lunedì, maggio 23, 2022

P 38 La Gang, le Brigate Rosse e le provocazioni


Riprendo l'articolo pubblicato ieri per "Libertà", quotidiano di Piacenza, nell'inserto "Portfolio".

Il canovaccio è collaudato e consolidato: spararla grossa, esagerare, anche a rischio del grottesco.
Suscitare scalpore e indignazione.
Alla fine tra esecrazioni, proteste, rimbrotti, scandalo, pubblica gogna, il nome rimarrà in testa, in molti si avvicineranno per curiosità, qualcuno ne rimarrà affascinato, tutti ne parlano e il gioco è fatto.

Il caso recentissimo del gruppo trap/rap dei P38-La Gang ha smosso firme illustri, i quotidiani più letti, sdegno delle istituzioni, interventi altolocati, note di biasimo.
La band nei suoi testi fa diretti riferimenti alle Brigate Rosse e caso Moro, parteggiando in sostanza per il terrorismo rosso, esibendo nei video bandiere di BR, Unione Sovietica e Corea del Nord, facendo, come minimo, un po' di confusione ideologica.
In considerazione del fatto che basterebbe leggere qualche libro di storia e conoscere le basi di ciò di cui si parla, per sapere che i tre riferimenti di cui sopra sono politicamente e storicamente incompatibili e non basta l'ombrello di una falce e martello per unirli.

Dunque una provocazione studiata ad arte o semplicemente particolarmente ingenua e superficiale per potere essere discussa o presa minimamente sul serio.
Qualcuno lo ha però fatto, intraprendendo azioni legali nei confronti del gruppo (e di alcuni locali che li hanno ospitati) per “istigazione a delinquere”.

Purtroppo la “macchina mediatica” necessita in continuazione di materiale di cui parlare e da sparare in prima pagina per ricevere attenzione. E più la notizia è curiosa, bizzarra, anomala, e si trova un mostro da esibire, e maggiore attenzione si coglie.
Peccato che il gioco sia stantìo.

Basti pensare ai Sex Pistols che grazie alle idee del loro manager Malcolm McLaren trovarono pubblicità e attenzione mediatica esibendo svastiche su magliette e vestiti in un'Inghilterra che portava ancora i segni dei bombardamenti nazisti di vent'anni prima.
I quattro ragazzi ne approfittarono e, grazie anche a originalità e capacità artistiche, ottennero un successo mondiale. Malcolm McLaren era lo stesso che pochi anni prima rivestì i New York Dolls, che fino ad allora avevano scandalizzato esibendosi con abiti femminili, con tute in latex rosso e una bandiera dell'Unione Sovietica con grande falce e martello in evidenza, mandandoli in giro per l'America in paranoia per la Guerra Fredda. Quella volta non andò bene, la provocazione passò praticamente inosservata e la band poco dopo si dissolse.

Alla fine quello che contano sono il contenuto, la sostanza, la coerenza, la chiarezza delle idee, altrimenti queste inutili polemiche si scioglieranno ben presto come neve al sole.

Ben altri sono i riferimenti in musica da ricercare se si vuole parlare di un certo periodo. Ancora oscuro e parzialmente inesplorato, soprattutto politicamente e antropologicamente, derubricato nella semplice e semplicistica definizione di “anni di piombo”.
Fu ben altro, sommerso da mille contraddizioni, da centinaia di tragedie, omicidi, annientamento di una o più generazioni, repressione ideologica e fisica di un'idea, di un'utopia, di una speranza, perseguita in modo sbagliato, uccisa in modo altrettanto ingiusto.
Forse il dolore è ancora così forte e la ferita tanto aperta che è raro trovare canzoni che si siano occupate di quegli anni in modo lucido, costruttivo, intelligente e profondo.

Fabrizio De André ne parla in “La domenica delle salme”, uno dei suoi brani più ispirati dall'album “Le nuvole” del 1990, scritto con Mauro Pagani: “E furono inviati messi, fanti, cavalli, cani ed un somaro ad annunciare l'amputazione della gamba di Renato Curcio, il carbonaro”. Spiegò bene questi versi:
“Il riferimento a Curcio è preciso. Non si capiva come mai si vedevano circolare per le nostre strade e per le nostre piazze, Piazza Fontana compresa, persone che avevano sulla schiena assassinii plurimi e come mai il signor Renato Curcio, che non ha mai ammazzato nessuno, era in galera da più lustri e nessuno si occupava di tirarlo fuori. Direi solamente per il fatto che non si era pentito, non si era dissociato, non aveva usufruito di quella nuova legge che, certamente, non fa parte del mio mondo morale”.

“Io se fossi Dio” di Giorgio Gaber uscì nel 1980, poco tempo tempo dopo l'assassinio di Aldo Moro e il suo testo è quanto di più diretto e spietato si possa ritrovare nella canzone d'autore italiana.
Tra varie invettive rivolte all'ipocrisia della politica e della società nostrana, si sofferma anche sul caso Moro con parole impietose ma di una lucidità unica.
“E se al mio Dio che ancora si accalora, gli fa rabbia chi spara, gli fa anche rabbia il fatto che un politicante qualunque se gli ha sparato un brigatista diventa l'unico statista!
Io se fossi Dio, quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio, c'avrei ancora il coraggio di continuare a dire che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana è il responsabile maggiore di trent'anni di cancrena italiana. Io se fossi Dio, un Dio incosciente enormemente saggio, avrei anche il coraggio di andare dritto in galera, ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora quella faccia che era!”
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Anche i Gang di Marino Severini, la cui visione politica e della società è degna dei migliori pensatori e storici italiani del '900, ne hanno parlato in “Via Italia”, tratta dall'album “Storie d'Italia” del 1993. “In via Italia han messo i sigilli li hanno mesi su tutti i dintorni da via Fani a via Caetani ci puoi mettere anche cinquanta cinquantacinque giorni”. Lo stesso Severini ha precisato l'intento della canzone:
“E' un viaggio nella storia di questo paese alla ricerca di quel che resta dei valori della democrazia e della libertà per poter costruire dalle macerie. La canzone si chiamava prima Via Fani, poi abbiamo pensato che era sicuramente più utile allargare la prospettiva e avere una visuale più ampia che comprendesse vent'anni e più di stragi che hanno caratterizzato la gestione del potere in questo paese. Resta soltanto una parte del testo che riguarda più da vicino Via Fani e i cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro. Questo perché pensiamo che anche questa vicenda non sia stata chiarita, resti tutt'oggi 'oscura'”.

I loro “cugini” Modena City Ramblers ne hanno parlato nella loro celebre “Cento passi”, dedicata alla tragica vicenda di Peppino Impastato:
Era la notte buia dello Stato Italiano, quella del nove maggio settantotto. La notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l'alba dei funerali di uno stato.

Un capitolo a parte merita la recente opera elettronica di Blak Saagan, nome d'arte del compositore veneziano Samuele Gottardello che ha intitolato il nuovo album “Se ci fosse la luce sarebbe bellissimo”, da una frase estrapolata dalle lettere che Aldo Moro spedì alla moglie durante la sua carcerazione ad opera delle Brigate Rosse, in cui ogni canzone ha un titolo che si collega alla vicenda dello statista della DC, da “Dentro la prigione del popolo” a “E lo spettro disse Gradoli”.

Anche i Virginiana Miller scrissero di quelle storie in “Anni di piombo”.
“In quella vicenda ci siamo giocati il futuro del Paese. Che se non ci fosse stato il rapimento Moro, con quell’epilogo atroce, il Paese oggi oggi sarebbe diverso. Avremmo anche una sinistra diversa, con idee più chiare e moderne, consolidate in una pratica di governo più rodata negli anni. Credo che se ti interessa il presente, ed è di questo che in fondo si parla, tu non possa non farti delle domande su quel che fu in gioco allora. Gli anni di piombo congelarono il Paese in una morsa asfittica: adesso paghiamo il conto della nostra arretratezza. La canzone è dedicata ai Padri. Moro fu uno di questi padri di cui la nostra società è tragicamente orfana e di cui pure c’è ancora un disperato bisogno”.

Ritengo sia sufficiente la lettura degli approfondimenti in musica citati per comprendere come si possa affrontare un tema così lacerante, divisivo, decisivo, quanto difficile e impegnativo per la storia italiana, con intelligenza e competenza, senza ricorrere a superficiali e impalpabili provocazioni su argomenti così seri.
Evidentemente non alla portata di tutti.
Sicuramente non per chi ha deciso di speculare in un modo che possiamo bonariamente definire ingenuo e che si spera sia solo frutto di mancanza di conoscenza e cultura.
A cui si può rimediare con un libro di storia.

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