Viaggiamo verso la fine del 2023 e cisono un sacco di buoni album. In ordine sparso: Jaimie Branch, Aja Monet, Corinne Bailey Rae, Teenage Fanclub, Noel Gallagher, Graham Day, The Darts, Blur, Miles Kane, Durand Jones, Edgar Jones, Bobby Harden, DeWolff, Bring Me the Hearts, Rain Parade, Wreckless Eric, Public Image LTD, Billy Sullivan, Iggy Pop, Everettes, Everything But The Girl, Madness, PJ Harvey, Slowthai, Meshell Ndegeocello, Sleaford Mods, John Cale, Elza Soares, Acantha Lang, Joel Sarakula, Algiers, The Men, Tex Perkins and the Fat Rubber Band, Gina Birch, Gabriels, Lonnie Holley, The Who, Rolling Stones, Mudhoney, Kara Jackson, Tinariwen, Geese, Don Letts, Pretenders, Bobby Bazini, Lankum. Black Pumas.
Tra gli italiani: Giorgio Canali & Rossofuoco, Alex Fernet, Funkool Orchestra, Sick Tamburo, Zac, Polemica, Milo Scaglioni, Il Senato, Lucio Corsi, Statuto, Broomdogs, The Cut, Senzabenza, Forty Winks, The Lancasters, Elli De Mon, Ellen River, Double Syd, Pitchtorch, C+C=Maxigross, Blue Moka, Lory Muratti, Garbo, Electric Machete, Mssimiliano Larocca, Avvoltoi & Steno, Dome La Muerte EXP, Marco Rovelli & Paolo Monti.
MADNESS - Theatre Of the Absurd Presents C’Est La Vie
Da tempo i MADNESS non sono più solo sinonimo di ska e divertimento.
Il capolavoro "The Liberty of Norton Folgate" del 2009 sancì il passaggio a una dimensione street soul/pop di chiaro marchio London/Brit con uno sguardo esplicito al tradizionale Music Hall britannico di sapore teatrale.
Nel nuovo "Theatre Of the Absurd Presents C’Est La Vie" riprendono da quelle matrici, in una sorta di opera/concept (l'attore, mod dichiarato, Martin Freeman, provvede al parlato del prologo ed epilogo e all'introduzione dei tre Atti del racconto in musica) che spazia tra soul, pop, brani di sapore teatrale/cabarettistico (talvolta in stile Kinks), funk, richiami e ritmi reggae, altri alla Bo Diddley, suoni Sixties.
Il tono è malinconico, serioso, amaramente ironico e romantico, vi confluiscono molte delle anime della band.
Un album molto variegato, che cresce ad ogni ascolto e ne consacra una maturità compositiva immediatamente riconoscibile.
BLACK PUMAS – Chronicles of a Diamond
Secondo album per la band americana che compie un passo avanti rispetto al buon esordio, ampliando la gamma di influenze, sempre ancorate a un concetto retro soul ma che abbraccia ora anche gospel, jazz, funk, psychedelic soul. Brani intensi, composti benissimo, con i consueti riferimenti "alti", suonati in modo impeccabile e la giusta attitudine.
The EE's - Temptations of sound
La creatura del duo tedesco arriva all'esordio dopo ottimi antipasti su singolo. Un mix super groovy di soul, funk, afrobeat, reggae, latin, disco, jazz e tante altre gustosissime influenze. Accompagnati da cinque diverse voci ricordano a tratti i Working Week, altre volte gli Style Council più soul, non disdegnando alcuni accostamenti all'esperienza del Frank Popp Ensemble (soul+campionamenti). Un disco di grande classe e raffinatezza.
BEATLES - Now and then
La canzone era già ampiamente nota in versione demo del solo John Lennon.
Quella dei "BEATLES" è ovviamente corredata dall'elemento emozionale di ascoltare ancora una volta "quei" suoni, "quel" drumming, "quel" basso, QUELLA voce (la chitarra di George è stata rifatta invece da Paul, a quanto dichiara nel breve doc sul brano in questione).
Ovviamente è un'operazione nostalgica e abbastanza inutile ma tant'è.
RINGO STARR - Rewind froward
Continua la pubblicazione di Ep da parte di Ringo. Siamo al quarto in due anni, con, ogni volta, quattro brani. Nella band Benmont Tench e Mike Campbell degli Heartbreakers di Tom Petty e l'ex Eagles Joe Walsh. Bassista e compositore di "Feeling the sunlight" Sir Paul Mccartney (e si sente! brano beatlesiano stile '67, melodico e accattivante). Le altre tre canzoni attingono da influenze guitar rock di gusto Sessanta. Molto godibile e piacevole.
VAN MORRISON - Accentuate the positive
Van si diverte un mondo a giocare con le sue radici. Qualche mese si era dedicato allo skiffle, ora è la volta del rock n roll e del rhythm and blues, del jive e dello swing con una serie di cover ("Lucille", "Flip flop and fly", "Shake rattle and roll", tra le 19 scelte, più o meno note). A dargli una mano anche i lcompianto Jeff Beck, Chris Farlowe e Taj Mahal. Divertente e godibilissimo.
DOLLY PARTON - Rockstar
La sublimazione del Geronto Rock, del pacchiano, cringe/imbarazzante, del souvenir da pochi spiccioli al "Museo del Rockj", della calamita rock per il frigorifero.
Trenta cover pop rock con Paul e Ringo ad accompagnarla in "Let it be", pezzi di Aerosmith, Peter Frampton, Joan Jett, Stevie Nicks, Sting, Debbie Harry e una lunga altra serie di quasi ottuagenari). Spaventoso.
NDOX ELECTRIQUE - Tëdd ak Mame Coumba Lamba ak Mame Coumba Mbang
L'esperienza dei Putan Club rivive con una trasmigrazione dell'anima in questo nuovo potentissimo progetto. Un mix tra rituali oscuri dal profondo del Senegal, condito da sonorità tribali, riti ancestrali, modernizzato da distorsioni, chitarre elettriche e computer. L'effetto è minaccioso, aggressivo, ipnotico, demoniaco. L'effetto inquietante di ciò che è sconosciuto e che, come spesso capita con gli spiriti, non lascia distinguere se maligno o benevolo. Scavando nella tradizione più primitiva, alla ricerca del nuovo.
LOL TOLHURST BUDGIE JACKNIFE - Los Angeles
Spesso l'unione di artisti affermati e conosciuti per altri progetti, una volta detti “supergruppi”, non porta alla nuova entità artistica i benefici sperati. Non è fortunatamente il caso della collaborazione tra due ex membri, entrambi batteristi, di storiche band della new wave inglese come Lol Tolhurst dei Cure e Budgie di Siouxsie and the Banshees, aiutati dal produttore e polistrumentista Garrett Jacknife Lee. La nuova band sceglie di non guardare troppo al passato e dedicarsi a un mix di elettronica, tribalismi, atmosfere ipnotiche e percussive, pennellate psichedeliche, con risultati molto interessanti e stimolanti. Grazie anche a una serie di ottimi ospiti da The Edge a Bobby Gillespie, Mark Bowen degli Idles.
FUZZTONES - Live at the Dive 85
I Fuzztones degli esordi, 1985, ai tempi del primo album "Lysergic emanations", in una serata speciale al "Dive" di New York, colti in tutto il loro lato più selvaggio e rock 'n' roll ma allo stesso tempo in grande forma esecutiva. Precisi, potenti, devastanti. In mezzo ai classici e alcune rarità si divertono a riprendere brani dei "colleghi" Chesterfield Kings, Cheepskates, Lyres (una travolgente "help you Ann"). Atmosfera di grande festa, pubblico caldissimo, band al top, qualità della registrazione decente. Stampa Area Pirata.
THE THINGS - Coloured Heaven
La Misty lane records ristampa in 300 copie in vinile un più che ottimo gioiello del 1984 della band californiana, rimasterizzato e remixato. Garage beat, jingle jangle, psichedelia, alcune buone cover di classici. Un riascolto è più che doveroso.
ROBERT FINLEY - Black Bayou
Quarto album per il quasi settantenne bluesman della Lousiana, alle prese con un sound tra Stax soul, rhythm and blues, deep blues e un classico groove funk. Produce dan Auerbach dei Black Keys, rendendo il tutto più moderno, pur nella sua classicità. Disco sincero, urgente, basico, bello.
KING GIZZARD AND THE WIZARD LIZARD – The Silver Cord
E con questo fanno 25 album in 12 anni. Lavori in cui hanno esplorato lo scibile della musica o quasi. In questa nuova veste abbracciano elettronica, synth, suoni fine anni 70. Come sempre incuriosiscono e stimolano. Una band da continuare a seguire.
TONY FINCH MARINO - B-Side Me
Poderoso esordio solista a base di una travolgente miscela di funk, soul, disco, suonata alla perfezione e con un groove irresistibile. Nelle dieci canzoni (più una bonus track) ascoltiamo echi di James Brown, Barry White, le ritmiche funamboliche alla Earth Wind and Fire, folate di Sly and the Family Stone. Super!
ANANDA MIDA – Reconciler
Ottantatre minuti di voli strumentali, furibondi attacchi sonori, viaggi tra space rock, psichedelia, stoner, rock blues, hard rock, Motorpsycho, suite di 22 minuti, momenti acidi ai confini con il noise che riportano addirittura ai Sonic Youth. C’è di tutto in questo poderoso nuovo album della band veneta che chiude una trilogia iniziata parecchi anni fa. Un lavoro che non ha paura a confrontarsi con i tempi lunghi, in un’epoca di musica condensata e liofilizzata. Lo sforzo è encomiabile e regge alla distanza, grazie a tanta creatività, un’esecuzione di altissimo livello e la capacità di attraversare i più disparati ambiti con maestria e competenza. Notevole.
MISS CHAIN & the BROKEN HEELS - Storms
Troppo pop per i punk,troppo punk per il pop è una definizione perfetta per il nuovo album della frizzante band power pop. Un sound ammaliante, dal chiaro retaggio Sixties, melodie Beatleasiane, sonorità che riportano a Go Go's o Juliana Hatfield ma con un approccio non alieno al garage punk (vedi Pandoras o gli inglesi Primitives). Le canzoni sono urgenti, chitarristiche, composte con estrema cura, suonate con immediatezza e piglio teen. Album divertente, godibile, fresco.
BUD SPENCER BLUES EXPLOSION – The next big niente
Album coraggioso, avanguardista, di “musica totale” per una delle realtà più interessanti ed energiche della scena italiana. Il nuovo lavoro non ha paura di sperimentare, senza regole, lontano dalla forma canzone, spaziando tra psichedelia, elementi afro, noise, jazz, kraut, post rock, blues. Tanta creatività ed ecletticità per una band che si conferma tra le più interessanti del panorama nostrano.
BEBALONCAR – I’ll drive you from my mind
In attesa del nuovo album, previsto per il 2024 su etichetta Silverdrop Recordings, la band bolognese torna con un singolo, cover della cult band americana dei 60’s Fallen Angels. La versione di cinque minuti dei Bebaloncar è ancora più spettrale dell’originale, avvolgente e psichedelica, con agganci anche al mood caro ai Jesus and the Mary Chain. Il tutto fa aumentare l’attesa per il secondo album dopo il brillante esordio dello scorso anno.
ASCOLTATO ANCHE:
PENZA PENZA (un ottimo funk moderno, percussivo, tribale), ALPACAS COLLECTIVE (deep funk, afrobeat, un tocco psichedelico orientaleggiante. Buono), THE BAMBOOS (undicesimo album per la band australiana che vira verso disco funk con sprazzi hip hop. Molto easy e godibile), JULIANA HATFIELD (un altro album tributo dopo Olivia Newton-John e Police. Tocca stavolata agli ELO e come sempre è divertente e simpatico, per quanto inutile),
LETTO
Mattia Chiarella - Blaxploitation. Una storia afroamericana
"Il Cinema d'Exploitation non è un genere, è un'industria con con un metodo di produzione specifico.
I film d'exploitation sono prodotti a buon mercato destinati a un facile profitto.
"Facili' perché offronto al pubblico ciò che non può ottenere altrove: sesso, violenza e argomenti tabù.
'Facili' perché perendono di mira il più grade gruppo demografico di spettatori: la fascia che va dai quindiciai venticinque anni'."
Un saggio approfondito, curato e molto colto su un genere cinematografico (e di riflesso molto interessante da un punto di vista musicale) mitizzato.
L'autore passa in rassegna i principali titoli, entra nel dettaglio degli episodi minori, contestualizza socialmente e politicamente il periodo d'oro, apre capitoli sullo scarso ruolo delle donne, a contesti come la sezione horror, western, l'animazione.
Ne analizza il declino, la forte influenza sul cinema di Tarantino e la rinascita con Spike Lee e la scena hip hop.
Dettagliatissimo, ricco di citazioni e rimandi che aprono ulteriori e interessanti orizzonti di ricerca.
Un libro completo sull'argomento.
"La musica e il cinema afroamericani hanno avuto un'evoluzione molto differente l'uno dall'altro: se nella prima la collaborazione tra bianchi e neri ha portato nell'arco di pochi decenni alla nascita di nuovi generi musicali e collaborazioni di altissimo livello, nel mondo del grande schermo la visibilità afroamericana si trova ad affrontare ancora oggi, grandissimi ostacoli."
"Il National Association for the Advancement of Colored People, con alcune associazioni religiose, porranno fine al fenomeno Blaxploitation accusando registi e sceneggiatori di avere raggiunto un eccesso di contenuti violenti e sessualmente espliciti tali da ridurre il popolo afroamericano a una macchietta soggetta a derisione."
John Cage - Un anno, a partire da lunedì. Dopo Silenzio
La collana della Shake Edizioni "Classici della Nuova Musica", a cura di Massimiliano Viel, dedicata a una serie di libri scritti da compositori che hanno rivoluzionato il modo di scrivere, fare e pensare la musica di tradizione europea, inaugura con un testo di JOHN CAGE inedito in Italia.
Un libro che ne mette in luce (a partire dalla surreale impaginazione che ne evidenzia l'originalità e il peculiare accostamento alla scrittura, specchio della sua visione musicale e artistica) l'ecletticità di Cage ma anche l'estremo gusto per l'ironia e l'amore per le brevi storie, piccoli affreschi quotidiani, spesso bizzarri e spassosi.
Un testo non di facile fruibilità ma di sicuro interesse.
Gianni Miraglia - Vedo la gente vincere
Scrittore, attore, conduttore, performer, Gianni Miraglia scrive un libro acre, sorta di urlo compostamente disperato sulla condizione dell'artista in un'epoca grama.
C'è la speranza, l'opportunità di grandi cose imminenti che sfumano all'ultimo momento, la precarietà di una condizione sociale che in Italia ti pone in costante bilico tra la vetta e l'abisso.
Il racconto è vivo, spesso ironico e comico, ma con un sorriso amaro che la riga dopo gli si spegne sulla faccia.
Ci vuole talento per essere così espressivo ed equilibrato nel trasmettere certe emozioni (che "chi pratica il palco" conosce bene).
Consigliatissimo.
Riccardo Russino - Contesa e calpestata
La triste vicenda di Pattie Boyd, musa ispiratrice di due tra le più grandi rockstar dei tutti i tempi, modella, protagonista del jetset e della Swinging London ma, come sottolinea il titolo calpestata, tradita, umiliata.
Moglie di George Harrison che gli ispira "I need you", "If I needed someone" e l'immortale "Something" (George smentì nel 1996 la circostanza, Pattie sostiene il contrario), viene progressivamente abbandonata e lasciata da parte mentre lui si dedica a cocaina, meditazione, party. Corteggiata fino all'esasperazione da Eric Clapton, alla fine cede alle sue lusinghe e lo sposa.
Anche lui sarà prodigo di canzoni per lei, da "Layla" (scritta durante il corteggiamento) a "Wonderful today" Sarà un "dalla padella alla brace", con l'alcolismo del chitarrista, il suo accompagnarsi ogni giorno con una donna diversa, un inferno da cui uscirà a pezzi, per cadere tra le braccia di un altro alcolizzato, con le prevedibili conseguenze.
Pattie si era già raccontata, con dovizia di particolari in "Wonderful Today" ( https://tonyface.blogspot.com/2019/10/pattie-boyd-wonderful-today-la-mia-vita.html), in questo libro la narrazione dall'esterno ripercorre le vicende di una storia opaca, sotto l'apparente splendore.
Chet Flippo - It's only rock 'n' roll - Le mie avventure on the road con i Rolling Stones
Chet Flippo è stato una delle colonne portanti di Rolling Stone, per cui ha cominciato a scrivere nel 1974, è stato scrittore con libri su Hank Williams, Paul McCartney, David Bowie, Elvis Presley), ha collaborato con New York Times, Texas Monthly e Q.
Seguì i ROLLING STONES nel Tour of the Americas del 1975 e per cinque anni rimase a fianco della band, documentando vrai passi importanti della loro carriera come il Live a El Mocambo del 1977 (finito poi su "Love you live".
Nel libro ci sono le vicende legate al periodo, chiacchierate informali con la band, aneddoti e curiosità (poco o nulla del prevedebile aspetto "pruriginoso" di droghe e donne).
Flippo è eccessivamente autoreferenziale e talvolta il libro si dilunga in aspetti poco interessanti anche se è decisamente un must per i fan della band.
Cosa si prova quando ventimila persone concentrano tutta la loro energia su di te? E' una sensazione travolgente?
Mick Jagger:
Si. E' così. Forse è per questo che molti non smettono mai di esibirsi. Perché non riuscirebbero a fare a meno di quella scarica di adrenalina"
MIck Jagger 1980:
"Fondamentalmente il rock non è protesta, non lo è mai stato, non è politico.
Una volta incentivava la tesnione interfamiliare.
Oggi non serve nemmeno a questo perché i padri non si sentono offesi dalla musica.
La apprezzano oppure la trovano simile a quello che piaceva a loro da ragazzi.
Perciò il rock 'n' roll è finito, tutto finito."
Francesco Floris, Carlo Pallavicini - La muraglia umana. Le lotte dei facchini nella logistica
«È il 19 luglio 2022 quando otto sindacalisti di base dei facchini vengono arrestati e finiscono ai domiciliari per associazione a delinquere e decine di altri reati. Per la Procura di Piacenza avrebbero usato la “maggior rappresentatività sindacale” delle proprie sigle sul territorio per ricattare, estorcere e condizionare le aziende della logistica nella provincia della “rossa” Emilia».
Una vicenda tanto incredibile quanto ripugnante per come è stata portata avanti "la vicenda dell'associazione a delinquere più strampalata del mondo", a danno di esponenti sindacali di S.I.Cobas (uno dei quali l'autore Carlo Pallavicini).
Accuse infondate e pretestuose per affondare i diritti dei lavoratori della logistica e punire chi li aveva difesi e ne aveva preso le parti.
Nelle pagine de La muraglia umana, il dettaglio della vicenda, le accuse, gli arresti, l'assoluzione.
"Democrazia è prima di tutto diritto al dissenso e all'organizzazione dello stesso, senza dover temere che all cinque di mattino qualche agente in divisa venga ad arrestarti.
E' riconoscere nel conflitto un valore, che per il nostro paese ha significato storicamente espansione del campo delle tutele e dei diritti, quelle stesse tutele e diritti che trent'anni di neoliberismo hanno sensibilmente intaccato fino a riducrci ad essere il fanalino di coda in Europa per potere d'acquisto dei salari".
Il libro restituisce anche un quadro inquietante del disastro ambientale e umano che ha subito la città di Piacenza per fare posto a milioni di metri quadrati di cemento per la logistica (magazzini di Ikea, OVS, Leroy Merlin, Amazon - i principali - dislocati intorno alla città e nella vicina Castel San Giovanni).
"Piacenza ha subito tra la fine degli anni Novanta e l'inizio del nuovo secolo una vera trasformazione urbana. La deformazione (vedi Google maps) che si sviluppa a nord est della città "storica" è il polo logistico: tre milioni di metri quadrati di capannoni cresciuti in mdo disorganico e senza alcuna reale progettazione urbana, senza servizi, senza collegamenti sicuri co il resto della città.
La stessa sorte ha subito il vicino comune di castel San Giovanni: parliamo in quel caso di due milioni e cinquecentomila metri quadrati di capannoni."
"Eppure di logistica si muore. Si muore, tutti, a causa dei gas di scarico riversati sulla città da milioni e milioni di camion ogni anno.
Piacenza vanta il triste primato nel nostroi paese di tumori agli organi filtro e la correlazione è chiara: per la collettività e per i lavoratori del trasporto merci che operano a pochi metri dai gas di scarico dei Tir....in poco più di 20 anni la logistica a Piacenza si è espansa a vista d'occhio diventando una città nella città costruita su piattaforme, hub, magazzini, vie di trasporto."
Giorgio Di Berardino / Alessio Cacciatore - Rock in wonderland
Molto gustosa l'idea di raccontare in chiave di fiaba per bambini cinque storie di altrettanti grandi nomi del rock come Beatles, Rolling Stones, Elvis Presley, Beach Boys e Jimi Hendrix, utilizzando anche i nomi delle loro canzoni.
Il tutto corredato da disegni quasi in 3D, coloratissimi e ad effetto per l'infanzia. Con tanto di pagine finali da colorare.
Un mezzo propedeutico per l'introduzione al rock.
VISTO
LAZY GIANTS live a Castelnuovo (PC) "Kelly's"
Al Kelly’s Pub Birreria di Borgonovo (Piacenza), grazie al sempre indomito Gianni Fuso Nerini, sono approdati i LAZY GIANTS , ex Toiling Midgets con il loro abrasivo mix di post punk/psichedelia/noise/sperimentazione/post rock=sound molto originale e personale.
E' stata l'occasione per incontrare uno di quei personaggi di culto "minori", Craig Gray, membro dei Negative Trend, band punk californiana già attiva nel 1977 e che due anni dopo comparì sulla compilation "Tooth and the nail" con Germs, Controllers, Flesh Eaters, U.X.A., Middle Class.
La loro "Mercenaires" entrò subito nel repertorio dei "miei" Chelsea Hotel e la suonammo fino al nostro scioglimento.
Ne abbiamo parlato prima del concerto e a un certo punto Craig mi ha simpaticamente dedicato l'intro del brano, facendomi scorrere qualche brivido.
Piccolo mondo antico.
COSE VARIE
° Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
° Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà"
° Ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
° Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
° Sulle riviste/zines "GIMME DANGER" e "GARAGELAND"
° Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".
IN CANTIERE
Uscito il mio nuovo libro dedicato a "Quadrophenia" a 50 anni dall'uscita.
Se interessati, ordinatelo e compratelo in LIBRERIA, ancora meglio se in quelle indipendenti.
Oppure qua: https://interno4edizioni.it/p/quadrophenia
50 anni di 'Quadrophenia', uno dei dischi più importanti degli Who e della storia della musica, ancora oggi insuperata Opera Rock e fenomeno generazionale.
Si parla del disco e del film di culto che hanno ispirato generazioni di fan degli Who.
Uscito il 26 ottobre del 1973 'Quadrophenia', sesto album in studio degli Who, è un'opera rock che amplia le tematiche più volte espresse da Pete Townshend sul disagio adolescenziale e il traumatico passaggio alla vita adulta, espressa in questo lavoro attraverso le vicende del giovane Mod Jimmy.
'Quadrophenia' è un album magniloquente, musicalmente ricco e pomposo, in perfetto equilibrio tra il possente rock degli Who e arrangiamenti dal sapore neo-classico.
Il libro ripercorre la storia del disco, le fonti di ispirazione, la tormentata gestazione dell'opera, le difficolta produttive e di registrazione, la complessa riproduzione della musica dal vivo, l'iconica copertina e i brani, oltre a una sezione dedicata alle recensioni dell'epoca (italiane e straniere).
Grande spazio anche al film di Frank Roddam uscito nel 1979, alla sua colonna sonora, al musical , ai tour celebrativi e alle curiosità (la similitudine non casuale con il film 'Saturday Night Fever').
NOT MOVING LTD live
This could be the last time Tour
Venerdì 1 dicembre: Pisa “Caracol”
Sabato 2 dicembre: Rubiera (Reggio Emilia) “Condor”
Domenica 3 dicembre: Torino "Blah Blah" ore 18
Sabato 9 dicembre : S.Arcangelo Romagna “Sidro”
Sabato 16 dicembre: Surprise!!!!
Venerdì 5 gennaio 2024 Milano “CIQ”
Sabato 6 gennaio 2024: Savona "Raindogs"
giovedì, novembre 30, 2023
mercoledì, novembre 29, 2023
Secret Affair
Ogni mese la rubrica GET BACK ripropone alcuni dischi persi nel tempo e meritevoli di una riscoperta.
Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale SECRET AFFAIR
Una della band più rappresentative del cosiddetto Mod revival del 1979, abili a maturare nel corso del (pur breve) tempo di attività, crescendo ed evolvendosi, pur rimanendo fedeli alle radici. Dopo un lungo scioglimento sono tornati all'incisione nel 2012, proseguendo poi un'alterna attività live.
I Secret Affair torneranno per una data unica in Italia il 2 marzo alla "Bottega 26" di Poggibonsi (Siena).
Ne ripercorriamo in dettaglio la discografia.
ALBUM
Glory Boys 1979
Uno dei più importanti dischi mod di sempre.
Un perfetto mix di rabbia adolescenziale, beat, rhythm and bues (la grande cover di “Going to a go go” di S.Robinson) e hit senza tempo come “Time for action” (singolo arrivato al 13° posto delle chart inglesi), “Glory boys” , Let your heart dance”. Il sound è diretto, urgente ma allo stesso tempo raffinato ed elegante (la tromba solista di Ian page è un'aggiunta distintiva).
In pieno mod revival tocca il 41° posto delle classifiche inglesi.
Behind Closed Doors 1980
Diversamente dall'esordio il cantante Ian Page e il chitarrista Dave Cairns compongono separatamente.
Più articolata e pop la scrittura di page, più classicamente ed energica quella di Cairns.
La band cerca di uscire dalla ricetta semplice e diretta dell’album precedente, raffina gli arrangiamenti (si aggiungono archi e sonorità quasi sinfoniche a tratti jazzy), le composizioni si fanno complesse e più ricercate.
Meno immediato ma più maturo e di nuovo validissimo.
Non ebbe molta fortuna, toccando il 48° posto in classifica ma piazzando il singolo "My world" al sedicesimo.
Business As Usual 1982
Il loro capolavoro. Composizioni di altissimo livello dove pop, beat, Sixties, un ritorno a un sound più basico, soul e diretto degli esordi si fondono alla perfezione. Non c'è più il batterista Seb Shelton (passato ai Dexy's Midnight Runners), arriva Paul Bultitude, successivo membro dei Jetset. la band suona a meraviglia, le canzoni funzionano. Ma sarà una cocente delusione e un falliment ototale.
L'album non entra in classifica, vende poco più di 10.000 copie, i concerti sono semi deserti ("un incubo con la preoccupazione che arrivasse abbastanza per coprire almeno le spese"), la critica li ignora o stronca.
La band si scioglie.
Soho Dreams 2012
Con classe, creatività, freschezza, spontaneità e un’incredibile, immensa, personalità riescono nel raro intento di conservare le caratteristiche dei loro tre pur diversi album e di proporsi con qualcosa di decisamente nuovo e originale.
Ritroviamo ritmiche e approcci decisamente soul, gli arrangiamenti ricercati di fiati, l’elettrica intensità degli esordi ma anche un’incredibile capacità compositiva, una maturità stilistica e una serie di canzoni, spesso ambiziose e complesse. La voce di Ian Page si esibisce senza paura in voli difficili, la chitarra di Cairns è potente, in costante evidenza ma allo stesso tempo perfettamente adeguata in ogni intervento, mai invasiva, la sezione ritmica è precisa, professionale e ispirata, la sezione fiati in grande forma.
DISCOGRAFIA 45 giri
Time For Action / Soho strut - 1979
Let Your Heart Dance / Sorry, Wrong Number - 1979
My World / So Cool - 1980
Sound Of Confusion / Take It Or Leave It - 1980
Do You Know/ Dance master - 1981
Lost in the night / The Big Beat 1982
Do I love you (indeed I do) / Crumble Gunn - 2016
inoltre (oltre ad alcune esaustive compilations)
CITY OF DREAMS (1988. Vinile in 1000 copie. Registrazione del concerto al "Mods Mayday 1979)
LIVE AT THE SCALA (un live + DVD del 2003)
NEW HEARTS - A secret Affair (un CD con 29 brani del periodo New Hearts con alcuni brani in versione demo che finiranno negli album dei Secret Affair.
Time for action
https://www.youtube.com/watch?v=oZCOwnMEVvE
Let your heart dance
https://www.youtube.com/watch?v=rVv8ca17oxw
My world
https://www.youtube.com/watch?v=Eq31LxmypjM
Sound of confusion
https://www.youtube.com/watch?v=1A2BFFerFWo
Lost in the night
https://www.youtube.com/watch?v=O0Qlx3eyDzY
Do you know
https://www.youtube.com/watch?v=bxxYwL6W3JQ
Le altre riscoperte sono qui:
http://tonyface.blogspot.it/search/label/Get%20Back
Speciale SECRET AFFAIR
Una della band più rappresentative del cosiddetto Mod revival del 1979, abili a maturare nel corso del (pur breve) tempo di attività, crescendo ed evolvendosi, pur rimanendo fedeli alle radici. Dopo un lungo scioglimento sono tornati all'incisione nel 2012, proseguendo poi un'alterna attività live.
I Secret Affair torneranno per una data unica in Italia il 2 marzo alla "Bottega 26" di Poggibonsi (Siena).
Ne ripercorriamo in dettaglio la discografia.
ALBUM
Glory Boys 1979
Uno dei più importanti dischi mod di sempre.
Un perfetto mix di rabbia adolescenziale, beat, rhythm and bues (la grande cover di “Going to a go go” di S.Robinson) e hit senza tempo come “Time for action” (singolo arrivato al 13° posto delle chart inglesi), “Glory boys” , Let your heart dance”. Il sound è diretto, urgente ma allo stesso tempo raffinato ed elegante (la tromba solista di Ian page è un'aggiunta distintiva).
In pieno mod revival tocca il 41° posto delle classifiche inglesi.
Behind Closed Doors 1980
Diversamente dall'esordio il cantante Ian Page e il chitarrista Dave Cairns compongono separatamente.
Più articolata e pop la scrittura di page, più classicamente ed energica quella di Cairns.
La band cerca di uscire dalla ricetta semplice e diretta dell’album precedente, raffina gli arrangiamenti (si aggiungono archi e sonorità quasi sinfoniche a tratti jazzy), le composizioni si fanno complesse e più ricercate.
Meno immediato ma più maturo e di nuovo validissimo.
Non ebbe molta fortuna, toccando il 48° posto in classifica ma piazzando il singolo "My world" al sedicesimo.
Business As Usual 1982
Il loro capolavoro. Composizioni di altissimo livello dove pop, beat, Sixties, un ritorno a un sound più basico, soul e diretto degli esordi si fondono alla perfezione. Non c'è più il batterista Seb Shelton (passato ai Dexy's Midnight Runners), arriva Paul Bultitude, successivo membro dei Jetset. la band suona a meraviglia, le canzoni funzionano. Ma sarà una cocente delusione e un falliment ototale.
L'album non entra in classifica, vende poco più di 10.000 copie, i concerti sono semi deserti ("un incubo con la preoccupazione che arrivasse abbastanza per coprire almeno le spese"), la critica li ignora o stronca.
La band si scioglie.
Soho Dreams 2012
Con classe, creatività, freschezza, spontaneità e un’incredibile, immensa, personalità riescono nel raro intento di conservare le caratteristiche dei loro tre pur diversi album e di proporsi con qualcosa di decisamente nuovo e originale.
Ritroviamo ritmiche e approcci decisamente soul, gli arrangiamenti ricercati di fiati, l’elettrica intensità degli esordi ma anche un’incredibile capacità compositiva, una maturità stilistica e una serie di canzoni, spesso ambiziose e complesse. La voce di Ian Page si esibisce senza paura in voli difficili, la chitarra di Cairns è potente, in costante evidenza ma allo stesso tempo perfettamente adeguata in ogni intervento, mai invasiva, la sezione ritmica è precisa, professionale e ispirata, la sezione fiati in grande forma.
DISCOGRAFIA 45 giri
Time For Action / Soho strut - 1979
Let Your Heart Dance / Sorry, Wrong Number - 1979
My World / So Cool - 1980
Sound Of Confusion / Take It Or Leave It - 1980
Do You Know/ Dance master - 1981
Lost in the night / The Big Beat 1982
Do I love you (indeed I do) / Crumble Gunn - 2016
inoltre (oltre ad alcune esaustive compilations)
CITY OF DREAMS (1988. Vinile in 1000 copie. Registrazione del concerto al "Mods Mayday 1979)
LIVE AT THE SCALA (un live + DVD del 2003)
NEW HEARTS - A secret Affair (un CD con 29 brani del periodo New Hearts con alcuni brani in versione demo che finiranno negli album dei Secret Affair.
Time for action
https://www.youtube.com/watch?v=oZCOwnMEVvE
Let your heart dance
https://www.youtube.com/watch?v=rVv8ca17oxw
My world
https://www.youtube.com/watch?v=Eq31LxmypjM
Sound of confusion
https://www.youtube.com/watch?v=1A2BFFerFWo
Lost in the night
https://www.youtube.com/watch?v=O0Qlx3eyDzY
Do you know
https://www.youtube.com/watch?v=bxxYwL6W3JQ
martedì, novembre 28, 2023
Smells like Dún Laoghaire - Top Hat Ballroom
L'amico MICHELE SAVINI, che vive da tempo a DUBLINO ci introduce a una serie di particolarità interessanti made in Irlanda, nella nuova rubrica The Auld Triangle: narrazioni dalla Repubblica d'Irlanda.
Le precedenti puntate sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Tringle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda
Oggi per la rubrica “The Auld Triangle” viaggiamo sino a Dún Laoghaire, situata sulla scintillante costa meridionale della baia di Dublino, a soli 12 km dalla capitale.
La cittadina è prevalentemente conosciuta per il suo porto che ospita una seria di Yatch club ed è il principale punto di partenza dei traghetti diretti in Gran Bretagna.
Storicamente, uno degli avvenimenti più importanti verificatosi qui, fu la presenza di Guglielmo Marconi, che il 21 luglio 1898, durante la Queen's Cup Regatta, a bordo della "Flying Huntress" fu il fautore della prima radiocronaca sportiva trasmessa in diretta dal luogo dell'evento.
La storia è raccontata tra l’altro nella canzone "Kingstown Regatta", dei Modena City Ramblers.
Musicalmente parlando Dún Laoghaire (con il massimo rispetto per Guglielmo Marconi ovviamente) è ben più nota per aver dato i natali a Ronnie Drew dei Dubliners e a Bob Ghendolf, nonché luogo di fondazione dei suoi The Boomtown Rats. E’ stata inoltre sede dello storico Top Hat Ballroom, uno dei locali di musica dal vivo più famosi del paese. (una foto del’entrata Top Hat Ballroom)
Situato in Cumberland Street nel sobborgo di Monkstown, fu inaugurato nel 1953 e nel corso degli anni ha offerto una vasta varietà di generi musicali, svolgendo un ruolo fondamentale nella vita culturale di tutta la Dublin Bay, visto Il suo impatto estesosi ben oltre la zona, in un periodo in cui quasi nessun artista internazionale veniva a Dublino o in Irlanda, figuriamoci nella sonnolente cittadina marittima di Dún Laoghaire ….
Il Top Hat ha vissuto il suo maggior momento di splendore durante le decadi ‘80 e ‘90, quando tra le sue mura ha ospitato nomi del calibro di The Clash, Patti Smith, Metallica, The Jam, The Stranglers, The Jesus and Mary Chain, The Pogues e perfino dei giovanissimi U2, solo per citarne alcuni. (i biglietti dei concerti di The Clash, The Jam e Patty Smith al Top Hat Ballroom)
Chiuso a metà degli anni 90, è stato successivamente demolito per dar spazio a un blocco di appartamenti chiamato De Vesci House.
Il locale è stato anche una delle location utilizzate per le riprese del film The Commitments, nella celebra scena in cui il buttafuori improvvisato batterista Mickah Wallace, salta giù dal palco durante “Chain of Fools” per salvare il manager Jimmy Rabbitte da un gruppo di esattori.
Video della scena girata al Top Hat Ballroom:
https://www.youtube.com/watch?v=T08xoT7KRwU
La commedia musicale di Alan Parker The Commitments, esce nell’ Ottobre del 1991, pochi mesi dopo una delle più chiacchierate performance della storia del Top Hat, quella dei Sonic Youth, il 21 Agosto del 1991.
Ad accompagnarli nel mini tour irlandese che prevedeva anche una data al “Sir Henry’s” di Cork, una giovane band si Seattle chiamata Nirvana. Cosi in una notte infrasettimanale di fine estate di 32 anni fa, con le due band in Europa per una serie di concerti che includono anche la loro presenza al Reading Festival del 1991, capita che ad assistere con curiosità all’esibizione di circa 40 minuti della band “spalla” dei Sonic Youth, con il solo album Bleach all’attivo, ci siano solo pochissime decine di giovani, nonostante la moltitudine di persone che affermi di essere sta lì quella sera. (Biglietto del Concerto) Le testimonianze raccontano di un Kurt Cobain molto amichevole e calorosamente coinvolgente con chiunque si fermasse a salutare o complimentarsi per l’esibizione della sua band.
Kurt aveva infatti origini irlandesi, visto che i suoi antenati, originariamente chiamati Cobane, emigrarono da Carrickmore, situata nella contea irlandese di Tyrone, nel 1875 direzione Canada, prima di trasferirsi a Washington.
Molti dei partecipanti al concerto sostengono che la performance di Kurt e soci sia stata la migliore della serata, con i Nirvana che rubano un po’ la scena ai comunque sensazionali Sonic Youth.
C’è chi sostiene che al concerto abbia assistito anche una divertitissima Sinead O’Connor.
Circa due settimane dopo, il 10 settembre 1991, i Nirvana pubblicheranno il primo singolo del nuovo album, quella "Smells Like Teen Spirit" che cambia tutto e che insieme all’ uscita di Nevermind, in poco più di due mesi li trasforma nella la più grande band del pianeta. Qui di seguito la scalette della serata:
Nirvana
School
Floyd the Barber
Drain You
Smells Like Teen Spirit
Come as You Are
Breed
Sliver
Molly's Lips (The Vaselines cover)
Love Buzz (Shocking Blue cover) Negative Creep
On a Plain
Blew
Territorial Pissings
Sonic Youth Setlist:
Schizophrenia
White Kross
Brother James
Orange Rolls, Angel's Spit
Eric's Trip
Flower
Tunic (Song for Karen)
Dirty Boots
Chapel Hill
Mary-Christ
Kool Thing
Expressway to Yr. Skull
(Nirvana in azione al Top Hat. Si può notare la batteria dei Sonic Youth dietro a Dave Grohl)
I Nirvana torneranno successivamente in terra Irlandese nel 1992, sotto le spoglie della più grande band del mondo e avrebbero dovuto farlo di nuovo anche l’ 8 Aprile del 1994, per un attesissimo concerto all’ RDS di Dublino, se non fosse che 3 giorni prima Kurt Cobain si toglie la vita a Seattle ponendo fine alla storia della band.
La morte di Kurt lascia i componenti della band in uno stato confusionale tale che il loro futuro nel mondo della musica è tutt’altro che scontato.
Nel suo libro di memorie recentemente pubblicato "Dave Grohl: The Storyteller", l’ex batterista dei Nirvana rivela un interessante storia a riguardo e racconta come un viaggio nel Ring of Kerry in Irlanda a metà degli anni 90, sia stato inspiratorio per il proseguo della sua carriera.
"Dopo la fine dei Nirvana, non ero del tutto sicuro di cosa avrei fatto. Non riuscivo più ad ascoltare musica e non ero sicuro di voler continuare a suonare. Ero giovane, penso di avere avuto 25 anni. Così ho pensato di andarmene in un posto sperduto e poco popolato per ritrovare me stesso e ho deciso di fare un viaggio nel Ring of Kerry”.
Il Ring of Kerry è una strada panoramica che costeggia la penisola di Iveragh nel sud-ovest della contea Kerry, in Irlanda.
Il percorso circolare di 179 km si snoda tra aspri e verdeggianti paesaggi costieri e affascinanti paesini rurali sul mare.
“Ero già stato in Irlanda e avevo già fatto il giro del Ring of Kerry una volta, quindi ho noleggiato un'auto e ho cominciato a girare, cercando solo di capire cosa fare con il resto della mia vita”
E cosi, mentre percorre una tranquilla strada di campagna immerso tra i suoi pensieri, Dave vede in lontananza un autostoppista.
E’ giovane, indossa un parka per proteggersi dall’ infausta pioggia irlandese che sta cadendo in quel momento e Dave pensa tra se e se “forse dovrei caricarlo”.
In fondo, il rischio di essere riconosciuti nel bel mezzo delle sperduta e verde Irlanda è abbastanza basso.
Più si avvicina più la convinzione di dare un passaggio al ragazzo aumenta se non fosse che , a pochi metri da lui, Dave nota che il giovane autostoppista indossa una maglia di Kurt Cobain.
“E’ stato come un segno. In quel momento ho capito che non sarei mai riuscito a sfuggire al mio passato, perfino nel più remoto e sperduto posto sulla faccia della terra.
E’ stato quello il momento in cui ho capito che sarei dovuto tornare a casa e ricominciare tutto da capo. Ed è allora che ho fondato i Foo Fighters."
Dave Grohl non è certo né la prima, ne l’ultima persona a trovare inspirazione grazie ad un viaggio nel mistico Ring of Kerry, ma il pensiero va al giovane autostoppista con il parka, che aspetta fiducioso sotto la pioggia.
Grazie, ragazzo con la t-shirt di Kurt. --
Le precedenti puntate sono qui:
https://tonyface.blogspot.com/search/label/The%20Auld%20Tringle%3A%20narrazioni%20dalla%20Repubblica%20d%27Irlanda
Oggi per la rubrica “The Auld Triangle” viaggiamo sino a Dún Laoghaire, situata sulla scintillante costa meridionale della baia di Dublino, a soli 12 km dalla capitale.
La cittadina è prevalentemente conosciuta per il suo porto che ospita una seria di Yatch club ed è il principale punto di partenza dei traghetti diretti in Gran Bretagna.
Storicamente, uno degli avvenimenti più importanti verificatosi qui, fu la presenza di Guglielmo Marconi, che il 21 luglio 1898, durante la Queen's Cup Regatta, a bordo della "Flying Huntress" fu il fautore della prima radiocronaca sportiva trasmessa in diretta dal luogo dell'evento.
La storia è raccontata tra l’altro nella canzone "Kingstown Regatta", dei Modena City Ramblers.
Musicalmente parlando Dún Laoghaire (con il massimo rispetto per Guglielmo Marconi ovviamente) è ben più nota per aver dato i natali a Ronnie Drew dei Dubliners e a Bob Ghendolf, nonché luogo di fondazione dei suoi The Boomtown Rats. E’ stata inoltre sede dello storico Top Hat Ballroom, uno dei locali di musica dal vivo più famosi del paese. (una foto del’entrata Top Hat Ballroom)
Situato in Cumberland Street nel sobborgo di Monkstown, fu inaugurato nel 1953 e nel corso degli anni ha offerto una vasta varietà di generi musicali, svolgendo un ruolo fondamentale nella vita culturale di tutta la Dublin Bay, visto Il suo impatto estesosi ben oltre la zona, in un periodo in cui quasi nessun artista internazionale veniva a Dublino o in Irlanda, figuriamoci nella sonnolente cittadina marittima di Dún Laoghaire ….
Il Top Hat ha vissuto il suo maggior momento di splendore durante le decadi ‘80 e ‘90, quando tra le sue mura ha ospitato nomi del calibro di The Clash, Patti Smith, Metallica, The Jam, The Stranglers, The Jesus and Mary Chain, The Pogues e perfino dei giovanissimi U2, solo per citarne alcuni. (i biglietti dei concerti di The Clash, The Jam e Patty Smith al Top Hat Ballroom)
Chiuso a metà degli anni 90, è stato successivamente demolito per dar spazio a un blocco di appartamenti chiamato De Vesci House.
Il locale è stato anche una delle location utilizzate per le riprese del film The Commitments, nella celebra scena in cui il buttafuori improvvisato batterista Mickah Wallace, salta giù dal palco durante “Chain of Fools” per salvare il manager Jimmy Rabbitte da un gruppo di esattori.
Video della scena girata al Top Hat Ballroom:
https://www.youtube.com/watch?v=T08xoT7KRwU
La commedia musicale di Alan Parker The Commitments, esce nell’ Ottobre del 1991, pochi mesi dopo una delle più chiacchierate performance della storia del Top Hat, quella dei Sonic Youth, il 21 Agosto del 1991.
Ad accompagnarli nel mini tour irlandese che prevedeva anche una data al “Sir Henry’s” di Cork, una giovane band si Seattle chiamata Nirvana. Cosi in una notte infrasettimanale di fine estate di 32 anni fa, con le due band in Europa per una serie di concerti che includono anche la loro presenza al Reading Festival del 1991, capita che ad assistere con curiosità all’esibizione di circa 40 minuti della band “spalla” dei Sonic Youth, con il solo album Bleach all’attivo, ci siano solo pochissime decine di giovani, nonostante la moltitudine di persone che affermi di essere sta lì quella sera. (Biglietto del Concerto) Le testimonianze raccontano di un Kurt Cobain molto amichevole e calorosamente coinvolgente con chiunque si fermasse a salutare o complimentarsi per l’esibizione della sua band.
Kurt aveva infatti origini irlandesi, visto che i suoi antenati, originariamente chiamati Cobane, emigrarono da Carrickmore, situata nella contea irlandese di Tyrone, nel 1875 direzione Canada, prima di trasferirsi a Washington.
Molti dei partecipanti al concerto sostengono che la performance di Kurt e soci sia stata la migliore della serata, con i Nirvana che rubano un po’ la scena ai comunque sensazionali Sonic Youth.
C’è chi sostiene che al concerto abbia assistito anche una divertitissima Sinead O’Connor.
Circa due settimane dopo, il 10 settembre 1991, i Nirvana pubblicheranno il primo singolo del nuovo album, quella "Smells Like Teen Spirit" che cambia tutto e che insieme all’ uscita di Nevermind, in poco più di due mesi li trasforma nella la più grande band del pianeta. Qui di seguito la scalette della serata:
Nirvana
School
Floyd the Barber
Drain You
Smells Like Teen Spirit
Come as You Are
Breed
Sliver
Molly's Lips (The Vaselines cover)
Love Buzz (Shocking Blue cover) Negative Creep
On a Plain
Blew
Territorial Pissings
Sonic Youth Setlist:
Schizophrenia
White Kross
Brother James
Orange Rolls, Angel's Spit
Eric's Trip
Flower
Tunic (Song for Karen)
Dirty Boots
Chapel Hill
Mary-Christ
Kool Thing
Expressway to Yr. Skull
(Nirvana in azione al Top Hat. Si può notare la batteria dei Sonic Youth dietro a Dave Grohl)
I Nirvana torneranno successivamente in terra Irlandese nel 1992, sotto le spoglie della più grande band del mondo e avrebbero dovuto farlo di nuovo anche l’ 8 Aprile del 1994, per un attesissimo concerto all’ RDS di Dublino, se non fosse che 3 giorni prima Kurt Cobain si toglie la vita a Seattle ponendo fine alla storia della band.
La morte di Kurt lascia i componenti della band in uno stato confusionale tale che il loro futuro nel mondo della musica è tutt’altro che scontato.
Nel suo libro di memorie recentemente pubblicato "Dave Grohl: The Storyteller", l’ex batterista dei Nirvana rivela un interessante storia a riguardo e racconta come un viaggio nel Ring of Kerry in Irlanda a metà degli anni 90, sia stato inspiratorio per il proseguo della sua carriera.
"Dopo la fine dei Nirvana, non ero del tutto sicuro di cosa avrei fatto. Non riuscivo più ad ascoltare musica e non ero sicuro di voler continuare a suonare. Ero giovane, penso di avere avuto 25 anni. Così ho pensato di andarmene in un posto sperduto e poco popolato per ritrovare me stesso e ho deciso di fare un viaggio nel Ring of Kerry”.
Il Ring of Kerry è una strada panoramica che costeggia la penisola di Iveragh nel sud-ovest della contea Kerry, in Irlanda.
Il percorso circolare di 179 km si snoda tra aspri e verdeggianti paesaggi costieri e affascinanti paesini rurali sul mare.
“Ero già stato in Irlanda e avevo già fatto il giro del Ring of Kerry una volta, quindi ho noleggiato un'auto e ho cominciato a girare, cercando solo di capire cosa fare con il resto della mia vita”
E cosi, mentre percorre una tranquilla strada di campagna immerso tra i suoi pensieri, Dave vede in lontananza un autostoppista.
E’ giovane, indossa un parka per proteggersi dall’ infausta pioggia irlandese che sta cadendo in quel momento e Dave pensa tra se e se “forse dovrei caricarlo”.
In fondo, il rischio di essere riconosciuti nel bel mezzo delle sperduta e verde Irlanda è abbastanza basso.
Più si avvicina più la convinzione di dare un passaggio al ragazzo aumenta se non fosse che , a pochi metri da lui, Dave nota che il giovane autostoppista indossa una maglia di Kurt Cobain.
“E’ stato come un segno. In quel momento ho capito che non sarei mai riuscito a sfuggire al mio passato, perfino nel più remoto e sperduto posto sulla faccia della terra.
E’ stato quello il momento in cui ho capito che sarei dovuto tornare a casa e ricominciare tutto da capo. Ed è allora che ho fondato i Foo Fighters."
Dave Grohl non è certo né la prima, ne l’ultima persona a trovare inspirazione grazie ad un viaggio nel mistico Ring of Kerry, ma il pensiero va al giovane autostoppista con il parka, che aspetta fiducioso sotto la pioggia.
Grazie, ragazzo con la t-shirt di Kurt. --
lunedì, novembre 27, 2023
John Cage
Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà" su John Cage, ovviamente declinato in chiave "superficiale", essendo rivolto a un pubblico generalista.
Paradossalmente uno degli artisti e musicisti più rappresentativi della musica contemporanea è conosciuto per un brano di totale silenzio.
Il 28 febbraio 1948, durante una conferenza al Vassar College, nello stato di New York, il compositore John Cage parlò per la prima volta di quella che diventerà la sua composizione più celebre:
“Ho per desiderio il comporre un brano di ininterrotto silenzio e di venderlo alla Muzak Corporation. Sarà lungo tre minuti o quattro secondi e mezzo, dato che queste sono le durate standard della musica preregistrata, e s’intitolerà “Silent Prayer".
Il brano “4’33” vide la luce solo quattro anni dopo: tre movimenti “per qualunque strumento musicale o ensemble” ovvero l'annullamento del suono a favore della riproduzione dei rumori dell’ambiente circostante.
La “musica” è generata dai rumori involontari o meno dell'esecutore e del pubblico. In partitura è indicato "tacet": è come se il pianista avesse una lunga pausa dall'inizio alla fine del pezzo, che deve durare per l'appunto quattro minuti e trentatré secondi. Lo spartito dà istruzione all'esecutore di non suonare per tutta la durata del brano nei tre movimenti: il primo di 30 secondi, il secondo di 2 minuti e 23 secondi, il terzo di 1 minuto e 40 secondi.
La durata della composizione è un riferimento allo zero assoluto: quattro minuti e trentatré secondi corrispondono a 273 secondi, e lo zero assoluto è posizionato a -273.15 °C, temperatura irraggiungibile, come il silenzio assoluto. A eseguirlo per primo fu il pianista David Tudor, a Woodstock, il 29 agosto 1952.
“Non esiste il silenzio. Quello che credevano fosse silenzio, poiché ignoravano come ascoltare, era pieno di suoni accidentali. Durante il primo movimento si poteva sentire il vento che soffiava dall'esterno. Durante il secondo movimento gocce di pioggia cominciavano a picchiettare sul tetto, e durante il terzo la gente stessa produceva ogni genere di suono interessante parlando o uscendo dalla sala” (John Cage).
La poliedricità espressiva di Cage si è riflessa in tutta la sua opera.
Valga ad esempio la recente stampa, inedita in Italia, del suo libro “Un anno, a partire da lunedì. Dopo Silenzio” (a cura di Shake Edizioni nella collana "Classici della Nuova Musica", a cura di Massimiliano Viel, dedicata a una serie di libri scritti da compositori che hanno rivoluzionato il modo di scrivere, fare e pensare la musica di tradizione europea), che ne mette in luce (a partire dalla surreale impaginazione che ne evidenzia l'originalità e il peculiare accostamento alla scrittura, specchio della sua visione musicale e artistica) l'eclettismo di Cage ma anche l'estremo gusto per l'ironia e l'amore per le brevi storie, piccoli affreschi quotidiani, spesso bizzarri e spassosi.
John Cage, nato nel 1912, figlio di un inventore, fu, fin da giovane, un personaggio piuttosto particolare, curioso, esplosivo, che pensò di diventare pastore metodista, architetto, pittore, poeta, scrittore.
Il suo primo approccio con la musica è da percussionista.
Non di tamburi ma di mobili o oggetti recuperati dalla spazzatura. Quando elabora nuove teorie musicali trova l’appoggio del compositore Arnold Schonberg, fuggito in America a causa delle persecuzioni naziste.
Attraverso una costante e progressiva volontà di sperimentare arriva a concretizzare una nuova modalità per suonare il pianoforte ovvero il “Pianoforte preparato” (già sperimentato da Erik Satie e Henry Cowell), che utilizza per la sua composizione “Bacchanale”.
Il “nuovo strumento” utilizza un pianoforte, sulle corde del quale vengono posizionati oggetti (una piastra di metallo, un libro, pezzi di carta) in modo da modificarne suono e timbro.
“Mi ricordai del suono che emetteva il pianoforte quando Henry Cowell percuoteva le corde o le pizzicava.
Vi faceva scorrere degli aghi di metallo. Andai in cucina, presi un piatto per le torte e lo misi con un libro sulle corde; così realizzai che stavo procedendo nella direzione giusta”.
Lavorerà a lungo con questa tecnica per poi passare ad altre forme di sperimentazione, inserisce idee mutuate dall’approfondimento e conoscenza di filosofie orientali e Buddismo Zen, diventa un pioniere del concetto di “happening”, l’incontro sull'unione di musica, danza, poesia, teatro, arti visive.
Nel 1951 si rinchiuse nella stanza anecoica dei Bell Labs, una stanza isolata da qualsiasi rumore esterno, uno spazio acusticamente morto. Dopo qualche minuto avvertì un sordo martellìo e un fruscio sibilante: il battito del cuore e il rumore del sangue che scorre nelle vene.
Poi un fischio acuto quasi insopportabile: il rumore del suo sistema nervoso.
Un’esperienza che influenzerà profondamente il suo concetto di musica (a partire dalla citata composizione “4’33”):
“I rumori sono utili alla nuova musica quanto le cosiddette note musicali, per il semplice motivo che sono suoni”, scrive in Silenzio, suo libro del 1961.
La musica è in primo luogo nel mondo che ci circonda, in una macchina per scrivere o nel battito del cuore e soprattutto nei silenzi. Dovunque ci troviamo, quello che sentiamo è sempre rumore. Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina”.
Celebre in Italia la sua apparizione nel 1959 a “Lascia o raddoppia?”, condotto da Mike Bongiorno in cui vinse cinque milioni di lire come concorrente esperto di funghi (sua grande passione). Ma si esibì anche con la composizione “Water walk”, utilizzando come strumenti una vasca da bagno, un innaffiatoio, cinque radio, un pianoforte, dei cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e un vaso di fiori.
Un tratto comune alla sua opera e visione artistica è l’uso dell’ironia, della risata, tanto provocatoria quanto liberatoria.
In Italia altrettanto conosciuto l’happening che si svolse tra il 26 e il 28 giugno 1978, nell'ambito delle "Feste musicali", nei dintorni di Bologna, con la performance artistico-musicale "Il treno di John Cage" ovvero tre escursioni in treno (sulle linee Bologna-Porretta, Bologna-Ravenna, Ravenna-Rimini) guidate e progettate da Cage.
L'happening ebbe luogo nel corso del viaggio sulle carrozze ferroviarie e alle stazioni di fermata. Si basa sulla registrazione e l'interazione di suoni ambientali, prodotti dal treno e dalle persone presenti. All'evento “Il treno di John Cage” parteciparono artisti come Demetrio Stratos degli Area, Walter Marchetti, Juan Hidalgo, Daniel Charles. Trent'anni più tardi nel 2008, sempre a Bologna, furono celebrate due giornate in ricordo del Treno di John Cage: Take the Cage train.
Tra le tante esperienze da ricordare anche quando il 5 marzo 1968 a Toronto, l’iniziatore dell’arte concettuale e protagonista della scena dadaista e surrealista, Marcel Duchamp e John Cage giocarono a scacchi musicali. L'incontro / happening, intitolato "Reunion", attirò centinaia di spettatori al Ryerson Theatre, dove i due attivarono un'esperienza uditiva unica attraverso una scacchiera appositamente costruita che ad ogni singola mossa, produceva suoni elettronici. Cage chiese a Lowell Cross ( ricercatore associato presso gli Electronic Music Studios dell'Università di Toronto) di creare una scacchiera specializzata per l'occasione. La scacchiera funzionava attraverso 64 fotoresistenze, che si collegavano a quattro "generatori di suoni", ognuno attivando una composizione diversa.
I microfoni interni sotto il tavolo amplificavano i suoni degli scacchi che si muovevano attraverso il pannello, mentre immagini oscilloscopiche uscivano da televisori a colori modificati, che fornivano il monitoraggio visivo di alcuni degli eventi sonori che passavano attraverso la scacchiera. Duchamp, valente scacchista, vinse in meno di 30 minuti.
Progressivamente John Cage approfondisce tematiche sociali, ambientaliste, esplora il ruolo dell’arte nella politica, prosegue musicalmente con composizioni sempre più complesse e astratte, come i Freeman Etudes per solo violino, giudicati quasi impossibili da eseguire.
Cage ci lascia nel 1992 all’età di 79 anni con un’eredità artistica, intellettuale e musicale immensa, difficile da analizzare e condensare in poche righe.
“Cambiare significa allontanare la mente dai pregiudizi e renderla disponibile ad esperienze diverse da ciò che ha imparato ad accettare acriticamente.
Non riesco proprio a capire perché la gente sia così spaventata dalle idee nuove: io sono spaventato dalle vecchie”.
Paradossalmente uno degli artisti e musicisti più rappresentativi della musica contemporanea è conosciuto per un brano di totale silenzio.
Il 28 febbraio 1948, durante una conferenza al Vassar College, nello stato di New York, il compositore John Cage parlò per la prima volta di quella che diventerà la sua composizione più celebre:
“Ho per desiderio il comporre un brano di ininterrotto silenzio e di venderlo alla Muzak Corporation. Sarà lungo tre minuti o quattro secondi e mezzo, dato che queste sono le durate standard della musica preregistrata, e s’intitolerà “Silent Prayer".
Il brano “4’33” vide la luce solo quattro anni dopo: tre movimenti “per qualunque strumento musicale o ensemble” ovvero l'annullamento del suono a favore della riproduzione dei rumori dell’ambiente circostante.
La “musica” è generata dai rumori involontari o meno dell'esecutore e del pubblico. In partitura è indicato "tacet": è come se il pianista avesse una lunga pausa dall'inizio alla fine del pezzo, che deve durare per l'appunto quattro minuti e trentatré secondi. Lo spartito dà istruzione all'esecutore di non suonare per tutta la durata del brano nei tre movimenti: il primo di 30 secondi, il secondo di 2 minuti e 23 secondi, il terzo di 1 minuto e 40 secondi.
La durata della composizione è un riferimento allo zero assoluto: quattro minuti e trentatré secondi corrispondono a 273 secondi, e lo zero assoluto è posizionato a -273.15 °C, temperatura irraggiungibile, come il silenzio assoluto. A eseguirlo per primo fu il pianista David Tudor, a Woodstock, il 29 agosto 1952.
“Non esiste il silenzio. Quello che credevano fosse silenzio, poiché ignoravano come ascoltare, era pieno di suoni accidentali. Durante il primo movimento si poteva sentire il vento che soffiava dall'esterno. Durante il secondo movimento gocce di pioggia cominciavano a picchiettare sul tetto, e durante il terzo la gente stessa produceva ogni genere di suono interessante parlando o uscendo dalla sala” (John Cage).
La poliedricità espressiva di Cage si è riflessa in tutta la sua opera.
Valga ad esempio la recente stampa, inedita in Italia, del suo libro “Un anno, a partire da lunedì. Dopo Silenzio” (a cura di Shake Edizioni nella collana "Classici della Nuova Musica", a cura di Massimiliano Viel, dedicata a una serie di libri scritti da compositori che hanno rivoluzionato il modo di scrivere, fare e pensare la musica di tradizione europea), che ne mette in luce (a partire dalla surreale impaginazione che ne evidenzia l'originalità e il peculiare accostamento alla scrittura, specchio della sua visione musicale e artistica) l'eclettismo di Cage ma anche l'estremo gusto per l'ironia e l'amore per le brevi storie, piccoli affreschi quotidiani, spesso bizzarri e spassosi.
John Cage, nato nel 1912, figlio di un inventore, fu, fin da giovane, un personaggio piuttosto particolare, curioso, esplosivo, che pensò di diventare pastore metodista, architetto, pittore, poeta, scrittore.
Il suo primo approccio con la musica è da percussionista.
Non di tamburi ma di mobili o oggetti recuperati dalla spazzatura. Quando elabora nuove teorie musicali trova l’appoggio del compositore Arnold Schonberg, fuggito in America a causa delle persecuzioni naziste.
Attraverso una costante e progressiva volontà di sperimentare arriva a concretizzare una nuova modalità per suonare il pianoforte ovvero il “Pianoforte preparato” (già sperimentato da Erik Satie e Henry Cowell), che utilizza per la sua composizione “Bacchanale”.
Il “nuovo strumento” utilizza un pianoforte, sulle corde del quale vengono posizionati oggetti (una piastra di metallo, un libro, pezzi di carta) in modo da modificarne suono e timbro.
“Mi ricordai del suono che emetteva il pianoforte quando Henry Cowell percuoteva le corde o le pizzicava.
Vi faceva scorrere degli aghi di metallo. Andai in cucina, presi un piatto per le torte e lo misi con un libro sulle corde; così realizzai che stavo procedendo nella direzione giusta”.
Lavorerà a lungo con questa tecnica per poi passare ad altre forme di sperimentazione, inserisce idee mutuate dall’approfondimento e conoscenza di filosofie orientali e Buddismo Zen, diventa un pioniere del concetto di “happening”, l’incontro sull'unione di musica, danza, poesia, teatro, arti visive.
Nel 1951 si rinchiuse nella stanza anecoica dei Bell Labs, una stanza isolata da qualsiasi rumore esterno, uno spazio acusticamente morto. Dopo qualche minuto avvertì un sordo martellìo e un fruscio sibilante: il battito del cuore e il rumore del sangue che scorre nelle vene.
Poi un fischio acuto quasi insopportabile: il rumore del suo sistema nervoso.
Un’esperienza che influenzerà profondamente il suo concetto di musica (a partire dalla citata composizione “4’33”):
“I rumori sono utili alla nuova musica quanto le cosiddette note musicali, per il semplice motivo che sono suoni”, scrive in Silenzio, suo libro del 1961.
La musica è in primo luogo nel mondo che ci circonda, in una macchina per scrivere o nel battito del cuore e soprattutto nei silenzi. Dovunque ci troviamo, quello che sentiamo è sempre rumore. Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina”.
Celebre in Italia la sua apparizione nel 1959 a “Lascia o raddoppia?”, condotto da Mike Bongiorno in cui vinse cinque milioni di lire come concorrente esperto di funghi (sua grande passione). Ma si esibì anche con la composizione “Water walk”, utilizzando come strumenti una vasca da bagno, un innaffiatoio, cinque radio, un pianoforte, dei cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore e un vaso di fiori.
Un tratto comune alla sua opera e visione artistica è l’uso dell’ironia, della risata, tanto provocatoria quanto liberatoria.
In Italia altrettanto conosciuto l’happening che si svolse tra il 26 e il 28 giugno 1978, nell'ambito delle "Feste musicali", nei dintorni di Bologna, con la performance artistico-musicale "Il treno di John Cage" ovvero tre escursioni in treno (sulle linee Bologna-Porretta, Bologna-Ravenna, Ravenna-Rimini) guidate e progettate da Cage.
L'happening ebbe luogo nel corso del viaggio sulle carrozze ferroviarie e alle stazioni di fermata. Si basa sulla registrazione e l'interazione di suoni ambientali, prodotti dal treno e dalle persone presenti. All'evento “Il treno di John Cage” parteciparono artisti come Demetrio Stratos degli Area, Walter Marchetti, Juan Hidalgo, Daniel Charles. Trent'anni più tardi nel 2008, sempre a Bologna, furono celebrate due giornate in ricordo del Treno di John Cage: Take the Cage train.
Tra le tante esperienze da ricordare anche quando il 5 marzo 1968 a Toronto, l’iniziatore dell’arte concettuale e protagonista della scena dadaista e surrealista, Marcel Duchamp e John Cage giocarono a scacchi musicali. L'incontro / happening, intitolato "Reunion", attirò centinaia di spettatori al Ryerson Theatre, dove i due attivarono un'esperienza uditiva unica attraverso una scacchiera appositamente costruita che ad ogni singola mossa, produceva suoni elettronici. Cage chiese a Lowell Cross ( ricercatore associato presso gli Electronic Music Studios dell'Università di Toronto) di creare una scacchiera specializzata per l'occasione. La scacchiera funzionava attraverso 64 fotoresistenze, che si collegavano a quattro "generatori di suoni", ognuno attivando una composizione diversa.
I microfoni interni sotto il tavolo amplificavano i suoni degli scacchi che si muovevano attraverso il pannello, mentre immagini oscilloscopiche uscivano da televisori a colori modificati, che fornivano il monitoraggio visivo di alcuni degli eventi sonori che passavano attraverso la scacchiera. Duchamp, valente scacchista, vinse in meno di 30 minuti.
Progressivamente John Cage approfondisce tematiche sociali, ambientaliste, esplora il ruolo dell’arte nella politica, prosegue musicalmente con composizioni sempre più complesse e astratte, come i Freeman Etudes per solo violino, giudicati quasi impossibili da eseguire.
Cage ci lascia nel 1992 all’età di 79 anni con un’eredità artistica, intellettuale e musicale immensa, difficile da analizzare e condensare in poche righe.
“Cambiare significa allontanare la mente dai pregiudizi e renderla disponibile ad esperienze diverse da ciò che ha imparato ad accettare acriticamente.
Non riesco proprio a capire perché la gente sia così spaventata dalle idee nuove: io sono spaventato dalle vecchie”.
venerdì, novembre 24, 2023
Booker T. And The M.G.'s – Up Tight (Music From The Score Of The Motion Picture)
Spettacolare colonna sonora del film "Up-Tight" di Jules Dassin (in italiano "Tradimento") del 1968, basato sul film "The informer" del 1965, con elementi proto Blaxploitation e un ritratto della militanza afroamericana dell'epoca, piuttosto accurata e fedele alla realtà, senza "ammorbidimenti" o compromessi.
Booker T and the Mg's si calano alla perfezione nel mood del film con poderosi strumentali che si allontanano dal consueto soul jazz raffinato (vedi la potente "We've got Johnny wells").
Booker T. canta l'iniziale "Johnny I love you" mentre Judy Clay della gospel soul band Drinkard Singers, che lavorò con Ray Charles, Aretha Franklin, Van Morrison, Donny Hathaway e Wilson Pickett, presta la sua stupenda voce a "Children, Don't Get Weary".
Chiude l'album uno dei maggiori successi della band, "Time is tight", coverizzata poi dai Clash e dal loro batterista Topper Headon nel suo unico album solista, oltre ad apparire all'inizio del concerto finale dei Blues Brothers nell'omonimo film.
Uptight. Il film in lingua originale
https://www.youtube.com/watch?v=gam5QLZaYlk
Booker T & the Mg's - Time is tight
https://www.youtube.com/watch?v=hgPz_a3VHoQ
The Clash - Time is tight
https://www.youtube.com/watch?v=5-Lj9yzct3U
Topper Headon - Time is tight
https://www.youtube.com/watch?v=LZWRcq4hTsI
Booker T and the Mg's si calano alla perfezione nel mood del film con poderosi strumentali che si allontanano dal consueto soul jazz raffinato (vedi la potente "We've got Johnny wells").
Booker T. canta l'iniziale "Johnny I love you" mentre Judy Clay della gospel soul band Drinkard Singers, che lavorò con Ray Charles, Aretha Franklin, Van Morrison, Donny Hathaway e Wilson Pickett, presta la sua stupenda voce a "Children, Don't Get Weary".
Chiude l'album uno dei maggiori successi della band, "Time is tight", coverizzata poi dai Clash e dal loro batterista Topper Headon nel suo unico album solista, oltre ad apparire all'inizio del concerto finale dei Blues Brothers nell'omonimo film.
Uptight. Il film in lingua originale
https://www.youtube.com/watch?v=gam5QLZaYlk
Booker T & the Mg's - Time is tight
https://www.youtube.com/watch?v=hgPz_a3VHoQ
The Clash - Time is tight
https://www.youtube.com/watch?v=5-Lj9yzct3U
Topper Headon - Time is tight
https://www.youtube.com/watch?v=LZWRcq4hTsI
giovedì, novembre 23, 2023
Coppa del mondo di Cricket 2023
Con la consueta, unica, competenza ALBERTO GALLETTI ci ragguaglia sulla recente COPPA del MONDO di CRICKET, appena conclusasi.
Alla febbre da manifestazione globale non sfugge, da tempo, neanche il cricket disciplina antica seppur da 'ste parti, fortunatamente, a diffusione limitata.
Siamo alla XIII edizione 10 squadre partecipanti, rispetto alle 8 della prima edizione,le uniche allora con test status, ma anche meno delle 16 del 2007.
Diciamo che 8 sarebbero state ancora più che sufficienti, 6 ancora meglio.
Ma tant'è anche qui il businnesman vuole la sua parte, già si era portato via l'eleganza (basilare nel cricket) quando si era passati dal giocare in tradizionale bianco e pallina rossa ai pigiami colorati con pallina bianca, eredità purtroppo mai cancellata, di Kerry Packer e del suo odioso World Cricket Series.
Il formato prevede un girone unico con dieci squadre tutti giocano contro tutti, alla fine classifica e le prime quattro vanno in semifinale: prima contro quarta e seconda contro terza, le vincenti in finale.
Ottima formula, non ci vuole un gran studio.
Le partite si giocano su 50 overs, formato One day International (ODI).
La manifestazione è ospitata dall'India (per la terza volta, la prima da sola), i veri padroni del cricket mondiale.
Dieci campi disseminati per tutto il subcontinente: Bangalore, Chennai, Mumbay, New Delhi, Lucknow, Hyderebad, Pune, oltre ai degni di nota Eden Gardens di Calcutta sede spirituale del cricket indiano; Dharamshala, uno dei campi più suggestivi al mondo con sfondo himalyano e il rinnovato stadio di Ahmedabad, un immenso catino capace di 132.000 posti a sedere, lo stadio da cricket più grande al mondo, forse non solo da cricket. Rimarranno quasi vuoti per tutto il torneo eccezzion fatta per le partite dell'India, quelle giocate a Dharamshala e poche altre, oltre ovviamente a semifinali e finale.
Poi, innanzi tutto non ci sono le West Indies, vincitrici delle prime due edizioni e la squadra più forte del mondo tra la fine degli anni '60 e il 1990, pur con qualche singhiozzo, una squadra che dal '66 al '79 ebbe un importanza che trascese di gran lunga i pur formidabili risultati sportivi.
Beyond the boundary, non solo definizione ma anche libro seminale su un sacco di cose inclusi circket e neocolonialismo che non posso fa altro che consigliare. Me ne dolgo.
Strafavorita l'India (anche per me), seguono nel mio ordine Sud Africa, NZ, Australia e forse Inghilterra.
La partita d'esordio è già ghiotta, remake dell'ultima finale vinta per un pelo dagli inglesi al super over dopo l'involontaria (o no?) deviazione di Stokes con la mazza su rilancio dall' outfield.
Stavolta va come deve andare e la Nuova Zelanda (283-1, 36,2ov) disintegra i campioni in carica (282-9, 50.0 ov), e a questo punto già uscenti, con una vittoria per 9 wickets grazie ai sensazionali 152 not-out dell'apertura Conway e 123 not-out dell' astro nascente Ravindra. Massacrati, and sign of things to come.
Il giorno dopo l'imprevedibile Pakistan batte prevedibilmente l' Olanda, quindi l' Afghanistan perde contro il Bangladesh (6 wkts) mentre il Sud Africa demolisce uno Sri Lanka nella peggiore versione che io ricordi realizzando il nuovo record di punti (428) per un innings al mondiale con ben tre centuries, de Kock (100), van der Dussen (108) e Markram (103), impressionanti.
I favoritissimi padroni di casa partono a razzo superando di slancio l'Australia.
Partita strana, impegnati ad inseguire 199 dopo aver ben contenuto gli avversari, si ritrovano 2-3 prima della fine del secondo over con la reale prospettiva di un disastro davanti.
Ma poi entra la semi-divintà Kohli che piazza un bel 85 e con Rahul (97not out) mette su 164 per il quarto wicket, raddrizza la barca e vince la partita.
Come da pronostico tranne lo spavento iniziale.
I lanciatori australiani però lanciano avvisaglie che passano inosservate ai più.
Prima della seconda partita i minchioni inglesi si lamentano dell' outfield di Dharamshala, il capitano Buttler s'interroga perfino sull' integrità della partita nel caso dovesse istruire i suoi a non rischiare di tuffarsi per salvare runs per il rischio di farsi male.
Ridicoli.
L' ICC risponde che va benissimo, quelli che ci hanno giocato la partita precedente pure. Pensassero a giocare. Ovviamente se la fanno sotto e mettono le mani avanti. Stokes ancora fuori, dentro il seamer Topley (4-43), scelta giusta.
Superano agevolmente il Bangladesh, soprattutto grazie a Malan (140), per 137 runs la loro vittoria più larga registrata ad un mondiale.
Si illudono e cominciano a parlare per niente, resterà questa l'unica vittoria nelle prime sette partite e subiranno sconfitte con margini ben maggiori di questa loro vittoria.
Nel terzo incontro di un certo spessore il Sud Africa (311-7, 50ov) batte sonoramente (134 runs) l'Australia (177 all out, 40.5ov). Magistrale 109 di de Kock al quale i lanciatori australiani han (stranamente) ben pochi quesiti da chiedere, sembran già spompi.
Due sconfitte su due per i canguri e due vittorie su due per i sudafricani.
L'atteso derby Pakistan - India si risolve in una mezza rotta per i primi.
Davanti ad una folla immensa ad Ahmedabad l'India vince il toss e manda i rivali in battuta riuscendo a farli fuori tutti per 191 in 42.5 overs con i soli Babar Azam (50) e Mohammad Rizwan (49) ad offrire qualche resistenza.
Ben sei su undici battitori non riescono ad arrivare in doppia cifra, una debacle. Entrati in battuta, i padroni di casa sorretti da un caos infernale, sbrigano la faccenda in scioltezza trascinati da Rohit Sharma (86) e Shreyas (53) e nonostante il deludente 16 di Kohli. Il tutto in 30.3 overs, poco più di mezzo innings.
Fate largo.
Il Pakistan è una squadra fortemente altalenante, in giornata possono battere chiunque, ma spesso la giornata non arriva. Temibilissimi al lancio, hanno battitori spesso svagati. Perdono anche la partita successiva riuscendo a resuscitare un' Australia che mi pareva già pronta per la via di casa, purtroppo sbagliavo.
Quindi il primo (di due) grandi upset del torneo.
L'Afghanistan, due sconfitte fin lì e teoricamente poco da dire, 16 sconfitte nei precedenti 17 incontri ad un mondiale, umilia l'Inghilterra al termine di una partita memorabile.
Mandati in battuta dagli inglesi che vincono il toss e si pensano furbi, cominciano bene grazie a Rahmanullah Gurbaz e Ibrahim Zadran che mettono su 114 per il primo wicket.
Gli inglesi cambiano e mettono al lancio lo spinner Adil Rashid che fa crollare il top order afghano (3-42). Gurbaz però resiste e sembra avviato ad un insperato century quando Shahidi gli chiama una corsa suicida e David Willey con un rilancio micidiale da midwicket lo manda fuori. Uscendo Gurbaz prima lancia la mazza a terra e poi sfascia una sedia maledicendo il compagno. Un altro crollo del batting line afghano sembra alle porte ma Ikram Alikhil e Rashid Khan mettono su 43 runs prima che quest'ultimo venga eliminato da un'incredibile catch di Root sul boundary.
Alikhil continua e finisce a 53, poi Mujeeb segna un veloce 28 in 16. Totale 284. Un bel punteggio, difendibile ma anche battibile per una squadra come l'Inghilterra, invece. Invece questi afghani lanciano come demoni,Fazalhaq Farooqi con la prima palla, un diabolico outswinger, elimina l'apertura Bairstow (2) lbw.
Poco dopo Mujeeb serve un tremendo flipper che toglie di mezzo Root (11) il miglior battitore inglese che sbaglia comunque a giocare il colpo, back foot invece di front foot, quindi Nabi spezza la resistenza dell'altra apertura Malan (32). Poi il crollo, prima Naveen fa fuori Buttler con un diabolico in-dipper, Rashid Kahn ridicolizza Livingston con un googly e Mujeeb con un altro googly fa sparire anche Woaks, oltre mezza squadra andata. Il solo Brook (66) gioca come si deve ma Rashid Khan riesce a prendere velocemente gli ultimi due inglesi. Vittoria per 69 runs, pesante.
Per gli afghani storica, per gli inglesi un'altra debacle mondiale.
Le scene a fine partita sono indescrivibili.
L'entusiasmo afghano incontenibile,quello del pubblico pure, le facce degli inglesi uno spasso, mai divertito tanto.
Mr. Buttler non ha niente da dire sul prato di New Delhi? Seguono dichiarazioni patetiche degne della manica di inetti che sono.
Quindi il secondo upset del torneo, l' Olanda (245/8, 43ov) batte il Sud Africa (207 all-out 42.5ov) per 38 runs in una partita in cui ho veramente stentato a credere a ciò che vedevo. Partita ridotta a 43 overs causa pioggia, il totale olandese ci poteva anche stare. Quello che non ti aspetti è la prestazione sudafricana in battuta. Fuori De Kock per 20, il resto della truppa, tranne Miller (43), cede sotto pressione da rincorsa, eliminazioni assurde per gente che sa giocare a quel modo, la cosa si ripeterà di nuovo.
Messaggio il mio capitano: "Shaun, wtf??" , la sua risposta è sconsolata "Honestly Albe, wtf!"
L'Australia continua a rialzarsi e batte lo Sri Lanka e poi il Pakistan, così come la Nuova Zelanda che rimette gli afghani al loro posto infliggendo loro una dura sconfitta per 149 runs.
Vi sono poi centuries di Kohli (103) contro il Bangladesh e di Warner (163) e Marsh (121) contro un Pakistan deludente, prima che il Sud Africa (399/7, 50ov) metta la quasi definitiva parola fine alle velleità di riscossa inglesi (170 all out, 22ov) nella partita in teoria del riscatto infliggendo loro un'altra sonora legnata. Sconfitta per 229 runs in meno della metà degli overs a disposizione.
Star dell' incontro Klaasen (109), Coetzee prende 3-35 i battitori inglesi giocano come se fossero all'asilo nido.
Quindi l'India, che prosegue la sua marcia a rullo compressore, regola la Nuova Zelanda in una partita bella equilibrata, e l'Aghanistan (286/2, 49ov) che si riprende con una roboante quanto inaspettata vittoria contro il Pakistan (287/7, 50ov) per 8 wickets.
L'Afghanistan batte quindi Sri Lanka e Olanda e arriva alla penultima partita contro l'Australia con chances reali di semifinale.
Vince il toss e va, giustamente, in battuta: si comincia di giorno, si finisce al buio con forte umidità, nella fornace di Mumbai.
Ottima valutazione delle condizioni ambientali favorevoli al lancio afghano nel secondo innings quando il sole sarà andato via e gli australiano avranno passato quattro ore in campo in un afa pesantissima.
Trascinati da un grandissimo Ibrahim Zadran (129) gli afghani prendono letteralmente a legnate i lanciatori australiani e raggiungono un totale di 291, insperato.
Io a sto punto visto che il pericolo vero con l'Australia sono sempre i lanciatori credo che una vittoria possa arrivare sul serio.
Succede di tutto, l'opener Head esce duck alla seconda palla, seguito dal sempre temibile e sempre sgradevole Warner (18). Labuschagne resiste un po, ha perfino un paio di diverbi con gli avversari per far vedere che lui è li per dar battaglia, un coglione. Finisce run out su una chiamata per una secondo run non necessaria a quel punto. Goduria.
Inglis fuori duck anche lui, i lanci afghani fan paura e loro si infiammano sulle ali dell'entusiasmo. Fanno strame degli avversari fino ad arrivare a 91-7 nel corso del 19° over quando entra Glen Maxwell.
Mancano 30 overs e 201 runs, serve un miracolo, se esce lui difficilmente gli altri due rimasti riusciranno a segnarne più di 40/50.
Viene 'droppato' a 10, qui capisco che può mettersi male.
Eh, niente.... Maxwell comincia a picchiare quasi ogni palla, fioccano i boundaries, alla fine saranno 21 quattro e 10 sei, roba incredibile. Durante il quarantunesimo over viene colto da crampi, crolla a terra, il fisioterapista lo rimette in piedi.
Rimane poi inchiodato al crease da dove spara bordate fuori campo fino a raggiungere 201 runs, punteggio individuale fuori dal mondo, e il totale di 292 per la sua squadra completando uno dei più grandi innings mai visti in ODI.
L'Australia va in semifinale, per l'Afghanistan una flebile speranza in caso di vittoria contro i sudafricani, che non verrà, e un'improbabile combinazione di risultati nelle restanti partite.
Il film dell'orrore inglese continua, riescono a farsi battere perfino da questo Sri Lanka, poi vengono demoliti dall'India.
Alla fine riusciranno a battere Olanda e Pakistan, che ormai ha mollato, quando ormai non contava più niente.
Il girone si chiude con la vittoria dell'India sulla derelitta Olanda, una bastonata che vale il 5° punteggio più alto (410) in un innings mondiale e padroni di casa che chiudono a punteggio pieno.
Visti così mi sembrano inarrestabili: batting line-up solida e profonda, lanciatori devastanti, perfino Kohli in questa partita ha preso un wicket.
La Classifica finale è la seguente (G V N P PT.; 2 punti alla vittoria):
India 9 9 0 0 18
Sud Africa 9 7 0 2 14
Australia 9 7 0 2 14
Nuova Zelanda 9 5 0 4 10
Pakistan 9 4 0 5 8
Afghanistan 9 4 0 5 8
Inghilterra 9 3 0 6 6
Bangladesh 9 2 0 7 4
Sri Lanka 9 2 0 7 4
Olanda 9 2 0 7 4
v Mumbai, stadio Whankede pieno fino a scoppiare, pomeriggio caldo, immobile, maccaioso.
Rohit Sharma vince il toss e manda i suoi in battuta, scelta giusta, buon pitch, non perfetto e avversari costrettti a rimanere almeno tre ore in campo nella calura afosa di Mumbai.
Ci sarebbe qualcosa da ridire sul cambio del pitch prescelto e del ruolo in esso svolto dalla federazione indiana, i neozelandesi non protestano troppo signori, o dabbene.
Partono sparati, Rohit segna un veloce 47 in 29 palle prima di essere preso sul long on boundary da un gran catch di Williamson. Entra Kohli che comincia piano, quasi esce alla seconda palla e raggiunge 50 in 59 mentre dall'altra parte Gill deve uscire infortunato (rientrerà poi chiudendo a 80). Quindi cambia passo, un drive alto su Boult finisce fuori per quattro, poco dopo spara un 6 che finisce in tribuna a midwicket.
Raggiunge il suo 50mo century in ODI (il terzo in questo mondiale) davanti al suo idolo Tendulkar seduto in tribuna con lo stadio che esplode e in piedi acclama il suo nome.
Arriva a 117 e viene eliminato da un catch di Conway a deep square-leg su lancio di Southee. Dall'altra parte Shreyas macina punti con grande potenza e spaventosa faciltà, century anche per lui (105). Rahul (34) completa l'opera per un totale di 397-4.
Per la Nuova Zelanda, che sicuramente ha avuto giornate migliori al lancio, un Everest da scalare.
Everest che diventa ancora piu alto quando Shami prende il suo primo wicket di giornata mettendo fuori Conway (13) con il suo primo lancio, lo segue rapidamente Ravindra (13) che non riesce a prendere ritmo e lascia i suoi sul 39-2 e in un mare di guai, lo stadio è una bolgia.
Entra il capitano Williamson (69) che raddrizza la barca prima di essere messo fuori pure lui da Shami ma a questo punto la sua partnership da 181 con Mitchell porta la Nuova Zelanda sul 220-3 in 32.2 overs, la partita è riaperta, il pubblico quasi ammutolito, la squadra si disunisce.
Mitchell continua fino a totalizzare 134 che con i 41 in 33 di Phillips fanno passare un brutto quarto d'ora agli indiani, tra il 30° e il 40° over l'impressione è che i neozelandesi possano davvero riuscirsi.
Ma nessuno ha fatto i conti con Shami che uno dopo l'altro fa fuori quasi tutti i neozelandesi e finisce la partita con un incredibile 7-57 al lancio.
L'India vince per 70 runs e va in finale.
Shami è, giustamente, man of the match, che partita!
Calcutta, Eden Gardens, seconda semifinale in teoria più incerta: de Kock vince il toss e sceglie di battere.
Per gli australiani al lancio apre Starc che alla terza palla della partita elimina Bavuma, fuori forma e senza convinzione: 1-1 il peggiore degli inizi possibili.
Di male in peggio, nel sesto over de Kock, di solito un battitore assennato, colpisce per 6 Hazelwood ma sbaglia il timing e la palla va altissima ma non lunga e finisce tra le mani di Cummins, 8-2 e montagna sempre più alta. Come ho già scritto di sopra il problema con l'Australia sono sempre i lanciatori, o almeno loro, infatti stanno lanciando incredibilmente bene, hanno un fielding aggressivo e attaccano a tutto spiano, me l'aspettavo anche se sotto sottto speravo non succedesse.
Il primo boundary lo mette a segno Markram nel nono over, ad ogni modo lui e van der Dussen sono in rado di dare una radrizzata. Starc e Hazelwood lanciano lenght e full lenght, praticamente ingiocabili dopo dieci over siamo 18-2, run rate bassissimo, 1.72. Ma anche Markram cade, gioca un drive su Starc, anche qui timing non perfetto, la palla si alza e Warner prende un gran catch nei covers 22-3. Ancora Hazelwood! trova l'edge di van der Dussen che finisce nelle mani del 2nd slip, 24-4!
in soli 11.5 overs! Debacle alle porte. Miller e Klaasen provano a rimediare ma i due australiani continuano imperterriti con poche sbavature. 14 overs andati e Sud Africa 44-4.
Pioggia, partita interrotta.
Ha smesso di piovere e si riprende Miller e Klaasen sembrano ambientarsi, al termine del 25mo over siamo 79/4 (mi pare), pochino, il run rate si è alzato poco sopra il 3 ma gli over a disposizione adesso sono la metà.
Nel frattempo Cummins introduce i suoi spinners, prima Maxwell, poi Head ma quando i due sudafricani sembravano aver trovato il passo ecco che Head colpisce e mette fuori Klaasen (47) clean-bowled 119-5, quindi sulla palla successiva fa fuori anche il nuovo entrato Jansen (0) lbw, ecatombe 119-6.Hat-trick ball su Coetzee, vediamo: niente si salva. Miller gioca un innings fatto di resistenza e classe, esce per 101 ma intorno a lui gli altri cadono uno dopo l'altro.
Alla fine con grande fatica riescono a raggiungere un insperato, pur se non proprio ideale 212. L'Australia va in battuta, aprono Warner e Head e cominciano subito a bastonare i lanciatori sudafricani dopo 6 overs sono 60-0 (il Sud Africa aveva segnato circa 10 in 8 e perso due uomini), boundaries come se piovesse, run rate 10, Sud Africa allo stesso punto 1.50 circa. Markram prende Warner (29) con la sua prima palla, ma siamo lontani.
La partita s'infiamma, i sudafricani ci danno dentro il pubblico si entusiasma.
L'introduzione dello spin al lancio cambia la partita, Maharaj elimina Head (62) e poi Shamshi mette fuori prima Labuschagne ( ) e soprattutto Maxwell per un solo run e i sudafricani tornano in gioco. Ma Smith e Inglis controllano bene, con calma, hanno tempo overs e wicket a disposizione.
Coetzee dopo un paio di lanci corti beffa Smith che non si aspetta il cambio di velocità e colpisce male, la palla va su, su, su e torna giù tra i guanti di de Kock, 174-6. Partita riaperta, quattro wicket da prendere concedendo meno di 38 runs per il Sud Africa, 39 runs senza perdere quattro uomini per l'Australia,15 overs a disposizione.
Tensione, in campo e sugli spalti.
La coda australiana sa segnare, difficile lo stesso per i Proteas. Bavuma riporta Shamshi all'attacco, dall'altra parte continua Coetzee ma servono wickets, in fretta. C'è un'ultimo sussulto quando Coetzee clean bowls il dangerman Inglis (28) ma ormai siamo a 193-7, manca poco. Starc e Cummins con un po di fatica riescono a raggiungere 213.
In finale ci va l'Australia.
Nella partita del girone il Sud Africa gli aveva inflitto una sconfitta pesantissima!
Si torna ad Ahmedabad per l'atto finale, Pat Cummins vince il toss e decide di lanciare, dice che il wicket e asciutto e la rugiada lo bagnerà stasera quando farà buio rendendolo più lento e favorevole ai battitori (che saranno i suoi).
Corretto, in teoria.
Sono venuti, giustamente, per vincere. L' immenso calderone di Ahmedabad zeppo come un uovo ribolle di entusiasmo che non si riesce a trattenere, la folla impazzisce i suoi idoli entreranno in battuta per primi.
Cummins non perde l' humor 'Qualsiasi cosa avessi scelto avrebbero dato in scalmane'.
Squadre invariate rispetto alle semifinali.
Rohit Sharma e Gill aprono per i padroni di casa, Mitchell Starc lancerà la prima palla. Il rumore all'interno dello stadio è assordante.
Due 4 nel secondo over fanno alzare ancor di più, se possibile, temperatura e volume, 13-0. Rohit Sharma fa un altro paio di boundaries ma poi Starc manda un full lenght che lascia Gill senza spazio per muoversi.
Questi sbaglia il suo tentativo di pull sul leg-side che finisce tra le mani di Zampa 30-1 e pubblico ammutolito. Entra Kohli, segna subito rapidamente una dozzina di runs, poi quando Rohit carica su un lancio di Maxwell per spedirlo in tribuna, ma la palla gira, colpisce il suo edge e va in alto sull'off-side. Travis Head corre all'indietro e prende un catch incredibile, 76-2 mutismo totale. Tocca a Shreyas (4) che fin qui ha segnato punti con incredibile facilità, Cummins si riserva il piacere di dargli il benvenuto. E lo fa nel migliore dei modi (per lui), un lancio con traiettoria perfetta che rientra quel tanto che basta per lasciare il nuovo entrato immobiile, la palla sfiora appena la mazza e finisce dietro dove Inglis prende e ringrazia, 82-3! Mai come adesso Kohli, la cui grandezza non si discute, deve tirare fuori una prestazione che porti punti (tanti) e trascini gli altri ad un innings di qualche sostanza (almeno 250/270).
Ci prova ma non ci riesce, cede per 54 eliminato da Cummins, silenzio di tomba. L'India accusa il colpo e perde spinta, tra l 'undicesimo e il cinquantesimo over segnano solo quattro boundaries, segno di una tensione che li attanaglia e che il piano preparato da Cummins funziona, continui cambi al lancio per far si che i battitori avversari non riescano ad aadattarsi ai lanci e prendano continuità. Alla fine arrivano a 240 ben al di sotto delle aspettative.
Toccherà ai lanciatori, fin qui devastanti, di trovare la vittoria per l'India.
Fanno subito danni, sfruttando un pitch lento riducono gli australiani a 47-3 rimettendosi di fatto in gioco.
Ma Head e Labuschagne freddano i bollenti spiriti di lanciatori e pubblico con un' inscalfibile stand di 192 per il quarto wicket che finisce dritto tra i più grandi mai giocati in una finale mondiale. Head esce per 137, un innings straordinario, lasciando posto a Maxwell (2) che a quel punto segna i 2 runs necessari alla vittoria con la seconda palla lanciatagli, Labuschagne finisce 58 not-out. Man of the match Travis Head, lo era stato anche in semifinale e aveva saltato le prime quatro partite per una mano ingessata!
Vittoria agevole, Australia 241-4 (43ov) batte India 240 all out (50ov) con ancora 7 overs a disposizione e sesta Coppa del Mondo in bacheca.
Il presidente indiano Narendra Modi, cui lo stadio è intitolato (ma intitolare stadi a persone ancora in vita e più in generale a persone?) consegna la Coppa del Mondo a Pat Cummins in uno stadio ormai vuoto, così come (quasi) vuoto era stato per la partita inaugurale, e se ne va senza dire niente, Cummins rimane li con la coppa in mano interdetto.
Per gli australiani bene così.
v Per circostanze, campo e squadre impegnate, questa finale vale nel cricket quello che il Maracanazo del 1950 è stato per il calcio, a questo ho pensato più di una volta mentre Head accumulava runs, gli overs dimiuivano inesorabilmente e i lanciatori indiani si rassegnavano progressivamente perdendo efficacia.
Questo non diminuisce i meriti e il valore di una squadra australiana che nel 2023 ha tenuto gli (Ashes 2-2 in Inghilterra) e ad agosto aveva vinto la finale del Mondiale di test cricket 2021-23 (partita singola disputata dalle prime due del ranking mondiale dei test match) proprio contro l' India.
Direi quindi i migliori in ogni forma del gioco.
Non esattamente quello che avrei voluto da sto mondiale, ma insomma... niente da dire, sono forti.
Personalmente ho visto almeno una decina di grandi partite e tantissime giocate di altissimo livello e mi sono divertito parecchio, questo nonostante i pigiami colorati, la pallina bianca e il formato ridotto.
Riepilogando:
Campione del Mondo: Australia
Miglior battitore: Virat Kohli (India) 765 runs
Miglior lanciatore: Mohammed Shami (India) 24 wickets (in soli 7 innings)
Miglior giocatore (per me): Travis Head (Australia)
v Miglior Capitano (per me): Pat Cummins (Australia)
Alla febbre da manifestazione globale non sfugge, da tempo, neanche il cricket disciplina antica seppur da 'ste parti, fortunatamente, a diffusione limitata.
Siamo alla XIII edizione 10 squadre partecipanti, rispetto alle 8 della prima edizione,le uniche allora con test status, ma anche meno delle 16 del 2007.
Diciamo che 8 sarebbero state ancora più che sufficienti, 6 ancora meglio.
Ma tant'è anche qui il businnesman vuole la sua parte, già si era portato via l'eleganza (basilare nel cricket) quando si era passati dal giocare in tradizionale bianco e pallina rossa ai pigiami colorati con pallina bianca, eredità purtroppo mai cancellata, di Kerry Packer e del suo odioso World Cricket Series.
Il formato prevede un girone unico con dieci squadre tutti giocano contro tutti, alla fine classifica e le prime quattro vanno in semifinale: prima contro quarta e seconda contro terza, le vincenti in finale.
Ottima formula, non ci vuole un gran studio.
Le partite si giocano su 50 overs, formato One day International (ODI).
La manifestazione è ospitata dall'India (per la terza volta, la prima da sola), i veri padroni del cricket mondiale.
Dieci campi disseminati per tutto il subcontinente: Bangalore, Chennai, Mumbay, New Delhi, Lucknow, Hyderebad, Pune, oltre ai degni di nota Eden Gardens di Calcutta sede spirituale del cricket indiano; Dharamshala, uno dei campi più suggestivi al mondo con sfondo himalyano e il rinnovato stadio di Ahmedabad, un immenso catino capace di 132.000 posti a sedere, lo stadio da cricket più grande al mondo, forse non solo da cricket. Rimarranno quasi vuoti per tutto il torneo eccezzion fatta per le partite dell'India, quelle giocate a Dharamshala e poche altre, oltre ovviamente a semifinali e finale.
Poi, innanzi tutto non ci sono le West Indies, vincitrici delle prime due edizioni e la squadra più forte del mondo tra la fine degli anni '60 e il 1990, pur con qualche singhiozzo, una squadra che dal '66 al '79 ebbe un importanza che trascese di gran lunga i pur formidabili risultati sportivi.
Beyond the boundary, non solo definizione ma anche libro seminale su un sacco di cose inclusi circket e neocolonialismo che non posso fa altro che consigliare. Me ne dolgo.
Strafavorita l'India (anche per me), seguono nel mio ordine Sud Africa, NZ, Australia e forse Inghilterra.
La partita d'esordio è già ghiotta, remake dell'ultima finale vinta per un pelo dagli inglesi al super over dopo l'involontaria (o no?) deviazione di Stokes con la mazza su rilancio dall' outfield.
Stavolta va come deve andare e la Nuova Zelanda (283-1, 36,2ov) disintegra i campioni in carica (282-9, 50.0 ov), e a questo punto già uscenti, con una vittoria per 9 wickets grazie ai sensazionali 152 not-out dell'apertura Conway e 123 not-out dell' astro nascente Ravindra. Massacrati, and sign of things to come.
Il giorno dopo l'imprevedibile Pakistan batte prevedibilmente l' Olanda, quindi l' Afghanistan perde contro il Bangladesh (6 wkts) mentre il Sud Africa demolisce uno Sri Lanka nella peggiore versione che io ricordi realizzando il nuovo record di punti (428) per un innings al mondiale con ben tre centuries, de Kock (100), van der Dussen (108) e Markram (103), impressionanti.
I favoritissimi padroni di casa partono a razzo superando di slancio l'Australia.
Partita strana, impegnati ad inseguire 199 dopo aver ben contenuto gli avversari, si ritrovano 2-3 prima della fine del secondo over con la reale prospettiva di un disastro davanti.
Ma poi entra la semi-divintà Kohli che piazza un bel 85 e con Rahul (97not out) mette su 164 per il quarto wicket, raddrizza la barca e vince la partita.
Come da pronostico tranne lo spavento iniziale.
I lanciatori australiani però lanciano avvisaglie che passano inosservate ai più.
Prima della seconda partita i minchioni inglesi si lamentano dell' outfield di Dharamshala, il capitano Buttler s'interroga perfino sull' integrità della partita nel caso dovesse istruire i suoi a non rischiare di tuffarsi per salvare runs per il rischio di farsi male.
Ridicoli.
L' ICC risponde che va benissimo, quelli che ci hanno giocato la partita precedente pure. Pensassero a giocare. Ovviamente se la fanno sotto e mettono le mani avanti. Stokes ancora fuori, dentro il seamer Topley (4-43), scelta giusta.
Superano agevolmente il Bangladesh, soprattutto grazie a Malan (140), per 137 runs la loro vittoria più larga registrata ad un mondiale.
Si illudono e cominciano a parlare per niente, resterà questa l'unica vittoria nelle prime sette partite e subiranno sconfitte con margini ben maggiori di questa loro vittoria.
Nel terzo incontro di un certo spessore il Sud Africa (311-7, 50ov) batte sonoramente (134 runs) l'Australia (177 all out, 40.5ov). Magistrale 109 di de Kock al quale i lanciatori australiani han (stranamente) ben pochi quesiti da chiedere, sembran già spompi.
Due sconfitte su due per i canguri e due vittorie su due per i sudafricani.
L'atteso derby Pakistan - India si risolve in una mezza rotta per i primi.
Davanti ad una folla immensa ad Ahmedabad l'India vince il toss e manda i rivali in battuta riuscendo a farli fuori tutti per 191 in 42.5 overs con i soli Babar Azam (50) e Mohammad Rizwan (49) ad offrire qualche resistenza.
Ben sei su undici battitori non riescono ad arrivare in doppia cifra, una debacle. Entrati in battuta, i padroni di casa sorretti da un caos infernale, sbrigano la faccenda in scioltezza trascinati da Rohit Sharma (86) e Shreyas (53) e nonostante il deludente 16 di Kohli. Il tutto in 30.3 overs, poco più di mezzo innings.
Fate largo.
Il Pakistan è una squadra fortemente altalenante, in giornata possono battere chiunque, ma spesso la giornata non arriva. Temibilissimi al lancio, hanno battitori spesso svagati. Perdono anche la partita successiva riuscendo a resuscitare un' Australia che mi pareva già pronta per la via di casa, purtroppo sbagliavo.
Quindi il primo (di due) grandi upset del torneo.
L'Afghanistan, due sconfitte fin lì e teoricamente poco da dire, 16 sconfitte nei precedenti 17 incontri ad un mondiale, umilia l'Inghilterra al termine di una partita memorabile.
Mandati in battuta dagli inglesi che vincono il toss e si pensano furbi, cominciano bene grazie a Rahmanullah Gurbaz e Ibrahim Zadran che mettono su 114 per il primo wicket.
Gli inglesi cambiano e mettono al lancio lo spinner Adil Rashid che fa crollare il top order afghano (3-42). Gurbaz però resiste e sembra avviato ad un insperato century quando Shahidi gli chiama una corsa suicida e David Willey con un rilancio micidiale da midwicket lo manda fuori. Uscendo Gurbaz prima lancia la mazza a terra e poi sfascia una sedia maledicendo il compagno. Un altro crollo del batting line afghano sembra alle porte ma Ikram Alikhil e Rashid Khan mettono su 43 runs prima che quest'ultimo venga eliminato da un'incredibile catch di Root sul boundary.
Alikhil continua e finisce a 53, poi Mujeeb segna un veloce 28 in 16. Totale 284. Un bel punteggio, difendibile ma anche battibile per una squadra come l'Inghilterra, invece. Invece questi afghani lanciano come demoni,Fazalhaq Farooqi con la prima palla, un diabolico outswinger, elimina l'apertura Bairstow (2) lbw.
Poco dopo Mujeeb serve un tremendo flipper che toglie di mezzo Root (11) il miglior battitore inglese che sbaglia comunque a giocare il colpo, back foot invece di front foot, quindi Nabi spezza la resistenza dell'altra apertura Malan (32). Poi il crollo, prima Naveen fa fuori Buttler con un diabolico in-dipper, Rashid Kahn ridicolizza Livingston con un googly e Mujeeb con un altro googly fa sparire anche Woaks, oltre mezza squadra andata. Il solo Brook (66) gioca come si deve ma Rashid Khan riesce a prendere velocemente gli ultimi due inglesi. Vittoria per 69 runs, pesante.
Per gli afghani storica, per gli inglesi un'altra debacle mondiale.
Le scene a fine partita sono indescrivibili.
L'entusiasmo afghano incontenibile,quello del pubblico pure, le facce degli inglesi uno spasso, mai divertito tanto.
Mr. Buttler non ha niente da dire sul prato di New Delhi? Seguono dichiarazioni patetiche degne della manica di inetti che sono.
Quindi il secondo upset del torneo, l' Olanda (245/8, 43ov) batte il Sud Africa (207 all-out 42.5ov) per 38 runs in una partita in cui ho veramente stentato a credere a ciò che vedevo. Partita ridotta a 43 overs causa pioggia, il totale olandese ci poteva anche stare. Quello che non ti aspetti è la prestazione sudafricana in battuta. Fuori De Kock per 20, il resto della truppa, tranne Miller (43), cede sotto pressione da rincorsa, eliminazioni assurde per gente che sa giocare a quel modo, la cosa si ripeterà di nuovo.
Messaggio il mio capitano: "Shaun, wtf??" , la sua risposta è sconsolata "Honestly Albe, wtf!"
L'Australia continua a rialzarsi e batte lo Sri Lanka e poi il Pakistan, così come la Nuova Zelanda che rimette gli afghani al loro posto infliggendo loro una dura sconfitta per 149 runs.
Vi sono poi centuries di Kohli (103) contro il Bangladesh e di Warner (163) e Marsh (121) contro un Pakistan deludente, prima che il Sud Africa (399/7, 50ov) metta la quasi definitiva parola fine alle velleità di riscossa inglesi (170 all out, 22ov) nella partita in teoria del riscatto infliggendo loro un'altra sonora legnata. Sconfitta per 229 runs in meno della metà degli overs a disposizione.
Star dell' incontro Klaasen (109), Coetzee prende 3-35 i battitori inglesi giocano come se fossero all'asilo nido.
Quindi l'India, che prosegue la sua marcia a rullo compressore, regola la Nuova Zelanda in una partita bella equilibrata, e l'Aghanistan (286/2, 49ov) che si riprende con una roboante quanto inaspettata vittoria contro il Pakistan (287/7, 50ov) per 8 wickets.
L'Afghanistan batte quindi Sri Lanka e Olanda e arriva alla penultima partita contro l'Australia con chances reali di semifinale.
Vince il toss e va, giustamente, in battuta: si comincia di giorno, si finisce al buio con forte umidità, nella fornace di Mumbai.
Ottima valutazione delle condizioni ambientali favorevoli al lancio afghano nel secondo innings quando il sole sarà andato via e gli australiano avranno passato quattro ore in campo in un afa pesantissima.
Trascinati da un grandissimo Ibrahim Zadran (129) gli afghani prendono letteralmente a legnate i lanciatori australiani e raggiungono un totale di 291, insperato.
Io a sto punto visto che il pericolo vero con l'Australia sono sempre i lanciatori credo che una vittoria possa arrivare sul serio.
Succede di tutto, l'opener Head esce duck alla seconda palla, seguito dal sempre temibile e sempre sgradevole Warner (18). Labuschagne resiste un po, ha perfino un paio di diverbi con gli avversari per far vedere che lui è li per dar battaglia, un coglione. Finisce run out su una chiamata per una secondo run non necessaria a quel punto. Goduria.
Inglis fuori duck anche lui, i lanci afghani fan paura e loro si infiammano sulle ali dell'entusiasmo. Fanno strame degli avversari fino ad arrivare a 91-7 nel corso del 19° over quando entra Glen Maxwell.
Mancano 30 overs e 201 runs, serve un miracolo, se esce lui difficilmente gli altri due rimasti riusciranno a segnarne più di 40/50.
Viene 'droppato' a 10, qui capisco che può mettersi male.
Eh, niente.... Maxwell comincia a picchiare quasi ogni palla, fioccano i boundaries, alla fine saranno 21 quattro e 10 sei, roba incredibile. Durante il quarantunesimo over viene colto da crampi, crolla a terra, il fisioterapista lo rimette in piedi.
Rimane poi inchiodato al crease da dove spara bordate fuori campo fino a raggiungere 201 runs, punteggio individuale fuori dal mondo, e il totale di 292 per la sua squadra completando uno dei più grandi innings mai visti in ODI.
L'Australia va in semifinale, per l'Afghanistan una flebile speranza in caso di vittoria contro i sudafricani, che non verrà, e un'improbabile combinazione di risultati nelle restanti partite.
Il film dell'orrore inglese continua, riescono a farsi battere perfino da questo Sri Lanka, poi vengono demoliti dall'India.
Alla fine riusciranno a battere Olanda e Pakistan, che ormai ha mollato, quando ormai non contava più niente.
Il girone si chiude con la vittoria dell'India sulla derelitta Olanda, una bastonata che vale il 5° punteggio più alto (410) in un innings mondiale e padroni di casa che chiudono a punteggio pieno.
Visti così mi sembrano inarrestabili: batting line-up solida e profonda, lanciatori devastanti, perfino Kohli in questa partita ha preso un wicket.
La Classifica finale è la seguente (G V N P PT.; 2 punti alla vittoria):
India 9 9 0 0 18
Sud Africa 9 7 0 2 14
Australia 9 7 0 2 14
Nuova Zelanda 9 5 0 4 10
Pakistan 9 4 0 5 8
Afghanistan 9 4 0 5 8
Inghilterra 9 3 0 6 6
Bangladesh 9 2 0 7 4
Sri Lanka 9 2 0 7 4
Olanda 9 2 0 7 4
v Mumbai, stadio Whankede pieno fino a scoppiare, pomeriggio caldo, immobile, maccaioso.
Rohit Sharma vince il toss e manda i suoi in battuta, scelta giusta, buon pitch, non perfetto e avversari costrettti a rimanere almeno tre ore in campo nella calura afosa di Mumbai.
Ci sarebbe qualcosa da ridire sul cambio del pitch prescelto e del ruolo in esso svolto dalla federazione indiana, i neozelandesi non protestano troppo signori, o dabbene.
Partono sparati, Rohit segna un veloce 47 in 29 palle prima di essere preso sul long on boundary da un gran catch di Williamson. Entra Kohli che comincia piano, quasi esce alla seconda palla e raggiunge 50 in 59 mentre dall'altra parte Gill deve uscire infortunato (rientrerà poi chiudendo a 80). Quindi cambia passo, un drive alto su Boult finisce fuori per quattro, poco dopo spara un 6 che finisce in tribuna a midwicket.
Raggiunge il suo 50mo century in ODI (il terzo in questo mondiale) davanti al suo idolo Tendulkar seduto in tribuna con lo stadio che esplode e in piedi acclama il suo nome.
Arriva a 117 e viene eliminato da un catch di Conway a deep square-leg su lancio di Southee. Dall'altra parte Shreyas macina punti con grande potenza e spaventosa faciltà, century anche per lui (105). Rahul (34) completa l'opera per un totale di 397-4.
Per la Nuova Zelanda, che sicuramente ha avuto giornate migliori al lancio, un Everest da scalare.
Everest che diventa ancora piu alto quando Shami prende il suo primo wicket di giornata mettendo fuori Conway (13) con il suo primo lancio, lo segue rapidamente Ravindra (13) che non riesce a prendere ritmo e lascia i suoi sul 39-2 e in un mare di guai, lo stadio è una bolgia.
Entra il capitano Williamson (69) che raddrizza la barca prima di essere messo fuori pure lui da Shami ma a questo punto la sua partnership da 181 con Mitchell porta la Nuova Zelanda sul 220-3 in 32.2 overs, la partita è riaperta, il pubblico quasi ammutolito, la squadra si disunisce.
Mitchell continua fino a totalizzare 134 che con i 41 in 33 di Phillips fanno passare un brutto quarto d'ora agli indiani, tra il 30° e il 40° over l'impressione è che i neozelandesi possano davvero riuscirsi.
Ma nessuno ha fatto i conti con Shami che uno dopo l'altro fa fuori quasi tutti i neozelandesi e finisce la partita con un incredibile 7-57 al lancio.
L'India vince per 70 runs e va in finale.
Shami è, giustamente, man of the match, che partita!
Calcutta, Eden Gardens, seconda semifinale in teoria più incerta: de Kock vince il toss e sceglie di battere.
Per gli australiani al lancio apre Starc che alla terza palla della partita elimina Bavuma, fuori forma e senza convinzione: 1-1 il peggiore degli inizi possibili.
Di male in peggio, nel sesto over de Kock, di solito un battitore assennato, colpisce per 6 Hazelwood ma sbaglia il timing e la palla va altissima ma non lunga e finisce tra le mani di Cummins, 8-2 e montagna sempre più alta. Come ho già scritto di sopra il problema con l'Australia sono sempre i lanciatori, o almeno loro, infatti stanno lanciando incredibilmente bene, hanno un fielding aggressivo e attaccano a tutto spiano, me l'aspettavo anche se sotto sottto speravo non succedesse.
Il primo boundary lo mette a segno Markram nel nono over, ad ogni modo lui e van der Dussen sono in rado di dare una radrizzata. Starc e Hazelwood lanciano lenght e full lenght, praticamente ingiocabili dopo dieci over siamo 18-2, run rate bassissimo, 1.72. Ma anche Markram cade, gioca un drive su Starc, anche qui timing non perfetto, la palla si alza e Warner prende un gran catch nei covers 22-3. Ancora Hazelwood! trova l'edge di van der Dussen che finisce nelle mani del 2nd slip, 24-4!
in soli 11.5 overs! Debacle alle porte. Miller e Klaasen provano a rimediare ma i due australiani continuano imperterriti con poche sbavature. 14 overs andati e Sud Africa 44-4.
Pioggia, partita interrotta.
Ha smesso di piovere e si riprende Miller e Klaasen sembrano ambientarsi, al termine del 25mo over siamo 79/4 (mi pare), pochino, il run rate si è alzato poco sopra il 3 ma gli over a disposizione adesso sono la metà.
Nel frattempo Cummins introduce i suoi spinners, prima Maxwell, poi Head ma quando i due sudafricani sembravano aver trovato il passo ecco che Head colpisce e mette fuori Klaasen (47) clean-bowled 119-5, quindi sulla palla successiva fa fuori anche il nuovo entrato Jansen (0) lbw, ecatombe 119-6.Hat-trick ball su Coetzee, vediamo: niente si salva. Miller gioca un innings fatto di resistenza e classe, esce per 101 ma intorno a lui gli altri cadono uno dopo l'altro.
Alla fine con grande fatica riescono a raggiungere un insperato, pur se non proprio ideale 212. L'Australia va in battuta, aprono Warner e Head e cominciano subito a bastonare i lanciatori sudafricani dopo 6 overs sono 60-0 (il Sud Africa aveva segnato circa 10 in 8 e perso due uomini), boundaries come se piovesse, run rate 10, Sud Africa allo stesso punto 1.50 circa. Markram prende Warner (29) con la sua prima palla, ma siamo lontani.
La partita s'infiamma, i sudafricani ci danno dentro il pubblico si entusiasma.
L'introduzione dello spin al lancio cambia la partita, Maharaj elimina Head (62) e poi Shamshi mette fuori prima Labuschagne ( ) e soprattutto Maxwell per un solo run e i sudafricani tornano in gioco. Ma Smith e Inglis controllano bene, con calma, hanno tempo overs e wicket a disposizione.
Coetzee dopo un paio di lanci corti beffa Smith che non si aspetta il cambio di velocità e colpisce male, la palla va su, su, su e torna giù tra i guanti di de Kock, 174-6. Partita riaperta, quattro wicket da prendere concedendo meno di 38 runs per il Sud Africa, 39 runs senza perdere quattro uomini per l'Australia,15 overs a disposizione.
Tensione, in campo e sugli spalti.
La coda australiana sa segnare, difficile lo stesso per i Proteas. Bavuma riporta Shamshi all'attacco, dall'altra parte continua Coetzee ma servono wickets, in fretta. C'è un'ultimo sussulto quando Coetzee clean bowls il dangerman Inglis (28) ma ormai siamo a 193-7, manca poco. Starc e Cummins con un po di fatica riescono a raggiungere 213.
In finale ci va l'Australia.
Nella partita del girone il Sud Africa gli aveva inflitto una sconfitta pesantissima!
Si torna ad Ahmedabad per l'atto finale, Pat Cummins vince il toss e decide di lanciare, dice che il wicket e asciutto e la rugiada lo bagnerà stasera quando farà buio rendendolo più lento e favorevole ai battitori (che saranno i suoi).
Corretto, in teoria.
Sono venuti, giustamente, per vincere. L' immenso calderone di Ahmedabad zeppo come un uovo ribolle di entusiasmo che non si riesce a trattenere, la folla impazzisce i suoi idoli entreranno in battuta per primi.
Cummins non perde l' humor 'Qualsiasi cosa avessi scelto avrebbero dato in scalmane'.
Squadre invariate rispetto alle semifinali.
Rohit Sharma e Gill aprono per i padroni di casa, Mitchell Starc lancerà la prima palla. Il rumore all'interno dello stadio è assordante.
Due 4 nel secondo over fanno alzare ancor di più, se possibile, temperatura e volume, 13-0. Rohit Sharma fa un altro paio di boundaries ma poi Starc manda un full lenght che lascia Gill senza spazio per muoversi.
Questi sbaglia il suo tentativo di pull sul leg-side che finisce tra le mani di Zampa 30-1 e pubblico ammutolito. Entra Kohli, segna subito rapidamente una dozzina di runs, poi quando Rohit carica su un lancio di Maxwell per spedirlo in tribuna, ma la palla gira, colpisce il suo edge e va in alto sull'off-side. Travis Head corre all'indietro e prende un catch incredibile, 76-2 mutismo totale. Tocca a Shreyas (4) che fin qui ha segnato punti con incredibile facilità, Cummins si riserva il piacere di dargli il benvenuto. E lo fa nel migliore dei modi (per lui), un lancio con traiettoria perfetta che rientra quel tanto che basta per lasciare il nuovo entrato immobiile, la palla sfiora appena la mazza e finisce dietro dove Inglis prende e ringrazia, 82-3! Mai come adesso Kohli, la cui grandezza non si discute, deve tirare fuori una prestazione che porti punti (tanti) e trascini gli altri ad un innings di qualche sostanza (almeno 250/270).
Ci prova ma non ci riesce, cede per 54 eliminato da Cummins, silenzio di tomba. L'India accusa il colpo e perde spinta, tra l 'undicesimo e il cinquantesimo over segnano solo quattro boundaries, segno di una tensione che li attanaglia e che il piano preparato da Cummins funziona, continui cambi al lancio per far si che i battitori avversari non riescano ad aadattarsi ai lanci e prendano continuità. Alla fine arrivano a 240 ben al di sotto delle aspettative.
Toccherà ai lanciatori, fin qui devastanti, di trovare la vittoria per l'India.
Fanno subito danni, sfruttando un pitch lento riducono gli australiani a 47-3 rimettendosi di fatto in gioco.
Ma Head e Labuschagne freddano i bollenti spiriti di lanciatori e pubblico con un' inscalfibile stand di 192 per il quarto wicket che finisce dritto tra i più grandi mai giocati in una finale mondiale. Head esce per 137, un innings straordinario, lasciando posto a Maxwell (2) che a quel punto segna i 2 runs necessari alla vittoria con la seconda palla lanciatagli, Labuschagne finisce 58 not-out. Man of the match Travis Head, lo era stato anche in semifinale e aveva saltato le prime quatro partite per una mano ingessata!
Vittoria agevole, Australia 241-4 (43ov) batte India 240 all out (50ov) con ancora 7 overs a disposizione e sesta Coppa del Mondo in bacheca.
Il presidente indiano Narendra Modi, cui lo stadio è intitolato (ma intitolare stadi a persone ancora in vita e più in generale a persone?) consegna la Coppa del Mondo a Pat Cummins in uno stadio ormai vuoto, così come (quasi) vuoto era stato per la partita inaugurale, e se ne va senza dire niente, Cummins rimane li con la coppa in mano interdetto.
Per gli australiani bene così.
v Per circostanze, campo e squadre impegnate, questa finale vale nel cricket quello che il Maracanazo del 1950 è stato per il calcio, a questo ho pensato più di una volta mentre Head accumulava runs, gli overs dimiuivano inesorabilmente e i lanciatori indiani si rassegnavano progressivamente perdendo efficacia.
Questo non diminuisce i meriti e il valore di una squadra australiana che nel 2023 ha tenuto gli (Ashes 2-2 in Inghilterra) e ad agosto aveva vinto la finale del Mondiale di test cricket 2021-23 (partita singola disputata dalle prime due del ranking mondiale dei test match) proprio contro l' India.
Direi quindi i migliori in ogni forma del gioco.
Non esattamente quello che avrei voluto da sto mondiale, ma insomma... niente da dire, sono forti.
Personalmente ho visto almeno una decina di grandi partite e tantissime giocate di altissimo livello e mi sono divertito parecchio, questo nonostante i pigiami colorati, la pallina bianca e il formato ridotto.
Riepilogando:
Campione del Mondo: Australia
Miglior battitore: Virat Kohli (India) 765 runs
Miglior lanciatore: Mohammed Shami (India) 24 wickets (in soli 7 innings)
Miglior giocatore (per me): Travis Head (Australia)
v Miglior Capitano (per me): Pat Cummins (Australia)
mercoledì, novembre 22, 2023
John Cage - Un anno, a partire da lunedì. Dopo Silenzio
La collana della Shake Edizioni "Classici della Nuova Musica", a cura di Massimiliano Viel, dedicata a una serie di libri scritti da compositori che hanno rivoluzionato il modo di scrivere, fare e pensare la musica di tradizione europea, inaugura con un testo di JOHN CAGE inedito in Italia.
Un libro che ne mette in luce (a partire dalla surreale impaginazione che ne evidenzia l'originalità e il peculiare accostamento alla scrittura, specchio della sua visione musicale e artistica) l'ecletticità di Cage ma anche l'estremo gusto per l'ironia e l'amore per le brevi storie, piccoli affreschi quotidiani, spesso bizzarri e spassosi.
Un testo non di facile fruibilità ma di sicuro interesse.
John Cage
Un anno, a partire da lunedì. Dopo Silenzio
Traduzione: Ermanno "Gomma" Guarneri, Giancarlo Carlotti
Shake Edizioni
Pagine: 180
Prezzo: € 25,00
Un libro che ne mette in luce (a partire dalla surreale impaginazione che ne evidenzia l'originalità e il peculiare accostamento alla scrittura, specchio della sua visione musicale e artistica) l'ecletticità di Cage ma anche l'estremo gusto per l'ironia e l'amore per le brevi storie, piccoli affreschi quotidiani, spesso bizzarri e spassosi.
Un testo non di facile fruibilità ma di sicuro interesse.
John Cage
Un anno, a partire da lunedì. Dopo Silenzio
Traduzione: Ermanno "Gomma" Guarneri, Giancarlo Carlotti
Shake Edizioni
Pagine: 180
Prezzo: € 25,00
martedì, novembre 21, 2023
Chet Flippo - It's only rock 'n' roll - Le mie avventure on the road con i Rolling Stones
Chet Flippo è stato una delle colonne portanti di Rolling Stone, per cui ha cominciato a scrivere nel 1974, è stato scrittore con libri su Hank Williams, Paul McCartney, David Bowie, Elvis Presley), ha collaborato con New York Times, Texas Monthly e Q.
Seguì i ROLLING STONES nel Tour of the Americas del 1975 e per cinque anni rimase a fianco della band, documentando vrai passi importanti della loro carriera come il Live a El Mocambo del 1977 (finito poi su "Love you live".
Nel libro ci sono le vicende legate al periodo, chiacchierate informali con la band, aneddoti e curiosità (poco o nulla del prevedebile aspetto "pruriginoso" di droghe e donne).
Flippo è eccessivamente autoreferenziale e talvolta il libro si dilunga in aspetti poco interessanti anche se è decisamente un must per i fan della band.
Cosa si prova quando ventimila persone concentrano tutta la loro energia su di te? E' una sensazione travolgente?
Mick Jagger:
Si. E' così. Forse è per questo che molti non smettono mai di esibirsi. Perché non riuscirebbero a fare a meno di quella scarica di adrenalina"
MIck Jagger 1980:
"Fondamentalmente il rock non è protesta, non lo è mai stato, non è politico.
Una volta incentivava la tesnione interfamiliare.
Oggi non serve nemmeno a questo perché i padri non si sentono offesi dalla musica.
La apprezzano oppure la trovano simile a quello che piaceva a loro da ragazzi.
Perciò il rock 'n' roll è finito, tutto finito."
Chet Flippo
It's only rock 'n' roll - Le mie avventure on the road con i Rolling Stones
Caissa Italia Edizioni
208 pagine
22 euro
Seguì i ROLLING STONES nel Tour of the Americas del 1975 e per cinque anni rimase a fianco della band, documentando vrai passi importanti della loro carriera come il Live a El Mocambo del 1977 (finito poi su "Love you live".
Nel libro ci sono le vicende legate al periodo, chiacchierate informali con la band, aneddoti e curiosità (poco o nulla del prevedebile aspetto "pruriginoso" di droghe e donne).
Flippo è eccessivamente autoreferenziale e talvolta il libro si dilunga in aspetti poco interessanti anche se è decisamente un must per i fan della band.
Cosa si prova quando ventimila persone concentrano tutta la loro energia su di te? E' una sensazione travolgente?
Mick Jagger:
Si. E' così. Forse è per questo che molti non smettono mai di esibirsi. Perché non riuscirebbero a fare a meno di quella scarica di adrenalina"
MIck Jagger 1980:
"Fondamentalmente il rock non è protesta, non lo è mai stato, non è politico.
Una volta incentivava la tesnione interfamiliare.
Oggi non serve nemmeno a questo perché i padri non si sentono offesi dalla musica.
La apprezzano oppure la trovano simile a quello che piaceva a loro da ragazzi.
Perciò il rock 'n' roll è finito, tutto finito."
Chet Flippo
It's only rock 'n' roll - Le mie avventure on the road con i Rolling Stones
Caissa Italia Edizioni
208 pagine
22 euro
lunedì, novembre 20, 2023
Concerti. Problemi, gestione, prospettive
Riprendo l'articolo che ho pubblicato ieri per "Libertà", quotidiano di Piacenza, nella rubrica "La musica ribelle".
Non è ancora Natale è già da tempo il web rigurgita di annunci di concerti e tour fissati per la prossima estate.
In molti casi i biglietti non solo sono già in vendita ma spesso già esauriti (per poi ricomparire improvvisamente a ridosso della data del concerto a prezzi maggiorati.
Ma questo è un altro discorso).
Eppure la scorsa estate, a giudicare da una valanga di polemiche e recriminazioni da parte del pubblico pagante, non sembra sia stata una stagione del tutto perfetta.
Le lamentele si sono moltiplicate e hanno interessato quasi ogni grande concerto. A partire dai prezzi dei biglietti, sempre più esorbitanti, gravati anche dall'odiosa pratica dei “token”, gettoni di plastica venduti all'interno dell'area dei concerti a un prezzo fisso e che se non spesi, non vengono rimborsati.
A cui si aggiunge spesso il luogo deputato all'evento, non di rado inadatto, con parcheggi (pure quelli particolarmente costosi) scomodi spesso lontani dall'area deputata, improvvisazione diffusa, fruibilità del concerto messa in discussione da acustiche non ottimali.
Cosa succede dunque? Come mai molti dei partecipanti inveiscono contro l'organizzazione nostrana citando esperienze totalmente differenti in positivo all'estero?
Ho provato a interpellare alcuni addetti ai lavori per capirne di più.
v A partire da Giuseppe Miceli responsabile dell'agenzia Solid Bond:
“Io direi che le capacità organizzative non ci mancano, anzi, da questo punto di vista registro una crescita di nuove interessanti realtà alla ricerca di spazi dove poter lavorare. Sono questi ultimi che mancano e non solo in provincia. Roma, per esempio, soffre di questa assenza da tempo: pochissime le "venue" utilizzabili per un bacino di utenza potenzialmente gigantesco.
Ma anche altre grandi città (a parte Bologna) non se la passano tanto meglio. Quindi ci si sposta spesso in spazi inadeguati per ascoltare musica dal vivo, come vecchi teatri o cinema, strutture sportive, piazze o aree urbane, anche di importanza archeologica, che benché siano bellissime, sono spesso totalmente inadatte per ospitare concerti di un certo livello. Certo, lo Stato dovrebbe intervenire per incentivare la creazione di nuovi spazi, come succede in Francia, Germania e in altri Paesi europei, però non possiamo attenderci miracoli. Sappiamo benissimo che in Italia non c'è mai stata una progettualità seria da questo punto di vista. La cosa che mi conforta comunque è che l'interesse per la buona musica dal vivo non manca, e da questa considerazione tutti noi operatori dovremmo continuare a costruire e crescere.
Il fatto che il pubblico sia sempre più esigente, e aggiungo anche 'curioso', non lo trovo un aspetto negativo. Mi auguro che i fruitori del 'live' crescano, sia in termini numerici che qualitativi, e possano mantenere il passo degli altri Paesi europei.”
Concorda con un'opinione simile Alfredo Cappello, direttore artistico dei Magazzini Generali e dell'Hard Rock Cafe di Milano:
“Io non credo ci sia un problema di capacità organizzative, se così fosse soprattutto gli artisti stranieri, con le loro produzioni, eviterebbero di passare da noi. Credo però che l'Italia sia indietro a livello di infrastrutture, tanto per dirne una, i concerti a San Siro sono un must, ma è uno stadio vecchio, per fare un esempio basta andare nei bagni, inoltre ha grosse limitazioni acustiche. Se quello è la punta di diamante è evidente che c'è da migliorare tanto.
E anche per la musica al chiuso la scelta non è grande, anche se migliorata tantissimo. Bisogna inoltre fare un distinguo tra Milano e il resto d'Italia.
Se Milano arranca per essere al livello delle capitali europee della musica, il resto d'Italia salvo poche situazioni, è lontano anni luce dal fornire allo spettatore un servizio di livello.
Spettatore che sta diventando sempre più esigente, anche perché alle volte gli conviene prendere un volo low cost direzione estero per godersi lo stesso concerto, ma a condizioni decisamente migliori. Ultima cosa, si tende a dare troppa importanza ai commenti negativi del web e dei social. Frustrazione, anche giustificata, che tende a sminuire in molti casi il buon lavoro fatto. Insomma c'è da lavorare per migliorarsi, senza dubbio, ma non vedo il bicchiere mezzo vuoto!”
Andrea Biso Bissoli dell'agenzia Corner Soul, specializzata in concerti rock 'n' roll, punk, garage, soprattutto in piccoli club, con l'eccezione di grandi eventi come ad esempio il Festival Beat è più tranchant:
“Mega eventi?
Perché, se posso vendere a prezzi assurdi un singolo show con le strategie più infime di secondary ticketing, token, parcheggi a 25 euro, birra a 10, panini a 15, acqua non ne parliamo, e tutte le imposizioni possibili per ricavare soldi da ogni angolo?
Perché sostenere musicisti e progetti quando puoi prendere il rapper di turno, che parla di stupri, droghe e furti, sdoganando tutto, spesso pagato dai Comuni?
Perché sostenere la discografia quando basta buttarsi su burattini usciti da talent più grandi di loro che ti fanno fare un mare di soldi a costo zero?
Perché sostenere progetti di festival di cultura quando una “sagra del gambero di risaia (del Vietnam)” ti fa fare più soldi perché, si sa, come si mangia in Italia non si mangia da nessuna parte? Perché fare Cultura, quando è così facile fare grano?”
Il tema che solleva l'ultimo interlocutore ribalta la responsabilità, non tanto sugli organizzatori ma, a monte, su chi decide le programmazioni, molto spesso in base a un rendiconto economico, sicuramente indispensabile ma che dovrebbe prescindere dal contenuto culturale.
Come sappiamo i Governi che si sono succeduti da tempo in Italia, soprattutto per miopia, un po' anche per mancanza di fondi, hanno tagliato senza remore e il più possibile i finanziamenti alla Cultura, lasciando i Comuni a gestire l'ambito con pochi spiccioli.
Ezio Guaitamacchi è stato spesso in prima linea in veste di organizzatore ma più spesso, da decenni, come spettatore sotto il palco in qualità di rinomato giornalista musicale. La sua visione è disincantata e chiarificatrice su molti punti:
“Relativamente al caro biglietti possiamo solo rimproverare i nostri amati idoli che sono i primi responsabili, conseguenza di richieste economiche alte che costringono gli organizzatori a fare lievitare il prezzo. Purtroppo l'Italia è un paese piccolo e popoloso, privo di luoghi adatti a grandi concerti (contrariamente a Usa e Inghilterra meglio attrezzati di noi anche grazie a un'esperienza più lunga).
Dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo, tipo stadi da calcio, dove notoriamente si sente e si vede male o spazi improvvisati, per quanto possano essere suggestivi come il “Sottomura” di Lucca. Infine i fruitori dei grandi concerti dei nomi classici sono, in buona parte, persone di un'età ormai abbastanza avanzata, tanto quella dei loro idoli, molti dei quali ottuagenari o quasi.
Persone che non hanno più la voglia, la pazienza e l'entusiasmo per sobbarcarsi parcheggi lontani dal concerto, lunghe attese, cibo veloce da consumare scomodamente in piedi, anche perché lo hanno fatto per decine di anni e ora incominciano a non averne più così tanta voglia.”
E', in tutta evidenza, in base a queste testimonianze, un problema strutturale. Su cui, a parte le dovute e virtuose eccezioni, non si è mai investito con una visione a lungo termine.
L'ambito, detto genericamente artistico, è considerato un'appendice ludica alla quotidianità dei cittadini, non un'opportunità per crescere culturalmente, per formare nuove generazioni, arricchendone la mente e l'anima.
La recente pandemia ha dimostrato quanto il settore artistico sia stato pressoché ignorato e abbandonato, quando sarebbe stato al contrario necessario sostenerlo ancora di più nel suo noto stato di perenne precarietà.
Dunque? Che fare? Auspicare condizioni migliori? Prezzi più bassi?
O forse incominciare a tornare nei piccoli locali, sostenerli con la nostra presenza e supporto, scoprire nuovi nomi, nuove musiche, alimentare una scena artistica che c'è, esiste, si sbraccia per farsi conoscere, acquistarne i dischi o Cd, farla crescere, mantenendo vive realtà che lo fanno per passione e amore per la musica?
Personalmente ho già deciso da tempo.
Non è ancora Natale è già da tempo il web rigurgita di annunci di concerti e tour fissati per la prossima estate.
In molti casi i biglietti non solo sono già in vendita ma spesso già esauriti (per poi ricomparire improvvisamente a ridosso della data del concerto a prezzi maggiorati.
Ma questo è un altro discorso).
Eppure la scorsa estate, a giudicare da una valanga di polemiche e recriminazioni da parte del pubblico pagante, non sembra sia stata una stagione del tutto perfetta.
Le lamentele si sono moltiplicate e hanno interessato quasi ogni grande concerto. A partire dai prezzi dei biglietti, sempre più esorbitanti, gravati anche dall'odiosa pratica dei “token”, gettoni di plastica venduti all'interno dell'area dei concerti a un prezzo fisso e che se non spesi, non vengono rimborsati.
A cui si aggiunge spesso il luogo deputato all'evento, non di rado inadatto, con parcheggi (pure quelli particolarmente costosi) scomodi spesso lontani dall'area deputata, improvvisazione diffusa, fruibilità del concerto messa in discussione da acustiche non ottimali.
Cosa succede dunque? Come mai molti dei partecipanti inveiscono contro l'organizzazione nostrana citando esperienze totalmente differenti in positivo all'estero?
Ho provato a interpellare alcuni addetti ai lavori per capirne di più.
v A partire da Giuseppe Miceli responsabile dell'agenzia Solid Bond:
“Io direi che le capacità organizzative non ci mancano, anzi, da questo punto di vista registro una crescita di nuove interessanti realtà alla ricerca di spazi dove poter lavorare. Sono questi ultimi che mancano e non solo in provincia. Roma, per esempio, soffre di questa assenza da tempo: pochissime le "venue" utilizzabili per un bacino di utenza potenzialmente gigantesco.
Ma anche altre grandi città (a parte Bologna) non se la passano tanto meglio. Quindi ci si sposta spesso in spazi inadeguati per ascoltare musica dal vivo, come vecchi teatri o cinema, strutture sportive, piazze o aree urbane, anche di importanza archeologica, che benché siano bellissime, sono spesso totalmente inadatte per ospitare concerti di un certo livello. Certo, lo Stato dovrebbe intervenire per incentivare la creazione di nuovi spazi, come succede in Francia, Germania e in altri Paesi europei, però non possiamo attenderci miracoli. Sappiamo benissimo che in Italia non c'è mai stata una progettualità seria da questo punto di vista. La cosa che mi conforta comunque è che l'interesse per la buona musica dal vivo non manca, e da questa considerazione tutti noi operatori dovremmo continuare a costruire e crescere.
Il fatto che il pubblico sia sempre più esigente, e aggiungo anche 'curioso', non lo trovo un aspetto negativo. Mi auguro che i fruitori del 'live' crescano, sia in termini numerici che qualitativi, e possano mantenere il passo degli altri Paesi europei.”
Concorda con un'opinione simile Alfredo Cappello, direttore artistico dei Magazzini Generali e dell'Hard Rock Cafe di Milano:
“Io non credo ci sia un problema di capacità organizzative, se così fosse soprattutto gli artisti stranieri, con le loro produzioni, eviterebbero di passare da noi. Credo però che l'Italia sia indietro a livello di infrastrutture, tanto per dirne una, i concerti a San Siro sono un must, ma è uno stadio vecchio, per fare un esempio basta andare nei bagni, inoltre ha grosse limitazioni acustiche. Se quello è la punta di diamante è evidente che c'è da migliorare tanto.
E anche per la musica al chiuso la scelta non è grande, anche se migliorata tantissimo. Bisogna inoltre fare un distinguo tra Milano e il resto d'Italia.
Se Milano arranca per essere al livello delle capitali europee della musica, il resto d'Italia salvo poche situazioni, è lontano anni luce dal fornire allo spettatore un servizio di livello.
Spettatore che sta diventando sempre più esigente, anche perché alle volte gli conviene prendere un volo low cost direzione estero per godersi lo stesso concerto, ma a condizioni decisamente migliori. Ultima cosa, si tende a dare troppa importanza ai commenti negativi del web e dei social. Frustrazione, anche giustificata, che tende a sminuire in molti casi il buon lavoro fatto. Insomma c'è da lavorare per migliorarsi, senza dubbio, ma non vedo il bicchiere mezzo vuoto!”
Andrea Biso Bissoli dell'agenzia Corner Soul, specializzata in concerti rock 'n' roll, punk, garage, soprattutto in piccoli club, con l'eccezione di grandi eventi come ad esempio il Festival Beat è più tranchant:
“Mega eventi?
Perché, se posso vendere a prezzi assurdi un singolo show con le strategie più infime di secondary ticketing, token, parcheggi a 25 euro, birra a 10, panini a 15, acqua non ne parliamo, e tutte le imposizioni possibili per ricavare soldi da ogni angolo?
Perché sostenere musicisti e progetti quando puoi prendere il rapper di turno, che parla di stupri, droghe e furti, sdoganando tutto, spesso pagato dai Comuni?
Perché sostenere la discografia quando basta buttarsi su burattini usciti da talent più grandi di loro che ti fanno fare un mare di soldi a costo zero?
Perché sostenere progetti di festival di cultura quando una “sagra del gambero di risaia (del Vietnam)” ti fa fare più soldi perché, si sa, come si mangia in Italia non si mangia da nessuna parte? Perché fare Cultura, quando è così facile fare grano?”
Il tema che solleva l'ultimo interlocutore ribalta la responsabilità, non tanto sugli organizzatori ma, a monte, su chi decide le programmazioni, molto spesso in base a un rendiconto economico, sicuramente indispensabile ma che dovrebbe prescindere dal contenuto culturale.
Come sappiamo i Governi che si sono succeduti da tempo in Italia, soprattutto per miopia, un po' anche per mancanza di fondi, hanno tagliato senza remore e il più possibile i finanziamenti alla Cultura, lasciando i Comuni a gestire l'ambito con pochi spiccioli.
Ezio Guaitamacchi è stato spesso in prima linea in veste di organizzatore ma più spesso, da decenni, come spettatore sotto il palco in qualità di rinomato giornalista musicale. La sua visione è disincantata e chiarificatrice su molti punti:
“Relativamente al caro biglietti possiamo solo rimproverare i nostri amati idoli che sono i primi responsabili, conseguenza di richieste economiche alte che costringono gli organizzatori a fare lievitare il prezzo. Purtroppo l'Italia è un paese piccolo e popoloso, privo di luoghi adatti a grandi concerti (contrariamente a Usa e Inghilterra meglio attrezzati di noi anche grazie a un'esperienza più lunga).
Dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo, tipo stadi da calcio, dove notoriamente si sente e si vede male o spazi improvvisati, per quanto possano essere suggestivi come il “Sottomura” di Lucca. Infine i fruitori dei grandi concerti dei nomi classici sono, in buona parte, persone di un'età ormai abbastanza avanzata, tanto quella dei loro idoli, molti dei quali ottuagenari o quasi.
Persone che non hanno più la voglia, la pazienza e l'entusiasmo per sobbarcarsi parcheggi lontani dal concerto, lunghe attese, cibo veloce da consumare scomodamente in piedi, anche perché lo hanno fatto per decine di anni e ora incominciano a non averne più così tanta voglia.”
E', in tutta evidenza, in base a queste testimonianze, un problema strutturale. Su cui, a parte le dovute e virtuose eccezioni, non si è mai investito con una visione a lungo termine.
L'ambito, detto genericamente artistico, è considerato un'appendice ludica alla quotidianità dei cittadini, non un'opportunità per crescere culturalmente, per formare nuove generazioni, arricchendone la mente e l'anima.
La recente pandemia ha dimostrato quanto il settore artistico sia stato pressoché ignorato e abbandonato, quando sarebbe stato al contrario necessario sostenerlo ancora di più nel suo noto stato di perenne precarietà.
Dunque? Che fare? Auspicare condizioni migliori? Prezzi più bassi?
O forse incominciare a tornare nei piccoli locali, sostenerli con la nostra presenza e supporto, scoprire nuovi nomi, nuove musiche, alimentare una scena artistica che c'è, esiste, si sbraccia per farsi conoscere, acquistarne i dischi o Cd, farla crescere, mantenendo vive realtà che lo fanno per passione e amore per la musica?
Personalmente ho già deciso da tempo.