venerdì, agosto 30, 2024

Agosto 2024. Il meglio del mese

A 2/3 dell'anno l'elenco di ottime uscite da segnalare si allunga ancora di più.
Dall'estero Judith Hill, Libertines, Prisoners, the X, Bella Brown and the Jealous Lovers, Dexy's, Jack White, Les Amazones d'Afrique, Sahra Halgan, Boulevards, Mdou Moctar, Paul Weller, Liam Gallagher & John Squire, Mooon, Black Crowes, Mourning (A)Blkstar, Dandy Warhols, Michelle David & True Tones, Clairo, Big Boss Man, The Wreckery, Yard Act, Kula Shaker, Kim Gordon, Kamasi Washington, Real Estate, Lemon Twigs, Bad Nerves, Tibbs, Idles, New Mastersounds, Mo Troper, Galileo 7, Fontaines DC e Popincourt.
Tra gli italiani Ossa di Cane, A Toys orchestra, Tre Allegri Ragazzi Morti, Manupuma, Rudy Bolo, Klasse Kriminale, Cesare Basile, Organ Squad, La Crus, The Devils, Enri Zavalloni, Any Other, Smalltown Tigers, Paolo Zangara, Pier Adduce, Paolo Benvegnù, Zolle, I Fenomeni, Lovesick, Newglads.

The X - Smoke & Fiction
Nell'ultimo album della loro lunga e gloriosa carriera gli X fanno gli X, esattamente come ce li aspettiamo e come ci piacciono. Dieci canzoni, meno di mezzora di musica. Talmente belle da sincera commozione. Grazie per tutta la bellezza e per il vostro eterno Wild Gift!

MOURNING (A)BLKSTAR - Anciet/Future
Splendido ritorno, dopo quattro anni, del collettivo statunitense, tra sperimentazione, spiritual jazz, funk, soul, hip hop, gospel, suono classico e suono moderno. Afrofuturismo in tutta la sua bellezza. Black sound al top della creatività ed espressività.

UPPLOPPET - Roadrunner
In Svezia quando c'è da fare ruggire le chitarre sono sempre pronti. Al primo album il quintetto di Gothenorg spara una classica ma micidiale miscela di Mc5, Hellacopters, Hanoi Rocks, Stones incazzosi, punk rock, street hard rock. Dieci brani, 27 minuti, la perfezione rock 'n' roll.

THEE MARLOES - Perak
Il trio indonesiano suona un ammaliante sweet and lovely soul, con una convincente voce femminile e un sound perfettamente vintage. Molto cool.

THEE HEART TONES - Forever & ever
La giovanissima band chicano/californiana all'esordio con una mieleosissima miscela di soul, suoni latini, blues e l'irresistibile Northern Soul di "Need something more". Piacevolissimi e dalle grandi potenzialità.

LOS YESTERDAYS - Frozen in times
Da Los Angeles un ammaliante, pigro e caldo soul perfettamente adatto a una giornata a bordo piscina sorseggiando freschi cocktail per scacciare il caldo californiano. Molto cool.

JIMETTA ROSE & THE VOICES OF CREATION - Things Are Getting Better
Un enesemble di grandi voci gospel al servizio di un sound moderno, molto souleggiante, funk, con puntate in ambito fusion e disco. Progetto interessante e intrigante.

FONTAINES D.C. – Romance
Prosegue il processo di maturazione della band irlandese che lascia progressivamente le asperità iniziali a favore di un sound sempre personale e riconoscibile ma più fruibile. L’album tradisce forse le incertezze di un momento transitorio ma non manca di servire alcuni brani favolosi, da “Starbuster” alla Welleriana/Blur “Bug, la cupa e drammatica “Sundowner”, il pop di gusto Smiths della conclusiva “Favourite”. Non un capolavoro ma un ottimo album che cresce ad ogni ascolto.

BLUR - Live At Wembley Stadium
I concerti di sabato 8 e domenica 9 luglio 2023 riviono in questo rotolante live. Che non sembra registrato davanti a 150.000 persone ma in un piccolo club. Chitarra rozza, distorsione a grattugia, qualche testo sbagliato da Damon, voce non sempre all'altezza, roca e sporca. Ma poi c'è quel repertorio inimitabile con tutto il loro meglio a fare esplodere il cuore. Una bella testimonianza, sicuramente particolare.

THE LOONS - Memories Have Faces
Il garage punk ha un linguaggio ben preciso (dai Seeds e Sonics ai Fuzztones) e da lì poco (giustamente e correttamente) si muove. La band californiana di Mike Stax si muove nei consueti territori 60's fuzz psych, con qualche momento "onirico" e una bella cover dei Pretty Things più oscuri con "Cries from the Midnight Circus". Ovviamente lo fa bene e alla perfezione, ci mancherebbe. L'abum è fresco e pieno di quel groove tanto amato. I cultori del genere ne saranno delizaiti.

KING GIZZARD AND THE WIZARD LIZARD - Flight b741
La band australiana firma il ventiquattresimo album in 14 anni (ma siamo solo ad agosto...). Ennesima esplorazione di un "genere", questa volta tra garage, beat, rock blues e affini. Come sempre eseguono il tutto alla perfezione, con un risultato più che godibile e riprodotto al meglio. Se li contestualizziamo al loro progetto globale è un ulteriore tassello che si aggiunge all'enciclopedica discografia. Preso a sé stante è un ennesimo ottimo esercizio di stile, piacevole, ben fatto. Poco più.

KLASSE KRIMINALE - Belin, dei pazzi!
La storica band street punk Oi! di Savona compie un'operazione più unica che rara, ridando vita a una serie di brani "perduti" della storia punk ligure. Da vecchie cassette, addirittura confusi ricordi, ricostruiscono una serie di testimonianze degli anni Ottanta, reinterpretandole con il loro inconfondibile stile. Registrazione potentissima, canzoni di Gangland, Total Crash, Vanexa e altri, inclusa la conclusiva "Keep the faith" degli stessi KK, piene di genuina sincerità e urgenza, perfettamente arrangiate e suonate. Fantastico tutto.

PETE TOWNSHEND - Live in concert 1985-2001
Il Pete Townshend solista ha sempre regalato album più che dignitosi (oltre a un capolavoro come "Empty glass"), riuscendo però raramente ad eguagliare la creatività degli Who.
Interessante l'attività live, ricca di sorprese, concerti acustici, rielaborazioni dei classici degli Who molto creative, cover particolari.
Esce ora un cofanetto di 14 CD e un set digitale contenente sette album live di Pete Townshend disponibili solo tramite il suo sito web.
Tutti gli album sono fuori stampa da due decenni.
I dettagli di ogni disco qui: https://tonyface.blogspot.com/2024/08/pete-townshend-live-in-concert-1985-2001.html

DEEP PURPLE - =1
Avranno anche quasi ottanta anni ma Gillan, Glover, Paice, più le nuove leve, sanno ancora spaccare. Hard rock, hard blues, classic rock fatto come dio comanda. Potenza sonora spaventosa (Bob Ezrin dietro il mixer sa bene come fare), ottime canzoni. Pura classe per chi apprezza la storia del rock.

AA.VV.- Roots Rock Rebels - When Punk Met Reggae 1975-1982, 3CD Box Set
Gustosissima compilation che coglie l'attimo in cui punk e reggae si incontrarono tra il 1975 e il 1982 in Gran Bretagna.
Non ci sono particolari novità (Clash, Burning Spear, Generation X, Culture, Public Image Ltd, Steel Pulse, Specials, Dennis Brown, Ruts, Madness, Black Uhuru, Linton Kwesi Johnson) ma qualche momento meno conosciuto spunta, a impreziosire il tutto (incluse le 28 pagine del booklet).
Qualche forzatura non inficia il valore dell'ascolto dei 54 brani, perfetta colonna sonora per una rovente estate.
Immancabile il contributo di Don Letts:
"Guardando indietro, lo vedo come un punto di svolta, un crocevia culturale in cui generi diversi si sono incontrati, dando vita a qualcosa di completamente nuovo.
Era una celebrazione della diversità e un rifiuto dell’omogeneità.
Il suo impatto si è propagato nel corso degli anni, influenzando le generazioni successive di musicisti e plasmando il panorama della musica alternativa.
La fusione tra punk e reggae divenne un modello per le band che cercavano di liberarsi dai vincoli del genere.
Come DJ al Roxy ho avuto la fortuna di vedere queste idee sbocciare fino a diventare quello che oggi chiamiamo il "punky reggae party" e quarantacinque anni dopo il suo messaggio ha ancora un grande effetto".


AA.VV. - Punk Floyd. A tribute to Pink Floyd
I dischi tributo divertono probabilmente più chi li fa che chi li ascolta. Nello specifico una lunga serie di nomi storici del punk rock riprendono vari brani dei Pink Floyd in un'operazione/ossimoro divertente e, come in ogni simile occasione, con gli ovvi e prevedibili alti e bassi. Tra chi se la cava dignitosamente (vedi gli Uk Subs con "Comfortably numb", aiutati anche dalla bellezza della melodia originale) e chi invece cade nel ridicolo e imbarazzante (l'hardcore degli Angry Samoans alle prese con "Another brick in the wall").
Stupisce la lista dei nomi storici, alle prese con registrazioni recenti ed esclusive per il progetto: Dead Boys, Vibrators, Members, Eater, Skids, molti dei quali con un solo membro originale. Curioso.

POLICE - Synchronicity 40° anniversario
Il quinto album della (breve) carriera colse i Police al massimo della fama e del successo, con un potenziale commerciale enorme (solo in Usa vendette otto milioni di copie). Ma i rapporti tra i componenti erano irrimediabilmente compromessi e il gruppo si sciolse. Esce a oltre 40 anni di distanza il classico cofanetto con sei CD, con 84 brani, di cui buona parte inediti, concerti, remix e altro. L'album non ha perso un grammo di quella freschezza, voglia di sperimentare e di elaborare il loro sound. Un capolavoro degli 80.

BILL WYMAN - Drive my car
A 88 anni ha ancora voglia di incidere un album. Che poi non è così male. Fa il verso a JJ Cale, blueseggia con sufficiente groove ed efficacia. Non è certo un capolavoro (mai le sono state le sue avventure soliste) ma un bel sottofondo bluesy.

BURNING TESLAS – Groovy
La band bolognese (dal nome strepitoso) macina elettricità chitarristica lungo sette brani immediati, urgenti, in cui convergono rabbia punk, un retrogusto power pop e una buona e corroborante dose di glam rock direttamente da metà anni Settanta, un attimo prima che esplodesse il punk rock di cui il glam fu un seme determinante. La band compone bene, non si limita ai cliché dei generi (vedi ad esempio la ballata alla Flamin’ Groovies “The Promise that you made me”). Ottimi davvero.

NEWGLADS - The Ghosts They're Selling Memories
Eccellente ritorno della band bolognese con cinque brani che guardano a un perfetto mix tra Britpop e shoegaze, ammantato da un gusto melodico sopraffino e da una produzione di primo livello che esalta la qualità compositiva della band. Un vero e proprio gioiello dalle grandissime potenzialità commerciali (se rivolto al mercato inglese).

ASCOLTATO ANCHE:
RESOLUTION 88 (funk jazz strumentale abbastanza scontato), MARC ALMOND (un nuovo omaggio a cover a lui care, "I talk to the wind" dei King Crimson, con tanto di Ian Anderson dei Jethro Tull al flauto, è stupenda. Il resto molto carino)

LETTO

Paul Sexton - Charlie's Good Tonight
Una biografia elegante, sobria, raffinata tanto quanto il soggetto, il favoloso CHARLIE WATTS.
Ci sono la sua vita, il suo aplomb e distacco dalle "cose terrene" (vedi i milioni di dollari dei tour mondiali degli Stones con centinaia di migliaia di persone al loro cospetto). Mai rassegnato al suo ruolo di batterista "rock", si è sempre considerato un jazzista.
"Charlie Parker, se sono quello che sono è grazie a quest'uomo".
Cresce artisticamente nel brulicante calderone della Londra "blues" dei primi anni Sessanta.
Quando andavo nei locali non era mai per ballare ma per starmene vicino al batterista e guardarlo suonare.
E inevitabilmente erano Neri Americani e suonavano jazz. Io volevo suonare come loro".
E poi i ROLLING STONES e la loro epopea, la sua riluttanza al successo e al proscenio, la scarsa voglia di imbarcarsi in tour mondiali di anni, a favore di una vita ritirata tra le sue collezioni, cani, cavalli, vestiti di gran classe.
Poche parole ma sempre perfettamente scandite ed efficaci.
"Noi abbiamo rivenduto la musica agli americani che non hanno mai ascoltato gente da cui abbiamo copiato la metà di quello che facciamo. Questo all'inizio. Gli vendiamo indietro le nostre influenze, il nostro modo di farle. Forse è più accettabile il modo in cui lo facciamo noi."
Sempre stupito dal successo ottenuto.
"Non ho cambiato la mia attitudine verso la gente. è la gente che ha cambiato la sua verso di me."
Il libro non indulge nelle sciocchezze da vita da rockstar e legge con molta discrezione il suo periodo più oscuro tra alcol e droghe.
Molto belle le storie della sua enorme generosità (altrettanto quelle sui regali che a ogni compleanno si scambiano gli Stones).
Ancora più stupendo l'aneddoto sulla sua collezione di auto, senza avere la patente..."non posso guidare. Mi piace sedermi sulle mie auto e ascoltare il loro motore".
Quello che risalta è il rispetto e l'amore che ha sempre circondato uno dei più grandi batteristi rock 'n' roll di sempre.
E' quello che, alla fine, conta.

Bobby Gillespie - Tenement Kid
Un perfetto romanzo di formazione se non fosse "solo" l'autobiografia di un musicista che ha marchiato a fuoco la stagione Ottanta/Novanta.
BOBBY GILLESPIE racconta la sua difficile e avventurosa vita con dovizia di particolari (forse troppi e con eccessivi dettagli) in un libro che parte dall'infanzia e arriva a una delle indiscutibili pietre miliari del pop rock degli anni Novanta, "Screamadelica" dei suoi Primal Scream, nel 1991.
L'adolescenza nella povera periferia di Glasgow degli anni Sessanta, tra difficoltà varie e le domeniche sugli spalti a tifare Celtic.
Genitori socialisti working class.
"Nelle case dei cattolici c'era il ritratto del Papa, in quelle dei protestanti quello della Regina, da noi Che Guevara e la foto di Tommie Smith e John Carlos con il pugno chiuso alle Olimpiadi di Messico 1968".
I primi rigurgiti rock con Thin Lizzy e David Bowie e poi il punk che spazza via tutto, l'identificazione nei Sex Pistols, Jam e Clash e il successivo superamento di ciò che in un lampo era diventato "classico".
"A un certo punto quando i Clash o i Jam suonavano da noi non compravo più i biglietti. Erano diventati troppo famosi, troppo normali. Volevo l'eccitazione di una band che suonava in un piccolo club e che incidesse per una piccola label.
Ero dentro alla faccia più occulta e nascosta del rock 'n' roll.
Cercavo nuove energie.
Le Slits, gli Au Pairs, Raincoats, Pop Group, le Modettes".
L'ascesa verso la notorietà è irta di problemi, sconfitte, delusioni.
Dagli Altered Images, ai Wake, fino ad approdare a una nuova band, caotica, estrema, dissonante, in cui la sua batteria più che minimale ci sta alla perfezione: Jesus and the Mary Chain.
Arriva il successo, quello vero, ma quando i litigiosi fratelli Reid gli intimeranno di scegliere, non avrà dubbi nell'abbracciare il suo primo sogno e progetto, i Primal Scream.
Anche in questo sarà dura e complicato ma, tra eccessi di ogni tipo, alti e bassi, arriveranno i primi posti nelle classifiche e "Screamadelica" li consegnerà alla storia.
Un racconto molto reale e divertente che rappresenta al meglio la vita di quei musicisti che hanno venduto, anzi no, regalato, la vita al rock 'n' roll.

Luca Frazzi - I 100 dischi essenziali punk italiani
Dopo la pubblicazione, funestata da inenarrabili polemiche, "c'è questo/non c'è quello", "dovrebbe essere nei primi 10, non al 22° posto", di "100 dischi essenziali new wave e post punk italiani", un anno fa LUCA FRAZZI, nella guida estiva di "Rumore", si dedica ai 100 dischi PUNK, dal 1977 al 1982, ovvero tutto ciò che è arrivato PRIMA dell'hardcore o che comunque ne ha intercettato solo i pionieristici esempi (CCM, Wrecthed, Chelsea Hotel, Indigesti, Fall Out, Peggio Punx, Nabat).
Lo sguardo è rivolto soprattutto a chi ha aperto le "danze", anzi il pogo: Skiantos, Tampax, Hitler SS, Gaznevada, Sorella Maldestra, Gags, Decibel, Kandeggina Gang, Chrisma, il Great Complotto, Dirty Actions.
E anche a tutti quelli "tangenti" al punk, pur se molto lontani nel risultato finale (da Faust'o a Ivan Cattaneo) fino alle parodie (Anna Oxa, Incesti, Aedi, Andrea Mingardi).
Molto spesso si ricorre a compilation postume, cassette, singoli.
I dischi realizzati in tempo reale furono numericamente scarsi.
Come sempre una raccolta importante, per archiviare, con minuziosi dettagli, un'epoca lontana, più volte indagata, non sempre con la giusta precisione.
Ora ci siamo.

IN CANTIERE
Mercoledì 11 settembre: ore 17 Marina di Cecina Livorno) "Meeting Internazionale Antirazzista".
Con Fabio Fantazzini si parla di contaminazioni sonore.

Il programma: https://www.mia-arci.it/

Sabato 14 settembre: Smart Soul Connection a Viareggio, Bagno Paradiso. Mod e Sottoculture, ore 18.
https://www.facebook.com/events/353556890800208

Martedì 17 settembre: Bologna, Bar Maurizio Jazz Bar, ore 18.30. Incontro con Eddie Piller.
https://www.facebook.com/events/431718893214975

COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

giovedì, agosto 29, 2024

Greg Kihn Band

Ci ha lasciati all'età di 75 anni GREG KIHN, artista di buon livello, semi sconosciuto in Italia ma che ha prodotto ottimi lavori, in bilico tra power pop, guitar rock, tante influenze 60's (scoprì il pop rock con il classico, famoso, Ed Sullivan Show con i Beatles protagonisti nel 1964 e la sua vita cambiò) e un evidente amore per il reggae.
All'attivo oltre venti album e qualche singolo di successo, come "Jeopardy" del 1983 e ""The Breakup Song (They Don't Write 'Em)" del 1981
.

A seguire una piccola scelta, relativa al primo periodo (quello più urgente e creativo, poi persosi in lavori più convenzionali, impersonali e commerciali) per conoscere il personaggio.

I dischi di Greg Kihn erano sempre presenti in ogni negozio di dischi di tutto il mondo...spesso invenduti...

Next of Kihn (1978)
Terzo album (il primo con solo canzoni composte da Greg) e un grande tiro elettrico, energia, potenza ritmica, qualche piccola influenza dell'ormai dilagante punk rock ma anche melodie Beatlesiane e Byrdsiane.
Il “rock's true renaissance man” (come fu soprannominato) dimostra di avere le carte in regola per scrivere grandi cose.

RocKihnRoll (1981)
Puro power pop, chitarre appena distorte, eccellenti melodie, un cenno reggae/ska in "Nothing's gonna change", un po' di glam in "The girl most likely" e il ritmo irrestibile di "Breakup song".
Album godibilissimo.
Kihntinued (1982)
La band prosegue nel suo percorso pop rock, indulgendo in episodi più funk e reggae, con sguardi agli Stones (ai tempi) più recenti ("Testify" e "Seeing is believing") e una buona versione pop soul di "Higher and Higher" di Jackie Wilson.
Kihnspiracy (1983)
Trova il successo con il funk pop di "Jeopardy", secondo in classifica in Usa dietro solo a Michael Jackson di "Beat It".
Il resto dell'album è però altra cosa. A partire dall'aggressiva "Fascination", fino al rock n roll trascinante e travolgente di "Can't love the all".
E poi tanto pop rock di primo livello.
Il top della sua produzione.

Jeopardy
https://www.youtube.com/watch?v=43_GqFW7iYc

The Breakup Song (They Don't Write 'Em)
https://www.youtube.com/watch?v=k8ePSJ44Fiw

Higher and higher
https://www.youtube.com/watch?v=SVsXbfKe7po

Can't Love Them All
https://www.youtube.com/watch?v=8ZG7adOujU8

martedì, agosto 27, 2024

Bobby Gillespie - Tenement Kid

Un perfetto romanzo di formazione se non fosse "solo" l'autobiografia di un musicista che ha marchiato a fuoco la stagione Ottanta/Novanta.

BOBBY GILLESPIE racconta la sua difficile e avventurosa vita con dovizia di particolari (forse troppi e con eccessivi dettagli) in un libro che parte dall'infanzia e arriva a una delle indiscutibili pietre miliari del pop rock degli anni Novanta, "Screamadelica" dei suoi Primal Scream, nel 1991.

L'adolescenza nella povera periferia di Glasgow degli anni Sessanta, tra difficoltà varie e le domeniche sugli spalti a tifare Celtic.
Genitori socialisti working class.
"Nelle case dei cattolici c'era il ritratto del Papa, in quelle dei protestanti quello della Regina, da noi Che Guevara e la foto di Tommie Smith e John Carlos con il pugno chiuso alle Olimpiadi di Messico 1968".

I primi rigurgiti rock con Thin Lizzy e David Bowie e poi il punk che spazza via tutto, l'identificazione nei Sex Pistols, Jam e Clash e il successivo superamento di ciò che in un lampo era diventato "classico".
"A un certo punto quando i Clash o i Jam suonavano da noi non compravo più i biglietti. Erano diventati troppo famosi, troppo normali. Volevo l'eccitazione di una band che suonava in un piccolo club e che incidesse per una piccola label.
Ero dentro alla faccia più occulta e nascosta del rock 'n' roll.
Cercavo nuove energie.
Le Slits, gli Au Pairs, Raincoats, Pop Group, le Modettes".


L'ascesa verso la notorietà è irta di problemi, sconfitte, delusioni.
Dagli Altered Images, ai Wake, fino ad approdare a una nuova band, caotica, estrema, dissonante, in cui la sua batteria più che minimale ci sta alla perfezione: Jesus and the Mary Chain.

Arriva il successo, quello vero, ma quando i litigiosi fratelli Reid gli intimeranno di scegliere, non avrà dubbi nell'abbracciare il suo primo sogno e progetto, i Primal Scream.
Anche in questo sarà dura e complicato ma, tra eccessi di ogni tipo, alti e bassi, arriveranno i primi posti nelle classifiche e "Screamadelica" li consegnerà alla storia.

Un racconto molto reale e divertente che rappresenta al meglio la vita di quei musicisti che hanno venduto, anzi no, regalato, la vita al rock 'n' roll.

"Eravamo ossessionati dal rock 'n' roll.
Era una religione per noi.
Nei Jesus and the Mary Chain tutti erano fanatici, ossessionati dalla musica e dall'estetica.
Il rock n roll mi diede il coraggio di essere me stesso, indipendentemente dal lavoro che facessi o il luogo in cui vivessi.
Mi aiutò ad avere un codice per vivere.
Ha risvegliato la mia coscienza.
Il senso di cosa fosse cool e di cosa non lo fosse.
Il punk e il post punk furono la mia rivoluzione culturale.
Mi diedero un modo di pensare e fu una specie di religione, una causa".


Bobby Gillespie
Tenement Kid
White Rabbit
412 pagine
10 sterline

lunedì, agosto 26, 2024

Suicide - American supreme

Nella (nuova) rubrica "I sottovalutati", una serie di album che alla loro uscita non trovarono grande interesse di critica e pubblico e che successivamente sono rimasti nelle "retrovie" e spesso nel dimenticatoio, pur essendo di livello più che ottimo.
La precedente puntata qui: https://tonyface.blogspot.com/search/label/Sottovalutati

Uno dei più grandi e geniali gruppi della storia che ha inciso quel capolavoro assoluto e pietra miliare di sempre che fu l’esordio omonimo del 1977.
E che è stato, come per tanti altri gruppi (vedi i Television in primis), sia il più grande successo (critico e commerciale) sia una “condanna” che ha finito per oscurare tutto ciò che è venuto dopo.

Come l’album conclusivo del 2002, il quinto, un incredibile viaggio in suoni attuali, dall’hip hop, al funk alla dance music più deviata, trattata nel consueto modo disturbato e disturbante del duo new yorkese.

La voce di Alan Vega declama, stanca ma dura e determinata, sotto Martin Rev gioca con i suoni più moderni, assorbe house e dubstep, techno e dub.
Album ancora sorprendente e in progress.

venerdì, agosto 23, 2024

King Crimson - I talk to the wind

Abitualmente "In the Court of the Crimson King", il fulminante esordio dei KING CRIMSON, nel 1969, viene ricordato per l'esplosiva "21st Century Schizoid Man" o per "Moonchild" ma quasi mai viene citata la splendida ballata "I talk to the wind", secondo brano dell'album.

Un brano già composto e inciso dal trio Giles, Giles and Fripp ma mai pubblicato, con la formazione Robert Fripp, Peter Giles, Michael Giles, Ian McDonald (flute) e Judy Dyble, ex voce dei Fairport Convention in una versione più ritmata e meno bucolica, anche se altrettanto fascinosa :(https://www.youtube.com/watch?v=vXiWbV0d2w0 parte dal minuto 2.00).

Nell'album dei King Crimson i protagonisti sono Robert Fripp - chitarra, Ian McDonald – flauto, clarinetto, organo, piano, voce, Greg Lake – basso, voce, Michael Giles – batteria, Peter Sinfield – parole.

Il testo di Peter Sinfield è magistrale quanto metaforico e passibile di diverse interpretazioni (come spesso ci ha abituato) con liriche che contrappongono significati:
I’ve been here / I’ve been there (sono stato qui/ sono stato là)
I talk to the wind / the wind does not hear (io parlo col vento / che non sente)
I’m on the outside / looking inside (sono fuori / guardando dentro)
.

Il brano è suadente, sospeso, il flauto domina, l'incedere è di dolce ballata folk ma finisce in chiave jazz con un minuto strumentale, dai tratti quasi funk, che sfuma nel successivo, solenne, "Epitaph".

King Crimson - I talk to the wind
https://www.youtube.com/watch?v=UlKrH07au6E

Opus III - I talk to the wind (1992)
https://www.youtube.com/watch?v=FEKVMTwW9S0

Marc Almond - I talk to the wind (2024)
https://www.youtube.com/watch?v=D35CEamnwNw

mercoledì, agosto 21, 2024

Style Council - Confessions of a pop group



Nella (nuova) rubrica "I sottovalutati", una serie di album che alla loro uscita non trovarono grande interesse di critica e pubblico e che successivamente sono rimasti nelle "retrovie" e spesso nel dimenticatoio, pur essendo di livello più che ottimo.

Uno degli album più controversi firmati da Paul Weller nella sua ultra quarantennale carriera.
Uscito nel 1988 Confessions of a pop group degli Style Council è uno dei suoi lavori più sperimentali (tra quelli che ha venduto di meno e ha attirato le maggiori critiche da fan e giornalisti).

Paul Weller e Mick Talbot si chiudono in studio di registrazione da soli, senza produttori, se ne va il batterista Steve White (pur se compare ancora in alcuni brani) entra ufficialmente la compagna di Paul, DC Lee.
"Confessions..." è un coraggioso excursus in un ambito di difficile definizione tra pop, classicismo, jazz, fusion (nella prima parte), dance, funk, elettronica, Stevie Wonder, Earth, Wind and Fire nella seconda.
Il tutto accompagnato da testi duri, politicamente schierati contro la Tatcher e il capitalismo, antagonisti, spietati, dal tratto prevalentemente molto malinconico.

L'album venne stroncato se non ridicolizzato dalla critica inglese e spiazzò fan ed estimatori.
Con il senno di poi e un riascolto approfondito e accurato è un lavoro sicuramente da rivalutare.
Complesso, estremamente variegato, ambizioso, talvolta eccessivamente auto indulgente ma di sicuro valore.

Life at a top peoples Health Farm
https://www.youtube.com/watch?v=sPzyPAb57v8

Confessions of a pop group
https://www.youtube.com/watch?v=jLD1xKfOKyM

lunedì, agosto 19, 2024

Paul Sexton - Charlie's Good Tonight

Una biografia elegante, sobria, raffinata tanto quanto il soggetto, il favoloso CHARLIE WATTS.

Ci sono la sua vita, il suo aplomb e distacco dalle "cose terrene" (vedi i milioni di dollari dei tour mondiali degli Stones con centinaia di migliaia di persone al loro cospetto). Mai rassegnato al suo ruolo di batterista "rock", si è sempre considerato un jazzista.
"Charlie Parker, se sono quello che sono è grazie a quest'uomo".

Cresce artisticamente nel brulicante calderone della Londra "blues" dei primi anni Sessanta.
Quando andavo nei locali non era mai per ballare ma per starmene vicino al batterista e guardarlo suonare.
E inevitabilmente erano Neri Americani e suonavano jazz. Io volevo suonare come loro".


E poi i ROLLING STONES e la loro epopea, la sua riluttanza al successo e al proscenio, la scarsa voglia di imbarcarsi in tour mondiali di anni, a favore di una vita ritirata tra le sue collezioni, cani, cavalli, vestiti di gran classe.

Poche parole ma sempre perfettamente scandite ed efficaci.
"Noi abbiamo rivenduto la musica agli americani che non hanno mai ascoltato gente da cui abbiamo copiato la metà di quello che facciamo. Questo all'inizio. Gli vendiamo indietro le nostre influenze, il nostro modo di farle. Forse è più accettabile il modo in cui lo facciamo noi."

Sempre stupito dal successo ottenuto.
"Non ho cambiato la mia attitudine verso la gente. è la gente che ha cambiato la sua verso di me."

Il libro non indulge nelle sciocchezze da vita da rockstar e legge con molta discrezione il suo periodo più oscuro tra alcol e droghe.
Molto belle le storie della sua enorme generosità (altrettanto quelle sui regali che a ogni compleanno si scambiano gli Stones).
Ancora più stupendo l'aneddoto sulla sua collezione di auto, senza avere la patente..."non posso guidare. Mi piace sedermi sulle mie auto e ascoltare il loro motore".

Quello che risalta è il rispetto e l'amore che ha sempre circondato uno dei più grandi batteristi rock 'n' roll di sempre.
E' quello che, alla fine, conta
.

Paul Sexton
Charlie's Good Tonight
Mudlark
334 pagine
17 sterline

mercoledì, agosto 14, 2024

Various Artists - Roots Rock Rebels - When Punk Met Reggae 1975-1982, 3CD Box Set

Gustosissima compilation che coglie l'attimo in cui punk e reggae si incontrarono tra il 1975 e il 1982 in Gran Bretagna.

Non ci sono particolari novità (Clash, Burning Spear, Generation X, Culture, Public Image Ltd, Steel Pulse, Specials, Dennis Brown, Ruts, Madness, Black Uhuru, Linton Kwesi Johnson) ma qualche momento meno conosciuto spunta, a impreziosire il tutto (incluse le 28 pagine del booklet).
Qualche forzatura non inficia il valore dell'ascolto dei 54 brani, perfetta colonna sonora per una rovente estate.

Immancabile il contributo di Don Letts:
"Guardando indietro, lo vedo come un punto di svolta, un crocevia culturale in cui generi diversi si sono incontrati, dando vita a qualcosa di completamente nuovo.
Era una celebrazione della diversità e un rifiuto dell’omogeneità.
Il suo impatto si è propagato nel corso degli anni, influenzando le generazioni successive di musicisti e plasmando il panorama della musica alternativa.
La fusione tra punk e reggae divenne un modello per le band che cercavano di liberarsi dai vincoli del genere.
Come DJ al Roxy ho avuto la fortuna di vedere queste idee sbocciare fino a diventare quello che oggi chiamiamo il "punky reggae party" e quarantacinque anni dopo il suo messaggio ha ancora un grande effetto".


DISC ONE
1 Burning Spear - Slavery Days (Album Version)
2 Dillinger - Buckingham Palace (Album Version)
3 4th Street Orchestra - Za-Ion
4 Culture - Two Sevens Clash
5 The Clash - Police & Thieves (Remastered)
6 Generation X - Wild Dub (Version)
7 Errol Campbell - Jah Man
8 Elvis Costello & The Attractions - Watching The Detectives (Single Version)
9 Good Breed - Heights
10 XTC - Fireball XL5 / Fireball Dub (‘White Music' Out-Take)
11 Steel Pulse - Ku Klux Klan
12 The Clash - (White Man) In Hammersmith Palais
13 African Stone - Choose Me
14 Graham Parker & The Rumour - Hey Lord, Don't Ask Me Questions
15 Althea and Donna - Uptown Top Ranking
16 China Street - Rock Against Racism
17 Dennis Brown - Money in My Pocket (Part 1)
18 Ruts - Jah War (Single Version)
19 Matumbi - Point of View (Squeeze A Little Lovin)
20 Doll By Doll - Janice

DISC TWO
1 Janet Kay - Silly Games
2 The Pop Group - She Is Beyond Good & Evil Dub
3 Jimmy Lindsay - Ain't No Sunshine
4 Stiff Little Fingers - Johnny Was
5 The Specials - Doesn't Make It Alright
6 The Selecter - Too Much Pressure
7 Public Image Limited - Poptones
8 Joe Jackson - Sunday Papers (Album Version)
9 The Clash - The Guns of Brixton
10 The Members - Offshore Banking Business (Edit)
11 Linton Kwesi Johnson - Inglan is a Bitch
12 Glaxo Babies - Who Killed Bruce Lee? (version)
13 The Piranhas - Coffee
14 Madness - Embarrassment
15 Aswad - Warrior Charge
16 The Beat - Stand Down Margaret (Dub)

DISC THREE
1 The Bodysnatchers - Ruder Than You
2 Black Symbol - Non A Jah Jah Children
3 UB40 - King
4 Bad Manners - El Pussycat
5 Basement 5 - Work Dub
6 Black Slate - Amigo
7 The Slits - In the Beginning There Was Rhythm (Early Version)
8 Weapon of Peace - Jah Love
9 Angelic Upstarts - Different Dub
10 Musical Youth - Political
11 Black Uhuru - Sponji Reggae (Single Version)
12 Carroll Thompson - Hopelessly in Love
13 Eclipse - Blood Fi Dem
14 Electric Guitars - Work
15 Talisman - Dole Age (7” Mix)
16 Musical Youth - Generals
17 Sir Horatio - Sommadub
18 Creation Rebel - Independent Man Pt 1

martedì, agosto 13, 2024

Charge. Rivista di cultura underground #13

Al 13° numero Charge cambia formato e impaginazione, passando alla versione digitale a scapito di quella precedentemente scritta a mano, tagliata e incollata.

La rivista è una "fanzine di controcultura underground, prodotta da Heretiche Elettriche Divisioni, sublabel di Heresia Records, label che tratta musica sperimentale e di ricerca in tutte le sue sfaccettature."

In questo numero tantissime, interessanti interviste, dagli Atrox ai CCC CNC NCN, Spiritual Front, Disaffect e altri ma anche approfondimenti vari e un intervento assolutamente da leggere, sul caso Cospito, di Vincenzo Sparagna (già direttore di "Frigidaire" e "Il nuovo male".

Per una copia: hereldivisioni@gmail.com

lunedì, agosto 12, 2024

Olimpiadi 2024

Si sono chiuse le Olimpiadi di Parigi 2024.

Come sempre uno spettacolo stupendo, con gare appassionanti e travolgenti (personalmente il top è Italia-Giappone di pallavolo maschile, con emozioni irripetibili e il cammino vincente di quella femminile).

Molto deficitaria l'organizzazione, soprattutto la testardaggine a volere confermare le gare natatorie nella Senna, contro ogni logica.
Parecchi problemi anche tra arbitri e giurie (non solo a scapito dell'Italia).

Azzurri e azzurre ne escono alla grande con vittorie strepitose, un ottimo medagliere (peccato per la ventina di quarti posti che per un centimetro o un centesimo potevano darci soddisfazioni anche maggiori).

L'aspetto più confortante è stato vedere la soddisfazione di tutti e tutte ad essere lì a gareggiare, anche quando avevano sfiorato le medaglie per un soffio, in pieno spirito olimpico e quanto fossero fresche, genuine, sincere, accompagnate da un sorriso e da un linguaggio maturo e forbito, le dichiarazioni di fine gara.
Ragazzi e ragazze giovani, felici di fare i sacrifici che hanno affrontato e di essere stati/e partecipi di un evento unico.

Tutte meno una che con una sceneggiata invereconda ha scatenato tutta la sessuofobia e "banalità del male", nel male per eccellenza, i social, sobillata da una "cultura" mentecatta e vannaccia.

Alle prossime Olimpiadi!.
Peccato ci siano ogni quattro anni e che, anagraficamente parlando - se tutto va bene - me ne restano solo una manciata da vedere.

venerdì, agosto 09, 2024

Russia, ultimi tempi

Torna l'interessantissimo reportage dalla Russia di SOULFUL JULES.
Una visuale molto particolare e dal campo.
Per certi versi raggellante.


A un certo punto mi sono stufato di scrivere, annotare pensieri, conversazioni, abbozzare descrizioni di strade, uffici o palazzi.
A due anni dallo scoppio della guerra, per me e quelli che mi stanno intorno è cambiato poco.
È una cosa agghiacciante da dire ma è la verità.


Tra i miei clienti, amici e conoscenti nessuno è andato a combattere, nessuno ha perso la vita o si è ritrovato con la casa bombardata.
Sì, qualche ucraino ha fatto carte false per uscire dal paese, qualcun altro ha abbandonato la propria città per poi tornarci una volta che le cose sembravano essersi stabilizzate ma nel complesso la vita va avanti e la nuova realtà, inizialmente incerta, priva di fondamenta, di prospettive e di orizzonti, ha preso a compattarsi nella dimensione attuale, che adesso pare così solida e piegata verso Oriente, Mosca mai così vicina a Pechino.
Ho smesso di scrivere perché non succedeva niente.

Per quelli che non combattono la vita è sospesa tra le faccende di tutti i giorni, la spesa, il tragitto per andare al lavoro, le cene con gli amici, cose così da un lato, e dall’altro le immagini dal fronte che la tv trasmette a tutte le ore. E poco importa se non guardi i telegiornali, poco importa se provi a pensare ad altro mentre percorri in taxi le arterie trafficate di Mosca.
Alzi appena lo sguardo e lungo le strade è tutto un susseguirsi di billboard che invitano la gente ad arruolarsi per difendere la patria in cambio di quattrini, tanti quattrini.
Quasi seimila euro alla firma del contratto e una mensilità da duemila euro per tutta la durata del servizio.
Nelle regioni, nella periferia dove vive la maggioranza dei russi, un insegnante, un infermiere o un vigile del fuoco porta a casa l’equivalente di centocinquanta euro, quando va bene.
E così ogni giorno c’è qualcuno che tenta la fortuna e si arruola, con i primi bonifici mette da parte un gruzzoletto per comprare casa o cambiare macchina.
Se poi va male si troverà a popolare quei piccoli cimiteri di provincia pieni di stendardi colorati e composizioni floreali che vegliano su cumuli di terra scura, appena smossa.

Intanto le vendite di mobili crescono, così come le vendite di case e appartamenti nei grossi centri regionali, le città da cui provengono le nuove reclute. E non serve andare in cerca del verde delle divise sui cartelloni, nelle sale d’attesa delle stazioni o negli aeroporti per rendersi conto che il paese è in guerra, basta fare attenzione al quotidiano per capire che qualcosa è cambiato e non tornerà più come prima.
La nuova realtà è fatta di auto cinesi e marche di abbigliamento mai sentite, Gloria Jeans, Gate 31 e 2Mood le più gettonate. Poi chiaro, se vuoi una borsa Louis Vuitton, l’ultimo modello di IPhone o di BMW si trova tutto. Basta pagare.
E’ impressionante la quantità di supercar che circolano nelle grosse città.
Si tratta di una fetta ridotta della popolazione ma più in generale, le persone con cui ho a che fare stanno abbastanza bene, cresce l’inflazione ma salgono anche gli stipendi e la vita prosegue, magari non si viaggia più in Europa, le vacanze adesso si fanno in Russia, in Turchia, in Egitto o in Asia.
Negli alberghi gli europei non li vedi più, a colazione sempre e solo cinesi con lo sguardo catatonico perso nello schermo del cellulare e in sottofondo una sinfonia di risucchi, schiocchi e rutti.

I russi sono cambiati, se non altro nel modo di parlare.
Se a pochi mesi dall’invasione dell’Ucraina la gente faceva fatica ad esprimersi, per paura, vergogna o indifferenza, adesso il sentimento generale è positivo, fiducioso, la percezione è che la guerra la stanno vincendo loro. Lo capisci dalle battute, “Il prossimo anno saremo a Kiev”, “Se vogliamo ci prendiamo tutto”, “Non abbiamo neanche iniziato a fare sul serio.”

In Ucraina sembra che la gente si sia abituata alle esplosioni e agli allarmi aerei, i miei clienti continuano a lavorare ma adesso la preoccupazione più grande per i maschi è quella di essere fermati per strada, caricati su un furgone ed essere mandati al fronte.
Me ne parlava Evgenij, il cliente di Odessa, quando ci siamo visti alla fiera del mobile, a Milano. “In giro ci sono solo donne.
Se devo mandare qualcuno a prendere le misure per una cameretta, a consegnare una cucina, meglio se ci mando una donna. Da noi è così e ti dirò di più. La guerra, quella vera, deve ancora iniziare.”
Lui era uscito dal paese perché ha sessant’anni ma ogni giorno qualche dipendente o qualche conoscente viene portato al distretto militare, per essere arruolato. E allora telefonano a Evgenij che ha conoscenze nei gradi alti dell’esercito e gli chiedono una mano, una mezza raccomandazione o una parte della somma necessaria a corrompere l’ufficiale di turno. Ad aprile si parlava di tremila euro a persona. E se il giorno dopo ti beccano di nuovo sono altri tremila euro, sempre che ci sia qualcuno da corrompere.

Oleksandr, il cliente di Kiev, è ormai disincantato.
Due anni fa profetizzava la sconfitta della Russia, questione di settimane, i missili erano finiti. Adesso si accontenta di poter lasciare il paese ogni tanto per motivi di lavoro.
E quando ai primi di maggio abbiamo fatto una video-call per parlare dei nuovi prodotti, a un certo punto mi ha interrotto “Aspetta un attimo”, si è alzato dalla sua postazione per poi tornarci dopo qualche secondo. “Scusa ma stanno bombardando, ho chiuso le finestre”. Così, con un mezzo sorriso, quasi fosse stato un temporale primaverile.

Non è vero che non succedeva niente.
Non succedeva niente a me.

Continuavo a prendere voli, treni, taxi e metropolitane. Le disgrazie degli altri mi passavano accanto, senza sfiorarmi.
Quando c’è stato l’attentato al Crocus era un venerdì sera, ero a Mosca e non mi sono accorto di nulla.
Avevo il volo di rientro quella notte, verso ora di cena mi ero buttato un attimo, per riposarmi un po’ prima del viaggio. Poi avevo chiamato un taxi, l’auto era arrivata in pochi istanti, la ragazza alla reception mi aveva dato la fattura sorridendo. Per strada tutto regolare, un po’ di traffico, qualche auto della polizia, niente di strano per un venerdì sera.
Il tassista guardava una chat su Telegram, a un certo punto aveva ricevuto una videochiamata, sullo schermo era comparso il volto di una donna sulla trentina.
A quel punto ero sbottato “Per favore, guardi la strada!”
“E’ mia moglie, si preoccupa.” Aveva provato a giustificarsi quell’altro.
“Non mi interessa, guardi la strada per piacere!” gli avevo ordinato con un certo fastidio, che non è che uno ci gode a fare il prepotente ma che cazzo ti metti a fare la video-call mentre sei al volante.
L’autista aveva abbozzato e si era scusato debolmente.

All’ingresso dell’aeroporto di Vnukovo c’erano un paio di sbirri in assetto antisommossa.
Giubbino antiproiettile, protezioni sulle gambe e fucile-mitragliatore con la canna puntata verso il basso. Avranno alzato il livello di allerta, avevo pensato.
In fin dei conti una partenza come tante altre, passaporto, metal detector, tutto regolare. Soltanto verso le due di notte, mentre ero già a bordo dell’aereo e dall’altra parte della città i vigili del fuoco cercavano di spegnere l’incendio al Crocus City Hall, mi era vibrato il cellulare in tasca. Era un mio amico, mi chiedeva se fosse tutto a posto.
“Sì, tutto ok. Perché?”
“Non hai sentito dell’attentato?”

No. Avevo trascurato i siti di notizie, tanto di notte non li aggiornano, e mi ero messo a guardare le foto che avevo fatto il giorno prima a una mostra sul punk, in un capannone industriale dei primi del ‘900, uno di quei complessi in mattoni rossi, ripuliti e sistemati, che vanno di moda adesso.
Deludente la prima sala, quella introduttiva, le pareti rivestite da pannelli in forex con sopra le immagini sgranate di Sex Pistols, Clash e Ramones. Peggio ancora le didascalie piene di cliché e banalità sul pogo, lo stage-diving, l’anarchia simboleggiata dalla distruzione degli strumenti musicali, la copertina di London Calling presa come testimonianza, con buona pace di Pete Townshend e delle decine di Rickenbaker polverizzate quando Paul Simonon andava ancora alle elementari.
Più interessante la parte sul punk sovietico, tante foto e memorabilia, soprattutto della seconda metà degli anni ottanta. Storicamente in Urss i posti più fertili per l’underground musicale e culturale erano Leningrado e i Paesi Baltici.
La capitale in questo senso offriva poco. In Russia le mode e le influenze straniere vengono adattate e interpretate secondo la sensibilità locale per cui i primi punk erano di fatto situazionisti, artisti e avanguardisti incazzati che spesso rifiutavano l’etichetta stessa di punk. Ben pochi i moicani o i giubbotti in pelle tipo chiodo, lo stile, anche musicale, è più vicino alla New Wave. Veri e propri esponenti del genere sono gli Avtomaticheskie Udovletvoriteli, di Leningrado e i siberiani Grazhdanskaja Oborona che ondeggiano vagamente tra Clash e Boys, pur con un sound decisamente più grezzo e primitivo. Nella sezione dove sono raccolte le foto del primo punk festival moscovita del 1988, c’è un po’ di tutto: creste coi baffi, impermeabili da Ispettore Derrick, calze a rete e cappelli da baseball.
Quello che traspare dalle immagini in bianco e nero è lo spirito dei tempi, il senso di oppressione, una realtà povera di prospettive e ricca di fermenti come quella della perestrojka.
Il festival finì male, risse sul palco e in città, con conseguente messa al bando del punk rock da parte delle autorità moscovite e la nascita di un movimento tutto russo, il “pank-dandizm” che declinava in maniera più spendibile, per gli standard locali, le correnti New Wave del momento.
A metà degli anni novanta, quando i soldi e le persone iniziano un po’ a girare, lo stile diventa più curato e definito, i punk sembrano punk e quelli con la banana sono veri e propri rockabilly.
v Ero assorto in quelle immagini, attorno a me migliaia di passeggeri con lo sguardo assonnato, famiglie e coppiette proiettate verso una settimana di ferie, nessuno sembrava preoccupato dal fatto che a pochi chilometri di distanza erano morte o erano rimaste ferite centinaia di persone come noi.
Quando ero tornato a Mosca, dieci giorni dopo, niente di nuovo. Qualche pattuglia lungo le strade, gli sbirri che controllavano i documenti di tizi coi capelli neri e gli occhi a mandorla.
Nessuna novità da parte dei clienti, molti erano appena tornati dalla Cina, dalla fiera di Guangzhou, dove il nostro stand era stato preso d’assalto dai mobilieri russi, mai registrata così tanta affluenza dai paesi dell’ex Urss.
“Non sappiamo cosa succederà.” mi spiegava Mikhail, il responsabile tecnico di una grossa fabbrica di mobili per bagno. “Per me sarebbe più facile gestire le consegne dall’Italia ma qua non si capisce niente. Capace che bloccano tutto.”

Invece le merci continuano a passare, le persone anche ma con dei distinguo.

A metà giugno sono atterrato a San Pietroburgo e mi hanno trattenuto per un paio d’ore.
Me l’aspettavo, prima o poi sarebbe successo, ma quando capita fa un altro effetto. Anche per le modalità, che non lasciano nulla al caso.
Al controllo passaporti ti fanno le domande di rito, togliti gli occhiali, fai un passo indietro, ecco metti qua la firma e appena stai per appoggiare la punta della biro sul fogliettino di carta che dovrai tenere con te per la durata del soggiorno arriva una poliziotta con l’aria arcigna che ti invita a seguirla, per ulteriori controlli, vaghi, indefiniti. Inutile chiedere quanto tempo ci vuole.
Ti accompagnano in un’area delimitata da un nastro rosso, all’interno ci sono una trentina di persone con lo sguardo preoccupato o assente o incurante. Hanno quasi tutti la carnagione olivastra, i capelli scuri e i tratti asiatici. Qualcuno parla in russo, altri chiacchierano nella loro lingua smozzicata, piena di consonanti aspirate, il tono ondeggiante, simile a una cantilena o a un lamento. Passa un’ora, forse meno e arriva uno sbirro con in mano un foglietto di carta. Legge i nomi di alcuni dei presenti e li invita a seguirlo.
Per fortuna sono tra i convocati.
Nel frattempo ho cancellato dal cellulare quello che poteva risultare sospetto o controverso. Sostanzialmente foto e messaggi da clienti ucraini.

Ci fanno entrare in una stanza, su una delle pareti è appeso un pannello graduato coi metri e centimetri, per la foto segnaletica. Appoggia la schiena, guarda verso di me, gira la testa a destra, ora a sinistra. Poi è il momento della scansione delle impronte digitali, chissà quando è che hanno smesso di usare l’inchiostro.
In compenso l’interrogatorio, tutto sommato blando e neanche troppo approfondito, viene interamente annotato a mano su un foglietto di carta da una ragazza cordiale, quasi timida. Il verbale finisce sopra ad una pila di altri fogli, che forse verranno registrati su un computer oppure verranno raccolti in un faldone e conservati all’interno di qualche archivio.
La ragazza mi fa i complimenti per il russo, sorride senza motivo al punto che approfitto di questa gentilezza per fargliela io una domanda.
“Sono ventiquattro anni che vengo qua e questa è la prima volta che succede una cosa del genere… Come mai?” la interrogo con fare risentito.
“A San Pietroburgo controlliamo tutti i passeggeri stranieri, soprattutto gli europei.” mi risponde sorridente, come a dire, ve la siete cercata.

Assieme a me nella stanza ci sono prevalentemente tagiki, qualche russo di origine asiatica e una signora di Mariupol che si professa disperatamente patriota. Durante l’interrogatorio a momenti scoppia in lacrime, non so se per lo stress o per l’onta di essere considerata filo-ucraina.

Rispondo a tutte le domande senza esitazioni né particolari emozioni ma ancora è finita.
Vengo riaccompagnato nella zona delimitata dal nastro rosso, dall’altra parte della zona arrivi, il funzionario ci dice di aspettare.
Dopo un po’ arriva un collega in divisa e legge i nomi di alcuni dei presenti dai rispettivi passaporti, che tiene in mano.
Ci invita nuovamente a seguirlo, questa volta verso un gabbiotto dove un altro poliziotto esamina con particolare cura il passaporto e il visto, ripete alcune delle domande che mi hanno fatto i suoi colleghi e alla fine mette il timbro a caso, in mezzo alla pagina, proprio quello che gli avevo chiesto di evitare.

Le persone muoiono o perdono tutto o diventano mezze sceme dalla paura e tu ti preoccupi del fatto che i timbri siano ben allineati sulle pagine, per ottimizzare lo spazio. E il tempo. Due ore che segnano un prima e un dopo, non sei più un intoccabile, adesso ti trattano come un tagiko qualunque.

Va tutto bene finché va tutto bene. https://youtube.com/playlist?list=PLswVQxMUauajY6H8MkxPCN_uqpjj4VPZr&si=mkK1bP03Nejjn7Du

https://www.youtube.com/watch?v=rWCLmd4FlmE

Foto dalla mostra punk di Mosca di Soulful Jules

mercoledì, agosto 07, 2024

Musica e Olimpiadi

Riprendo l'articolo che ho scritto sabato 27 luglio per "Il manifesto", sezione "Alias" dedicato al legame tra musica e Olimpiadi.

Il rapporto tra sport e musica è sempre stato, fin dall'antichità, piuttosto stretto e consequenziale. Alle prestazioni atletiche sono spesso state legate note musicali, ispiratrici o stimolanti.
Nell'era moderna, soprattutto negli ultimi anni, sono tantissimi gli sportivi che prima della competizione usano canzoni o musiche per rilassarsi, concentrarsi o darsi il giusto slancio. Allo stesso modo, ogni competizione sportiva è accompagnata da canzoni, inni, intermezzi musicali di ogni tipo. Storicamente le Olimpiadi sono state la prima manifestazione sportiva ad accostare i due elementi.

Musica e Olimpiadi nell'antichità
Nell’antica Grecia i giochi olimpici erano caratterizzati da un’ampia presenza di musica. Un connubio naturale e reciproco, ai tempi.
Riservato alle classi più altolocate e che non prevedeva la partecipazione di schiavi, barbari e, non ne dubitavamo, donne ed era ad esclusivo appannaggio di chi parlava la lingua greca.
Con la progressiva influenza dell'Impero Romano vennero inclusi anche popoli “stranieri”, come gli stessi Romani, Fenici, Galli. L'evento era un momento di aggregazione e incontro, anche politico (basti pensare alla sospensione di qualsivoglia guerra durante lo svolgimento dei Giochi) e anche un’occasione particolare per dare l’opportunità a musicisti, poeti, artisti, scrittori, di esibirsi e farsi conoscere.
La vittoria olimpica (ma anche la stessa partecipazione) conferiva prestigio sociale e consentiva sicuri vantaggi economici. Tra una gara e l'altra si esibivano poeti, suonatori di fiati ingannavano l’attesa, mentre certe competizioni, come il salto in lungo, erano accompagnate da musica che, ritenevano i greci, aiutava il coordinamento degli atleti.

Nell’antica Grecia nove dee erano le protettrici delle arti, riunite sotto un solo nome, Musica (parola che deriva dal greco mousiké, che significa “arte delle Muse”), che le racchiudeva, tanto che le suddette divinità erano chiamate Muse, guide di cantanti, poeti, autori di tragedie e commedie, attori e musicisti. Ma anche gli scienziati, i filosofi e, soprattutto, gli sportivi ne evocavano la protezione e l'aiuto.
Per Platone la Musica, insieme alla Ginnastica, era la base dell’educazione per i governatori della sua Città Ideale. La Musica era protagonista nei giochi e nelle feste dedicate agli Dei.
Come le Efesie, in onore di Artemide, le Delie, in onore di Apollo, le Panatenee in onore di Atena, la festa pitica a Delfi, che iniziava con gare musicali e canti accompagnati dal flauto. O i giochi istmici a Corinto in onore di Poseidone, i giochi panellenici che riunivano tutte le città della Grecia.
C’erano anche veri e propri tornei paralleli dedicati alle musiche e all’arte, derivati dai precursori dei giochi olimpici, i Giochi Pitici, dove le gare erano esclusivamente musicali ed artistiche.
Solo in un secondo tempo si aggiunsero quelle atletiche.

Durante i Giochi di Olimpia la città diventava il centro culturale del mondo antico, dove le competizioni sportive erano solo una parte di un ben più ampio raduno di eccellenze, artistiche in particolare.
Ai Giochi assistevano le principali cariche dello Stato e i più noti artisti, alcuni dei quali prendevano anche parte alle competizioni. Platone gareggiò nella lotta e nel pugilato mentre Euripide vinse nel pugilato nei giochi di Atene e nella lotta ai giochi Eleusi.
Plutarco ricorda come gli Achei si servissero dell'aulo (una conchiglia a forma di flauto) sia per accompagnare le battaglie che nelle competizioni di pentathlon. Si conserva il ricordo (mitologico) dei Giochi organizzati da Acasto in memoria del padre, in cui Orfeo vinse la gara con la lira, Olimpo con il flauto, Lino, figlio di Apollo, nel canto, Eumoplo nel canto accompagnato.

Lo studioso e storico Bronislaw Bilinski in “L'agonistica sportiva nella Grecia Antica” ricorda:
“Nel periodo di apogeo atletico, tra i secoli VI e V a.c., parola, musica, pittura e scultura, furono tutte al servizio delle gare atletiche, che proprio in quell'epoca assumevano il vero carattere e la vittoria dell'atleta evocava, allo stesso tempo, la musa del poeta o l'ispirazione dello scultore”.

Impossibile non ricordare la figura di Nerone che nel 60 inaugurò a Roma i Neronia, gare atletiche, equestri e musicali. In Grecia ogni festa pubblica era accompagnata dalla Musica (non diversamente dai nostri giorni) che non mancava quindi nemmeno nelle gare sportive dove si cantavano gli Epinici in onore del vincitore, durante un banchetto, davanti alla sua porta di casa o all’altare di qualche divinità.

Nel 1886 Pierre Fedy, barone di De Coubertin, un paio di millenni dopo, concepì i Giochi Olimpici Moderni, probabilmente ispirato dalla scoperta tra il 1.875 e il 1881 della città di Olimpia.
In ottemperanza alla volontà di riprodurre l'evento in una chiave che fosse quanto più vicina allo spirito originale (“le mariage des muscles et de l'esprit” / il matrimonio dei muscoli e dello spirito), contemplando la composizione di un inno olimpico: “Come nell’antica Grecia, le nostre Olimpiadi dovranno avere esibizioni atletiche ed esibizioni artistiche in egual misura.
E’ questa la differenza rispetto alle normali competizioni sportive.”


Vennero infatti previste medaglie per esibizioni artistiche come pittura, scultura, architettura e musica, con il presupposto che dovessero comunque avere un soggetto sportivo.
De Coubertin era convinto che un vero atleta avrebbe dovuto distinguersi non solo per la forza e per abilità fisiche ma avere anche capacità artistico/intellettuali. Inizialmente dovette soprassedere a causa di difficoltà logistiche anche se nel 1896 fu incaricato il compositore greco Spyros Samaras e “Inno Olimpico” venne suonato alla cerimonia di inaugurazione che nel 1957 venne codificato come Inno Ufficiale delle Olimpiadi e dal 1960 in poi viene sempre eseguito quando si alza e si abbassa la bandiera olimpica all’inizio e alla fine dei Giochi. Il brano è comunque stato ben presto soppiantato da canzoni e inni dall’impostazione moderna e adatta ai tempi e sicuramente più appetibile e vendibile dell’esasperato classicismo della composizione di Samaras, nonostante negli anni si siano ripetuti episodi con fanfare e orchestre varie (da “Bugler’s Dream” del 1958 di Leo Arnaud a “Olympic Fanfare” di John Williams del 1984).

Nel 1936 a Berlino, la prosopopea nazista allestì un’inaugurazione pomposa e magnificente in cui l’Orchestra Sinfonica Olimpica, ovvero la Berliner Philarmoniker, arricchita da altri strumentisti, eseguì una lunga serie di brani, incluso l’inno Olimpico, composto e diretto per l’occasione da Richard Strauss, cantato da un coro di 300 elementi. E’ stata a lungo dibattuta la controversia se Strauss avesse diretto anche l’esecuzione dell’inno nazista ma sembra assolutamente escluso. Nel 1912 a Stoccolma vennero finalmente assegnate le prime medaglie delle Olimpiadi Artistiche, cocciutamente volute dal suo organizzatore (“allo sport é necessaria la collaborazione delle Muse”).

L'evento collaterale a quello sportivo ha purtroppo sempre avuto scarso interesse di pubblico anche se dal 1912 al 1952 sono state consegnate 151 medaglie in queste discipline artistiche.
Già nella prima edizione del 1912 alle Olimpiadi svedesi, si tenne il “Pentathlon delle Muse” con cinque concorsi, riguardanti Architettura, Scultura, Pittura, Letteratura e Musica.
L'Italia si aggiudicò tre medaglie d'oro nelle gare sportive ma vinse anche quella nella pittura grazie a Giovanni Pellegrini con “Sport Invernali” e nella musica con Riccardo Barthelemy con la composizione “Marcia Trionfale Olimpica” e ad Anversa nel 1920 conquistò il secondo posto nella musica con Oreste Riva e il suo “Canto Della Vittoria”. Sempre in questa edizione l'americano Walter Winians, vinse una medaglia d’argento nel tiro al bersaglio e una d’oro in scultura. Il tentativo di dare spessore e dignità alla competizione crebbe, tanto che oltre a vari importanti artisti in gara, nel 1924 a Parigi troviamo il celebre compositore e direttore d'orchestra Igor Stravinskij tra i giurati del concorso musicale. La competizione andò avanti fino al 1952 con sempre più scarsa partecipazione da parte di artisti importanti che non gradivano il dover scendere in gara e mettere in discussione la propria musica e arte.

Anche la tipologia di proposta musicale non rifletteva i tempi, basandosi esclusivamente su marce o composizioni orchestrali, solenni e pompose (ovviamente escluse canzonette, musica popolare e il temibile jazz).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale nella categoria “Musica per voce solista”, Gabriele Bianchi vinse un bronzo con “Inno Olimpico” bissando i successi di Oreste Riva (argento ad Anversa nel 1920) e Lino Liviabella (argento a Berlino nel 1936). Nel 1960 venne introdotta tra le discipline olimpiche la ginnastica ritmica che si esegue a ritmo di musica.
Ai tempi suonata da un pianista che imparava i brani scelti e li riproduceva dal vivo durante le esibizioni delle atlete e atleti (talvolta aiutati a rimanere a tempo con rallentamenti o accelerazioni del musicista, ora pratica impossibile con l'avvento della musica riprodotta digitalmente).

Curiosamente fino agli anni Ottanta non si segnalano, con l'eccezione degli inni appositamente composti, canzoni dedicate ai Giochi Olimpici in ambito pop. Può fare eccezione la colonna sonora del film documentario di Romolo Marcellini “La grande Olimpiade”, dedicata a quella di Roma del 1960, composta ed eseguita da Angelo Francesco Lavagnino e Armando Trovajoli, che mischia musica orchestrale solenne con elementi di più facile ascolto e cenni alla tradizione popolare italiana.
Nel 2015 è stato pubblicato l'omonimo album intestato a Lavagnino. Occorre anche ricordare l'inaugurazione dei Giochi successivi, a Tokyo, nel 1964, quando l'inizio fu decretato dal rullo assordante di ben diecimila tamburi, si levò in cielo una pattuglia aerea acrobatica che tracciò i cinque cerchi con il fumo mentre nel modernissimo stadio si espandeva essenza di crisantemo (fiore simbolo del Giappone).
Furono peraltro le prime Olimpiadi trasmesse in mondovisione.

Olimpiadi moderne
Nel febbraio del 1980 Peter Gabriel pubblica il brano, tratto dal suo omonimo terzo album, “Games Without Frontiers” (con Kate Bush ai cori), titolo ispirato dalla trasmissione televisiva Giochi senza Frontiere ma il cui testo è un chiaro messaggio contro la guerra.
Nel video promozionale ci sono diverse immagini di vecchie gare olimpiche in bianco e nero. Sempre nel 1980, anno delle Olimpiadi di Mosca, boicottate da sessantacinque nazioni (l'Italia partecipò ma sotto il vessillo olimpico) per ritorsione all'invasione dell'Afghanistan da parte dei sovietici, Miguel Bosè trova il successo con un brano correlato ai Giochi, il famoso dance pop “Olympic Games”.
La canzone (scritta con Toto Cotugno) vince anche il Festivalbar dello stesso anno.
In realtà il testo sembra l'antitesi dello spirito olimpico con il ritornello che dice “Giochi Olimpici, vincitori e vinti, fama e fortuna/ ecco perché corro, ecco perché sono venuto”.

Per l'edizione di Los Angeles del 1984 fu pubblicato l'album “The Official Music Of The 1984 Game” con undici brani, a ognuno dei quali era assegnata una generica specialità.
Quincy Jones con il solenne, orchestrale ed etereo “Grace” aveva il tema dei giochi ginnici, la funk dance “Junku” di Herbie Hancock per i giochi sui campi d'erba, il pomp rock strumentale dei Foreigner, “Street Thunder” guardava alla maratona, mentre i Toto con “Moodido” (strumentale anche questo) facevano da ipotetica colonna sonora agli incontri di pugilato.
Presenti anche Giorgio Moroder, Chris Cross, Philip Glass tra gli altri. Ben più conosciuto invece il tema per i giochi invernali di Sarajevo dello stesso anno, per i quali fu scelto “Chariots Of Fire” del compositore greco Vangelis, dalla colonna sonora del film “Momenti di gloria” del 1981 diretto da Hugh Hudson e interpretato da Ben Cross, vincitore di quattro premi Oscar (tra cui anche quello per la miglior colonna sonora) e ambientato, ricavato da una storia vera, nelle Olimpiadi del 1924.

Nel 1988 fu Whitney Houston a caratterizzare i Giochi di Seul con la ballatona “One Minute In Time” che spadroneggiò nelle classifiche di mezzo mondo in quell’anno. Sempre per i Giochi coreani la band locale Koreana produsse un classico synth pop tipicamente anni Ottanta, “Hand In Hand” (che in patria vendette l’incredibile numero di 13 milioni di copie), prodotto da Giorgio Moroder.
Fu pubblicato anche l'album “1988 Summer Olympics Album: One Moment in Time” con dodici brani tra cui, oltre al sopracitato di Whitney Houston, anche canzoni dei Bee Gees, Four Tops, Eric Carmen.

Tra i brani in assoluto più noti il famoso duetto tra Freddie Mercury e Monserrat Caballè con la epica “Barcelona”, per i Giochi del 1992, nella capitale Catalana, che realizzò il sogno del cantante di esibirsi in ambito lirico/operistico, facendolo con una delle massime esponenti del genere. La canzone fu affiancata nella stessa edizione da “Amigos Para Siempre” di Jose Carreras e Sarah Brightman, composta dal re dei musical, Andrew Lloyd Webber.
Il brano fu così apprezzato dal presidente del Comitato Olimpico, Juan Antonio Samaranch, che lo volle suonato al suo funerale.
La compilation pubblicata per l'occasione, “Barcelona Gold”, godeva della partecipazione di nomi di primo piano, da Madonna a Eric Clapton, Natalie Cole, INXS, Rod Stewart. Celine Dion fu protagonista della dolciastra pop ballad “Power Of Dream” per le Olimpiadi di Atlanta del 1996 che precettarono anche un’altra mielosa canzone come “Reach” di Gloria Estefan. Nella ormai puntuale compilation “Rhythm of the Games 1996: Olympic Games Album” anche Usher, Kenny G, una versione di “Imagine” di Corey Glover e l'inno americano interpretato dai Boyz II Men.
Durante la cerimonia d'apertura la cantante soul Gladys Knight ha interpretato il classico”Georgia On My Mind”, l'inno dello stato, mentre la colonna sonora è stata caratterizzata da numerosi richiami a jazz, gospel, blues e rhythm and blues in omaggio alle radici sonore del luogo. A Sidney nel 2000 invece il ruolo di tema della manifestazione toccò alla trascurabilissima “The Flame” di Tina Arena. La scelta artistica sulla colonna sonora fu rigidamente limitata a soli artisti australiani con molto spazio ad autori di musica classica, elementi jazz e arrangiamenti di canzoni tradizionali aborigene.
Il tutto eseguito dalla Sidney Symphony Orchestra e raccolto nella compilation “The Games of the XXVII Olympiad: Official Music from the Opening Ceremony”. Nel 2001 il nostro Tiziano Ferro pubblica il brano “L'Olimpiade” che nulla ha a che fare con i giochi ma è solo una metafora di un tormentato rapporto sentimentale: “In questa grande olimpiade. Di me, di te, dell'anima”.

Coraggiosa la scelta di “Oceania” della vocalist islandese Bjork per Atene 2004 con un brano basato esclusivamente su voci umane e particolarmente ostico e inusuale rispetto alla consuetudine. La canzone fu inclusa nell’album “Medulla”.
Al contrario della scelta australiana la colonna sonora dell'Olimpiade fu caratterizzata da una devozione pressoché totale al pop più in voga del momento. Nell'album apposito “Unity - The Official Athens 2004 Olympic Games Album” ci sono Avril Lavigne, Sting, Tiziano Ferro, Will I Am, Timbaland ma anche nomi meno prevedibili come Alice Cooper, Brian Eno, Earth Wind and Fire, Neneh Cherry, Trevor Horn, Moby, i Public Enemy. Praticamente ignorati i musicisti greci a cui è stata invece affidata la musica (classica e solenne) per la cerimonia di apertura. Per i primi Giochi in Cina, a Pechino nel 2008, torna Sarah Brightman in coppia con l’idolo locale Liu Huan in un’insopportabile canzone intitolata “You And Me.”
La compilation ufficiale si intitolava “The Official Album For Beijing 2008 Olympic Games - One World One Dream” mischiando star locali con qualche nome di spicco del pop internazionale come Backstreet Boys, Westlife, Pink, Avril Lavigne, Donna Summer. A cento giorni dall'inizio dei Giochi venne pubblicato il brano “Bejing Welcomes You” con la partecipazione di cento artisti provenienti da Cina, Hong Kong, Singapore, Taiwan, Giappone, Corea del Sud. Sempre in quest’occasione in Usa uscì la compilation “AT&T Team Usa Soundtrack” con brani (in verità poco significativi) di Taylor Swift, 3 Doors Down, Queen Latifah, Sheeryl Crow, Goo Goo Dolls tra gli altri.
Nel 2010 due star canadesi, Bryan Adams e Nelly Furtado incisero il pacchiano pop rock “Bang The Drum” in occasione delle Olimpiadi invernali di Vancouver.
La canzone ufficiale dei Giochi londinesi del 2012 fu affidata ai Muse e ai toni epic rock di “Survival” in pieno stile Queen.

L' Olimpiade di Londra del 2012 merita un discorso particolare.
La musica rock l’ha fatta infatti da padrona, sia all’inaugurazione che durante la cerimonia di chiusura.
Ma è stato utilizzato, in maniera inusuale, per la promozione, anche una canzone iconica come “London calling” dei Clash, il cui testo è piuttosto oscuro e mal si accoppia con un evento del genere. Nello spot in effetti si sente solo il verso “London calling” e come ha ben specificato lo scrittore Marcus Gray al proposito:
"'London Calling' è un classico esempio di una canzone che è diventata così familiare che il suo significato originale è andato perso. È immediatamente riconoscibile e superficialmente è l'invito perfetto alla capitale e all'evento sportivo più importante del mondo, anche se in realtà parla della fine del mondo, almeno come lo conosciamo."

Interessante l'inclusione nella faraonica scenografia della cerimonia di apertura, che ha ripercorso varie fasi della storia dell’Inghilterra, tra le decine di altri, brani come “London Calling” dei Clash, “God Save The Queen” dei Sex Pistols, “Going Underground” dei Jam, “Tubular Bells” di Mike Oldfield, “My Generation” degli Who, “Satisfaction” dei Rolling Stones, “All Day And All The Night” dei Kinks, “She Loves You” dei Beatles e ancora pezzi di Led Zeppelin, Specials, Queen, Duran Duran, New Order, Verve, Prodigy, Muse, Coldplay, Chemical Brothers, Radiohead, Blur, Oasis, Franz Ferdinand, Adele, Pink Floyd, David Bowie. Conclusione con Paul Mc Cartney che esegue live “The End” e “Hey Jude” dei Beatles mentre in precedenza gli Arctic Monkeys avevano ripreso “Come Together”.

Ancora più sorprendente la cerimonia di chiusura con le esibizioni live di Who, con un medley di “Baba O Riley”, “See Me Feel Me” e “My Generation” preceduti da Ray Davies dei Kinks, Kaiser Chiefs, membri di Pink Floyd e Genesis, le Spice Girls riunite per l’occasione, Roger Taylor e Brain May dei Queen, Madness, Annie Lennox.
Il tutto con la presenza di figuranti mod, punk etc.
Ovvero il riconoscimento e nel contempo l'omologazione di un contesto come quello più genericamente rock e delle sottoculture, nato come ribelle, sovversivo, antitetico alle istituzioni sia sociali che artistiche. Ne viene accettato il ruolo e l'importanza nella società inglese, allo stesso tempo assorbendone e depotenziandone il profilo antagonista.

Sempre nel 2012 il Dj inglese Mark Ronson in coppia con la cantante Katy B furono protagonisti del singolo “Anywhere In The World” per la promozione dei giochi londinesi per i quali gli Underworld scrissero “Caliban’s Dream” destinato ad accompagnare la cerimonia d’apertura. Il brano chiude anche la compilation “Isles Of Wonder”, disco ufficiale dei Giochi, con brani, tra gli altri, di David Bowie, U2, Underworld, Emeli Sandè, Arctic Monkeys (con ben due brani), Mike Oldfield, Dizzee Rascal. “Anywhere In The World” campiona alcuni rumori registrati durante l'attività degli atleti, tra cui il battito del cuore della velocista russa Ksenya Vdovina e i colpi su un tavolo di ping pong.
“A Symphony of British Music” è un'altra compilation con alcune classiche canzoni pop rock, riarrangiate dalla London Synphony Orchestra (vedi “Waterloo Sunset” dei Kinks con Ray Davies alla voce), versioni corali di “Because” e “Here Comes The Sun” dei Beatles e qualche altro brano un po' pasticciato tra remix, estratti, versioni editate (Who, Bowie etc).

In concomitanza alle Olimpiadi di Rio De Janeiro del 2016 Katy Perry pubblicò il singolo “Rise” in cui si parlava di vittoria e sconfitta tra avversari e che venne scelta dalla rete televisiva americana NBC Sports come colonna sonora delle trasmissioni dedicate alle Olimpiadi.
La stessa Perry commentò: “Non riesco a pensare ad un esempio migliore di quello degli atleti olimpici, mentre si riuniscono a Rio con la loro forza, per ricordarci come tutti possiamo unirci, con la determinazione di dare il meglio di noi stessi. Spero che questa canzone possa ispirarci a unirci e risorgere insieme. Sono onorato che la NBC Olympics abbia scelto di utilizzarla come inno prima e durante i Giochi di Rio.” Molto più significativa la scelta musicale per le cerimonie di apertura e chiusura con alcune delle eccellenze brasiliane, da Gilberto Gil a Jorge Ben, Caetano Veloso, Jobim, Marcos Valle, Chico Buarque.

Molto curiosamente, ma non troppo, la cerimonia d'apertura dei Giochi 2020 a Tokyo è stata imperniata esclusivamente su sigle e musiche di videogames, da “Dragon Quest” a “Kingdom Hearts”, fino a “Final Fantasy” e “Ace Combat”. Inoltre una “Imagine” con coro fanciullesco e la spettacolare esibizione a base di funambolici virtuosismi pianistici di Hiromi Uehara. Nelle due cerimonie si sono avvicendati vari artisti e musicisti giapponesi.
Alla chiusura dei Giochi Invernali di Pechino del 2022 in occasione del passaggio della bandiera olimpica a quelli di Milano/Cervinia previste nel 2026, l'Italia ha presentato uno show del Balich Wonder Studio con la colonna sonora firmata da Dardust con le canzoni “Forget to be” e “Inno (Prologo) – in piano solo”, incluse poi nell'ep “#002 Olympics”.
Non sono ancora stati comunicati i protagonisti della colonna sonora che farà da sottofondo alle cerimonie dei Giochi parigini di quest'anno ma sicuramente l'inaugurazione si svolgerà, per la prima volta, nelle strade della capitale francese, con una sfilata in cui la musica sarà sicuramente di primaria importanza.

Nel frattempo si sta già celebrando l'Olympiade Culturelle con cinquecento eventi artistici di ogni tipi, concerti musicali di ogni tipo inclusi. In appendice è interessante ricordare il “Museo Olimpico di Losanna” che raccoglie 1.500 oggetti e migliaia di reperti multimediali oltre alle torce olimpiche, alle le medaglie di tutte le edizioni e agli attrezzi sportivi firmati dai campioni, ma anche gli strumenti musicali e gli spartiti degli inni e le musiche suonate nei Giochi.

Nel corso degli anni la poesia, il romanticismo, l'anima artistica originaria, sincera e partecipe di una manifestazione storicamente rappresentazione di pace, unità dei popoli, fratellanza, alla quale donare una colonna sonora degna, si è trasformata in un mercimonio per accaparrarsi un posto in prima fila, grazie al quale guadagnare in diritti d'autore, copie vendute, visibilità.
In mano ovviamente alle multinazionali della discografia, all'affarismo becero, alla dominante legge del profitto. Un'ennesima, scontata, perdita dell'innocenza, dove, almeno in questo contesto, l''importante era/sarebbe (stato) partecipare.
Ma lo spirito è ormai lontanissimo da quello di De Coubertin.