Ospito molto volentieri la recensione dell'amico PIER TOSI, massimo consocitore di reggae e affini, del biopic dedicato a BOB MARLEY.
La sua partita 'One Love', il bio-pic di Bob Marley prodotto dai figli Ziggy e Cedella e la settantasettenne moglie Rita per la Paramount (nella lista dei producers spicca anche il nome di Brad Pitt) l'ha già vinta essendo il film campione di incassi in tanti paesi tra cui gli USA e l'Italia a pochi giorni dalla sua release e questo la dice lunga sul persistere del potere di seduzione dell'aura del rivoluzionario artista reggae a quasi quarantatrè anni dalla sua scomparsa.
'One Love' è assai ben raccontato ed interpretato: Kingsley Ben-Adir e Lashana Lynch nelle parti di Bob e Rita sono veramente ineccepibili ed il loro sforzo per entrare decisivamente nei personaggi è evidenziato dalla più che opportuna visione in lingua originale, nonostante anche il doppiaggio in italiano sia stato fatto veramente come meglio non si sarebbe potuto.
Anche tutti gli altri attori, tra cui protagonisti del reggae odierno come le cantanti Sevana e Naomi Cowan (loro le parti rispettivamente delle coriste Judy Mowatt e Marcia Griffiths) e Aston Barrett Jr. (figlio del leggendario bassista dei Wailers da cui ha ereditato il nome, interpreta proprio la parte del padre) forniscono più che buone prove attoriali muovendosi armoniosamente nelle varie sequenze intorno alla figura dell'artista.
Il film fa una scelta parziale raccontando un periodo di circa un anno e mezzo della vita di Bob Marley ma sicuramente un momento decisivo e drammatico della sua carriera tra l'attentato subito a Kingston nel dicembre del 1976 e la partecipazione, sempre in Giamaica, al One Love Peace Concert nell'aprile del 1978.
In mezzo c'è l'abbandono, per motivi di sicurezza, della sua terra per approdare a Londra, la genesi di 'Exodus' (1977), forse il suo disco più celebrato, la scoperta del tumore della pelle che è la prima avvisaglia del male che lo porterà alla morte a trentasei anni nel maggio del 1981 ed il raggiungimento dello status di superstar globale attraverso i trionfi di un indimenticabile tour europeo.
Le vicende tracciano un viaggio che Marley percorre tra le avversità per trovare se stesso e raggiungere la maturità della sua voce universale.
Come per tutti i progetti di questo tipo (mi vengono in mente i bio-pic di Aretha Franklin, Elvis, Ray Charles o Miles Davis) si tratta di trovare un modo simbolicamente efficace di ritrarre personaggi di grande complessità rischiando fortemente di precipitare nell'agiografico infarcendo il racconto cinematografico di una sequela di stereotipi ma in questo caso il rischio è scongiurato e l'immagine che esce di Marley è quella di un essere umano indubbiamente speciale che vince i suoi fantasmi attraverso la dedizione alla musica e la sua missione di diffusione della Rastafari livity.
Storie come queste hanno molti modi per essere raccontate ed il coinvolgimento dei figli Ziggy e Cedella e della loro madre nella produzione giustifica il fatto per cui viene ritratto il cantante in costante dialogo con la figura della moglie/sorella Rita i cui consigli ed il cui affetto sono fondamentali nella sua formazione: la figura di Cindy Breakspeare all'epoca importante dal punto di vista affettivo per Marley non è che nel film una figura distante e senza voce nonostante la presenza di Cindy nei titoli di coda come consulente.
Le scelte di sceneggiatura sono comunque mediamente ben giustificate ed orchestrate a parte alcuni episodi: in un flashback la figura del patriarca della musica giamaicana Coxsone Dodd, titolare del leggendario marchio Studio One e primo produttore dei Wailers, è ritratta come quella di un personaggio dai modi spicci e la pistola facile: gli autori non hanno resistito alla tentazione di far confluire in questo personaggio fondamentale i caratteri di altri producers coevi (si pensi al rivale di Coxsone, l'ex poliziotto Duke Reid) e questa è quasi una mancanza di rispetto per la memoria dell'uomo che fornì una casa dove stare al giovane Marley quando sua madre emigrò in USA.
In un'altra scena si sceglie di ritrarre i contatti di Bob Marley ed il suo entourage con il mondo del punk mostrando la compagnia di dreads ad un concerto dei Clash in un club londinese ed anche questo evento non è supportato da alcuna delle più importanti fonti biografiche.
Una scena dal valore simbolico è l'incontro del cantante con l'uomo che gli sparò nell'attentato alla ricerca di un perdono che Bob non esita da accordargli.
Anche questo episodio non è supportato dalle fonti biografiche ed è una licenza narrativa degli autori che ad avviso di chi vi scrive scade un po' nell'agiografico.
La musica comunque ha il giusto valore nell'economia del film con tanti episodi entusiasmanti riguardanti concerti, attività di studio e sale prove e magistrali scene di Marley al lavoro nella composizione dei brani di 'Exodus'.
La toccante scena che vede la superstar cantare 'Redemption Song' nel cortile di casa sua davanti a Rita ed i suoi bambini è l'apice emozionale di un'opera quindi decisamente riuscita nel ritrarre questo grande artista e che per questo merita assolutamente il suo successo.
Condivido tutto, bravo Pier. L' episodio con Clement Dodd in effetti è un po' tirato, ma l' ho trovato divertente e non molto lontano dalle cronache del tempo. Penso che il film sia stato pensato per un pubblico giovane, non certo per noi della vecchia guardia, e forse per questo si prende qualche piccola licenza. Mi sono fatto una gran risata a vedere il.mio amico e coetaneo Mutabaruka aprire il cancello della casa di Hope Road al ritorno di Bob, cosa che certo non poteva in alcun modo essere. Nel complesso direi che la prova è riuscita bene, e non era affatto cosa scontata.
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