martedì, marzo 02, 2021
Festival di Sanremo
Riprendo l'articolo che ho firmato per "Libertà" domenica scorsa, con alcune considerazioni sul Festival di Sanremo.
“Il festival della polemica”.
Qualsiasi titolista di giornale va sul sicuro. Il connotato saliente di ogni recente Festival di Sanremo é “la polemica”.
Forse perché sono così scarsi i contenuti che é necessario affidarsi a qualcosa di non necessariamente inerente la musica per attirare un po' di interesse.
Il Festival di Sanremo é da lungo tempo una rassegna canora in cui le canzoni sono solo un ingrediente marginale e quasi secondario.
Vengono proposte in mezzo a lunghi momenti di spettacolo e intrattenimento, tra ospiti (più o meno interessanti...veramente interessa a qualcuno vedere per cinque serate consecutive il simpatico calciatore Ibrahimovic?), amici degli amici, talvolta anche personaggi della cultura, in infinite serate che si protraggono fino a notte inoltrata.
In aggiunta massicce dosi di di stacchi pubblicitari, l'essenziale motore per alimentare tutto il baraccone, scusate, il “circo”.
Qualcuno ricorda con precisione chi ha vinto le scorse edizioni?
Ve lo dico io: Diodato, Mahmood, Ermal Meta con Fabrizio Moro, Francesco Gabbani.
Davvero ve li ricordavate?
O forse si ha meglio impressa la lite tra Morgan e Bugo (sulla quale il primo ha campato per mesi, mentre il secondo, ancora inesperto, si é fatto travolgere ed é scomparso dalla scena)?
O le (pseudo) provocazioni estetiche di Achille Lauro? O le finte gaffe dei conduttori?
E' una questione di marketing, incassi, profitto.
Non a caso la manifestazione finisce economicamente sempre in attivo.
Ed é un momento di business all'ennesima potenza per il comparto musica, asfittico e sempre più in crisi, in Italia.
Partiamo ad esempio dai lavoratori, quelli che, come in ogni società, sono le fondamenta e l'impalcatura, anche se sul palco, sotto le luci sfavillanti, non si vedono mai.
Tecnici, attrezzisti, operai, che costruiscono scenografie e palchi, creativi che le disegnano e progettano.
Lavori ingrati che incominciano settimane prima e finiscono tanto tempo dopo. E non si creda che piovano soldi a palate.
Nemmeno nelle tasche dei musicisti che affollano l'orchestra che accompagna le canzoni in gara.
Fior di professionisti con curriculum infiniti.
Se scorriamo le loro biografie li troviamo costanti protagonisti nei migliori album e tour delle eccellenze nostrane.
Anche per loro é un lavoro in secondo piano, qualche fugace inquadratura e tanto, tanto impegno, avvalorato da ore e giorni di prove. Si suona davanti a milioni di persone, in una situazione non sempre ottimale e il risultato deve essere ovviamente impeccabile.
Anche in questo caso, le leggende fantasticano di assegni con infiniti zeri e valigette di banconote fruscianti.
Peccato che, come spesso accade, la verità sia più “amara” e concreta.
Ne ho interpellati alcuni, tra i veterani del festival, e le risposte sono concordi.
Si lavora un mese, contrattualizzati economicamente come le abituali produzioni discografiche.
Ovvero retribuzioni dignitose e interessanti ma nessuno ci si arricchisce o si compra la villa con piscina.
C'è infatti un'orchestra fissa con dipendenti assunti e normalmente stipendiati a cui si aggiungono i turnisti per l'occasione.
Essere su un palco, pare sia stato dimenticato in questo infame periodo, é un lavoro, come andare in fabbrica o in un ufficio.
Non é niente altro che un lavoro, con uguale dignità, anche si “suonano le canzonette”.
Passiamo agli autori dei brani.
Forse qualcuno si é chiesto come mai abitualmente le canzoni siano scritte da uno o due compositori mentre, guarda il caso, a Sanremo le presentazioni durano il doppio per avere il tempo di elencare tutti i partecipanti alla composizione.
Nell'ultima edizione i brani variavano dai tre ai cinque autori con quelli di Achille Lauro e di Junior Cally che ne contemplavano almeno sei.
Come mai?
Perché il passaggio, ripetuto, della canzone in una trasmissione RAI a cui assistono milioni di persone comporta una retribuzione piuttosto alta.
A cui si aggiungono quelle derivanti dai passaggi in trasmissioni televisive successive o contemporanee sulle varie reti.
Senza dimenticare che in Italia ci sono un centinaio tra radio e TV che a loro volta pagano i diritti di trasmissione delle canzoni.
Infine l'inserimento nelle varie compilation relative al Festival.
Se i brani hanno un particolare successo, diventano un piccolo o grande “classico” della canzone italiana e per anni continuano ad essere trasmessi o inseriti nei repertori di orchestre, gruppi, piano bar etc.
Conseguentemente avere una firma su un brano che passa al Festival é indispensabile particolarmente redditizio.
Se poi diventa famoso, finisce per essere una pensione per l'autore!
C'era poi (prima del Covid) un indotto enorme per la città e dintorni, tra ristoranti e alberghi, sia per l'ospitalità agli artisti che per il numerosissimo contorno di pubblico, curiosi, fan, cacciatori di autografi e contatti.
Non dimentichiamo tutto l'apparato comunicativo, dai giornali, alle radio, al web, alle televisioni, che sulla settimana dell'evento (oltre al prima e al dopo) possono costruire ore e ore di trasmissioni e correlato interesse del pubblico, tra articoli, interviste, servizi.
E infine i cantanti, i gruppi.
Il Festival può essere il lancio definitivo verso la notorietà o, nel caso di nomi già collaudati, un rilancio di popolarità.
Il che significa immancabilmente un nuovo disco o, per chi ha già un nome navigato, la classica compilation di vecchi successi, il brano di Sanremo e un paio di nuovi inediti.
Con la garanzia di, almeno, un'estate (in tempi pre Covid) di concerti, serate, ospitate.
E se tutto funziona un posto per l'edizione successiva del Festival é assicurato. Nell'asfittico panorama nostrano un passaggio a Sanremo può fare miracoli.
I pur ostici Afterhours fecero fare a Manuel Agnelli il primo passo all'interno del contesto “popolare”. E ben gliene colse, visto a dove é poi arrivato.
Il Festival di Sanremo é lo storico Recovery Fund (per usare una parola alla moda) della musica italiana, in cui in un solo colpo arrivano (o meglio possono arrivare) “ristori” inimmaginabili per autori, musicisti, cantanti.
E possono cambiare radicalmente una carriera. Ogni anno una delle “polemiche” é relativa al contenuto qualitativo.
Si invoca la partecipazione di nomi qualificati, cantautori celebri, spazi per la musica “alternativa”, di spessore culturale.
Che sarebbe del tutto fuori contesto e inutile, incompresa e alla fine ignorata.
Perché il carattere del Festival é quello che Pippo Baudo definì, giustamente, nazional popolare.
E il tratto distintivo del pubblico medio italiano, relazionato alla musica, é quello di una canzone facile, fruibile, melodica, melodrammatica, classica.
L'inserimento dell'eccezione serve solo ad avvalorare lo status quo.
Davvero qualcuno seguirebbe un Festival con gruppi “alternativi”, rap militante, di rock estremo?
Perché portarli in quel contesto?
Non avrebbe alcun senso, né alcun riscontro per gli stessi gruppi.
Si lasci il Festival per quello che é sempre stato da settanta edizioni a questa parte.
Ci si goda la “polemica” che immancabilmente renderà più appetibile e curioso l'evento: dalla già citata presenza di un calciatore bizzoso e sinceramente poco apprezzabile umanamente, alla trovata di una ventilata esclusione del brano di Fedez perché tramsesso per pochi secondi su un social, per ricordarne un paio. Ma a breve ne pioveranno copiose altre.
Da amante della cultura Pop, ovvero popolare, come ogni anno, un'occhiata al festival la darò.
Per conoscere e capire, per ascoltare e farmi un'idea di ciò che propone questo ambito di spettacolo.
Attenzione: non la musica italiana, quella, per passione e lavoro, la conosco più che bene, in ogni dettaglio, dall'hardcore punk alla trap, fino ai neo melodici!
Ma la “musica di Sanremo”, che é cosa diversa e ben specifica e raramente rappresenta il reale gusto dei fruitori.
Certo, appartarsi sdegnosamente in una rilettura di “Delitto e castigo” di Dostoevskij o in un saggio di Umberto Eco fa più intellettuale e rende più interessanti e alternativi.
Ovviamente dichiarandolo ai quattro venti sui social, altrimenti é una noia e non serve a niente. Ma viviamo in questa società di cui anche il Festival di Sanremo fa parte, volenti o nolenti.
E se ne vogliamo poi parlare, esprimendo giudizi e opinioni, é meglio farlo a ragion veduta.
anonimo delle 14:42
RispondiEliminaabbiamo vinto il festival di sanremo!!!
comunque il cantante dei bad manners che finisce in mutande non credo riaccadra' mai piu'
seguire festival da joyello
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