martedì, marzo 26, 2019
Fanzines
Articolo pubblicato domenica 24 marzo sul quotidiano di Piacenza LIBERTA'
A volte sembra strano anche a chi, abbastanza avanti con gli anni, lo ha vissuto, ma è esistito un periodo (lunghetto direi) in cui internet non esisteva. Non c'era nessun click su una tastiera che ci desse in un secondo il contatto con qualsiasi parte del mondo, l'accesso immediato a qualsiasi informazione.
E allora si impazziva, alla ricerca di ciò che interessava, sfogliando libri, riviste, ascoltando la radio, chiedendo direttamente ad amici, conoscenti o sapienti.
Per chi come il sottoscritto era affamato di ogni tipo di notizia musicale spesso ci volevano mesi per scoprire il titolo di un brano, il nome di un album, di un gruppo.
Un giorno, a metà degli anni 70, sentii da qualche parte che era uscito da poco un brano in cui David Bowie e John Lennon collaboravano insieme. Da, già allora, fanatico dei Beatles e ammiratore di David, mi misi alla ricerca di questa fantomatica canzone, sfogliando compulsivamente ogni rivista musicale, chiedendo a musicisti e conoscitori più vecchi, ascoltando i rari programmi rock che trasmetteva la Rai (le radio private ancora non erano arrivate). Solo molti mesi dopo mi imbattei nel nuovo album di David Bowie “Young Americans” dove era celato “Fame”, brano suonato e firmato anche da Lennon.
In realtà non ne fui tanto entusiasta ma la mia ricerca era andata a buon fine.
Se era così difficile per un ragazzino della profonda provincia italiana trovare tracce di un brano di due tra i massimi esponenti della musica rock, figuriamoci recuperare tracce di nomi e canzoni più oscuri.
Per fortuna dalla fine degli anni 70, soprattutto grazie alla nuova scena punk, nacquero le fanzine (parola inglese che somma le definizioni di fan e magazine, in sostanza rivista per gli appassionati).
Ovvero un giornale fotocopiato, il più delle volte in un numero esiguo di copie, distribuito in modo rozzo e improvvisato, spesso a mano ai concerti, a costi bassissimi e la cui forma grafica e contenutistica era, il più delle volte, soprattutto spontanea e poco rispettosa delle regole giornalistiche.
L'importante era però fare arrivare notizie il più dettagliate possibile su gruppi, dischi, personaggi, che abitualmente non avrebbero trovato posto negli organi ufficiali.
In realtà varie forme di fanzine esistevano già da tempo, a partire dagli anni 60, in ambito fumettistico e letterario ma anche nel giro hippy e psichedelico.
Negli anni 70 si diffusero in Inghilterra anche quelle legate al mondo del calcio.
In Unione Sovietica i Samizdat erano invece giornali clandestini fotocopiati attraverso cui si esprimeva il dissenso verso il regime.
Ma fu alla fine degli anni 70, contestualmente all'arrivo del punk, che il fenomeno esplose in tutto il mondo. Sia la musica che la scena punk erano scarsamente e raramente trattati sulle riviste musicali tradizionali e spesso in modo superficiale e sbrigativo.
Da “Punk” a New York a “Sniffin' Glue”, in Inghilterra incominciarono a proliferare le fanzine che non davano spazio solo ai conosciuti Sex Pistols, Clash, Ramones ma raccontavano ciò che succedeva nei piccoli locali, recensivano gruppi che avevano all'attivo solo un 45 giri, intervistavano i ragazzi del pubblico, pubblicavano indirizzi e numeri di telefoni (un'epoca in cui non c'era la paranoia della privacy), di referenti locali per organizzare i concerti, di altre fanzine, dei musicisti.
Una sorta di proto web che metteva in contatto in modo capillare tutte le persone interessate ad un genere musicale, non solo localmente ma in tutto il mondo.
Personalmente fui responsabile della prima fanzine mod italiana, “Faces”, che incominciai a fotocopiare in una trentina di copie nel 1980. Durò diciassette numeri fino ad arrivare a venderne quasi 500 a numero. Un aspetto importante e che accomunava tutti i “fanzinari” era l'assoluta gratuità dell'impegno. Nessuno si sognava di guadagnarci un centesimo, anzi, non era insolito perderci anche qualcosa. Ma era la nostra missione adolescenziale informare, fare conoscere nuove realtà, mettere in contatto le persone. E inoltre il tutto era animato da un “codice d'onore”, non scritto ma rigidissimo, ovvero nessuna “fake new”, nessuna millanteria, tutto rigorosamente corrispondente alla realtà.
Come disse un membro del gruppo inglese dei Purple Hearts, Simon Stebbing, a proposito della più importante fanzine mod britannica, “Maximum Speed”: “Era la nostra fanzine, esclusivamente per il nostro mondo, non erano pagati per farla, e questo rendeva il tutto assolutamente interessante. Non era qualcosa di inventato su una vita di cui non facevi parte, era sul nostro mondo, cosa ci capitava, chi suonava ed era il riflesso della nostra vita.” Le fanzine furono anche una palestra per futuri giornalisti, grafici, fotografi, disegnatori, imprenditori.
Quando le tirature incominciarono ad aumentare, fu necessario incominciare a perfezionare il taglio degli articoli, rileggerli più volte per evitare errori o strafalcioni (si scriveva con la macchina da scrivere su un foglio bianco e l'errore veniva cancellato con la scolorina bianca per evitare di dover riscrivere tutta la pagina), creare un'impaginazione più curata ed elegante.
Recensire un concerto implicava averne anche una foto, il più chiara, ben fatta e nitida possibile (dovendo essere poi fotocopiata, il rischio era quello di avere un'incomprensibile macchia nera). I titoli degli articoli si facevano con i cosiddetti trasferibili.
Si approfondì anche la qualità della contenutistica, cercando interviste con nomi famosi, immagini inedite, scoop.
Divenne importante avere un archivio di foto relativo ai gruppi principali, cartelle con le informazioni sugli stessi, con eventuali cambiamenti di formazione o nuovi dischi.
Come fare per ottenerle? Semplice. Ogni gruppo, anche il meno conosciuto, aveva un fan club.
Spedivi in Inghilterra i soldi (di solito 10 sterline), occultati in una busta (sperando che arrivassero o che non se li intascassero senza rispondere) e nel giro di un mesetto ti arrivava un pacchettino con la biografia, un paio di foto, una spilletta e qualche altro prezioso gadget e periodicamente un foglietto informativo di tutte le recenti e future attività del gruppo.
Io mi iscrissi a TUTTI i fan club!
Molto utili però anche le foto che magari trovavi su un giornale o su una rivista (di cui strappavi la pagina dal barbiere) che potevano servire a corredo di qualche articolo. Come detto ci voleva anche qualche nozione grafica per avere una copertina accattivante e un'impaginazione dignitosa. E infine una serie di peculiarità imprenditoriali.
Quante copie stampare?
A quanto venderle (il prezzo fisso era comunque un generico 1.000 lire) per non rimetterci? C'erano quaderni pieni di entrate/uscite, mille lire dopo mille lire.
Per snellire e ottimizzare (come si dice al giorno d'oggi) le vendite, pensai di creare un abbonamento annuale.
Richiedendo così una puntualità periodica delle uscite.
Ad un certo punto si creò una vera e propria redazione, con il sottoscritto ad operare per il nord Italia ed estero, un'altra persona per il centro sud e le isole, un altro ancora per gli affari inglesi. Nel frattempo in tanti mandavano contributi, dall'Italia e dall'estero, rendendo il contenuto sempre più variegato e pluralista.
Con il passare del tempo la forma fotocopia trovò, in alcuni casi, un'evoluzione, in vera e propria stampa, quasi a diventare, esteriormente, quasi come una rivista, pur lasciando i contenuti fedeli al concetto originario.
Progressivamente la fanzine perse il suo ruolo e la sua importanza informativa.
Le riviste specializzate inserirono spesso molti ”fanzinari” nelle loro redazioni, aprendo spazi sempre maggiori riservati anche a realtà meno conosciute, l'arrivo di internet negli anni 90 rese obsoleto questo strumento di comunicazione, trasferendone le modalità sul web (che decretò la nascita delle cosiddette webzines).
Molti i personaggi famosi che si sono dedicati in gioventù alla pratica della fanzine.
Da Paul Weller con la sua “December Child” che stampava alla fine degli anni 70 con la sua fidanzata, al futuro cantante dei Pogues, Shane McGowan con “Bondage” a Eddie Piller che di lì a poco fonderà l'etichetta discografica Acid Jazz Records, inventando un genere e scoprendo nomi come Jamiroquai e James Taylor Quartet, che stampò una ventina di numeri di “Extraordinary Sensations” che vendeva quasi 2.500 copie a numero.
Un piccolo mondo antico, cristallizzato nel passato, irripetibile, e proprio per questo ancora più caro e prezioso.
Letto 'su carta' domenica al bar di Podenzano . Grande
RispondiEliminaGrande Boss!
RispondiEliminaC