Riprendo l'articolo che ho pubblicato ieri per "Libertà", quotidiano di Piacenza, nella rubrica "La musica ribelle".
Non è ancora Natale è già da tempo il web rigurgita di annunci di concerti e tour fissati per la prossima estate.
In molti casi i biglietti non solo sono già in vendita ma spesso già esauriti (per poi ricomparire improvvisamente a ridosso della data del concerto a prezzi maggiorati.
Ma questo è un altro discorso).
Eppure la scorsa estate, a giudicare da una valanga di polemiche e recriminazioni da parte del pubblico pagante, non sembra sia stata una stagione del tutto perfetta.
Le lamentele si sono moltiplicate e hanno interessato quasi ogni grande concerto. A partire dai prezzi dei biglietti, sempre più esorbitanti, gravati anche dall'odiosa pratica dei “token”, gettoni di plastica venduti all'interno dell'area dei concerti a un prezzo fisso e che se non spesi, non vengono rimborsati.
A cui si aggiunge spesso il luogo deputato all'evento, non di rado inadatto, con parcheggi (pure quelli particolarmente costosi) scomodi spesso lontani dall'area deputata, improvvisazione diffusa, fruibilità del concerto messa in discussione da acustiche non ottimali.
Cosa succede dunque? Come mai molti dei partecipanti inveiscono contro l'organizzazione nostrana citando esperienze totalmente differenti in positivo all'estero?
Ho provato a interpellare alcuni addetti ai lavori per capirne di più.
v A partire da Giuseppe Miceli responsabile dell'agenzia Solid Bond:
“Io direi che le capacità organizzative non ci mancano, anzi, da questo punto di vista registro una crescita di nuove interessanti realtà alla ricerca di spazi dove poter lavorare. Sono questi ultimi che mancano e non solo in provincia. Roma, per esempio, soffre di questa assenza da tempo: pochissime le "venue" utilizzabili per un bacino di utenza potenzialmente gigantesco.
Ma anche altre grandi città (a parte Bologna) non se la passano tanto meglio. Quindi ci si sposta spesso in spazi inadeguati per ascoltare musica dal vivo, come vecchi teatri o cinema, strutture sportive, piazze o aree urbane, anche di importanza archeologica, che benché siano bellissime, sono spesso totalmente inadatte per ospitare concerti di un certo livello. Certo, lo Stato dovrebbe intervenire per incentivare la creazione di nuovi spazi, come succede in Francia, Germania e in altri Paesi europei, però non possiamo attenderci miracoli. Sappiamo benissimo che in Italia non c'è mai stata una progettualità seria da questo punto di vista. La cosa che mi conforta comunque è che l'interesse per la buona musica dal vivo non manca, e da questa considerazione tutti noi operatori dovremmo continuare a costruire e crescere.
Il fatto che il pubblico sia sempre più esigente, e aggiungo anche 'curioso', non lo trovo un aspetto negativo. Mi auguro che i fruitori del 'live' crescano, sia in termini numerici che qualitativi, e possano mantenere il passo degli altri Paesi europei.”
Concorda con un'opinione simile Alfredo Cappello, direttore artistico dei Magazzini Generali e dell'Hard Rock Cafe di Milano:
“Io non credo ci sia un problema di capacità organizzative, se così fosse soprattutto gli artisti stranieri, con le loro produzioni, eviterebbero di passare da noi. Credo però che l'Italia sia indietro a livello di infrastrutture, tanto per dirne una, i concerti a San Siro sono un must, ma è uno stadio vecchio, per fare un esempio basta andare nei bagni, inoltre ha grosse limitazioni acustiche. Se quello è la punta di diamante è evidente che c'è da migliorare tanto.
E anche per la musica al chiuso la scelta non è grande, anche se migliorata tantissimo. Bisogna inoltre fare un distinguo tra Milano e il resto d'Italia.
Se Milano arranca per essere al livello delle capitali europee della musica, il resto d'Italia salvo poche situazioni, è lontano anni luce dal fornire allo spettatore un servizio di livello.
Spettatore che sta diventando sempre più esigente, anche perché alle volte gli conviene prendere un volo low cost direzione estero per godersi lo stesso concerto, ma a condizioni decisamente migliori. Ultima cosa, si tende a dare troppa importanza ai commenti negativi del web e dei social. Frustrazione, anche giustificata, che tende a sminuire in molti casi il buon lavoro fatto. Insomma c'è da lavorare per migliorarsi, senza dubbio, ma non vedo il bicchiere mezzo vuoto!”
Andrea Biso Bissoli dell'agenzia Corner Soul, specializzata in concerti rock 'n' roll, punk, garage, soprattutto in piccoli club, con l'eccezione di grandi eventi come ad esempio il Festival Beat è più tranchant:
“Mega eventi?
Perché, se posso vendere a prezzi assurdi un singolo show con le strategie più infime di secondary ticketing, token, parcheggi a 25 euro, birra a 10, panini a 15, acqua non ne parliamo, e tutte le imposizioni possibili per ricavare soldi da ogni angolo?
Perché sostenere musicisti e progetti quando puoi prendere il rapper di turno, che parla di stupri, droghe e furti, sdoganando tutto, spesso pagato dai Comuni?
Perché sostenere la discografia quando basta buttarsi su burattini usciti da talent più grandi di loro che ti fanno fare un mare di soldi a costo zero?
Perché sostenere progetti di festival di cultura quando una “sagra del gambero di risaia (del Vietnam)” ti fa fare più soldi perché, si sa, come si mangia in Italia non si mangia da nessuna parte? Perché fare Cultura, quando è così facile fare grano?”
Il tema che solleva l'ultimo interlocutore ribalta la responsabilità, non tanto sugli organizzatori ma, a monte, su chi decide le programmazioni, molto spesso in base a un rendiconto economico, sicuramente indispensabile ma che dovrebbe prescindere dal contenuto culturale.
Come sappiamo i Governi che si sono succeduti da tempo in Italia, soprattutto per miopia, un po' anche per mancanza di fondi, hanno tagliato senza remore e il più possibile i finanziamenti alla Cultura, lasciando i Comuni a gestire l'ambito con pochi spiccioli.
Ezio Guaitamacchi è stato spesso in prima linea in veste di organizzatore ma più spesso, da decenni, come spettatore sotto il palco in qualità di rinomato giornalista musicale. La sua visione è disincantata e chiarificatrice su molti punti:
“Relativamente al caro biglietti possiamo solo rimproverare i nostri amati idoli che sono i primi responsabili, conseguenza di richieste economiche alte che costringono gli organizzatori a fare lievitare il prezzo. Purtroppo l'Italia è un paese piccolo e popoloso, privo di luoghi adatti a grandi concerti (contrariamente a Usa e Inghilterra meglio attrezzati di noi anche grazie a un'esperienza più lunga).
Dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo, tipo stadi da calcio, dove notoriamente si sente e si vede male o spazi improvvisati, per quanto possano essere suggestivi come il “Sottomura” di Lucca. Infine i fruitori dei grandi concerti dei nomi classici sono, in buona parte, persone di un'età ormai abbastanza avanzata, tanto quella dei loro idoli, molti dei quali ottuagenari o quasi.
Persone che non hanno più la voglia, la pazienza e l'entusiasmo per sobbarcarsi parcheggi lontani dal concerto, lunghe attese, cibo veloce da consumare scomodamente in piedi, anche perché lo hanno fatto per decine di anni e ora incominciano a non averne più così tanta voglia.”
E', in tutta evidenza, in base a queste testimonianze, un problema strutturale. Su cui, a parte le dovute e virtuose eccezioni, non si è mai investito con una visione a lungo termine.
L'ambito, detto genericamente artistico, è considerato un'appendice ludica alla quotidianità dei cittadini, non un'opportunità per crescere culturalmente, per formare nuove generazioni, arricchendone la mente e l'anima.
La recente pandemia ha dimostrato quanto il settore artistico sia stato pressoché ignorato e abbandonato, quando sarebbe stato al contrario necessario sostenerlo ancora di più nel suo noto stato di perenne precarietà.
Dunque? Che fare? Auspicare condizioni migliori? Prezzi più bassi?
O forse incominciare a tornare nei piccoli locali, sostenerli con la nostra presenza e supporto, scoprire nuovi nomi, nuove musiche, alimentare una scena artistica che c'è, esiste, si sbraccia per farsi conoscere, acquistarne i dischi o Cd, farla crescere, mantenendo vive realtà che lo fanno per passione e amore per la musica?
Personalmente ho già deciso da tempo.
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