lunedì, giugno 03, 2024

Kid Creole and the Coconuts

Riprendo qui l'articolo dedicato a KID CREOLE and the COCONUTS che ho scritto ieri per "Libertà".

Tra gli anni Trenta e Quaranta si sviluppò negli Stati Uniti un “movimento” giovanile chiamato Zoot Suit, interessando in particolare gli americani di origine messicana o latina dell’area di Los Angeles.
L'estetica, impeccabile, si caratterizzava per i pantaloni e le giacche larghe e lunghe, cappelli a larghe falde, scarpe a punta e puntualizzava un bisogno di auto determinazione e anti autoritarismo.
Lo stile iniziò nel giro jazz di Harlem degli anni Trenta ma venne adottato dai pachucos ovvero i ragazzi di origine latino americana, qualche anno più tardi. Nel 1943 Los Angeles fu teatro di furiosi scontri tra i Pachucos in Zoot Suit (latino americani e neri) e gang di bianchi (prevalentemente Marines reduci di guerra) che vedevano nell’estetica chiassosa degli “avversari” un messaggio anti patriottico.
La musica ascoltata univa lo swing dell’epoca con il “pachuco sound” di stile messicano, da Louis Jordan a Cab Calloway e Lionel Hampton.

Da queste coordinate artistiche ed estetiche partì August Darnell, nato e vissuto nel Bronx, con genitori italo/caraibici e americani. Cresce, siamo negli anni Cinquanta, in un ambiente multiculturale con mille influenze sonore, estetiche, sociali e cerca subito una modalità espressiva nelle arti dello spettacolo.

“Il Bronx ha una cattiva reputazione perché la gente lo associa alla droga, alla criminalità e alla prostituzione. Ma da bambino non vedi nulla di tutto ciò. Da bambino quello è il tuo unico mondo, tutto quello che conosci è quel quartiere.
È stato un posto fantastico in cui crescere perché era pieno di tutti i gruppi etnici conosciuti dall'umanità e di conseguenza potevi ascoltare ogni tipo di musica. Si sentiva sicuramente la salsa, perché c'era un grande contingente portoricano, si sentiva musica europea: c'erano famiglie italiane, irlandesi, comunità ebraiche. Ma sentivi anche tanto rhythm and blues e funk – ascoltavi James Brown o Wilson Pickett.
Ma c'erano anche le famiglie caraibiche, quindi ascoltavi calypso e reggae. Senza mai viaggiare ero un viaggiatore. Ho imparato in tenera età che un gruppo etnico non è migliore di un altro, il che è una cosa straordinaria da sapere quando sei giovane. È stato solo quando sono diventato adolescente che ho iniziato a vedere le cose e ho imparato che il Bronx è un posto pericoloso.
Sentivi parlare di accoltellamenti, di qualcuno che è stato investito o che qualcuno è stato coinvolto in una storia di spaccio di droga. Ma questo lo trovi in​ qualunque quartiere.
Penso che il Bronx sia stato una base solida e solida che mi ha fatto iniziare, come direbbe James Brown, con il piede giusto. Quando fui abbastanza grande mi trasferii a Manhattan: una volta che avevi il marchio Bronx niente poteva spaventarti in alcun modo. C'era così tanta ambizione a Manhattan. Il Bronx era incentrato sulla tecnica di sopravvivenza: sopravvivi al Bronx e passi al livello successivo nel gioco da tavolo. Manhattan era tutta una questione di creatività. Era una comunità di spirito, piena di cameratismo. Quei primi giorni furono fantastici.
Per fortuna avevo un fratello musicista che mi ha insegnato tutto quello che c'era da sapere sulla musica.”


E' proprio con il fratello che forma il primo gruppo, i Dr. Buzzard's Original Savannah Band, con buoni risultati. “Cherchez la femme”, un 45 giri che mischia sound latino, disco music e funk, lancia il primo album che arriva in classifica in America tra i primi 40.

“Il primo disco della Savannah Band era pura magia. Avevamo vent’anni quando l’abbiamo realizzato, nel 1976, avevamo accumulato dieci anni di scrittura, abbiamo iniziato giovani e abbiamo scelto le canzoni migliori. Quell'album ci ha aperto le porte per il resto della nostra vita. Era nuovo. È stato innovativo grazie a mio fratello, che ha detto: "Prenderò qualcosa dal passato, perché amo Duke Ellington e i fratelli Dorsey, Tommy e Jimmy, e adoro il crooning di Frank Sinatra e Ella Fitzgerald".

Sono elementi che ritroveremo spesso nella futura carriera del Nostro.
August abbandona la band e decide di perseguire una nuova carriera. Lo fa con un approccio teatrale, ambito che lo ha sempre affascinato (“mi sono dedicato alla musica perché ero un attore frustrato”): decide di interpretare un personaggio, Kid Creole (nome mutuato storpiando un classico di Elvis Presely “King Creole”) dal look raffinato, dalle movenze care ai musicisti jazz del Cotton Club e all'estetica degli Zoot Suiters, con il portamento di Humphrey Bogart in “Casablanca”.
“In realtà usavo quel personaggio con mia moglie o le mie ragazze "Oh, va bene, tesoro. Non incolpare me, è Kid Creole che lo fa...”.

La musica risente del periodo, inizi anni Ottanta, tanto ritmo, discomusic, melodie facili e ballabili, ma mischiate a elementi inusuali come suoni caraibici, jazz, swing, salsa, pop, funk.
Una miscela irresistibile che non può che scatenare il ballo.
“Ho sempre detto che non troverai mai musica pura in Kid Creole. Io la chiamo musica bastarda. Questo è ciò che la rende emozionante per me. La nostra forza sta nel prendere in prestito un po' dal mondo del calypso, qualcosa dai Four Tops e dai Temptations e pesantemente da James Brown e mettere tutto insieme in questa miscela. L’uso dei fiati è tutto basato su Tito Puente e sul mio amore per l’arte della salsa ma si basa anche su quelle armonie degli anni Quaranta, sugli arrangiamenti di Duke Ellington e su tutta quella roba fantastica che senti in quei vecchi dischi.”

E poi un'altra scelta inusuale per i tempi in cui gli artisti bianchi avevano abitualmente un gruppo di coriste di pelle nera. Kid Creole ribalta volutamente l'immagine.
Si circonda di musicisti di ogni razza e colore e contrappone la sua pelle mulatta con tre coriste bionde e con gli occhi azzurri (una delle quali era Adriana Kaegi, sua moglie, svizzera, diventata poi fondatrice di una compagnia video, tra le prime a concepire serie tv sul web, con concerti ma anche contenuti per riviste di moda come “Vogue” e “Elle”).
Gli inizi non sono incoraggianti, i dischi non vanno bene e il gruppo stenta parecchio a decollare: “Il talento che ho avuto è stato la perseveranza. Il primo album di Kid Creole ha venduto circa cinque copie, e quella sarebbe potuta essere proprio la fine. “Fresh Fruit in Foreign Places” ha venduto sette copie: anche quella avrebbe potuto essere la fine. Ma avevo quella testardaggine. Sono il tipo di persona che se mi dici che qualcosa non succederà continuerò a provarci finché non cado morto. Ma c'è stata anche fortuna. Eravamo figli di puttana fortunati, essendo venuti dal Bronx senza niente.”

E' “Tropical gangsters” del 1982 che li fa esplodere nelle classifiche, soprattutto in Europa, grazie anche all'irresistibile singolo “Stool pigeon".
Si stabilisce in Europa che diventa la seconda patria (tra Inghilterra, Svezia e Danimarca, dove lascia mogli e figli sparsi) e in cui suona ripetutamente da una nazione all'altra.
Nel 1990 arriva anche al Festival di Sanremo come ospite e transita spesso nella Penisola
. Vanno meno bene le vicende discografiche con album sempre più trascurati da pubblico e critica ma non mancano i concerti, ai quali dedicano costantemente cura e attenzione, in giro per il mondo.
La formazione originale della band si scioglie nel 1992 ma Kid Creole prosegue a suonare con altri musicisti con occasionali ritorni alla pubblicazione di album (discreti), partecipa, dal 2008, al musical “Oh what a night” imperniato su vicende interne all'ambiente discomusic con cui si esibisce in mille serate in Inghilterra ed Europa.
In un'intervista del 1981 disse: “La bellezza della musica sta nelle sue possibilità di cambiamento, e quel cambiamento rappresenta un ideale più ampio: la coesistenza globale”. Una dichiarazione di intenti che ha sempre applicato attraverso l'unione di vari stili, razze, provenienze, producendo un' incontenibile esplosione di divertimento.
Il migliore dei mondi possibili.

Il 19 settembre del 1985 Kid Creole and the Coconuts approdarono anche a Piacenza in un Teatro Tenda allestito dallo staff del locale “My Way” di Fiorenzuola, in via Martiri della Resistenza, in un campo dove ora sorge un complesso con supermercato e varie altre attività (era ancora uno dei tanti spazi verdi piacentini poi cementificati nel tempo). Doveva essere la prima tappa di una serie di concerti (in programma anche Eric Clapton e altri prestigiosi nomi del rock)
. Purtroppo le rimostranze di cittadini insonni per il troppo rumore fece naufragare un'ennesima iniziativa culturale locale.
Il concerto fu impeccabile, divertente, travolgente e richiamò tremila persone entusiaste.

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