Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà", quotidiano di Piacenza.
Quando mi viene chiesto un elenco preferenziale degli artisti che prediligo, i Beatles non li inserisco mai.
Perché sono fuori gara.
Sono un'opera a sé stante nella cultura e nella società del Novecento, ancora enormemente influenti a oltre cinquanta anni dal loro scioglimento.
Un'opera che prescinde il loro ruolo di semplici musicisti, perché hanno cambiato in tale profondità la vita di milioni di persone e la percezione della musica “Pop”(olare) da renderli unici e inimitabili per sempre.
Per questo la recente uscita del “nuovo” brano, enfaticamente sbandierata come la vera “ultima canzone dei Beatles”, richiede una disamina approfondita, proprio perché ogni loro testimonianza è qualcosa di preziosissimo e culturalmente (non solo da un punto di vista strettamente musicale) importante.
Tra l'altro, perfidamente, la canzone esce proprio nel momento in cui i Rolling Stones avevano ritrovato, dopo tanti anni, le prima pagine dei giornali e l'attenzione di tutto il mondo artistico, con il nuovo e più che ottimo album “Hackney diamonds” (a cui partecipa anche Paul McCartney in un brano). Ed ecco arrivare, subito dopo, un inedito dei Beatles e rilegarli per l'ennesima volta in seconda posizione.
“Now and then” è uno dei tre brani, composti e incisi amatorialmente in casa da John Lennon nella seconda metà degli anni Settanta, che Yoko Ono concesse nel 1995 ai tre superstiti Paul, George e Ringo per rivisitarli, risuonarli, mantenendo la traccia vocale dell'amico, riesumando in questo modo la leggenda dei Beatles a venticinque anni dallo scioglimento.
Il tutto per promuovere l'uscita della corposa serie “Anthology” che raccoglieva in tre volumi (e uno stupendo documentario) una lunga serie di inediti e versioni diverse dei loro capolavori, altrimenti reperibili solo su edizioni illegali o sul web.
Alla fine vennero scelte solo “Free as a bird” e “Real love”, in quanto il nastro di “Now and then” era inutilizzabile con le tecnologie dei tempi. Trascorsi quasi trent'anni è stato ora possibile isolare alla perfezione non solo la voce di John (nell'incisione originale sovrastata dal pianoforte) ma di “ripulirla” in modo da farla sentire nitida, presente, inserita nel migliore dei modi nel contesto strumentale.
Anche le chitarre di George sono state recuperate, il brano riarrangiato, risuonato e cantato anche da Paul e Ringo.
L'uscita del brano ha scatenato fan e semplici appassionati, non tanto per la qualità artistica (dignitoso seppure non indimenticabile) ma quanto sulla necessità o opportunità di rispolverare di nuovo il marchio Beatles.
Operazione che personalmente ritengo inutile.
Non apporta nulla di nuovo, è un espediente già sperimentato prima e, al giorno d'oggi, dal risultato abbastanza prevedibile, quanto invece ai tempi era qualcosa di innovativo e sorprendente. Ricordo perfettamente quando uscì “Free as a bird”, stavo guidando nella periferia milanese sotto un fortissimo temporale. La radio annunciò che stava per essere trasmessa la canzone, accostai l'auto al marciapiede, restai in trepida ed emozionata attesa e quando, dopo i primi due colpi di batteria, partì la musica fu un'emozione intensissima che si impossessò di anima, cuore e corpo. Purtroppo non è accaduto di nuovo.
E' una ripetizione, un riproporre un canovaccio già visto e sentito.
Peraltro ampiamente sperimentato in precedenza in altre forme, fin dal 1978 con “An american prayer” in cui i tre Doors rimasti suonarono nuovi brani sotto alcune poesie recitate dal defunto Jim Morrison. O quando Natalie Cole, figlia di Nat King Cole, duettò con il padre (scomparso da una trentina d'anni) nel brano “Unforgettable”. Lo stesso Paul McCartney propone dal vivo un insert della voce (e video) di John Lennon nel brano “I've got a feeling” e gli Who fanno lo stesso rievocando in video le prestazioni sonore dei deceduti ex compagni Keith Moon e John Entwistle.
Tornando al brano è necessario correggere un'inesattezza che è stata ripetuta più volte. Non si tratta di scarti di John Lennon ma di una scelta tra centinaia di brani che Lennon ha continuato a comporre durante i cinque anni di allontanamento dalle scene e dai palchi tra il 1975 e il 1980, decisione drastica e molto controversa, che prese per accudire al meglio il neonato figlio Sean e la moglie Yoko.
Esistono più di duecento brani, le “Dakota tapes”, che John continuò a registrare in forma di demotape nel Residence Dakota di New York, dove abitava e davanti al quale fu assassinato l'8 dicembre 1980.
In secondo luogo, si è sproloquiato, ovviamente a sproposito, sull'utilizzo dell'Intelligenza Artificiale (parola magica che viene associata ormai a qualsiasi novità artistica o tecnologica).
In realtà lavorare, soprattutto nel 2023, con un vecchio nastro, separare gli strumenti e reinciderci altre parti è normale pertinenza di qualsiasi studio di registrazione. Compito di Paul, Ringo e lo staff che li ha seguiti, è stato riprodurre “artificialmente” “quel” suono dei Beatles, renderlo attuale e allo stesso tempo affine alle loro produzioni di cinquanta anni fa.
D'altronde era prassi nelle loro modalità compositive ed esecutive in studio ovvero collaborare, ognuno a modo suo, a ogni brano, apportando il proprio stile e creatività.
L'effetto “Frankestein” è evidente se pensiamo che la voce di un John non ancora quarantenne e le chitarre di George, suonate quando era cinquantenne, vengano affiancate dalle voci degli ultra ottantenni Paul e Ringo.
Un'operazione che apre le porte a mille opzioni per creare “nuove” canzoni mettendo insieme parti strumentali o vocali di chiunque non sia più tra noi, utilizzando nuove registrazioni, realizzando nuove opere, attribuibili, almeno in parte, a grandi star che ci hanno lasciato prematuramente.
Proprio recentemente, altra frontiera che sembra gradita a molte vecchie rockstar, l'ex bassista e compositore dei Pink Floyd ha avuto l'idea (discutibile, se non altro per il modesto e ininfluente risultato finale) di rifare da cima a fondo la loro opera più famosa, venduta e conosciuta, “The dark side of the moon”.
Il problema che evidenzia questa operazione è già noto ma “Now and then” lo palesa in modo clamoroso, trattandosi dei Beatles.
Il “museo del rock” ha sempre più bisogno di nuovi reperti per perpetuare la memoria di un realtà che non esiste più o perlomeno si sta estinguendo.
Ogni anno se ne vanno tra i migliori protagonisti della grande era rock, i sopravvissuti sono nonni che hanno raggiunto o sono in procinto di farlo, gli ottanta anni.
Con tutti i distinguo del caso, è evidente che i grandi classici della musica rock non hanno avuto alcun credibile ricambio nel corso degli ultimi venti/trenta anni.
Certo, sono usciti grandi dischi e molti gruppi si sono accreditati nel migliore dei modi per assurgere all'Olimpo del rock, nel quale però rimangono, intoccabili e immarcescibili quei soliti nomi che ne hanno scritto la storia e i principali capolavori.
Non a caso è ormai uno stillicidio di ristampe di ogni album storico (ma anche episodi minori) con inediti, registrazioni più o meno rare, foto mai viste, rimasterizzazioni, nuovi mix e chi più chi ne ha più ne metta, al fine di sfruttare questa inguaribile nostalgia per un mondo che non c'è più.
Il video che ha accompagnato “Now and then” è, in questo senso, una delle operazioni più imbarazzanti e desolanti mai viste, con Paul e Ringo in studio nel 2023, affiancati dalle immagini in movimento di John e George, estrapolate da riprese del 1967, che “interagiscono” tra di loro.
In tanti lo hanno definito commovente, personalmente non riesco a riguardarlo senza arrossire per loro.
Il perfetto dono confezionato per i nostalgici che rivedono per un attimo i quattro Beatles insieme.
https://www.youtube.com/watch?v=Opxhh9Oh3rg
Un nuovo ennesimo ciondolo e souvenir da posizionare nel suddetto “museo del rock”.
Ma che, ovviamente, non apporta nulla di concretamente nuovo, non contribuisce di certo a muovere una virgola di quello che già conosciamo, diventa, un pur godibilissimo, inutile nostalgico orpello.
il video esemplifica alla perfezione la parola CRINGE
RispondiEliminaConcordo su tutto. Canzone brutta, pesante, arrangiata male voce resuscitato da non si sa bene dove. Ascoltata una volta , mi basta. Video non visto e non lo vedrò. In più fuori tempo massimo, nel 1977 i Beatles non esistevano più da un pezzo
RispondiEliminaConcordo su tutto. Brano in sé è appena sufficiente e comunque non possiede niente di particolare che ne possa giustificare la pubblicazione.
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