lunedì, marzo 20, 2023
Vladimir Vysockij
Riprendo l'articolo che ho dedicato ieri al cantautore sovietico Vladimir Vysockij nella pagine di "Libertà".
La criminale invasione dell’Ucraina, oltre al malefico universo di dolore e insensata devastazione, ha portato con sé una separazione politica, sociale e culturale tra quella parte d’Europa (perché di questo si tratta, la parte occidentale della Russia è sempre stata, culturalmente, Europa) e questa in cui viviamo, che durerà decenni e le cui ferite saranno complicatissime da suturare.
Abbiamo assistito a censure insensate per artisti e autori, solo perché di nazionalità russa e all’invocata messa al bando di testi classici, perché scritti nella parte “sbagliata” del mondo. Un manicheismo politicamente e intellettualmente molto comodo che, ovviamente, non tiene conto delle mille sfumature.
Bisognerebbe iniziare, ad esempio, a distinguere tra chi detiene il potere, gestendolo spesso spietatamente in funzione dei propri interessi e chi invece è vittima dei propri governanti, non ne condivide le mosse ma è costretto (o non di rado indotto) a muoversi nella loro stessa direzione. Una volta, prima del 1989, la si pensava allo stesso modo.
Noi siamo dalla parte giusta e corretta e dall’altra parte ci sono solo i cattivi e spietati che mangiano i bambini.
Invece oltre quella “cortina di ferro” si vivevano storie simili alle nostre, ricche di quelle gradazioni che pensavamo non potessero esistere.
In Unione Sovietica si pensava ci fossero i comunisti ligi al dovere e i dissidenti, vessati, bastonati, internati. Non era esattamente così.
E la storia di Vladimir Vysockij lo dimostra.
Cantautore e artista, inviso al regime comunista per la sua vita e l’attitudine anarchica e libertaria ma contro il quale non si pose mai apertamente in conflitto, pur essendo l’antitesi dell’immagine del virtuoso socialista, al servizio del popolo.
Proprio per questa modalità fu amatissimo dal pubblico sovietico che gli tributò, alla sua morte, a soli 42 anni, un bagno di folla ai funerali tenutisi in una Mosca in piene Olimpiadi del 1980, tirata a lucido e svuotata da qualsiasi potenziale “disturbatore”. In centomila persone si affollarono intorno al feretro, nonostante i media ufficiali avessero tenuto la notizia rigorosamente nascosta.
Crollato il comunismo la sua figura è diventata di culto nella Russia “democratica”, con omaggi di ogni tipo, incluso quello dello stesso Putin, nel venticinquesimo anniversario della scomparsa.
La sua fama ha valicato i confini e trovato apprezzamenti anche in Europa e Stati Uniti.
In Italia gli venne assegnato il Premio Tenco, postumo, nel 1993, occasione in cui una serie di importanti nomi del cantautorato italiano lo omaggiarono nell’album “Il volo di Volodja” a cui parteciparono, traducendo i suoi brani in italiano, Guccini, Vecchioni, Capossela, Ligabue, Milva, Branduardi, Finardi.
Lo stesso Eugenio Finardi approfondì la ricerca sulle canzoni di Visocky dedicandogli un intero album, anche questo ovviamente tradotto nella nostra lingua, “Il cantante al microfono”, nel 2008. Anche Vinicio Capossela e Paolo Rossi ne includeranno brani in loro album e spettacoli.
Il suo stile era scarno, minimale, chitarra acustica (talvolta volutamente scordata), una voce rauca, “alcolica” da incallito fumatore, vissuta, che inizialmente raccontava in modo aspro e diretto storie della malavita moscovita e della complicata realtà sovietica degli anni Sessanta ma che poi si allargò a tantissime altre tematiche connesse alla quotidianità, dall’amicizia a chiassose bevute, mettendo in primo piano la vita dei più sfortunati, oppressi, gli ultimi della società.
L’aspetto interessante è che in queste intense e sgangherate ballate non c’era una critica apertamente politica che potesse portarlo alla censura o a una reprimenda da parte del regime ma il cantare un certo tipo di storie metteva in evidenza quanto le cose non fossero così come venivano ufficialmente raccontate, rappresentando una società in cui il disagio e l’insoddisfazione, la miseria e le aspirazioni castrate, fossero ben presenti e che non tutto rilucesse nel “paradiso dei lavoratori”.
Anche i suoi concerti erano sempre piuttosto coloriti e fuori dai canoni sovietici (in cui o si parlava mellifluamente di amore o si esaltavano patriotticamente le conquiste del socialismo).
Molto ironico e pungente anche quando canta di se stesso in “Dalla vita mi ha strappato un autista sbadato”:
“La vita me l'ha strappata via un autista sbadato, le mie spoglie nessuno le ha richieste all'obitorio. Portano il mio cranio al museo di storia naturale, lo scheletro sarà usato per giocarci a domino” concludendo amaramente con “Ho camminato per le strade della vita come un comune pedone io, che per non ritardare, mi sono sempre svegliato tanto presto. Chi dirà di avermi rispettato è un bugiardo. Un ubriacone senza rispetto per se stesso”. La sua epica e il suo canto per i vinti ricorda da vicino quella del nostro Fabrizio De Andrè. Vedi ad esempio “Il volo di Volodja”:
“Signore, quando a te arriveranno gli ultimi, scordati pure dai crisantemi, arriveranno con passo celere perché sono sempre i primi a crepare e quando arriveranno gli inutili tagliando finalmente un traguardo e quando arriveranno i timidi uccisi da un sorriso, da uno sguardo e quando arriveranno le “lucciole” con i calli sui tacchi e sul cuore e chissà con quale animo saprai parlare loro d’amore e quando arriveranno i fradici vomitando grappe da due lire e ti offriranno gli ultimi spiccioli per un penultimo bicchiere, allora tu Signore chiederai pietà”.
Visocky nascondeva dietro a una proposizione musicale sguaiata, ironica e da cantastorie, un po’ guitto, un po’ teppista, una ricerca poetica attraverso versi di enorme spessore, lessicalmente colti. La sua vita artistica era costantemente boicottata dal regime che lo descriveva come un pessimo esempio per la gioventù.
Paradossalmente Visocky era quello, nella nazione modello del “servire il popolo” ma che i suoi cittadini li vessava con mille regole e divieti, che al popolo veramente arrivava, spontaneamente e direttamente.
Cantava spesso nelle fabbriche dove in molti registravano i suoi concerti su cassetta, le duplicavano e le facevano girare tra amici e conoscenti.
Scrisse una lettera di lamentela a un rappresentante del Pcus (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) in cui sarcasticamente sottolineava:
“Sono sicuro che lei sappia che nel paese è più facile trovare un registratore sul quale ci siano le mie canzoni piuttosto che uno dove non ce ne siano”.
Ma suonava ovunque gli fosse possibile, non di rado anche in piccoli concerti in appartamenti privati, nelle università o improvvisando all’aperto.
Peraltro in un paese dove non esisteva l’imprenditoria privata e la quasi totalità dei lavoratori era pagata dalla stato, il suo perenne girovagare suonando lo fece arricchire parecchio rispetto al resto della popolazione, grazie ai biglietti dei concerti (ne faceva anche diversi al giorno, con la sua chitarra e la sua voce).
Incise alcuni dischi per l’etichetta di stato, l’unica consentita, la Melodjia ma con precise censure e indicazioni, concedendogli solo testi innocui.
La fama di Visocky era immensa in tutta l’Urss tanto che si cimentò anche come attore, sia cinematografico che teatrale, ottenendo un grande successo.
Non fu mai esplicitamente anti sovietico, anzi, continuò a professare un amore incondizionato per la sua terra e la sua patria.
Paradossalmente proprio per questo atteggiamento trovò meno interesse in Occidente, dove il “martire dissidente perseguitato” aveva sicuramente maggior appeal.
Sposa l’attrice francese Marina Vlady e ottiene i visti per potere uscire dall’Urss.
La sua vita è sempre più disordinata: alcol a fiumi, anche tanta droga, atteggiamenti sempre più frequentemente sopra le righe (era l’unico privato a Mosca a possedere un auto occidentale). Da una parte il segretario Breznev lo adorava, dall’altro era costantemente ignorato da stampa e media.
Suona in tutto l’impero sovietico e nei paesi satelliti, arriva anche a New York e Los Angeles ma le sue condizioni peggiorano sempre di più a causa degli eccessi a cui si è da tempo abbandonato e vari tentativi di disintossicazione non vanno a buon fine.
Muore nel 1980.
Ha composto più di cinquecento brani (qualcuno parla di un migliaio) l’ultimo dei quali, poco prima di morire fu indirizzato alla moglie Marina: "Una lettera a Marina":
"Ho meno di cinquant'anni, ma il tempo è breve / Protetto da te e da Dio, vita e membra / Ho una canzone o due da cantare davanti al Signore / Ho un modo per fare pace con lui”.
Владимир Высоцкий - Кони привередливые
https://www.youtube.com/watch?v=4hQQ4i7bf4U
Vladimir Vysotsky - Wolf Hunt
https://www.youtube.com/watch?v=ROmlFJamIuY
Vinicio Capossela - Il pugile sentimentale
https://www.youtube.com/watch?v=X4iv1Wg1RKY
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