Quasi una cinquantina di libri di carattere musicale letti quest'anno.
TOP 10
Will Hermes - Lou Reed. Il re di New York
"La mia settimana batte il vostro anno" (Lou Reed)
La frase é un buon sunto di questa monumentale biografia di LOU REED, (dai Primitives ai Velvet Underground, alla carriera solista, agli ultimi anni con Laurie Anderson) costruita minuziosamente e meticolosamente da Will Hermes, grazie anche al libero accesso agli archivi privati dell'artista New Yorkese.
Le quasi 800 pagine sono un'enciclopedia di nomi, dati, date, canzoni, riferimenti e rimandi, un'opera completa e pressoché insuperabile, raccontata e scritta benissimo, in cui si narra la vicenda artistica e umana dell'artista, senza risparmiare le faccende più oscure e oscene, pur evitando sensazionalismi pruriginosi e morbosi .
Lou Reed ci "svela" un aspetto mai o raramente considerato da pubblico e critica, peculiarità di molte star del pop rock di cui abbiamo spesso male interpretato il vero ruolo (vedi le presunte e spesso sbandierate iniezioni di eroina sul palco, in realtà mai avvenute ma solamente ostentata e plateale finzione teatrale):
"Lou Reed è il mio personaggio.
A volte è me per il venti per cento, altre per l'ottanta, ma mai al cento.
E' un mezzo per andare in posti in cui io non andrei o dire cose con cui non sono d'accordo".
Il libro è tra i più documentati, esaustivi e completi di sempre, in ambito musicale e aggiunge nuovi particolari (spesso inediti) sullo scibile della musica rock, dagli anni Sessanta ad oggi, sottolineando, mai come in questo caso, la correlazione diretta con la CULTURA (underground o meno) circostante, aspetto determinante per completare un artista.
Michael Diamond / Adam Horovitz - Beastie Boys. Il libro
Michael Diamond e Adam Horowitz, qualche anno dopo la scomparsa dell’amato compagno di avventure Adam Yauch, nel 2018, trovarono la forza di riprendere in mano l’album dei ricordi e scrivere un magnifico libro che ora Rizzoli pubblica in italiano, “Beastie Boys. Il libro”.
Oltre 500 pagine con un accurato e raffinato progetto grafico degli autori in cui si alternano stupende e rare foto, ricordi, follie di ogni tipo, inserti, playlist, ricette di cucina (!) e considerazioni profonde, analisi dettagliate degli album, aneddoti, testimonianze di amici e collaboratori.
Non è solo la storia della band ma un ritratto sociale e un pezzo di storia della musica recente.
Spike Jonze: “Non incidevano solo, creavano mondi. Hanno sempre fatto a modo loro. Non c’era nessuno di un’etichetta discografica a dirgli cosa fare. I Beastie Boys andavano per la loro strada e quando finivano un lavoro – le foto, il video, l’album – consegnavano tutto alla casa discografica”.
Kid Congo Powers - Some new kind of kick
Una storia molto densa, una vita furibonda, vissuta costantemente al limite, divertente e "clamorosa" quanto, spesso, drammatica e tragica.
Kid Congo Powers ha abbracciato le prime avvisaglie del punk californiano, arrivando a suonare con Gun Club, Cramps e i Bad Seeds di Nick Cave, oltre a un ampio numero di altre esperienze.
Stile chitarristico minimale ed essenziale, forgiato su quel primo brano che gli diede da imparare Jeffrey Lee Pierce, "Gunslinger" di Bo Diddley e con maestre d'eccezione come Poison Ivy e Lydia Lunch a dargli l'impronta definitiva.
Una vita pazzesca, contraddistinta da eccessi di ogni tipo, da una costante lotta contro dipendenze (dall'alcol all'eroina) e discriminazioni (di origine messicana, nato in America, un ibrido a metà strada, omosessuale dichiarato, estetica estrema).
Un libro che entusiasmerà i cultori di un certo ambito, grazie ad aneddoti irresistibili ma anche a un racconto poetico e romantico di un mondo scomparso.
Kid Congo Powers fu il nome scelto da Lux Interior per "essere un Cramps".
"I Cramps pensavano di essere un' entità magica. Che noi fossimo gli alieni sbarcati sulla Terra.
Per Lux e Ivy qualunque anticonformista era visto come una persona magica...mi sentii competamente accettato, particolarmente da gay rocker.
Lux, nel suo ruolo di sciamano era praticamente pansessuale, per niente omofobo...i Cramps abbracciavano la perversione in tutti i suoi aspetti e nel miglior modo possibile. Sapevo che era la mia gente, erano dei freaks come me."
"Non abbiamo mai discusso, nel nostro chiuso ed edonistico mondo, della sessualità, che uno fosse gay, bi o etero. Ognuno accettava ciò che era, raramente ne abbiamoi parlato. Era solamente così."
We were the Blank Generation.
Avevamo una attitudine separatista e militante.
O eri con noi o contro di noi.
Il nostro feeling era: fuck the system or stay the fuck away.
Viv Albertine - Vestiti Musica Ragazzi
Arriva la traduzione in italiano del libro pubblicato nel 2014 da VIV ALBERTINE, ex chitarrista delle SLITS e tra le prime protagoniste della scena punk londinese.
"La musica che ascoltavo da adolescente era rivoluzionaria, Essendo cresciuta con canzoni che volevano cambiare il mondo, è quello che ancora mi aspetto che facciano".
Un'autobiografia spiazzante, che passa da un'adolescenza povera ma ricca di speranze ed esperienze (si ritrova ad Hyde Park a vedere gli Stones nel 1969, poi al cospetto di Bowie, Marc Bolan, Robert Fripp) per arrivare poco più che ventenne nel pieno della nascita del punk, coltivando strette amicizie con Sid Vicious e Johnny Rotten ma soprattutto una relazione burrascosa con Mick Jones dei Clash a cui resterà per sempre legata da un affettuoso rapporto (lui le dedicherà "Train in vain" su "London calling").
"Avevo sempre pensato che le circostanze della mia vita - povera, di Londra Nord, scuola pubblica, casa popolare, femmina - non mi avessero equipaggiata per il successo.
Mentre guardo i Sex Pistols, capisco che per la prima volta non ci sono barriere tra me e il gruppo...
E' fatta. Finalmente vedo non solo l'universo di cui ho sempre voluto far parte, ma anche il ponte da attraversare per arrivarci".
Con le Slits, gruppo di sole donne (un'eccezione anche ai tempi), coglie scampoli di successo e notorietà con una new wave/punk fortemente influenzata dal reggae.
Dopo lo scioglimento abbraccia la regia cinematografica e di video musicali, trovando una nuova dimensione artistica
, ma poi la vita diventa aspra, dura, tragica, drammatica e le storie sempre più acide, a tratti insopportabili, tra una complicatissima maternità, malattie, problemi fisici estremi, cadute, dolore, disperazione.
Ritroverà la voglia di ripartire con la sua chitarra e voce, pubblicando l'ottimo e ruvido album solista "The vermillion border" nel 2012 (con la partecipazione di Jack Bruce, Tina Weymouth, Jah Wobble, Glen Matlock, Norman Watt Roy e tanti altri bassiti, uno diverso per brano.
Con la morte della madre nel 2014 abbandona definitivamente la carriera musicale.
Ottimo libro, ricco di spunti, considerazioni profonde, con uno sguardo disincantato sulla scena punk (con aneddoti divertenti e impietosi) e quella più genericamente musicale.
Paul Weller - Magic: A Journal of Song
Paul Weller si racconta tramite un dettagliato ripasso della sua disocgrafia, da "In the city" a "Fat Pop (vol.1)", scegliendo vari brani, affrontando schiettamente temi scottanti come l'alcolismo (abbandonato il 1° luglio 2010 insieme all'abuso della cocaina), la morte dell'adorato padre, criticando senza problemi i suoi album meno riusciti (da "This is modern world" a "Modernism: a new decade, "Heliocentric", "Illumination"), ponendosi in modo molto confidenziale nei confronti del lettore (guidato dal giornalista Dylan Jones).
Con ennesima conferma della curiosa (ma efficace) usanza di cancellare, a fine registrazione di ogni album, ogni traccia inedita, demo, provino, per impedire un eventuale futuro riutilizzo per ristampe o confezioni deluxe.
Graficamente elegante e raffinato, ricolmo di memorabilia, 450 foto più o meno rare e i testi di un centinaio di canzoni, il libro è di pressoché esclusiva pertinenza per gli hardcore fan di Paul Weller che troveranno però un tassello importante per completare la conoscenza dell'arte, della vita, dell'ispirazione del Nostro.
Steve Jones - Lonely boy. Storia di un Sex Pistol
L'autobiografia di Steve Jones, da cui è stata tratta la sceneggiatura della deludente serie "Pistol" di Danny Boyle: https://tonyface.blogspot.com/2022/09/pistol.html, ben tradotta in italiano da Alessandro Apreda.
Infanzia e adolescenza disastrate da cui esce un teppista con l'ossessione del furto e del sesso, che si ritrova nella band più famosa del mondo e che dopo lo scioglimento si proietterà nell'alcolismo e nella tossicodipendenza pesante, da cui si è salvato a stento.
Le avventure soliste, le collaborazioni, da Iggy a Bob Dylan, le disastrose (sia umanamente che economicamente) reunion dei Sex Pistols, aneddoti gustosi e altri drammatici.
Il tutto scritto con una grande ironia, il libro è spesso graffiante, impietoso e urticante.
Tanta umanità (vedi il "ritrovamento" del padre che lo aveva abbandonato alla nascita) e nessun particolare rimpianto (a parte la tragica fine di Sid Vicious - "se lo avessimo chiamato "Sid il gentile o "Sid il buono" magari avrebbe provato a comportarsi in quel modo" - e "la sensazione di essere una vera band venne spazzata via da un'ondata di stronzate da tabloid").
Divertente e frizzante.
Gayle F. Wald -
Shout Sister ahout. Sister Rosetta Tharpe
Nell’imminenza dell’otto marzo è usanza ricordare e sottolineare quanto le distanze tra l’uguaglianza tra uomini e donne siano ancora ampiamente da colmare da un punto di vista sociale, economico, strutturale. E stiamo parlando del mondo occidentale, cosiddetto “evoluto”, in una scala di valori relativa ai più elementari diritti umani, che in altre culture e realtà sono diffusamente lontani e disattesi.
Dalle “nostre parti” il processo evolutivo, in tal senso, ha avuto un’accelerazione impressionante in pochissimo tempo (si ricordi che il medievale e barbaro “delitto d’onore” venne ufficialmente abrogato dalla legislazione italiana solamente nel 1981) ma nella maggioranza dei paesi del globo le differenze permangono sensibili e, il più delle volte, drammatiche.
Per certi luoghi, dove magari si svolgono abitualmente manifestazione sportive, economicamente molto redditizie, si chiudono uno, due, mille occhi, per altri ci si indigna e “ci si gonfia in un coro di vibrante protesta”, citando il De André de “La domenica delle salme”.
La patria della democrazia, costantemente esportata a suon di milioni di morti in ogni parte della Terra, “per conquistare quello che ancora c’è da conquistare, costi quel che costi, anche guerra dopo guerra, siamo o non siamo i padroni della Terra?” (questa volta mi piace citare Edoardo Bennato in “La torre di Babele”) ovvero gli Stati Uniti, abolì invece la segregazione razziale solo nel 1964.
Formalmente, perché per lungo tempo, in particolare negli stati del Sud, rimase prassi consolidata.
A giudicare dallo stillicidio di morti afroamericani per mano della polizia, non sembra che le cose siano cambiate del tutto, nonostante presidenti e cariche istituzionali di primo livello di colore.
Ebbene, ci fu un tempo in cui essere donna, afroamericana, cantante e musicista, bisessuale e indipendente, pluri sposata, non era cosa particolarmente facile né tanto meno consigliata. Sister Rosetta Tharpe fu tutto questo.
Ma anche tanto altro.
Ad esempio una che inventò, più o meno, il rock ‘n’ roll.
Cantava gospel ma si accompagnava con la chitarra elettrica, che suonava come se fosse un’estensione del suo corpo.
E’ da poco uscito un libro (solo in inglese) “Shout sister shout” di Gayle F. Wald che ne ripercorre dettagliatamente la storia e le gesta dalla nascita, nel 1915, alla scomparsa, nel 1973 con l’acme della popolarità raggiunto dagli anni Quaranta ai Sessanta.
“Non significa che il fatto che pur battendo i migliori chitarristi uomini nelle gare di tecnica, fosse ascrivibile a una dimensione mascolina, era invece proprio la sua femminilità che emergeva nella sua totalità e oscurava i rivali. Era l’unica donna che quando impugnava una chitarra metteva in ombra qualsiasi uomo”. Come diceva la grande cantante Carla Thomas “In quegli anni le donne cantavano e basta. Lei portò una cosa assolutamente nuova che diceva alle altre donne: guardate, potete farlo anche voi!”.
Effettivamente per anni e anni la figura femminile veniva accostata a qualche strumento solo in funzione ornamentale ed estetica.
Rosetta Tharpe invece la chitarra la suonava, eccome.
La sua carriera nasce prestissimo.
Bambina prodigio, si esibisce nelle chiese evangeliche del natìo Arkansas, accompagnando la madre cantante (e con il padre, raccoglitrice di cotone), si sposa a soli diciassette anni, consumando un matrimonio breve e sfortunato e cresce velocemente la sua fama, continuando a cantare le lodi al Signore ma in modo del tutto personale e antitetico alle rigide regole del contesto.
Negli anni Venti e Trenta migliaia di persone di colore tentarono la fortuna spostandosi verso il nord degli Stati Uniti industriale, dove il lavoro era più facile ma lo sfruttamento non era così diverso dagli stati ancora segregazionisti del sud.
Rosetta Tharpe invece ebbe il coraggio di portare il gospel, musica ancora strettamente confinata al mondo delle chiese, nei club e teatri del nord. Usando la chitarra come nessuno aveva mai fatto, soprattutto una donna.
Alfred Miller direttore della Church of God in Christ di Brooklyn sottolinea: “Sapeva fare gli accordi, gli assoli, gli arpeggi, poteva suonare qualsiasi cosa con la chitarra. La poteva suonare da seduta, in piedi, mettendosela dietro le spalle (Jimi Hendrix ci arrivò una trentina di anni dopo…). "Era un’artista che mandava il suo pubblico in visibilio!”.
Faceva letteralmente parlare la sua chitarra, mantenendo un (inconsapevole o sapientemente voluto?) equilibrio tra la religiosità che esprimeva e una sensualità non detta, mai esibita ma che buona parte del pubblico (maschile ma non solo) percepiva e apprezzava. Rosetta aveva carisma, emanava sicurezza, spontaneità, classe, sapeva come intrattenere le folle ed era una sfida alle convenzioni dei tempi, pur mantenendosi nei limiti del “comune senso del pudore”.
Non era tutto così facile, anzi…era una nera del sud che diventò progressivamente ricca, potendo vestire abiti eleganti e costosi, attirando negli stati meridionali l’attenzione dei razzisti e della polizia che non lesinavano molestie gratuite.
Trovare hotel che accogliessero i neri era spesso impossibile, lo stesso per i ristoranti.
Rosetta trovò una soluzione geniale.
Adibì nel furgone appena acquistato per andare in tour, una parte in cui potersi cambiare e truccare prima dei concerti ma soprattutto assunse un guidatore e tuttofare bianco che poteva così andare a comprare il cibo per la band in qualsiasi momento della giornata senza incorrere in umilianti dinieghi. Se ci fossero stati problemi a reperire un letto per la notte, il bus poteva fungere anche da camera da letto per la band. La sua popolarità cresce esponenzialmente, diventa una vera e propria diva, introita cifre da capogiro.
Anche se non sarà mai particolarmente parsimoniosa e i suoi compagni e mariti ne approfitteranno ripetutamente.
L’infanzia e l’adolescenza in totale povertà la inducono a non avere la benché minima percezione della quantità di danaro che gira nelle sue tasche (soprattutto intorno alla sua figura di artista famosa) e non esita a dispensarne per lei e per chi le capita a tiro, in abbondanza.
Per lungo tempo condividerà la scena con Marie Knight con cui si è sempre mormorata, ovviamente mai confermata dalle parti ma abbastanza palese, una relazione sentimentale, peraltro accompagnata da una lunga convivenza. Nel 1944 incide “Strange things happening every day” che da alcune parti viene definito come il primo brano rock ‘n’ roll.
Nel 1951 sposa il suo manager e terzo marito Russell Morrison in un sontuoso matrimonio in cui sono invitate 25.000 persone e suonano alcuni tra i nomi più in vista della scena gospel e blues.
E’ all’apice della fama anche se quando, ad esempio, entra in un negozio di lusso per acquistare una serie di vestiti di grande pregio, volendo pagare in contanti, i proprietari chiamano la polizia credendola una rapinatrice.
Finisce in prigione per alcune ore e, racconta la leggenda, viene liberata con tutte le scuse, quando canta al commissario un paio di canzoni con la sua stupenda voce immediatamente riconoscibile.
Per scusarsi dell’increscioso incidente il negozio le regala tutti i vestiti che aveva scelto.
Verso la fine degli anni Cinquanta la sua popolarità scema progressivamente, Mahalia Jackson prende il suo posto nel cuore degli appassionati di gospel, ma Rosetta avrà un clamoroso colpo di coda andando in tour in Europa dove trova folle plaudenti e critici entusiasti ma soprattutto lo stupore di essere accolta ovunque senza preclusioni razziali, trovare posto in hotel e ristoranti, rispettata e riverita.
Prosegue la sua attività anche quando nel 1970 deve subire l’amputazione delle gambe per problemi con il diabete.
Se ne andrà tre anni dopo alla vigilia di una seduta di registrazione.
Sister Rosetta Tharpe ha incarnato la dolcezza e la necessaria dura modalità di affrontare una realtà ostile e difficile.
Ha attraversato e sfidato anni bui e drammatici, con il canto alla vita e alla speranza sulle labbra, ha rivoluzionato la musica gospel e ha messo le radici per il rock ‘n’ roll.
“Blues è solo il nome teatrale per il gospel.
Il gospel deve essere lento.
Poi batti un po’ le mani e diventa “giubileo” e “rinascita”.
Poi diventi un po’ più felice e contento e quello si chiama jazz.
Così poi lo fai diventare rock ‘n’ roll”
(Sister Rosetta Tharpe. 1960).
Thomas Mauceri / Seb Piquet -
In search of Gil Scott Heron. The Godfather of rap
"La vita è un cerchio. Finisci sempre da dove sei partito. Non esiste l'altra parte, non c'è via d'uscita."
(Gil Scott Heron)
Gil Scott Heron rimane un faro nella "black culture", un infinito universo di spunti artistici, culturali, musicali, socio/politici.
Un personaggio e un lascito che è necessario continuare ad approfondire, studiare, esaminare con cura, tanto è prezioso il contenuto che ha espresso nella sua convulsa vita.
Questa graphic novel è semplicemente stupenda nel raccontare il sincero e appassionato tentativo di uno studente francese di incontrare Gil per girare un documentario su di lui cercando di vincerne la ritrosia ("non ho nulla di interessante per te, tutto ciò che ho da dire lo dico nei miei testi. Non riesco a capire il motivo di fare un film su di me" lo gela nella prima convesazione telefonica).
Non ce la farà, passando attraverso mille disavventure ma riuscendo però a entrare in un percorso di formazione, culturale e sociale, nel mondo afroamericano, vivendo il drammatico e drastico passaggio da Obama a Trump e continuando a dover fare i conti con discriminazione e razzismo.
Stupendi i disegni, le citazioni, la discografia ragionata e commentata alla fine.
"Penso sia un errore che mi si conosca come il "Godfather of Rap".
Una rivoluzione di qualunque colore sia, succede dentro a te. Una rivoluzione è prima di tutto mentale, arriva dalla mente.
Se vuoi cambiare la tua vita, se vuoi che le cose intorno a te siano diverse, è necessario per prima cosa cambiare il modo in cui pensi."
(Gil Scott Heron)
Ted Gioia - Musica. Una storia sovversiva
Un libro interessantissimo, ricchissimo di informazioni, riferimenti inaspettati (talvolta imprevedibili e improbabili), elementi stimolanti per un'ulteriore ricerca in merito.
Da affrontare prescindendo i rigidi postulati che fanno da filo conduttore e ricorrono frequentemente.
Dal discutibile concetto che la musica nasca e si basi da sempre sui due pilastri di sesso e violenza (teoria peraltro facilmente smontabile) e che la sua storia sia stata in qualche modo gestita e indirizzata da "poteri forti" (dalla Chiesa ai governi) per depotenziarne il ruolo sovversivo.
"La musica è sempre stata collegata al sesso e alla violenza.
I primi strumenti grondavano sangue. Le prime canzoni promuovevano la fertilità, la caccia, la guerra e simili. Quasi tutta la storia della musica serve a oscurare questi rapporti ed eliminare gli elementi giudicati vergognosi o indegni dai posteri."
Molto interessante e condivisibile invece la tesi, che rinnova attraverso diversi esempi reiterati nel corso dei secoli, sul ruolo della canzone/canto "sovversivo", puntualmente normalizzato dal "sistema":
E' il meccanismo il base al quale queste disturbanti intrusioni musicali nell'ordine sociale entrano nel sistema e diventano mainstream. Il pericoloso ribelle viene trasformato, dopo qualche anno o decennio, in un riverito anziano della tribù".
Di nuovo l'autore sottilinea come dalle linee più arretrate della società nasca la musica nuova e il sistema dei potenti se ne impossessi (vedi il caso dei Trovatori nel Medioevo):
L'estraneo disprezzato crea un modo nuovo di cantare, poi i potenti del sistema si fiondano ad assumere il controllo di questo provocatorio stile musicale. E spesso se ne prendono il merito. Poi arriva l'inevitabile insabbiamento, con idocumenti storici ufficiali che negano che questa transazione culturale sia mai avvenuta.
E infine la sottolineatura di una costante che ricorre nei secoli
Due tipi di lavoratrice più strettamente associati al canto in Occidente erano le suore e le prostitute...le canzoni delle donne erano o seduzioni peccaminose o qualcos'altro chiuso a doppia mandata in un chiostro dove poteva essere udito solo da Dio e non da machi infoiati.
La conclusione che ci porta ai nostri giorni è una sorta di consiglio visionario:
Ogni volta che la cultura musicale diventa troppo facile e affabile, mettetevi a guardare l'orizzonte in cerca di una rivoluzione in arrivo.
In questo senso ci ricorda che "sarebbe stata la popolazione nera delle Americhe, quasi tutti discendenti di schiavi, a reinventare la musica popolare del Ventesimo Secolo...prima con ragtime e blues poi con il primo jazz e lo swing, i primi vagiti del rhythm and blues, poi ancora con soul, reggae, samba, boogie woogie,, doo wop,, bebop,, calypso, funk,, salsa, hip hop".
Da leggere, approfondire, con le dovute "cautele" sulle teorie dell'autore, perché ricchissimo di informazioni fondamentali per capire meglio l'evoluzione della musica attraverso le sue anime più sovversive e ribelli.
Stefano Gilardino - The Stranglers. Uomini in nero
La travagliata carriera degli Stranglers, uno dei gruppi più innovativi e personali nella storia del rock inglese, raccontata e sviscerata in mille particolari e gustosi aneddoti, con discografia commentata, spezzoni di interviste, fotografie, nella dettagliata biografia di Stefano Gilardino.
Libro assolutamente completo, scorrevole e documentato che ci ricorda la grandezza di una band troppo spesso non sufficientemente celebrata come meriterebbe.
IL RESTO
Paul Marko - The Roxy London WC2
Monumentale racconto, attraverso le dichiarazioni di decine di protagoisti diretti della vicenda, sulla nascita del punk a Londra, alla fine del 1976, tra le umide e scure pareti del "Roxy", sul palco del quale fecero i primi passi alcuni dei grandi protagonisti della scena.
Ai tempi ancora spontanea, confusa, molto artistica e pochissimo politica.
Durò poco, come il primo punk e in breve tempo le grandi case discografiche e il sistema mediatico fagocitarono tutto.
Il punk cambiò pelle, il "Roxy" passò in brutte mani e la storia prese un'altra strada. Per i cultori di questo ambito un libro essenziale.
Joel Selvin - Sly & the Family Stone: An Oral History
E' di nuovo disponibile la biografia "orale" di SLY AND THE FAMILY STONE, una delle più innovative, geniali, futuriste band di sempre, frutto delle visioni del leader Sly Stone che riuscì a creare una miscela unica di soul, funk, rock, psichedelia, unendola a un rivoluzionario act che, in tempi di ancora feroce segregazione razziale, metteva insieme in una band, bianchi, neri, uomini, donne.
Album e concerti epocali, suoni di anni in anticipo sui tempi.
Il libro raccoglie le testimonianze, fino al 1998, di buona parte di coloro che furono partecipi di quell'esperienza: musicisti, manager, fonici, roadie, crew, la moglie di Sly, Kathleen Silvia, con la partecipazione straordinaria di Gun, il feroce pittbull di Sly, partner malvagio della corte di spacciatori e consumatori che lo portarono alla fine e al delirio.
Un talento sconfinato, distrutto e annientato dalla cocaina, trascinato nel degrado più totale tra concerti annullati, follia, devastazione umana e morale.
Un libro drammatico e spietato.
Ancora più perché manca la voce del protagonista, ormai 80enne, tutt'ora perso nella sua palude mentale.
Eddie Piller - Clean Living Under Difficult Circumstances: A Life In Mod – From the Revival to Acid Jazz
Prime mover della scena mod inglese di fine anni 70, autore della seminale modzine "Extraordinary Sensations" (che arrivò a vendere anche 10.000 copie), produttore discografico (dai Fast Eddie ai Makin Time e Prisoners) fino alla fondazione di una delle più importanti etichette inglesi, la Acid Jazz.
Eddie Piller è "figlio d'arte": madre che gestiva il fan club degli Small Faces nei 60's e padre original mod.
Che liquida così una compilation del giovane aspirante mod Eddie con Who, Kinks, Jam:
"Cos'é questa spazzatura?"
"E' musica mod, Dad, mi piace!".
"Questa non è musica mod, è una schifezza. Suppongo che quindi tu sia un mod".
"Certo, assoluamente"
"Bene, figlio, se vuoi essere un mod dovresti chiedere alla mamma di chi erano gli Small Faces.
Ma lascia che ti dica: la musica mod è il modern jazz. Tubby Hayes, Art Blakey, Gene Krupa e Cozy Cole.
E' da dove hanno preso il nome: MOD-ern Jazz.
Quella era musica mod, non questa roba qua.
Frase che alla fine sarà profetica quando Eddie diventerà l'artefice della scena acid jazz che da quelle radici prese vita per rinnovare l'anima jazz.
Eddie Piller ripercorre la fase embrionale della scena londinese, dalla scoperta del punk, con "I'm stranded" dei Saints, un breve periodo come soulboy (in cui coindivideva punk rock, jazz fusion e George Benson) a un concerto dei JAM che segnò la svolta definitiva.
"No Jam, No Mod revival.
Paul Weller e compagni erano diversi da ogni loro contemporaneo.
Ci diedero un nuovo inizio, erano unici".
L'ingenuità iniziale, l'esplosione mediatica con decine di band ("in un certo periodo c'erano anche trenta concerti mod ogni settimana"), l'arrivo di soul e psichedelia, il declino dei gruppi live a favore delle serate DJ, la tragedia inaspettata di una violenza inaudita che i mod subirono da skinhead e scooter boys (con tanto di morti e feriti), l'inizio dell'attività con la Countdown Records e lo sfortunato rapporto con i Prisoners che si sciolsero dopo l'insoddisfazione per l'album "In from the cold".
Il libro ci regala decine di aneddoti molto gustosi e divertenti ma è riservato pressoché esclusivamente ai cultori della scena MOD che troveranno abbondanza di spunti (a volte fin troppo dettagliati) e informazioni, dall'evoluzione estetica (le famose calze bianche che portavano tutti agli inizi, le tremende Jam Shoes, le prime camicie Paisley, il Trilby mutuato da "Quadrophenia", l'importanza del film e tanto altro) a quella "filosofica".
E alcuni ricordi che non posso che condividere:
"I Bed & Breakfast inglesi negli anni Ottanta erano peggio del concetto basico, con lenzuola di nylon, bagni con la muffa, cuscini di gommapiuma, colazioni immangiabili"
Interessante la conclusione del percorso nelle parole di Eddie:
Mod è un concetto che ho abbracciato da teenager e che è stato inventato nel 1958 da quei ragazzi che cercavano il NUOVO.
La realtà è che il nostro approccio al mod non era niente che avesse a che fare con quello.
Era una serie di icone e suoni che abbiamo adottato per EVITARE il nuovo.
Il nuovo era merda e lo abbiamo totalmente rifiutato per una cultura immaginaria che non è mai realmente esistita.
Guardavamo a un tipo di periodo perfetto che esisteva solo nella nostra immaginazione.
Siamo onesti, i Sixties erano una merda.
Pieni di diseguaglianze e di bagni nei cortili.
Ma in qualche modo ci siamo creati un mondo basato sulla nostra percezione dei Sixties!
Alla fine ho capito che il mod era solo uno stato d'animo.
Persone molto più aperte di me sono arrivate tutte alla stessa conclusione: che il MOD è un'attitudine, una prospettiva, un modo di vivere la tua vita.
Qualunque cosa tu voglia essere, questo era ciò di cui si trattava.
Era quello che ero, era da dove venivo ed ero dove stavo andando.
Questo era mod.
Vita pulita in circostanze difficili.
We were cpying the tribal originals: learning about what they wore, what they listened to, what drugs they took, what books and films they liked.
Their influences!
Influences that have led me on to so many great things.
That have made me question everything I was ever thaught at school or told about on TV.
A liberation most definitely!
I'm amazed at how Mod has kept going; it's been over 40 years for us second-gens!
And I think it's still strong.
I've been glad to see how adaptable mod is, how every generation that gets into it adds something to it
.
It's keep Its Faith.
(dalla prefazione di Paul Weller)
Roberto Farina - Sarà perché ti amo
Difficilmente e raramente quando ascoltiamo una canzone pensiamo a quello che c’è dietro. Ci concentriamo sulla fruibilità della stessa, in base al nostro gusto, sull’interprete e poco altro.
In realtà una canzone ha bisogno di un produttore, un arrangiatore, uno o più esecutori, una confezione, un’immagine, una promozione.
Soprattutto un compositore. In molti casi abbiamo nel cuore, nell’anima, nelle orecchie, canzoni che hanno segnato la nostra vita senza avere la minima idea di chi le abbia composte, scritte, pensate.
Nella musica pop e rock, non di rado chi canta e suona il successo del momento non coincide con chi ha scritto il brano. Gli esempi sono incalcolabili.
Basti pensare a Elvis Presley o a Mina che non hanno praticamente mai composto nulla in vita loro ma sono unanimemente considerati nel mondo e in Italia tra gli artisti più rappresentativi di sempre.
Comporre una canzone che diventi popolare (e venduta) è un’arte, significa riuscire a intercettare i gusti del momento o, ancora più difficile, anticiparli, sapere cogliere il respiro del mondo, appena prima che tutto accada.
Ci vuole talento.
Tanto.
I compositori di questo tipo sono persone diventate nel tempo ricche ma quasi mai famose. Perché i loro brani, arrivati al primo posto delle classifiche per poi assurgere al ruolo di classici, continuano a rendere profitti, grazie ai diritti d’autore, per anni, a volte per sempre.
Per dare un’idea delle proporzioni economiche una canzone come “Yesterday” dei Beatles ha reso fino ad oggi 30 milioni di dollari in diritti d’autore a John Lennon e Paul McCartney, più o meno 1.500 euro al giorno.
E i due di canzoni famose ne hanno firmate un bel po’.
Roberto Farina ha da poco scritto un libro sulla carriera di suo zio Dario Farina, “Sarà perché ti amo”, edito da Milieu Edizioni.
Chi è questo sconosciuto signor Dario Farina?
Difficile che, a parte gli addetti ai lavori, qualcuno ne ricordi nome e gesta.
E’ un signore che ha scritto brani per il gotha della musica leggera italiana:
Ricchi e Poveri, Gianni Morandi, Albano e Romina, Nada, Little Tony, Patty Pravo, Andrea Bocelli e una lunga serie di altri importanti personaggi che per anni hanno stazionato nelle parti più alte delle classifiche di vendita e che ancora oggi ripropongono abitualmente i suoi brani.
E che brani!
“Felicità” e “Ci sarà” per Albano e Romina, “Sarà perché ti amo”, “Mamma Maria” e “Se mi innamoro” per i Ricchi e Poveri, “La donna di picche” per Little Tony, coautore di “Odisssea Veneziana” dei Rondò Veneziano, idea di un altro esimio autore, Gian Piero Reverberi, inizialmente dileggiato poi acclamato dopo la quantità di dischi venduti con questo bizzarro progetto. Titoli da milioni di copie, tuttora, piacciano o meno, suonate ovunque nel mondo.
Sicuramente non saranno pochi a storcere il naso di fronte a una simile produzione, leggera, dagli scarsi contenuti culturali e intellettuali, artisticamente impalpabili. Riprendo allora le parole, riportate nell’avvincente libro, di un amico di Farina, Ieppe, titolare di un negozio di dischi:
“Solo gli odori hanno una forza evocativa pari a quella di una canzone. Le canzoni non sono gelide operazioni mercantili. Una canzone può accedere alle parti più intime, dove i ricordi si rannicchiano per non scomparire.
Il fine della canzone è divertire, commuovere gli animi, la canzone punta alla popolarità, non all’applauso di una scarsissima parte di persone, cioè degli intenditori. Questi ascoltano un brano secondo tante regole complicate che capiscono solo loro, il popolo invece ha una sola regola: il suo orecchio. E se il popolo loda un brano sofisticato, lo fa per assecondare gli intenditori dei quali ha soggezione, o per la meraviglia che nasce davanti a qualcosa di astruso. Dario Farina è uno che ha moltiplicato le melodie popolari, lui non ha cercato la novità, ma la semplicità, cioè l’universalità. Il primo fine della canzone è smuovere i sentimenti, commuovere gli animi, non quelli di pochi, ma di tutti. Avvicinarsi al popolo è il compito della canzone”.
Dario Farina incomincia la carriera di autore con le consuete difficoltà, deve farsi strada sgomitando per trovare un posto in un ambiente in cui i muri sono molto alti e pieni di filo spinato ma alla fine ce la fa. Adotta un metodo infallibile, così lontano dall’immaginario del musicista. Glielo aveva consigliato Bruno Zambrini, altro grande autore poco conosciuto, da “In ginocchio da te” per Gianni Morandi a “La bambola” per Patty Pravo:
“Non aspettare la cosiddetta ispirazione. Mettiti tutti i giorni al piano. Paul McCartney non aspetta l’ispirazione. Ti risulta che Paul aspetti l’ispirazione? No, non l’aspetta, Paul McCartney lavora come un matto. Le idee non vengono davanti al tramonto o guadando le nuvole. Le idee vengono al pianoforte. Siamo dei professionisti. La mattina ci svegliamo e ci mettiamo al lavoro. Così nascono le canzoni. Un’idea sebbene sembri improvvisa, non viene dal cielo, ma dal lavoro”.
Interessante la gestazione di un brano come “Mamma Maria” dei Ricchi e Poveri che venne in qualche modo concepita per essere apprezzata e immediatamente intellegibile anche all’estero. Mettendo insieme due delle parole italiane più conosciute da chi non parla la nostra lingua, “Mamma” e “Maria” ma aggiungendo volutamente una modalità di cantato in qualche modo subliminale, utilizzando la prima sillaba, “ma”, che viene pronunciata da un bambino piccolo, riprodotta poi con alla maniera della lallazione (i primi tentativi di parlato dei neonati, dal settimo mese in poi): “Ma-ma-ma-mam-ma-ria-ma”).
Un piccolo capolavoro di comunicazione.
Il brano ha venduto milioni di copie in Italia e all’estero, diventando tra i brani più popolari in Russia. Come è più volte capitato, paradossalmente, i grandi compositori, perennemente dietro le quinte, quando provano a mettersi in gioco falliscono clamorosamente. Anche Farina tenta questa strada nel 1979 con quello che rimarrà il suo solo album, “Destinazione tu”.
Un lavoro leggero che risente dei suoni dell’epoca, non lontani dalle suggestioni discomusic ma di stampo cantautorale e con brani di indubbia qualità creativa. Il disco è un insuccesso clamoroso e non raggiunge le mille copie vendute.
Farina non ci riproverà più e tornerà a dedicarsi al suo abituale lavoro compositivo che, tra alti e bassi, tonfi (un pur pregevole album per Mal, reduce dal successo di “Furia cavallo del West” che segnò, paradossalmente, la fine della sua carriera, ormai derubricata a interprete di canzoni di telefilm per bambini), però ben equilibrati da una nuova serie di canzoni che arrivano puntualmente alle vette delle classifiche.
C’è un passaggio significativo nelle pagine del libro di Roberto Farina che rimarca la frustrazione di quando i suoi coetanei venivano a sapere dell’attività dello zio e lo prendessero in giro perle sue composizioni, tanto da spingerlo a nascondere la parentela, per timore di ulteriori dileggi.
“Era dunque questa la cultura alta che ti spingeva a nasconderti? Dov’era quel mondo di libertà di cui parlavamo sempre, gli accigliati studenti e io? Dov’era la potenza liberatrice dell’arte? L’equazione era semplice: cantautori uguale a popolo, canzonette uguale a piccola borghesia. E così, secondo quest’algebra, la musica di De André, figlio dell’alta borghesia genovese, diveniva una bandiera popolare e il pop dei Ricchi e Poveri, figli del proletariato, diventava uno dei tanti trucchi dei padroni per asservire le masse”.
Dario Farina rimarrà per sempre un “uomo tra parentesi” ovvero coloro il cui nome si legge solo tra le parentesi sulle copertine dei dischi ma che raramente hanno una faccia o che vengono citati tra i grandi della musica.
Ma è la testimonianza vivente dell’importanza di un ingranaggio determinante e di primaria importanza nella costruzione e nell’economia artistica di una canzone. Che è sempre frutto di studio, esperienza, colpo di genio, lavoro, applicazione, perseveranza.
In totale antitesi all’approccio moderno di molti giovani musicisti che pensano di potere arrivare al successo senza alcuna gavetta o sforzo ma solo con un paio di mesi in un talent show che li proietti in testa alle classifiche.
Piaccia o meno, non è così.
Marino Severini - Quel giorno Dio era malato
Marino Severini, oltre ad essere, con il fratello Sandro, l'anima dei GANG è un enfatico e solenne affabulatore, il Dario Fo del rock e dalla canzone d'autore italiana.
Il suo è un gramelot visionario che cita frasi, pensieri, ricordi, abbonda con le maiuscole per dare peso e sostanza a certe parole, unendo spesso concetti apparentemente inconciliabili, cultura e ideologie tra loro lontane, quasi antiteche.
Per riunire il tutto, in questo appassionante libro, in una parola e un concetto che ricorre frequentemente tra queste pagine: BELLEZZA.
Che si pone come antidoto e in contrasto con "Il Mostro": MISERIA.
E così vanno a braccetto Joe Strummer e teologhe cattoliche (l'indimenticata Adriana Zarri), preti e contadini, comunisti e anarchici, bestemmiatori e devoti alla Madonna, partigiani, criminali, musicanti, carcerati fantasmi, il circo, compagni, compagne.
Il POPOLO insomma.
Nel libro i suoi racconti intrecciano le canzoni dei Gang, i relativi testi e i loro concerti, con ricordi di infanzia e adolescenza, episodi di vita, la famiglia, i genitori, storie di solidarietà, amore, unione.
Scritto con il cuore, l'anima e il sangue, rosso, più rosso che c'è.
Il comunismo per me è questo, in fin dei conti, conquistare un giardino per ogni essere umano, perché ogni essere umano ha diritto al proprio giardino, a coltivarlo, a prendersene cura, a godere della sua magnificenza, a spartirne con altri i semi dei fiori e delle piante.
Giardino dopo giardino si costruisce Il Regno dell'Uomo, la Terra promessa.
Quella dell'Abbondanza e non quella della Miseria dove regnano i predatori e i miserabili.
Questlove - Musica è storia
Ahmir Questlove Thompson è compositore e batterista dei Roots, produttore (D’Angelo, Elvis Costello, Common, Jill Scott, Erykah Badu, Bilal, Jay-Z, Nikka Costa, Booker T. Jones, Al Green, Amy Winehouse, John Legend.), session man, DJ regista del capolavoro "Summer Of Soul", Oscar per il miglior documentario nel 2022.), giornalista e scrittore.
In quest'ultima veste pubblica un libro molto intrigante, tradotto perfettamente (immagino con enorme difficoltà, vista la modalità di scrittura piena di ironia, doppi sensi, battute, definizioni difficili da riportare in italiano) dal giornalista Alessandro Besselva Averame, in cui passa in rassegna trentuno anni, dal 1971 al 2001, di musica, dischi, eventi che intersecano discografia e musicisti con la storia corrente del periodo.
Il fulcro è prevalentemente e ovviamente incentrato sulla black music nelle sue varie accezioni e varianti.
Il libro ha il pregio e il difetto di mettere insieme una mole impressionante di dati, date, titoli, artisti, dischi, brani che rende il tutto allo stesso tempo stimolante e dispersivo.
Una pubblicazione da sfogliare periodicamente per scovare quel titolo sconosciuto o riprendere quel disco dimenticato (a sua volta connesso, talvolta sorprendentemente, con altri impensabili).
Andrea Di Quarto - Revolution! La vera storia dei Public Enemy
Una storia non facile da raccontare quella del gruppo più iconico, politico e rappresentativo nella storia del RAP.
I PUBLIC ENEMY hanno vissuto alti e bassi, scioglimenti, contraddizioni, controversie di ogni tipo, pagando un pesante pegno a scelte radicali e controcorrente.
"Ma ciò che è stato veramente rivoluzionario, nel gruppo, è il suo senso della teatralità, la comprensione del potere dell'immagine e come il drammatico passato razziale dell'America sia stato usato per lasciare un segno nella cultura pop americana".
"La musica rap è la CNN dell'America nera" sentenziò Chuck D, cogliendo il punto e l'importanza di una modalità espressiva nuova, senza filtri, che veniva veramente dalle strade.
Strade spesso storicamente separate tra chi propugnava una via democratica, pacifista e istituzionale (Martin Luther King) e chi ancora seguiva le direttive più spicce e violente di Malcolm X e della Nation of Islam (a cui aderirono i Public Enemy) ma che erano accomunate da un obiettivo preciso: dire basta alla sottomissione dell'uomo nero.
I Public Enemy furono testimoni di rivolte nere, soprusi polizieschi e istituzionali, che ancora proseguono impuniti, e si fecero megafono dell'insoddisfazione e frustrazione di chi li subisce da sempre.
Lasciano due indiscussi capolavori come "It takes a nation of millions to hold us back" e "Fear of a Black Planet" e uno degli inni più forti di sempre, "Fight the power".
Il libro ne riassume nei minimi dettagli la storia complessa e politica, rendendo omaggio a una delle realtà più interessanti mai emerse nella storia della musica recente.
Interessante la particolarità di "It takes a nation":
"...grazie al lavoro diligente degli avvocati che oggi si occupano di copyright, il loro atteggiamento pionieristico nei confronti dei sample non sarà mai ripetuto...
La Bomb Squad campionò dozzine di dischi semplicemente perchè non c'era nessuno a dir loro che non potevano farlo...una volta che l'hip hop iniziò a raggiungere la massa critica, alla fine degli anni Ottanta, molti artisti rock bianchi si dissero semplicemente furibondi per il fatto che la loro musica fosse usata nel rap.
Le cause legali fioccarono ovunque e i musicisti della vecchia guardioa chiedevano di essere pagati....le case discografiche furono legalmente obbligate a pagare per ogni campione presente su un disco, rendendo l'album "It takes a nation..." un esercizio dai costi proibitivi".
Mattia Chiarella - Blaxploitation. Una storia afroamericana
Il Cinema d'Exploitation non è un genere, è un'industria con con un metodo di produzione specifico.
I film d'exploitation sono prodotti a buon mercato destinati a un facile profitto.
"Facili' perché offronto al pubblico ciò che non può ottenere altrove: sesso, violenza e argomenti tabù.
'Facili' perché perendono di mira il più grade gruppo demografico di spettatori: la fascia che va dai quindiciai venticinque anni'.
Un saggio approfondito, curato e molto colto su un genere cinematografico (e di riflesso molto interessante da un punto di vista musicale) mitizzato.
L'autore passa in rassegna i principali titoli, entra nel dettaglio degli episodi minori, contestualizza socialmente e politicamente il periodo d'oro, apre capitoli sullo scarso ruolo delle donne, a contesti come la sezione horror, western, l'animazione.
Ne analizza il declino, la forte influenza sul cinema di Tarantino e la rinascita con Spike Lee e la scena hip hop.
Dettagliatissimo, ricco di citazioni e rimandi che aprono ulteriori e interessanti orizzonti di ricerca.
Un libro completo sull'argomento.
Lorenzo Arabia - Gianluca Morozzi - Oderso Rubini - Alle barricate! Il libretto rosso dei Gang
Una storia che viene da lontano e che lontano continua a guardare, camminando i sentieri di una passione mai sopita.
Quello dei GANG è un percorso molto particolare, nato nella profonda provincia marchigiana, partito dall'autoproduzione, passato alle major e tornato negli ultimi anni al crowdfunding e all'autogestione.
Nel libro ne troviamo la dettagliata e complessa storia, arricchita da splendi aneddoti, un numero enorme di foto e documenti, inseriti in una grafica a metà tra la fanzine e la ricerca artistica.
Scorrono le parole dei protagonisti, Marino in primis.
Marino Severini:
La nostra è una canzone che canta le storie, non la Storia. Come ripeto da decenni in ogni occasione, pubblica o privata che sia, se c’è una “ cosa “ che non ho mai condiviso soprattutto nell’immaginario radicato della sinistra italiana, è proprio lo slogan “ La Storia siamo Noi”. Dispiace per De Gregori o Minoli ma questa è una bugia, una falsità che ci siamo raccontati a lungo, per decenni. La storia appartiene ai vincitori.
Chi vince ha la Storia e ne impone la propria versione con i propri strumenti, quelli del potere. Repressione quando serve oppure , come accade oggi, attraverso il controllo delle comunicazioni di massa. Ma allora Noi, nei secoli dei secoli che abbiamo avuto ?
Noi abbiamo avuto il Plurale!
Che sono LE Storie. Che fanno una storia diversa da quella dei vincitori, la Nostra. Quella dei Vinti. Ecco allora che anche attraverso le storie cantate noi teniamo vive le nostre storie, è così facendo ripercorriamo le strade che c’hanno portato fino a qui, nel presente. Le strade dell’esclusione, dello sfruttamento, della violenza subita, dell’umiliazione. E in questo modo, attorno al “fuoco” della storie cantate, noi celebriamo il rito della Memoria. Che è l’unico strumento che da Vinti ci rende INVINCIBILI! Non vincitori ma Invincibili.
Era una storia da raccontare e il libro è un riuscito tassello che si inserisce alla perfezione nella vicenda del rock italiano.
Marino Severini:
Questo libro nasce dalla “ buona volontà “ di Lerry Arabia, Gianluca Morozzi e Oderso Rubini .
Lerry e Gianluca avevano già curato “ Le Radici e Le Ali” un libro sui nostri primi 25 anni , che venne pubblicato nel 2008 dalla Fernandel.
“ Un libro che è un atto d’amore per tanti anni di canzoni, di impegno, di palchi e di concerti “ queste erano le motivazioni che scrissero in quel libro allora e credo siano le stesse che li hanno portati a scrivere questo nuovo capitolo. Un gesto di affetto , di stima , di Amore nei nostri confronti , ma soprattutto della nostra storia.
Del nostro cammino che dura ormai da circa 40 anni.
Oggi questo triunvirato ( ai due si è aggiunto Oderso, che , fra le tante “cose “ è stato anche il produttore artistico del nostro “ Le radici e Le Ali “) ripercorre il nostro Viaggio , torna sulle tracce , coinvolge nel racconto molti di quelli che hanno attraversato la nostra storia . Che sono stati compagni di Strada, produttori, musicisti, fonici, una moltitudine di energie creative che ha fatto parte di questa Lunga Carovana che sono stati e restano “ i Gang “.
Ma più che una Carovana , a pensarci bene, il libro è un Fiume, che gli autori risalgono fino alla sorgente e in questo risalire controcorrente, sottolineano gli alberi , le rocce , il paesaggio che c’è lungo le rive del Fiume. Dylan nel suo ultimo “ La filosofia della canzone moderna, “ nel capitolo 40 dedicato a “ Doesn’t Hurt Anymore “ di John Trudell “ scrive : “ Un fiume si può risalire o si puoò scendere. C’è bisogno di un punto di riferimento lungo la riva, un albero o una roccia, per sapere se ci stiamo muovendo...Tutti giudicano la storia dal punto in cui stanno. . E’ l’unica maniera in cui possono darle un senso, altrimenti il sentimento è troppo intenso. E’ questa la ragione per cui la gente traccia continui collegamenti con ciò che è accaduto in precedenza… “ Secondo me quello che conta in tutta questa storia, la nostra , è proprio questo: il Fiume.. o meglio il Movimento !
Mauro Franco - Esilio in Costa Azzurra. Come andò veramente
Cosa succede se un delinquente in fuga da una lotta tra bande mafiose, finisce a fare il cuoco in Costa Azzurra ai ROLLING STONES mentre registrano "Exile on Main Street"?.
Parecchie cose imprevedibili, tra Keith, Mick, Gram Parsons, Anita e la band, inconsapevoli spettatori delle vendette dei rivali del protagonista Arturo.
Un libro più che divertente e avvincente, fedele alla storia del disco e di quei giorni estremi per la band "fatti di musica (molta), sesso (poco) e droga (quanto basta)", citando Anita Pallenberg.
Lettura spensierata e gradevolissima.
Joyello Triolo - Maurizio
La musica italiana ha prodotto nel corso della sua storia una lunga serie di eccellenze delle quali troppo spesso ci siamo dimenticati, preferendo guardare all’estero, non di rado abbracciando esperienze di gran lunga inferiori a quanto avevamo e abbiamo sotto il naso.
A volte complice è una sorta di snobismo autolesionista che svilisce tutto ciò che abbiamo intorno come se non fosse degno della giusta attenzione.
L’elenco è lungo e dettagliato e non mancano nomi attualmente in circolazione che meriterebbero attenzione ben maggiore rispetto a quanta ne ricevono.
E’ uscita da poco, per Crac Edizioni, una biografia, a cura dello scrittore, giornalista e musicista Joyello Triolo.
intitolata “Maurizio”. Lui era Maurizio Arcieri, funambolico cantante, musicista, artista, videomaker, innovatore, visionario. Avrebbe compiuto ottanta anni, se non ci avesse lasciati, dopo una lunga malattia, nel 2015. Il libro ne celebra le gesta, attraverso una dettagliatissima discografia, aneddoti (alcuni dei quali incredibili) e un’intervista esclusiva insieme alla compagna e moglie di sempre, Christina Moser che se ne è andata invece lo scorso ottobre.
Maurizio Arcieri ha attraversato tutto l’arco temporale della storia del rock, dagli anni Sessanta al 2010. Triolo sintetizza bene il suo profilo in poche righe: “La cosa che ricordo meglio di lui (Triolo è stato anche autore di un tributo ai Krisma, band di Arcieri e la moglie, e ha avuto stretti contatti con la coppia) è la sua rassicurante consapevolezza: conosceva alla perfezione il suo valore, sapeva di aver contribuito in maniera sostanziosa al rinnovamento della musica pop ma sembrava sempre alla ricerca di qualcosa in più, di nuovo o diverso come un bambino smanioso di esplorare la vita.
Ciò nonostante appariva umile e socievole, non si poneva mai su un piedistallo e, anzi, cercava sempre di trovare nuovi collegamenti con chiunque. A pochi minuti dall’averlo conosciuti già ti sentivi suo amico, perché sapeva aprire il suo cuore assieme al diario di ricordi riferiti alla miriade delle sue esperienze artistiche. Maurizio aveva il raro dono dell’umiltà...ha lavorato per il cinema e per la televisione, è diventato una star dei fotoromanzi, ha elaborato, progettato e costruito strumenti musicali elettronici e si è applicato anche nell’arte delle videoinstallazoni creando anche una vera e propria stazione televisiva d’avanguardia che, via satellite, proponeva immagini e suoni della società degradata degli ultimi anni del XX secolo.
Ciò nonostante è principalmente il suo percorso discografico a mettere meglio in luce la singolare caparbietà professionale che gli ha consentito di unire, con maestria e rigore, l’alto e il basso con consapevole leggerezza. Tra i musicisti con cui ha lavorato si trovano nomi eccellenti: Vangelis, Osibisa, Franco Battiato, Subsonica, Joe Vannelli, Arto Lindsay”.
Arcieri incomincia la carriera nel migliore dei modi.
E’ il 1965, l’Italia incomincia a pullulare di gruppi beat, diretta filiazione, il più delle volte al limite del plagio, di Beatles e Rolling Stones.
Qualcuno però guarda più in là, osa di più, ricerca riferimenti meno scontati.
I New Dada sono tra questi.
Maurizio è il cantante, la band suona bene, l’estetica è curata: capelli lunghi ma pettinati e ben tenuti, nuovi dandy ribelli ma sofisticati, fino ad essere altezzosi.
Maurizio è bello, biondo, affascinante, aspetto aristocratico. Dureranno poco ma infileranno una serie di piccoli successi, un album interessante in cui inseriscono brani non convenzionali ma, anzi, piuttosto ricercati, da Little Richard a James Brown ai Kinks, a cui si aggiungono buone canzoni autografe che si rifanno spesso a un potente rhythm and blues di stampo americano.
Il gruppo miete successo e attenzioni, fino ad arrivare ad aprire i concerti italiani dei Beatles nel 1965, in cui si affiancano a Peppino di Capri e Fausto Leali, tra gli altri.
Si mormora che furono proprio i genitori di due dei componenti del gruppo (tra cui quello che diventerà poi famoso con lo pseudonimo de Il Guardiano del Faro), esponenti della nobiltà milanese, a convincere l’organizzatore Leo Watcher a portare i Fab Four in Italia, in cambio della partecipazione del gruppo dei figli con tanto di contributo alle spese per gli eventi.
I concerti permisero ai New Dada di proporsi davanti a migliaia di persone e a ottenere una popolarità ancora maggiore.
Purtroppo la storia della band finì, curiosamente, dopo l’incisione di un brano dei Rolling Stones, “Lady Jane” con tanto di orchestrazione e testo cambiato (l’originale aveva una serie di sottointesi metaforici un po’ spinti).
Il singolo ha successo ma la band si divide tra ripicche e litigi.
Maurizio prosegue con una carriera solista dignitosa in cui alterna brani piuttosto commerciali e ammiccanti a scelte più coraggiose, come “24 ore spese bene con amore” che non è altro che la cover di “Spinning wheel” dei Blood Sweat and Tears e una, convincente e ben fatta, di “We’re not gonna take it” degli Who tratta da “Tommy”, intitolata “Guardami, aiutami, toccami, guariscimi”, fino a “La decisione” del 1972 in cui ammicca all’hard rock inglese del periodo.
Collabora in questi anni con future star della musica italiana come Paolo Conte e Franco Battiato, ottiene un discreto successo (anche grazie all’attività di attore di fotoromanzi, sfruttando la sua indubbia bellezza) ma il suo spirito irrequieto e la ricerca di nuovi orizzonti lo spinge a sperimentare con nuovi suoni ed esperienze.
Nel 1973 pubblica, per la prima (e unica) volta come Maurizio Arcieri, “Trasparenze”, un album concepito in quanto tale e non come raccolta di singoli di successo. E’ un lavoro anomalo in cui rifugge da elementi facili e pop, per abbracciare sonorità vicine alle nuove tendenze progessive, più complesse ed elaborate. Un album particolare, molto personale, che rimane però confinato in un oblìo immeritato e trova scarsa considerazione
.
Ci sarà tempo ancora per un paio di 45 giri e per una curiosa apparizione come voce narrante italiana in una versione di “Pierino e il lupo” a cui partecipano nomi eccellenti del rock internazionale, da Phil Collins a Brian Eno.
Sposa la compagna di sempre, Christina Moser e inizia una nuova fase artistica.
Fondano i Chrisma (dalle iniziali dei rispettivi nomi), incidono due 45 giri collaborando con il futuro celeberrimo compositore Vangelis, di scarso spessore artistico, a base di pop e discomusic con cui partecipano al Festivalbar del 1976 per poi cambiare sorprendentemente e approdare a una delle esperienze più innovative della musica italiana di sempre. E’ il 1977, esplodono punk e new wave e i Chrisma sono già lì, in prima fila, con l’album “Chinese restaurant”, registrato a Londra, elettronico, ipnotico, algido, sperimentale. Il singolo “Lola”, tango decadente e conturbante, trova anche il successo di classifica.
Assurgono a scandalizzata popolarità quando Maurizio si taglia, provocatoriamente e involontariamente, un dito sul palco, finendo su tutti i giornali come simbolo del punk autodistruttivo.
Replicheranno due anni dopo con “Hibernation”, altro lavoro che si muove su coordinate simili e da cui estrarranno il singolo ”Aurora B” che avrà il privilegio, antesignani e pionieri, di avere il primo video in Italia.
“Cathode mama” dona loro un nuovo nome, Krisma e anche il singolo di maggior successo, “Many kisses”, molto pop pur se sempre declinato in sonorità elettronico/new wave che però sono diventate ormai meno innovative e già utilizzate da parecchi altri gruppi.
La band prosegue con varie altre uscite discografiche ma che raccolgono meno successo, sono spesso discontinue, subiscono anche problematiche a livello discografico, lunghe e volute assenze, sperimentazioni, avanguardia, evoluzioni verso forme primordiali di techno, l’apertura di un canale satellitare, Krisma-Tv.
Azioni il più delle volte incomprese, troppo avanti e anomale per essere commercializzate e destinate invece a un limbo e a una nicchia.
Il loro valore viene progressivamente riconosciuto, tornano in auge, collaborano con l’antico amico Franco Battiato e con i Subsonica, vengono omaggiati con tributi e cover, riappaiono in qualità di stralunati opinionisti in una trasmissione televisiva di Piero Chiambretti, proseguono a giocare e a sperimentare con web ed elettronica.
Rileggere la carriera e riascoltare la produzione discografica di Maurizio Arcieri ci rivela quanto sia ancora stimolante fresca e interessante la sua arte e quanto sia stato sottovalutato il suo apporto alla musica nostrana.
Può essere il momento per farlo.
John Cage - Un anno, a partire da lunedì. Dopo Silenzio
La collana della Shake Edizioni "Classici della Nuova Musica", a cura di Massimiliano Viel, dedicata a una serie di libri scritti da compositori che hanno rivoluzionato il modo di scrivere, fare e pensare la musica di tradizione europea, inaugura con un testo di JOHN CAGE inedito in Italia.
Un libro che ne mette in luce (a partire dalla surreale impaginazione che ne evidenzia l'originalità e il peculiare accostamento alla scrittura, specchio della sua visione musicale e artistica) l'ecletticità di Cage ma anche l'estremo gusto per l'ironia e l'amore per le brevi storie, piccoli affreschi quotidiani, spesso bizzarri e spassosi.
Un testo non di facile fruibilità ma di sicuro interesse.
Riccardo Russino - Contesa e calpestata
La triste vicenda di Pattie Boyd, musa ispiratrice di due tra le più grandi rockstar dei tutti i tempi, modella, protagonista del jetset e della Swinging London ma, come sottolinea il titolo calpestata, tradita, umiliata.
Moglie di George Harrison che gli ispira "I need you", "If I needed someone" e l'immortale "Something" (George smentì nel 1996 la circostanza, Pattie sostiene il contrario), viene progressivamente abbandonata e lasciata da parte mentre lui si dedica a cocaina, meditazione, party. Corteggiata fino all'esasperazione da Eric Clapton, alla fine cede alle sue lusinghe e lo sposa.
Anche lui sarà prodigo di canzoni per lei, da "Layla" (scritta durante il corteggiamento) a "Wonderful today" Sarà un "dalla padella alla brace", con l'alcolismo del chitarrista, il suo accompagnarsi ogni giorno con una donna diversa, un inferno da cui uscirà a pezzi, per cadere tra le braccia di un altro alcolizzato, con le prevedibili conseguenze.
Pattie si era già raccontata, con dovizia di particolari in "Wonderful Today" ( https://tonyface.blogspot.com/2019/10/pattie-boyd-wonderful-today-la-mia-vita.html), in questo libro la narrazione dall'esterno ripercorre le vicende di una storia opaca, sotto l'apparente splendore.
100 dischi essenziali new wave e post punk italiani di Luca Frazzi
E' uscita la guida di Rumore dedicata ai "100 dischi essenziali new wave e post punk italiani" a cura di Luca Frazzi (con l'aiuto di Michele Benetello) - a cui si aggiungono ulteriori 100 segnalazioni - con schede approfondite, foto, indicazioni discografiche, elenco di libri di riferimento.
Un lavoro complesso e certosino nel cercare un equilibrio tra completezza e corretta informazione, che passa ovviamente attraverso i gusti e le opinioni dell'autore, in base a criteri ben precisi elencati nell'introduzione. Ognuno di noi lo avrebbe fatto sicuramente meglio, come accade per ogni formazione della Nazionale di calcio o della squadra del cuore prima della partita, giusto?
Prevedibilmente la guida si è tirata addosso critiche di ogni tipo, spesso perché nemmeno è stata letta oppure solo sfogliata per verificare se c'era il proprio gruppo in cui si è suonato o che ci piace tanto e in che posto della classifica è stato posizionato.
Modalità ricorrente con cui ormai si "leggono" libri o articoli.
Ma tant'é.
La guida è invece preziosa, esaustiva, completa, e le sviste o piccole dimenticanze non inficiano il valore dell'opera.
Michele Neri - Cantautori e cantautrici del nuovo millennio. Il dizionario
Michele Neri, giornalista, autore e consulente RAI, storico della musica italiana, saggista, si è fatto carico di un compito arduo e (apparentemente) impossibile.
Ovvero raccogliere un dizionario con trent’anni di storia della nostra musica attraverso 1966 biografie e altrettante dettagliate discografie con circa 10.000 dischi citati, relativi al cantautorato italiano del nuovo millennio.
Un'opera mastodontica, coadiuvato da vari collaboratori, durata anni, base portante ed essenziale da cui partire per implementare progressivamente il lavoro di catalogazione (supplendo a mancanze, dimenticanze, omissioni).
Le schede sono ovviamente brevi ed essenziali ma sempre esaustive.
Il libro è stato accolto da un'inaspettata ondata di polemiche (da social), ingiustificate e talvolta incredibilmente feroci che non tolgono però minimamente valore allo sforzo e al contenuto.
Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici, Danilo Fatur - Felicitazioni! CCCP Fedeli alla linea 1984-2024
Il catalogo della mostra "Felicitazioni", in corso ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia (dal 12 ottobre 2023 all'11 febbraio 2024) dedicata alla carriera dei CCCP Fedeli alla Linea.
456 pagine in cui la band racconta la convulsa (e breve) storia, attraverso una lunga serie di immagini, volantini, articoli di giornale, curiosità, progetti.
Partendo dagli inizi incerti (con contributo di Pier Vittorio Tondelli che, tra i primi, si accorse della loro immagine e potenzialità), passando per un'improvvisa popolarità, arrivando al grande successo, a Luigi Ghirri e Amanda Lear.
"Ne esce una linea che esorbitando dallo spazio stretto di residenza – Reggio Emilia, in particolare, e tutta l’Emilia Paranoica da loro cantata – si è andata a proiettare in uno spazio umano illimitato, collegando di volta in volta Berlino Est e Ovest, l’Europa delle frontiere, Beirut, il mondo arabo, URSS e paesi satelliti, la Cina, Hong Kong, la Mongolia, Kabul, Palestina, Israele, Mosca, Leningrado, trasformandoli vorticosamente in periferie e centri di un unico impero mentale."
Con il consueto e famoso "senno di poi" rimane impressa l'evidente teatralità, provocatoria ma soprattutto immaginaria, che venne costantemente male intesa da fan e detrattori, da sempre impegnati in sterili diatribe su presunti "tradimenti" alla "causa".
Ai tempi i loro spettacoli erano assolutamente nuovi, inconsueti, divisivi, d'avanguardia, sempre e comunque di grande impatto espressivo (piacessero o meno).
La musica ugualmente personale e inedita, i testi ancora di più.
Furono un progetto unico che ha lasciato occasionali sbiaditi epigoni ma che ha segnato in maniera indelebile la storia della musica pop/rock/alternativa italiana.
Paolo Borgognone - The Beatles. Il mito dei Fab Four
Oddio!
Un altro libro sui Beatles!!!
Che altro si può ancora dire?
Eppure...
Paolo Borgognone riesce ad aggiungere, se non cose nuove (impossibile!), un taglio interessante, competente, godibile e approfondito, pieno di nomi, dati, particolari spesso poco conosciuti, alla storia più bella del mondo, quella dei BEATLES.
Partendo da un'accurata analisi sociologica dell'ambiente in cui i quattro Fab Four sono nati e cresciuti, aggiungendo particolari sempre poco citati della loro storia, concludendo con una veloce analisi del post Beatles e delle varie opportunità di possibili, ventilate e mai realizzate reunion.
I Beatlesiani di ferro troveranno la lettura più che piacevole e potranno annotare un po' di particolari insoliti e non sempre messi in evidenza, gli "occasionali" avranno una visione completa della storia dei Beatles al di fuori del consueto taglio "Wikipedia".
Roberto Paravagna - Quattro anelli tra le dita. Vita di Ringo Starr
Prima biografia italiana di Ringo Starr, in cui viene ripercorsa la vita prima, durante e dopo i Beatles, indulgendo forse più sulla vita privata, cinematografica e mondana del Nostro che sul ruolo di musicista.
I contributi di musicisti come Pino Di Santo, Gianni Dall'Aglio, Alfredo Vandresi aggiungono elementi al suo gusto e spessore di batterista.
Il libro è un compendio adatto a chi vuole approfondire la figura abitualmente meno trattata dei Beatles ma che non aggiunge molto per i Beatlesiani più accorti e accaniti che sulle vicende di Ringo hanno sicuramente ampiamente approfondito.
Nè perdoneranno certi errori come "With a little help" (dimenticando costantemente il resto del titolo "from my friends") e "Hard day's night" (senza la A iniziale) tradotto "Una dura giornata...notte!".
Chet Flippo - It's only rock 'n' roll - Le mie avventure on the road con i Rolling Stones
Chet Flippo è stato una delle colonne portanti di Rolling Stone, per cui ha cominciato a scrivere nel 1974, è stato scrittore con libri su Hank Williams, Paul McCartney, David Bowie, Elvis Presley), ha collaborato con New York Times, Texas Monthly e Q.
Seguì i ROLLING STONES nel Tour of the Americas del 1975 e per cinque anni rimase a fianco della band, documentando vrai passi importanti della loro carriera come il Live a El Mocambo del 1977 (finito poi su "Love you live".
Nel libro ci sono le vicende legate al periodo, chiacchierate informali con la band, aneddoti e curiosità (poco o nulla del prevedebile aspetto "pruriginoso" di droghe e donne).
Flippo è eccessivamente autoreferenziale e talvolta il libro si dilunga in aspetti poco interessanti anche se è decisamente un must per i fan della band.
Cosa si prova quando ventimila persone concentrano tutta la loro energia su di te? E' una sensazione travolgente?
Mick Jagger:
Si. E' così. Forse è per questo che molti non smettono mai di esibirsi. Perché non riuscirebbero a fare a meno di quella scarica di adrenalina"
Mick Jagger 1980:
"Fondamentalmente il rock non è protesta, non lo è mai stato, non è politico.
Una volta incentivava la tesnione interfamiliare.
Oggi non serve nemmeno a questo perché i padri non si sentono offesi dalla musica.
La apprezzano oppure la trovano simile a quello che piaceva a loro da ragazzi.
Perciò il rock 'n' roll è finito, tutto finito."
Francesco Aldo Fiorentino / Tommaso Lavizzari - Surf. Un mercoledì da leoni
Partendo dall'iconico film "Un mercoledì da leoni" di John Milius viene analizzata una "subculture" raramente derubricata come tale, quella della scena surf californiana degli anni Sessanta/Settanta, con dovizia di particolari e informazioni dettagliatissime.
Non c'è musica nè Beach Boys in queste pagine ma un approfondimento etico/filosofico per molti (immagino) insospettabile, scritto con estrema conoscenza della materia e tanta competenza.
"Un mercoledì da leoni" non è un beach movie nè un film d'azione. E' un film di azioni, di gesti importanti, di sguardi d'intesa, di non detti che dicono tutto, di segni che celano e che svelano, che raccontano un mondo mentre ti dicono altro"( Darth Von Trier).
"Nei dodici anni di vita raccontati dalla storia i protagonisti sono sempre sulle onde. Apparentemente immutati eppure cambiano. C'è chi muore, chi si sistema, chi mette su famiglia, qualcuno risponderà alla patria e andrà in Vietnam".
L'analisi dell'epoca e del fenomeno è molto accurata e anche per chi è digiuno dell'argomento è un piacere scoprirne gli anfratti più nascosti e meno prevedibili e scontati.
"Tra il finire degli anni Cinquanta e Sessanta, i surfer sono piutttosto numerosi della California meridionale, tanto da essere suddivisi in base all'area di appartenenza.
Un quantitativo che si può tranquillamente definire, per semplificare il discorso, come una vera e propria contro-cultura.
Semplificando ulteriormente possiamo affermare che se nel Regno Unito i contrasti avvenivano tra Mod e Rocker, in Californa avvenivano tra surfer e hodad data che frequentavano entrambi le spiagge. Gli hodad erano appassionati di hot rod che gironzolavano in spiaggia proprio come i surfer.
Interessante la collocazione socio/Politica/esistenziale dei surfer che descrive Paul Johnson dei Bel Airs autori della hit "Mr Moto":
"Già prima degli anni Cinquanta/Sessanta qualcuno praticava il surf ma si trattava di adulti e non vi era una vera e propria cultura surf o un movimento aggregativo di riferimento.
I ragazzi si riversarono sulle spiagge quando arrivarono le tavole i foam.
I surfisti erano considerati degli spostati, cool per quello che facevano, ma davvero fuori dai canoni, come lo era il fatto di esibirsi in bilico sulle onde".
Spostati che indossavano divise del Terzo Reich ("portate a casa dai genitori che avevano combattutto in Europa nella Seconda Guerra Mondiale") con atteggiamento proto punk, ma che di politico non avevano nulla (molti di loro erano ebrei) indossate come indumenti di recupero, per creare scalpore con atteggiamento goldiardico.
La narrazione prosegue in costante bilico tra il SURF MONDO e il REAL MONDO (che si fondono tra guerra in Vietnam, l'arrivo massiccio delle droghe pesanti, l'integrazione nel "sistema").
"Il film è riuscito nel tentativo di fotografare un'epoca che rispecchia i valori spirituali del surf attraverso topoi e archetipi che hanno raggiunto le masse, tanto da coinvolgere anche chi ilsurf non lo conosceva.
Ha contribuito a distribuire il surf capillarmente e per certi versi con questa pellicola Milius ha realizzato un'opera di evangelizzazione."
Una pubblicazione essenziale per chi è alla costante scoperta di nuove modalità conoscitive delle sottoculture giovanili sparse nei decenni in varie parti del mondo.
Questo interessante e documentato libro aggiunge un ulteriore tassello.
Laura Pescatori - Femita. Femmine rock dello stivale volume 2
Altri trenta nomi di donne protagoniste della musica rock (e dintorni) italiana si aggiungono, in questo secondo episodio, alla certosina ricerca della giornalista Laura Pescatori dopo il promettente primo volume (https://tonyface.blogspot.com/2020/10/laura-pescatori-femita.html).
Attraverso una serie di interviste dallo schema simile e predefinito, si approfondiscono carriere e ruolo della donna nella musica nostrana, abbracciando una vasta gamma artistica, che va dal cantautorato, al punk, alla sperimentazione, all'avanguardia.
Tra le tante protagoniste, nomi eccellenti come Roberta Sammarelli dei Verdena, Elli De Mon, l'ex Franti, Lalli, realtà note e altre più di nicchia.
Ne emerge un ritratto di una scena italiana vivacissima, attiva, pulsante, quanto ancora preda di sessismo, discriminazioni, difficoltà a proporsi solo per una questione di genere.
Luca Frazzi - 50 + 50 Radio Libere… Ma Libere Veramente. Emittenti Rock Italiane in FM
Nella nuova guida allegata a "Rumore" LUCA FRAZZI si fa carico di un consueto oneroso compito: scegliere cento radio libere (successivamente in tante diventate "private", cosa piuttosto diversa) rappresentative di un'epoca (da metà degli anni Settanta in poi).
"Voci di paese, talvolta di quartiere, che per la prima volta raccontavano di un mondo che conoscevi, di fatti che ti riguardavano da vicino.
Un mondo più piccolo ma libero e soprattutto nuovo, svincolato dalle convenzioni e dalle strutture rigide dell'informazione di stato, alla metà degli anni 70 ancora modellato su una logica arcaica della comunicazione...per la prima volta la comunicazione usciva dai recinti istituzionali".
Un'epoca in cui non tutto era asservito al diodenaro/profitto.
Di quegli anni resistono ancora parecchie emittenti, chi a fatica, chi con maggiore tranquillità, con il web che ha fagocitato buona parte di quello spirito pionieristico.
I 100 nomi elencati nel libro (che si avvale anche di interventi di Eugenio Finardi, Arturo Compagnoni, Ernesto De Pascale), sono frutto di un criterio di fondo: "non spudoratamente commerciali".
"La voce delle radio libere ha salvato parecchie vite".
Contento di avere avuto un piccolo spazio in questa epopea con i dieci anni a Quarta Radio a trasmettere nei primi 80 mod, ska, punk, hardcore, precedentemente a Studio Delta, poi a Radio Inn e Radio Live.
Sergio Taraddei - Caetano Veloso. La storia di tutte le canzoni
Uno dei principali autori e musicisti brasiliani, creatore con Gilberto Gil del "Tropicalismo", che gli permise di mischiare folk brasiliano, rock 'n'roll, jazz, blues, reggae e tanto altro.
Il libro è un puntiglioso e minuzioso viaggio in ogni sua canzone (incisa o composta per altri) dal 1964 ad oggi, analizzate, contestualizzate e arricchite da decine di aneddoti, stralci di interviste, testi, recensioni.
Interessanti le numerose annotazioni sulla musica brasiliana, su usanze popolari poco conosciute, una lunga lista di artisti più o meno noti, non di rado oscuri dalla nostre parti.
Gli appassionati troveranno un libro che appagherà in pieno le aspettative, i neofiti uno spunto per avvicinarsi a un artista di grandissimo valore.
Cherry Vanilla - Lick me. Come sono diventata Cherry Vanilla
L'autobiografia (pubblicata in Italia da Odoya nel 2011) di una delle groupie più famose nella storia del rock ma che ha saputo progressivamente emanciparsi dal ruolo, lavorando all'organizzazione del tour americano di David Bowie per promuovere "Ziggy Stardust", facendo l'attrice per Andy Warhol nello spettacolo teatrale "Pork", entrando nel music businness, diventando per breve tempo una piccola star in ambito glam/punk (un paio di album e qualche singolo).
Frequenta Ringo Starr, lo stesso Bowie, arriva al cospetto di John e Yoko e mille altre avventure per poi dedicarsi alla scrittura, "articoli, biografie,comunicati stampa,pubblicità, proposte commerciali, qualsiasi cosa che mi desse da vivere".
Il libro è la sublimazione del classicissimo "sesso, droga e rock 'n' roll" che non mancano praticamente in nessuna pagina, fino a diventare una vera e propria indigestione di prestazioni di ogni tipo con questo o con quello (l'elenco è infinito o quasi...).
D'altronde ci tiene a specificarlo: "Senza stare a fornire troppo dettagli (...meno male...NdA), lasciatemi dire che , in materia di sesso, ci sono alcune cose che non ho mai fatto come la zoofilia, la necrofilia e la pedofilia. Ma a seconda della persona, della droga o dell'occasione, ho utilizzato ogni orifizio e ogni strumento di piacere che Dio mi ha dato."
Interessante la sua visione del punk, quando approdò a Londra, suonando nei vari Roxy's, Marquee etc in piena esplosione della scena, con Stewart Copeland alla batteria e Sting al basso.
"Noi newyorkesi abbracciammo l'idea del punk come l'ultima delle mode rock, con una strizzata d'occhio alla scarsa importanza della nostra piccola ribellione. In Inghilterra invece iul punk stava esplodendo e aveva assunto connotati fortemente politicizzati, con un messaggio di vera lotta di classe."
Libro gradevole da parte di una testimone in "prima linea" nell'evolversi del rock dai Sessanta agli Ottanta.
Roberto Calabrò - Fugazi. Committed To Excellence
Pubblicato dalla collana "Director's Cut" di Blow Up, esce, firmato dalla competente penna di Roberto Calabrò, la biografia dei FUGAZI, una delle band più particolari, originali e influenti uscite dalla scena hardcore (quando ancore si chiamavano Teen Idles e si evolveranno nei favolosi Minor Threat) per evolversi verso un sound personalissimo che ne conservava l'attitudine, spostandosi verso un inconfondibile mix di alt rock, reggae/dub, punk, jazz e tanto altro.
"Suonare per i Fugazi ha sempre significato comunicare. Per farlo hanno pensato che fosse necessario abbattere le barriere di qualsiasi tipo: generazionali, ecoinimiche, linguistiche, culturali.
Da qui la scelta di organizzare concerti aperti a un pubblico di tutte le età e di tutte le estrazion isociali e quindi - in maniera concreta - con un prezzo del biglietto non superiore ai cinque dollari.
Da qui la scelta di rifiutare le molteplici offerte milionarie arrivate dalle major (dissero di no a Ahmet Ertegün dell'Atlantic in persona a fronte di un assegno di dieci milioni di dollari ndr) per mantenere il totale controllo non soltanto sulla propria musica, ma anche sulle modalità con cui essa doveva essere distribuita e fruita dal pubblico."
Dal 2003 la band ha interrotto l'attività senza ufficialmente sciogliersi, intraprendendo mille altri progetti solisti ma mantenendo l'amicizia e saltuariamente suonando ancora insieme in sala prove.
"Mai dire mai. Come possiamo dire qualcosa sul futuro? Ma sembra che manchi il tempo per permettere una reunion perché noi quattro dovremmo passare molto tempo insieme per capire: "Dovremmo suonare le vecchie canzoni? - "Chi siamo ora?" - Cosa c'è ora?".
Non siamo il tipo di band che si riunisce e si limita a provare due ore di vecchie canzoni per uscire, suonare, rastrellare e tornare a casa". Se tornassimo insieme dovrebbe essere per spirito di ceatività.
Non si può rimettere insieme un gruppo intrinsecamente creativo e poi non avere l'elemento creativo".
Il libro è dettagliatissimo e particolareggiato, approfondito e di agevole lettura.
Inevitabilmente si torna a riascoltare la discografia della band.
Nadine Cohondas- Spinning Blues into Gold: The Chess Brothers and the Legendary Chess Records
Uscito nel 2000, è un esaustivo e puntiglioso viaggio nella storia della CHESS RECORDS dei fratelli Lejzor e Fiszel Czyz, ebrei polacchi immigrati nel 1928 in Usa, approdati a Chicago e che cambiarono nome nei più comprensibili Leonard e Phil Chess.
Cresciuti nei quartieri neri della città, ne assimilarono gusti musicali e attitudine a una vita dura e rude.
Lavorarono nel giro dei club della città, prima di dedicarsi a dare voce con l'etichetta ai nomi più brillanti della storia del blues e rock 'n' roll, da Muddy Waters a Howlin Wolf, Chuck Berry, Etta James, Bo Diddley, John Lee Hooker e tante altre stelle (incluso il "nostro" Rocky Roberts).
Fedeli alla loro "legge" "“se investi un dollaro, fallo se sei sicuro di riprenderne uno e mezzo” fecero una montagna di soldi, spesso scontrandosi con gli artisti per diritti e compensi mal distribuiti.
Sapevano poco di musica ma avevano un senso degli affari innato:
“Se mi mostrate la scala armonica delle note e mi chiedete dove e cosa siamo Do, Re, Mi non velo potrei dire. Nemmeno Leonard. Ma – mostrando le orecchie – queste invece velo possono dire.”
Il libro è ricchissimo di informazioni, indulge troppo spesso su guadagni, tariffe, retribuzioni, somme di danaro, percentuali, ininfluenti nel contesto della vicenda ma ci consegna una storia unica e irripetibile.
Smentendo anche la famosa leggenda che quando gli Stones arrivarono nei loro mitici studi trovarono Muddy Waters che dipingeva il soffitto degli uffici, fatto considerato impossibile e assolutamente mai verificato.
Mike Rowe nel libro “Chicago Breakdown”:
“Le due principali caratteristiche della vita dei neri in America erano la migrazione e la segregazione. Con la prima che dava impulso alla seconda. Musicalmente mentre la segregazione creò il blues, la migrazione diffuse il messaggio”.
Donato Zoppo - Lucio Battisti. Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale
Ho sempre apprezzato gli approfondimenti su dischi particolari, magari poco conosciuti o vicende scarsamente considerate.
Racconti che intrigano e appassionano, soprattutto quando sono scritti con la bravura di Donato Zoppo, esperto conoscitore dell'opera di Lucio Battisti di cui analizza un album "minore", quel "E già" del 1982, il primo dopo la fortunata partnership con Mogol, sostituito dalla moglie Grazia Letizia Veronese, indicata come Velezia.
Nel libro si solleva qualche dubbio sulla reale consistenza del suo contributo ma è uno dei tanti misteri del lavoro.
Zoppo esamina accuratamente il percorso compositivo che ha portato a questa svolta radicale, con un Battisti (affiancato da Greg Walsh) che si affida completamente all'elettronica, infatuato dalle suggestioni new wave che arrivano da Human League, Kraftwerk, Gary Numan, Buggles, Visage, il Joe Jackson di "Steppin out", Depeche Mode, Psychedelic Furs, Eurythmics e dal percorso solista di Peter Gabriel (con cui intesse rapporti londinesi).
Battisti aveva già sperimentato queste prospettive in "Immersione" dell'amico Adriano Pappalardo e ora inaugura la sua nuova stagione artistica con una sua opera, sperimentale, anomala, lontana dal classico profilo cantautorale.
Non entrerà tra i suoi migliori dischi ma è la porta per una nuova strada creativa che da "Don Giovanni" (1986) al conclusivo "Hegel" (1994) traccerà ben altri percorsi.
Elisa De Munari - La settimana della banana
Impresa non da poco spiegare ai bambini il primo album dei Velvet Underground.
Ci prova Elisa De Munari che sveste i panni di superba blues woman come Elli DeMon e prende quelli di "Melody" ovvero la musica, in un libretto delizioso perfettamente illustrato da Francesca Bono.
Dice Melody:
Giocare con me potrà non renderti famoso o probabilmente non avrai chissà che successo, ma ti salverai sempre dal sentirti vuoto e imparerai a muoverti in un mondo di cose grandi invece che di cose misere".
Le canzoni dei Velvet vengono maneggiate con cura anche quando si parla di "Heroin", "Waiting for my man" o "Venus in furs".
Nella nostra quotidianità i parametri infantili di riferimento sono cambiati radicalmente, pertanto l'impresa di Elisa è ancora più ardua e sono curioso di capire come potrebbero reagire bambini delle elementari o medie di fronte a un libro simile.
L'aspetto più interessante è l'idea di una sfida così perigliosa, il volere osare su argomenti così improbabili e ostici.
Per questo il libro è un unicum di grande pregio.
Giorgio Di Berardino / Alessio Cacciatore - Rock in wonderland
Molto gustosa l'idea di raccontare in chiave di fiaba per bambini cinque storie di altrettanti grandi nomi del rock come Beatles, Rolling Stones, Elvis Presley, Beach Boys e Jimi Hendrix, utilizzando anche i nomi delle loro canzoni.
Il tutto corredato da disegni quasi in 3D, coloratissimi e ad effetto per l'infanzia. Con tanto di pagine finali da colorare.
Un mezzo propedeutico per l'introduzione al rock.
Gary Utterback - The Lost Guitar Hero The Great Pretender – James Honeyman-Scott
L'amico FRANCESCO FICCO ci parla di un libro sul chitarrista dei PRETENDERS.
Allora, cominciamo col dire che non si tratta di pubblicazione ufficiale poiché non è una produzione di una casa editrice esistente, ma risulta come segue:
Printed by Amazon Italia Logistica srl
Torrazza Piemonte (TO)
Quindi ci troviamo di fronte ad una delle nuove frontiere del fai-tutto-da-te dove bypassando l’editore di turno, e stampando solo le copie che verranno ordinate online, si risparmia un bel po' di carta che rischierebbe di prendere polvere, come nel caso specifico dello scritto in questione, perché di scritto si tratta.
Ma ora passiamo al “libro” vero e proprio, non riportante alcun prezzo in ultima di copertina ma solo bar code e ISBN.
Premetto che anche la qualità della stampa non è granchè, inchiostro sbiadito su alcune pagine a conferma della logica del risparmio stile ebook ma almeno lì l’inchiostro non sbiadisce.
Come un po' avevo sospettato non si tratta di una biografia del compianto James Honeyman-Scott, eccelso chitarrista della prima formazione dei Pretenders di base a Londra, prematuramente e accidentalmente scomparso, ma di una retrospettiva della band stessa con aggiunta di alcuni aneddoti più o meno noti ai fans della band di Chrissie Hynde.
Gary Utterback scrive in un inglese abbastanza approssimativo e con qualche errore di sintassi e costrutto di troppo, ma chiunque mastichi un po' la lingua non avrà problemi di comprensione.
Piuttosto la seccatura, almeno nel mio caso, è che lo scritto è ridondante e ripetitivo su molti argomenti relativi ai componenti dei Pretenders, e a volte paradossalmente moralistico (a chi può fregare della lista dei musicisti morti per OD dai 60s ad oggi !?).
Ritornando a James Honeyman-Scott (il vero topic annunciato nel titolo) non è neanche riportata la corretta lista delle sue chitarre possedute o che fine abbiano fatto.
Il libro si snoda sull’attività dei Pretenders, specialmente sulla collaborazione tra Chrissie Hynde e Jimmy, e su quanto siano stati pericolosi gli anni 70 e 80 per il consumo di droghe da parte dei personaggi del mondo del rock.
È quasi un ossessivo ammonimento che viene ripetuto come un mantra (ma chi è questo Utterback, un fottuto prete?).
Vi è anche il tentativo di tracciare un profilo psicologico attraverso le canzoni dei Pretenders, con descrizioni tecniche approssimative ma godibili.
Nulla di più.
Certamente non si tratta di speculazione ma piuttosto di tributo da parte di un fan per i fans.
Quindi sta a voi decidere di perdonare le sviste contenute relative al topic del titolo, che risulta abbastanza allettante per un fan dei Pretenders del periodo UK dei primi due fondamentali album.
Ordinabile ovviamente solo su Amazon, lo scritto è corredato da alcune fotografie in formato ridotto bianco e nero, delle quali l’ultima a pag. 166 sembra mostrare un James Honeyman-Scott invecchiato ma invero non si sa chi sia, ne viene menzionato.
Insomma non voglio parlare di fregatura per rispetto al compianto chitarrista, ma approssimazione e ridondanza sono davvero troppe in questo caso.
Stefano Scrima - Smells like Kurt spirit. Nirvana e filosofia
Stefano Scrima ha l'interessantissima capacità di riuscire a unire rock e filosofia, in modo colto e approfondito ma mai pesante o pedante (vedi precedentemente qui: https://tonyface.blogspot.com/2021/04/stefano-scrima-larte-di-sfasciare-le.html).
Il rock è ormai da tempo musealizzato, anche nelle sue forme più estreme, è tempo di analisi e connessioni culturali peraltro pertinenti.
E' questo il caso.
La storia di Kurt Cobain e della band viene sviscerata a prescindere dal contenuto musicale, scandagliata nei suoi più reconditi e allo stesso tempo evidenti messaggi esistenziali, filosofici, intellettuali.
Il libro è davvero particolare e intrigante.
Consigliato, al di là della passione per i Nirvana.
"Sono disgustato dall'apatia mia e della mia generazione. Sono disgustato da quello che permettiamo che succeda, da come siamo senza spina dorsale, assopiti e colpevoli nel non opporci al razzismo, al sessismo e a tutti quegli "ismi" dei quali la controcultura si lamenta da anni, mentre se ne sta seduta e avalla questi atteggiamenti propagandoli ogni sera dai suoi televisori e dalle sue riviste".
(Kurt Cobain)
"Cobain, fedele alle sue origini, ha poi sfruttao la sua popolarità ottenuta per fare conoscere le band underground che amava dando loro visibilità, parlandone nelle interviste, sfoggiando le loro magliette o invintandole direttamente ad aprire i suoi concerti".
La rivolta dei Nirvana è passata alla storia come rivoluzione suo malgrado, tradendo la stessa rivolta e accelerando così la deriva capitalistica di un mercato divoratore...ai Nirvana è stato affibbiato un ruolo ben preciso nella pantomima storica , alla stregua di un Giuda (Nirvana) costretto a tradire Gesù ( l'underground) perché così ha voluto Dio (il mainstream) per far quadrare l'assurdità del suo potere (il capitalismo).
Il paradosso è che la rivoluzione dei Nirvana è nata fallita per poi realizzarsi sul serio (perlomeno nell'industria culturale) e tradire se stessa impossessandosi dei mezzi del potere, come ogni rivoluzione. Una volta realizzata, ha perso ogni ragione s'essere, perdendo anche lo spirito di rivolta con cui si era presentata sulla scena.
...non è possibile cambiare un sistema facendo il suo gioco e in questo caso non è possibile criticare il capitalismo (e tutto ciò che comporta) nutrendo l'ipercapitalistico sogno americano di diventare delle rockstar e diventare rockstar e giocare con i desideri delle persone.
Nicola Iuppariello - Di vinile e altre storie
Scrittore e fondatore a Napoli di "DiscoDays - Fiera del Disco e della Musica", l'autore analizza, coadiuvato dall'intervento di alcuni esperti del settore e ospiti, la situazione (commerciale e artistica) del VINILE in Italia e nel mondo, riportando dati, riassumendo le molteplici considerazioni espresse negli ultimi anni sull'argomento, dalla fine del CD alla fiscalità delle opere di cultura in Italia (supporti fonografici e audiovisivi continuano a mantenere il 22% di Iva) fino alla totale mancanza di supporto logistico e finanziario alla musica da parte delle istituzioni e al lievitare del costo dei biglietti per i grandi eventi.
Senza dimenticare la scuola:
L’intelligenza uditiva dovrebbe essere coltivata sin da bambini e quale migliore luogo se non la scuola dell’obbligo potrebbe soddisfare l’opportunità di crescita sino all’età adolescenziale.
Formare un orecchio pensante, capace di attivare un processo intellettivo e di coscienza criti- ca utile a determinare una definizione della percezione sonora che vada ben oltre il proprio immediato gusto.
Mai tanta musica, inoltre, è stata prodotta quanto oggi. Attraverso la digitalizzazione non è mai stato così facile creare e rendere accessibile il proprio lavoro come accade in questo periodo e il risultato è una sovrapproduzione.
La visione in merito è forse molto ottimistica ma è una delle tante opinioni in un periodo ancora di transizione tra l'analogico (a cui sono legati i fruitori originari ma anche un crescente numero di giovani, per quanto i numeri rimangano esigui per giustificare entusiasmi):
Il disco in vinile è il supporto del presente e sarà quello del futuro. Alla pari del libro cartaceo: difficile ipotizzare la sua scomparsa a favore dell’e- book.
Il supporto fisico e lo streaming conviveranno a rappresentare due modi complementari di fruizione della musica.
Un saggio di sicuro interesse per chi ha a cuore l'evoluzione e la conoscenza dello status quo della fruizione della musica, divisa tra supporto fisico e piattaforme digitali.
Intervengono:
Ferdinando Frega – Queenmuseum.com, Jenny Sorrenti – Musicista e cantautrice, Ludovica Trupia – Hifeelings.it, Carlo Lecchi – Associazione Vinile Italiana, Luca Pallini – Associazione Culturale Covergreen, Claudio Trotta – Barley Arts, Johnny V. – Vinilicamente, Giorgio Nobile – Magic Music, Martina Palmeri – The Setlist Girl
A cura di FABRIZIO BARILE - Nabat - Sopra e sotto i palchi
Immagini, flash, testimonianze di un'epoca.
Tante facce conosciute (spesso dall'"altra parte" e non sempre amichevoli, anzi...).
"Una storia di incontri e scontri, perché di questo è fatta la vita...un'energia che non può fermarsi, un'energia che deve rigenerarsi" (Marco Balestrino).
Decine e decine di foto che documentano non solo la gloriosa storia dei NABAT (a cura di Fabrizio Barile, del compianto Tiziano Ansaldi, Enrico Zanza, Elisa Piatti con due omaggi disegnati di Mattia Dossi e ZeroCalcare) ma che immortalano un momento storico, centri sociali fatiscenti, impianti discutibili, sudore, violenza, esasperazione, energia, facce giovani, sorridenti, sfacciate, dure.
Appartenenza e identità.
"Penso che la migliore lettura di un libro fotografico sia quella di osservare le foto, coglierne i particolari, studiare le inquadrature e leggere la storia che raccontano.
Per questo motivo lascerò alle immagini il compito narrativo".
(Fabrizio Barile).
Maurizio Inchingoli - Musica di carta – 50 anni di riviste musica in Italia
Ci tengo a sottolineare il fatto che "Musica di carta - 50 anni di riviste musicali in Italia" non è e non vuole essere un'enciclopedia sulle riviste, il libro si basa chiaramente su un percorso personale attraverso il quale provo a fare un po' il punto storico di questo importante fenomeno culturale che purtroppo ha perso, secondo me, il fascino che aveva, poi è arrivato Internet e inevitabilmente la situazione è cambiata, nel bene e nel male.
L'autore precisa l'intento di questa lodevole iniziativa, che mette un po' di ordine nel caotico mondo delle riviste musicali cartacee, con il prezioso aiuto di alcuni dei protagonisti, da Federico Guglielmi a Francesco Adinolfi, Luca Frazzi, al "mitico" Piero Scaruffi, intervistati in esclusiva da Inchingoli.
Il tema che emerge è quanto possa ancora (r)esistere la divulgazione cartacea, ormai sopraffatta da internet.
I dati di vendita sono in costante calo e ormai ridotti al lumicino ma, nonostante ciò, le riviste continuano ad uscire, a nascere, a proporre e proporsi (a dispetto delle nefaste previsioni che le volevano scomparse da anni).
Una storia complessa, spesso convulsa e fautrice di "battaglie" epocali, disastri economici, aspri scontri verbali ma testimonianza di una vitalità che dagli anni Sessanta in poi ha reso le giornate di noi appassionati più gradevoli e interessanti.
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