Dopo l'uscita dell'eccellente nuovo album "Belin, dei pazzi" un'interevista a Marco Balestrino, voce dei KLASSE KRIMINALE (grazie alla gentile intercessione di Andrea Mazzarello) era sicuramente interessante.
I KK continuano a suonare, registrare, pubblicare dischi. Che ruolo ha ancora una band come la vostra nella società odierna e tra i giovani?
Si la cosa appare un po' strana e fuori tempo massimo.
Se penso che quando è arrivato il Punk il principale messaggio era NO FUTURE e che tutto quello che c’era prima era vecchio, noioso e che band come gli Who, i cui componenti in quei giorni avevano la metà degli anni che io ho oggi, erano considerati dei vecchi matusa.
I protagonisti dell’Oi! erano dei diciottenni, ricordo che sulla cassetta dei Last Resort c’era stampato l’avvertimento: “Cert XXX not to be played to anyone over 30”.
Se ti ricordi la parola Kids era presente ovunque, il movimento era in mano ai ragazzini.
Oggi tutto questo non sembra più attuabile, il Punk è entrato tra i generi e i gusti di normali consumatori di musica.
Oggi non esistono più i kids, esistono gli acquirenti e il mercato ha creato prodotti per ognuno di noi, ci hanno inculcato che è possibile essere ogni cosa, come la Barbie You can be anything…
Il mondo del 1977 e dell’82 non esiste più oggi è tutto totalmente cambiato trasversalmente, in quegli anni rasarsi i capelli, ascoltare Punk, indossare un parka o un chiodo era una scelta ben precisa ed eravamo consapevoli che non era un gioco o una moda, se sbagliavi strada o quartieri potevi tornare a casa non intero o non tornarci proprio.
Credevamo! ed eravamo pronti a difendere il nostro movimento, la nostra tribù, tutto questo era una missione, una fede.
Non eravamo differenti dai nostri fratelli maggiori che nel decennio precedente avevano formato bande di quartiere, piccole associazioni a delinquere o erano finiti in cellule terroristiche.
Solo che noi avevamo caratterizzato la nostra gang di ragazzini con un preciso tipo di suono e stile e le nostre armi erano solo delle chitarre scordate e distorte.
Ma la cosa pazzesca che quello che accadeva a una manciata di ragazzini della provincia italiane in parallelo stava accadendo in tutto il mondo.
Oggi mette male far capire certi atteggiamenti che sembrano esasperati, senza senso o ragione… eravamo solo ragazzini alla ricerca di un’identità in un mondo che stava cambiando.
La storia dei KK è caratterizzata dalle mie scelte che sono andate oltre la semplice passione musicale, forse in certi momenti è stata anche un’ossessione visto che sono ancora qui, dopo più di quarant’anni, a strimpellare canzoni.
Che ruolo hanno i KK oggi? bella domanda!
Come dico in” Vico dei Ragazzi” il viaggio è lungo ma non è ancora finito. Le sorprese che ci riserva questo mondo moderno sembrano non finire mai pensa alla pestilenza mondiale che ha paralizzato le nostre vite qualche anno fa, pensa alla politica senza soluzioni che fa parlare solo la pancia, pensa a una guerra che si può raggiungere in un paio di giorni in macchina, il consumismo, l’economia mondiale, la finanza direi che ci è sfuggito tutto di mano e il futuro per i nostri figli è sempre più incerto.
Sono consapevole che la Musica come la Politica non hanno più la forza e il coinvolgimento che avevano negli anni 60 o 70, ma questo non è un buon motivo per smettere di sognare.
Il Punk e tutto ciò che ne è derivato si avvicina al mezzo secolo di vita.
Secondo te quanto ha influito in Italia tutta quella scena (da cui è poi partita quella Skin, Mod, New Wave, etc)?
Ha in qualche modo scalfito la nostra società?
Molte delle migliaia di persone che ne hanno fatto parte hanno una vita profondamente diversa ma mi sembra che solo in Gran Bretagna quelle realtà siano diventate “cultura” mentre da noi siano rimaste comunque in una nicchia.
Sembrerebbe roba da museo e da nostalgici, onestamente non so quanto in UK sia diventata “cultura” per tutti e da troppo tempo che non vado oltre Manica, ma le ultime volte che ci sono andato ho notato che quel sapore particolare che si respirava negli anni ’80 non c’è più.
London Town mi sembra ormai una città come un'altra, una città globalizzata come Parigi, Berlino o Milano, stesse catene di franchising, stessi colori, stessi toni, stessi prodotti e ahimè ho riscontrato una perdita culturale, di stile e una politica di pancia della serie tutto il mondo è paese.
Sicuramente in Inghilterra il Punk e tutto il resto sono stati un fenomeno spontaneo mentre in Italia puri elementi d’importazione. Qui da noi sono arrivati come mode anche se c’è stato chi gli ha dedicato anima e corpo.
Quello che è restato è quello che la società ha potuto monetizzare: l’estetica e il prodotto da Amazon.
D’altronde quando un fenomeno è stato tanto dirompente l’unico modo per fermarlo è l’eroina o addomesticarlo e renderlo moda (vedi calciatori con la cresta, signore tatuate con capelli colorati).
Ritieni che queste realtà “sottoculturali” finiranno progressivamente con noi che ne fummo/siamo protagonisti? O intravedi un ricambio?
Quello che abbiamo vissuto noi finisce sicuramente con la nostra generazione, ogni generazione ha la sua storia e un disco Punk preferito che sia più distorto o più addomesticato, che magari noi old school non capiamo.
Scegliere il Punk oggi forse non è più un’urgenza, una via d’uscita, un a way of life ma una scelta di estetica, di musica, un vintage relativamente alternativo.
Non c’è dirompenza, nessuno vuol fare Borstal Breakout, ognuno sta nella sua bolla, cura la sua immagine, condivide i self sui social, ma mi dà l’idea che sia tanto fumo e poco arrosto.
Negli anni Ottanta c’era molta violenza legata al giro sottoculturale italiano e non solo. La storia ha dimostrato che non era una prerogativa “nostra”. Ritroviamo le stesse dinamiche nelle attuali giovani generazioni, anche in maniera più efferata.
La storia dell’umanità è una storia di violenza e disagio da sempre.
Abbiamo un Cristo inchiodato al legno e lasciato a crepare sotto il sole esposto in ogni aula scolastica della nazione.
La violenza ce l’abbiamo dentro.
Quello che è brutto e angosciante di questi giorni è la violenza fine a sé stessa ripresa e condivisa come trofeo sui social.
“Belin, Dei Pazzi!” è un’operazione di grande spessore. Ridare vita a brani scomparsi. Come è nata l’idea?
L’idea nasce con l’album “Vico dei Ragazzi”, in “Prole Rock” cito già i local heroes, che per un attimo terrorizzarono la provincia, che sono andato a rintracciare per questo disco. L’idea di fondo era quella di ritrovare quel sound delle nostre generazioni che si sta sempre più annacquando e che io non trovo nei dischi di oggi, neanche di band come Cock Sparrer.
Abbiamo recuperato un pugno di canzoni della scena in cui sono cresciuto, una sorta di archeologia musicale, un vero guitars clash!
Il destino ci ha fatto registrare l’album al “Vecchio Son” di Bologna gestito da Steno.
I Nabat negli anni 80 avevano Tiziano WCK che li aiutava come manager e come sai anche lui era di Savona ed eravamo molto amici. Giulio Farinelli che aveva creato il suono di “Vico dei Ragazzi” non poteva mancare, ci siamo ritrovati tutti al Vecchio Son ed abbiamo alzato il volume al massimo.
Come è stato accolto l’album dai diretti interessati e dal pubblico?
Per il momento c’è un buon riscontro, qualche vecchio kids si è commosso, ma non farò nomi. Franco degli U-Boot continua a suonare con noi alla seconda chitarra.
Abbiamo quasi esaurito i Cd, vediamo come andranno il vinile, che esce il 4 ottobre, e i due singoli in uscita sulle piattaforme digitali.
Non vorrei però che sembrasse un’operazione nostalgica, qui siamo tutti gasati, compresi i diretti interessati pronti a fare ancora casino.
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