Riprendo l'articolo scritto per "Il Manifesto" sul box (pubblicato dalla Dialogo Records) che raccoglie il catalogo della Obscure Records di BRIAN ENO.
La complessità e l’ampiezza dell’opera di Brian Eno, la concettualità filosofica della sua produzione, la capacità di muoversi in ambiti spesso conflittuali l’uno con l’altro con totale disinvoltura, ne hanno fatto un artista inclassificabile e costantemente al di fuori da ogni possibile catalogazione.
Dalla breve era con i Roxy Music, alle sperimentazioni soliste, fino alle grandi opere in veste di produttore e al percorso all’interno dell’ambient music, la sua carriera è ricchissima e sempre stimolante, immersiva, impossibile da riassumere e difficile da comprendere se relativizzata a un contesto di “musica pop”.
Ha preceduto la new wave di qualche anno con le sue prime opere soliste , ad esempio con “Here comes the warm jets”, del 1974, l’ha affiancata con “Before and after science” nel 1977, ne ha colto e assorbito i suoni, portandoli alla corte di David Bowie per la “trilogia berlinese”, immergendosi nella nuova ondata con la produzione di Talking Heads, Ultravox!, Devo, fino agli U2.
Scoprendo la scena “No Wave” new yorkese con nomi estremi come James Chance e Lydia Lunch.
Negli anni Ottanta introduce il concetto di Ambient Music (mutuata dalla “Furniture Music” o meglio, nell’originale francese, “Musique d’Ameublement” - “Musica per arredamento” - di Erik Satie, coniato nel 1917), idea che già preconizzava nel 1975 in un’intervista:
“Credo che siamo arrivati a un passo dall’usare musica e i suoni registrati con la stessa varietà di opzioni che adottiamo per i colori: potremmo usarla solo per colorare l’ambiente, potremmo usarla per modificare il nostro umore in modo quasi subliminale. Prevedo che il concetto di “muzak”, una volta spogliatosi delle sue connotazioni di immondizia sonora, avrà nuova (e assai fruttuosa) vita”.
In realtà già negli album solisti dell’epoca non mancavano brani contemplativi ma che si inserivano in contesti musicalmente più allargati e eterogenei.
Ma è nelle note di “Ambient 1: Music for airports” del 1978, primo di quattro capitoli di “musica ambientale” (seguirà “Music for films”, in tre progressive versioni) che codifica il concetto:
“L’ambience si definisce come un’atmosfera, un’influenza circostante: come una tinta. La mia intenzione è produrre pezzi originali apparentemente (ma non esclusivamente) destinati a momenti e situazioni particolari, nella prospettiva di costruire un catalogo piccolo ma versatile di musica ambientale adatta a un’ampia gamma di mood e atmosfere.L’obiettivo dell’ambient music è calmare e offrire uno spazio per il pensiero. L’ambient music deve poter conciliare vari livelli d’attenzione uditiva senza imporne uno in particolare: deve essere tanto interessante quanto ignorabile”.
E’ il culmine di un percorso, come visto, iniziato nel 1975 e a cui aveva dedicato addirittura un’etichetta discografica, la Obscure Records, operativa per soli tre anni, tra il 1975 e il 1978.
Pubblicò dieci album, tra cui uno autografo dello stesso Eno, in cui si sperimentava, osava, si creavano le basi per una moderna concezione della musica classica, tra ambient, avanguardia e ricerca. I dischi uscirono senza promozione, in sordina, andarono presto fuori catalogo diventando di scarsissima reperibilità e mai ripubblicati.
La nostra Dialogo li ristampa in un cofanetto, disegnato da Bruno Stucchi / dinamomilano, in edizioni CD e vinile completamente rimasterizzate da Andrea Marutti.
In entrambi i formati sono inclusi un libro con foto rare, materiale d'archivio e testi di, tra gli altri, Gavin Bryars, Bradford Bailey, David Toop, Max Eastley, Richard Bernas e Tom Recchion.
Gli album furono originariamente distribuiti dalla potente major Island Records, grazie anche alla convinzione di Brian Eno che la musica sperimentale dovesse essere accessibile e disponibile per gli ascoltatori di musica popolare, ai quali si tributava la “fiducia” che avrebbero saputo apprezzarne la qualità se solo fossero stati in grado di conoscerla.
L’esperimento non ebbe il successo sperato, nonostante lo sforzo e il nome già altisonante di Eno. Ci vorrà ancora parecchio tempo prima che il valore di queste produzioni fosse riconosciuto e arrivasse veramente a un pubblico relativamente più vasto, senza venire immediatamente derubricato a “musica sperimentale”.
I dieci album comprendono Gavin Bryars “The Sinking of the Titanic”,Christopher Hobbs, John Adams, and Gavin Bryars’ “Ensemble Pieces”, Brian Eno “Discreet Music”, David Toop and Max Eastley “New and Rediscovered Musical Instrument”, Jan Steele e John Cage “Voices and Instruments” (1976), Michael Nyman “Decay Music” (1976) Simon Jeffes /The Penguin Café Orchestra “Music from The Penguin Café” (1976), John White and Gavin Bryars “Machine Music” (1978), Tom Phillips, Gavin Bryars, and Fred Orton “Irma” (1978), Harold Budd “The Pavilion of Dreams” (1978).
Si distingue in particolare l’album di John Cage e Jan Steele “Voices and instruments” in cui troviamo la chitarra di Fred Frith degli Henry Cow, l’incredibile voce/strumento di Robert Wyatt in “Experience no.2” in cui declama un poema di E.E. Cummings, solo voce, senza accompagnamento, in un’interpretazione (poco conosciuta) da brividi e la successiva “The wonderful widow of eighteen springs” composta da Cage nel 1942, brano per voce e piano che rimane chiuso e su cui il musicista percuote con dita o nocche delle mani mentre il testo riprende una parte di “Finnegan’s Wake” di James Joyce.
L’album prosegue con la voce della (da poco) compianta Carla Bley in “Forever and sunsmell”, accompagnata da sporadiche percussioni.
“Music from Penguin life” è invece il sorprendente esordio della Penguin Café Orchestra che nel 1976 prelude al concetto di world music. Attingendo da matrici sonore “lontane” non esprime una musica banalmente “esotica” ma utilizza quelle radici per creare, con una formazione di impostazione classica, un sound nuovo, stimolante, bizzarro, splendidamente creativo.
Al piano Steve Nye collaboratore di Frank Zappa, XTC, Japan, Fleetwood Mac. L’album passerà quasi inosservato per venire poi riscoperto nel momento in cui la band trovò finalmente visibilità.
Anche Michael Nyman trova nella Obscure l’opportunità dell’esordio con “Decay Music”, sublimazione del minimalismo. Continuerà la carriera con opere poco fruibili al grande pubblico, trovando però il successo con la colonna sonora del film “Lezioni di piano” di Jane Campion, nel 1993, con premi e nomination ai Golden Globe e Bafta.
“Discreet Music” di Brian Eno è un disco minimalista, parte del quale composto originariamente per una possibile ulteriore collaborazione con il fidato amico Robert Fripp ma che che alla fine venne pubblicato in chiave solista (il suo quarto album, il primo con il nome completo, i precedenti pubblicati solamente come “Eno”). Fu un album particolarmente gradito a David Bowie e che pare lo spinse a cercare la collaborazione di Eno per l’imminente serie di album che diventò la cosiddetta succitata “Trilogia Berlinese”.
Il resto della produzione della Obscure è altrettanto interessante per chi vuole (ri)scoprire un progetto unico nel suo genere, coraggioso, precursore e innovativo.
Certo, è anche ostico, richiede attenzione e approfondimento ma, in tempi di fruizione pressoché totalmente superficiale e disattenta, ben vengano operazioni che riportano la musica a quello che è sempre stata: Arte.
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