dopo esser stato colpito da infarto.
Robin Friday è stato un grande degli anni 70, un eroe delle case popolari, dalle quali proveniva e non riuscì mai ad uscire, ma comunque l’unico che fece sembrare George Best un bambino dell’asilo.

I SUPER FURRY ANIMALS dedicarono a Friday il 45 giri "The man don't give a fuck".
La canzone doveva essere il lato B del precedente singolo del gruppo ‘if you don’t want me to destroy you,’, ma Donald Fagen leader degli Steely Dan si rifiutò di liberare i diritti d’autore per una frase della loro canzone ‘Show biz kids’ ‘you know they don’t give a fuck about anybody else, che viene ripetuta nella canzone più di 50 volte. Il gruppo non si arrese e ottenne permesso di pubblicazione anni più tardi quando la fece uscire come 45 giri.Nelle note di copertina scritte da Paolo Hewitt e Paul McGuigan si legge tra l’altro ‘ questo disco è dedicato a Robin Friday un anticonformista che ha vissuto ogni secondo della sua vita con un intensità mostruosa. Friday non solo faceva il gesto a V a portieri che non riuscivano a fermarlo, ma anche a chiunque abbia mai cercato di limitarlo o intimidirlo.
E’ stato un’ero dei sobborghi, è stato l’unico a far apparire George Best un peso piuma della trasgressione.

giovedì, novembre 15, 2012

L'Italia al tempo della crisi: compro oro



Secondo i dati del Codacons, i negozi di COMPRO ORO sono ormai presenti in tutte le città italiane e generano un enorme business pari a circa 14 miliardi di euro.
In Italia si contano ad oggi circa 28 mila negozi. Nel 2010 la media mensile di oro venduto era stata di 7-8 tonnellate, nel 2011 è raddoppiata.
Negli ultimi 50 anni gli italiani hanno comprato bracciali, anelli, collane e altri oggetti di oreficeria in oro al ritmo stimato di circa 200 tonnellate l'anno.

In Italia un poco alla volta le famiglie hanno accumulato a loro insaputa, un vero e proprio tesoro: circa 10mila tonnellate di oro sotto forma di articoli di oreficeria.
Una "riserva aurea" di  quasi 7.500 tonnellate di oro grezzo, al pari delle riserve di Fort Knox e il cui valore agli attuali prezzi di mercato si aggira intorno ai circa 225 miliardi di euro.

In tempi di estrema crisi sono costretti a disfarsene finendo nelle mani dei suddetti Compro Oro spesso nelle mani di organizzazioni mafiose che possono nel modo più semplice e legale riciclare denaro sporco e accumulare metallo prezioso.