lunedì, dicembre 11, 2023

Critici musicali

Riprendo l'articolo pubblicato ieri da "Libertà" nell'inserto "Portfolio" diretto da Maurizio Pilotti

Tra le tante categorie professionali progressivamente delegittimate e selvaggiamente colpite dal chiacchiericcio da bar, o meglio, da social, c'è quella del giornalista (nel più elegante dei casi rinominato dispregiativamente “giornalaio”) e di conseguenza, a cascata, quello del critico musicale (peraltro, almeno in Italia, categoria scarsamente remunerata e considerata). A cui si imputa una sorta di inutilità, dopo che chiunque ha libero accesso all'ascolto della musica in ogni sua forma, genere, provenienza e quindi le possibilità di generare un giudizio senza intermediari.

E' consolante che nella stragrande maggioranza dei casi gli strali arrivino da personaggi che non sanno distinguere uno strumento dall'altro o dalla palese limitatissima gamma di ascolti a una manciata di gruppi o artisti oppure semplici hater, odiatori seriali, con tanto tempo libero da dedicare alla facezie del web.
Soprattutto incapaci di distinguere ciò che è il gusto personale “mi piace/non mi piace” dall'analisi di un'opera musicale o dell'artista, contestualizzata, storicizzata, approfondita con cognizione di causa, grazie a esperienza e studio di anni.

Il web ha dato la stura a milioni di “critici” ed esperti e rigurgita di pagine con recensioni e considerazioni che, spesso, non brillano per competenza e precisione. Il giudizio personale è ben diverso da una recensione ragionata.
Tanto più, in un'epoca di bulimia di proposte discografiche, un referente che dia indicazioni (opinabili e fallibili, sia chiaro), sulla qualità artistica di una nuova uscita è quanto mai necessario.

Il critico musicale è colui che ti spiega le modalità con cui un album è stato creato, ti racconta la storia del gruppo, i collaboratori del disco, ne contestualizza la storia, esprimendo un parere, indicando una personale guida da cui partire per l''ascolto.
Soprattutto segnala al potenziale ascoltatore nuove opere, nuovi artisti, tendenze, potenzialmente di interesse, da cui trarre ispirazione e spunto.


In questa sede ho provveduto a interpellare alcuni tra i più rappresentativi e navigati critici musicali italiani per un parere al proposito.

Carlo Bordone, che scrive per “Rumore”, “Rolling Stone”, “Il fatto quotidiano”, riassume in modo essenziale i concetti sopra espressi:
“Penso si debba fare sempre la distinzione tra “giornalista” e “critico” musicale. Sono due cose che si possono intrecciare ma non si sovrappongono. Il giornalista ha il compito di raccontare (anche con le interviste, per esempio, una pratica spesso sottovalutata), di stare sull’attualità ecc. Il critico dovrebbe riflettere più in profondità, sia su musiche contemporanee che su quelle del passato.
Tracciare collegamenti inediti, trovare chiavi di spiegazione di certi fenomeni, inquadrare la musica in modo da dire qualcosa in più del “bello/brutto” (rispetto a cosa, tra l’altro, che non sia il gusto personale?). Secondo me c’è sempre un gran bisogno di chi fa un lavoro del genere, perché la critica – rispetto a qualunque ambito, non solo quello musicale – è e sarà sempre essenziale, altrimenti ci si limita per l’appunto al mi piace/non mi piace. Forse una cosa che si dovrebbe cominciare a fare è slegarsi dai modelli critici istituzionalizzati in sessant’anni di musica pop: la recensione, l’analisi dei dischi ecc.
Anche perché il concetto stesso di “disco” sta cambiando.
Ma proprio perché oggi chiunque può “farsi un’idea” e ha mille canali a disposizione per esprimere il proprio giudizio, ci vuole qualcuno che non si limiti al soggettivismo ma analizzi a fondo e fornisca chiavi di lettura utili, interessanti, originali. Questo può farlo solo chi ha esperienza, capacità di istituire collegamenti, cultura specifica e non solo, intuitività. Sono queste qualità che secondo me definiscono un “critico”.


Federico Guglielmi, storica firma del “Mucchio Selvaggio”, attualmente in forza a “Classic Rock”, "Blow Up", "Billboard", "Vinile" e “Audio Review”, autore di decine di libri a tema musicale, riflette sull'attualità del ruolo del giornalista/critico musicale e sulla sua “utilità” ai nostri giorni, concludendo un po' amaramente il suo intervento:
“Di sicuro ha perso molta importanza… sempre meno gente e soprattutto sempre meno giovani sono interessati a leggere di musica e anche ad approfondire la musica, quanto meno a livello di pubblico di massa.
Per quanto riguarda le varie nicchie, invece, i giudizi competenti - insomma, giornalismo vero e non copia/incolla di comunicati stampa - hanno ancora un loro peso, benché ridotto dalla possibilità di ascoltare qualsiasi cosa gratis in Rete. Alla luce della quantità folle di uscite discografiche, credo però che il lavoro di esperti che segnalano le più meritevoli di attenzione rimanga utile, giacché pochi hanno il tempo di seguire la troppa offerta di un mercato impazzito.
Il discorso riguarda comunque solo gli appassionati adulti e credo proprio che, se non ci sarà un qualche tipo di riflusso, tra qualche anno la mia sarà l’ennesima professione morta o quasi, relegata in un cantuccio da accademici.”


Anche Francesco Donadio milita in “Classic Rock” oltre che in “Vinile”, è caporedattore della testata “Extra! Music Magazine” e uno dei maggiori esperti di David Bowie in Italia. Un suo libro su Bob Dylan ha recentemente vinto il premio CartaCanta 2023.
"In apparenza ha meno senso di quanto avesse nell'epoca pre-digitale e pre-Spotify. Meno essenziale, diciamo. Prima tutti noi appassionati musicali avevamo assolutamente bisogno di qualche "vate" che ci orientasse, perché ogni acquisto di un disco era, alla fine, un piccolo "investimento". Oggi questo aspetto monetario non c'è più.
Col "tutto gratis" però assume sempre più importanza l'aspetto "tempo". Ed è necessario non cadere nella trappola dei vili algoritmi, come fanno in molti. In questo senso quindi, il ruolo del critico - non più essenziale - è per me comunque importante. Nel marasma attuale, avere qualcuno che ti aiuti a distinguere il grano dal loglio è forse ancora più necessario di quanto fosse un tempo."


Luca Frazzi che collabora con “Rumore” e dirige la rivista “Gimme danger” fa un distinguo molto interessante
“Non mi sono mai ritenuto un “critico”, figura che associo al passato remoto dell’editoria rock italiana. Mi sono sempre ritenuto e mi ritengo un “cronista”, uno che, più che giudicare, racconta la musica, i gruppi, i dischi, la scena. Per farlo, mi informo. Da sempre. Compro dischi, vado ai concerti, leggo quello che scrivono gli altri. Faccio tutto questo (che alla fine è un vero e proprio mestiere anche se pagato poco o niente, tanto che per campare nella vita faccio tutt’altro) sostanzialmente perché il rock è la mia più grande passione. Una scelta obbligata: non saprei e non vorrei fare altro. Per questo non mi pongo domande sul “senso” dello scrivere di musica.
Per me ce l’ha un senso, ovvio, altrimenti non lo farei (per cosa? Per la gloria? Per scroccare dischi e accrediti?), ma l’interpretazione del termine è soggettiva e non lo dico per eludere la domanda. Mi piace farlo, so farlo, lo faccio e lo farò finché mi daranno la possibilità di farlo, tutto qui. Sul “valore” della critica musicale si potrebbe discutere per ore.
Sul suo “peso” invece esistono dati oggettivi che ci dicono che l’influenza di certe firme oggi è nettamente ridimensionata. In passato alcuni nomi erano veri e propri riferimenti per chi doveva orientare i propri acquisti, oggi molto meno. La Rete ha aperto scenari nuovi dando la possibilità a tutti di esprimersi ma ha anche abbassato clamorosamente l’asticella. Mediamente oggi si scrive di musica peggio e più superficialmente che in passato, il calo di attenzione arriva dopo pochi minuti (chiamasi “de-evoluzione”, parafrasando gli immensi Devo) e la platea dei critici “da tastiera” è soffocata da quella bestia chiamata “sintesi”. Approfondimento vietatissimo, oggi funziona così.”


E' evidente che il filo conduttore che unisce le considerazioni di alcuni illustri rappresentanti del mondo musicale sia l'incertezza nel trovarsi in un momento di transizione che ha radicalmente mutato, in poco tempo, le carte in tavola, costringendo a rivedere in toto l'approccio e la fruizione della musica, in modo non di rado antitetico a come l'avevamo conosciuta.

Il cambiamento è in atto (o è già avvenuto), occorre predisporsi a una nuova era (migliore o peggiore non ha importanza, sicuramente diversa) e porsi in modo, come sempre, propositivo al nuovo che avanza e che, giustamente, spazza via il vecchio.
Ci piaccia o meno.

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