lunedì, aprile 12, 2021

Prison Songs



Riprendo l'articolo che ho firmato ieri per "Libertà".
Coincide con la condanna all'Italia per essere il paese nell'Unione Europea con le carceri più sovraffollate.

Il carcere é un non-luogo, un buco nero, alieno alla realtà circostante, non a caso ormai regolarmente costruito lontano, nelle estreme periferie delle città, fuori dal consesso civile.

Là ci stanno i cattivi, chi ha sbagliato e per questo diventa inadatto a convivere con i “giusti”, un essere inferiore, reietto e marchiato a vita.

Statisticamente, per fortuna, pochi di noi ci hanno avuto a che fare, per cui la questione non ci riguarda. Dimenticando che il carcere sarebbe concepito come mezzo rieducativo, per riportare nella “civiltà” le persone che hanno commesso un errore, in modo che possano, espiata la pena, riallinerasi alla vita con tutti noi.
Quelli giusti.
Sappiamo bene che non é così e quanto l'esperienza in carcere segni l'esistenza di chi l'ha subita, da un punto di vista personale, morale, sociale.
Una vita minata per lungo tempo dalla lontananza affettiva dai propri cari e dagli amici, sfregiata dalla sofferenza della coercizione, dell'abbandono, di un totale disagio fisico ed emotivo.

Chi sbaglia paga.
Spesso troppo e per sempre.

Personalmente ho avuto l'occasione di entrare in carcere per qualche ora, anni fa, per suonare con i Timepills, la mia band di inizi anni 90, all'interno di un progetto che prevedeva spettacoli e cultura all'interno della prigione di Piacenza, ancora sita a due passi da Piazza Duomo, in via Consiglio, dove oggi c'é la nuova sede del Tribunale.
Ricordo distintamente il portone che si chiudeva, molto cinematograficamente, con un grande tonfo dietro al nostro furgone.
Poi le sbarre, i chiavistelli, i secondini, le divise, le celle, i cancelli. Ricordo anche quanto ci tremassero le mani quando qualche decina di carcerati sciamò nella palestra dove suonammo e l'emozione di vedere molte facce note, tra occhi lucidi e stomaco che si chiudeva.
Eroina, estremismo politico, sogni di un mondo nuovo da conquistare con “ogni mezzo necessario”, avevano falcidiato, negli anni Ottanta, una generazione o due di coetanei e qualcuno sostava da un po' tra quelle mura.
Un'esperienza sconvolgente, anche quando lasciammo quel luogo, noi di nuovo liberi, loro chiusi lì ancora per chissà quanto.
Una persona che avevo perso di vista da un po' (capivo solo allora il perché), conosciuto come valido batterista, mi chiese se potevo lasciargli le bacchette per potersi esercitare in cella.
Gliele diedi, commosso. All'uscita un secondino le sequestrò in quanto “oggetti contundenti”.
Mi apparve come un'ingiusta crudeltà, una privazione insensata. Protestai ma non ci fu nulla da fare.
Me ne andai con ancora più amarezza e angoscia.

C'é una lunga tradizione e un solido legame tra musica rock e blues con il tema carcerario. Spesso in chiave superficiale, dove il protagonista della canzone é visto come personaggio dai contorni cinematografici, novello Robin Hood, ma, per fortuna, ci sono casi molto diversi e di ben altro spessore.

Uno dei primi a dare credito e dignità al contesto fu il ricercatore Alan Lomax che negli anni 30 e 40 girò le carceri del sud degli Stai Uniti, insieme al padre John, per registrare i canti dei detenuti (prevalentemente neri) al fine di presevare una cultura musicale/artistica, quella blues, che non avrebbe altrimenti avuto voce e sarebbe presumibilmente finita nell'oblìo.
Canzoni che parlavano della durezza della detenzione (a quei tempi spietata, soprattutto se non eri bianco) e della nostalgia per la libertà.
Nel corso degli anni non si contano gli artisti che hanno approfondito il tema, anche con concerti direttamente in prigione.

Il più famoso é indubbiamente quello di Johnny Cash, al penitenziario di Folsom, in California, da cui venne tratto uno strepitoso album dal vivo “At Folsom Prison”, nel 1968.
Altrettanto leggendaria quella del bluesman BB King, nel carcere di Chicago, immortalata in “Live in Cook County Jail”.
L'idea di registrare un album in prigione la ebbe, per primo, Frank Sinatra che nel 1965 portò con sé l'orchestra di Count Basie e Ella Fitzgerald a San Quentin. Purtroppo dal concerto non sortì alcuna registrazione.
Ma anche Sex Pistols, Bob Dylan, Metallica si dedicarono a concerti del genere.
Il più estremo lo fecero i punk rock n rollers dei Cramps che nel 1978 si esibirono in un carcere psichiatrico californiano, trasformando il concerto in un delirante e ingestibile show, in cui musicisti e pubblico si integrarono alla perfezione.

Impossibile fare un elenco pur lontanamente esaustivo delle canzoni che hanno a tema il problema carcerario.
Ho provveduto, conseguentemente a una scelta personale, nell'auspicio che attraverso un po' di buona musica si possa riflettere in modo più approfondito sulla questione.

Fabrizio De André si é notoriamente sempre speso su tematiche poco popolari e non sono ovviamente mancati i riferimenti al mondo delle prigioni, a partire da uno dei suoi brani più noti e di successo, l'epico ritratto di un detenuto con molti privilegi, in quanto, evidentemente, boss mafioso che anche tra quattro alte mura non aveva perso un briciolo di potere (metafora della sottomissione dello Stato alla malavita).
Il protagonista del testo é facilmente riferibile al boss della camorra Raffaele Cutolo, anche se De André, Massimo Bubola e Mauro Pagani, gli autori, non hanno mai confermato.
Lo stesso Cutolo scrisse un paio di lettere a Faber per ringraziare del (presunto) omaggio e complimentarsi (non si sa quanto ironicamente) per avere colto molti aspetti della sua personalità. Nello stesso album, “Le nuvole” del 1990 c'é un'altra canzone di potenza immane, “La domenica delle salme”, uno sguardo al decadimento morale, sociale e culturale della nostra nazione, in cui appare anche il tema carcerario come disse lo stesso De André: “Nel testo il riferimento all'amputazione della gamba di Renato Curcio, voleva essere un richiamo alla condizione sanitaria delle nostre carceri.”
Nel 1971 in “Non al denaro, non all'amore, né al cielo” in !”Il blasfemo” fu ancora più duro e diretto: “Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino / Non avevano leggi per punire un blasfemo / Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte / Mi cercarono l'anima a forza di botte”.

Da citare anche il non molto conosciuto caso dei neo melodici napoletani che, talvolta, dedicano accorate canzoni a prigionieri, non di rado apertamente collusi con la camorra.
Il tema é tremendamente complesso e senza un serio approfondimento si corre il rischio di liquidarlo con sciocca superficialità.

Al tema in questione hanno dedicato canzoni anche Daniele Silvestri (“La paranza”), gli Statuto (“Liberi liberi”), Rosa Balistreri, Vinicio Capossela (“La ballata del carcere di Reading”), Lucio Dalla (“La casa in riva al mare”).
Ci sono due recenti uscite completamente dedicate alla condizione carceraria.

Il cantante e rocker sardo Joe Perrino nel terzo volume della serie iniziata anni fa, “Canzoni di malavita. Per grazia non ricevuta” raccoglie racconti dal carcere, veri, disperatamente sinceri, drammatici, struggenti, violenti, mettendoli in musica tra folk, rock, blues, un'attitudine punk.
"In questo disco ho raccolto le esperienze e le suggestioni vissute all'interno delle carceri cagliaritane e le ho tradotte in canzoni".
I brani dell'album andranno a costituire la colonna sonora dell'omonimo film documentario, interpretato dallo stesso Joe Perrino insieme all'artista sassarese Giovanna Maria Boscani, che uscirà nel corso del 2021.

Il rapper Kento ha invece raccolto nel libro “Barre” le sue esperienze come educatore in un carcere minorile ricavandone un ritratto struggente, intensissimo con ragazzini costretti dietro le sbarre, spesso in condizioni di totale disagio, pulsioni autolesioniste, abusi "correttivi", bullismo, violenza.
Il problema é che a sedici anni, senza cellulare, senza famiglia, senza ragazze, senza tante di quelle cose che hanno quasi tutti i loro coetanei, il tempo davvero non passa mai. L'attesa porta alla noia, la noia porta al fastidio, il fastidio porta alla rabbia, la rabbia a creare problemi a sé e agli altri.
All'autolesionismo, alla violenza.


Ovviamente la problematica affrontata non si risolve con una canzone né con un libro ma con una riforma, un cambiamento radicale dell'insostenibile situazione attuale, a monte della quale ci può essere sempre e solamente un processo educativo, partendo dalle scuole, attraverso il quale, in primis, cercare di tenere lontane le persone dal reato, in seconda battuta, con un approccio totalmente diverso dal concetto attuale di carcere, che sia, finalmente improntato alla rieducazione e sempre meno alla pura e semplice coercizione.

4 commenti:

  1. han trattenuto poi qualche Time Pill? Renzo? BettyBlue?
    C

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  2. Sul tema mi permetto di segnalare una splendida canzone degli Osanna: "Chiuso qui", dall'album "Suddance" del 1978.

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