lunedì, maggio 27, 2024

The Prisoners

Ho dedicato l'articolo domenicale per il quotidiano "Libertà" di Piacenza ai PRISONERS.

Nei primi anni Novanta il Britpop di Oasis, Blur, Supergrass, Stone Roses, Verve conquistò le classifiche inglesi prima e mondiali subito dopo. Una serie di giovani band riprese i suoni della tradizione britannica di trent’anni prima (Beatles, Rolling Stones, Who, Kinks, Small Faces), li mischiò alle distorsioni e alla sfacciata provocazione di punk e glam rock (e in certi casi a pulsioni dance funk), creando una miscela irresistibile di energia, melodie, ritmo. A cui aggiunse una nostalgica costante citazione dell’indimenticata Swinging London di sapore Mod. La cultura musicale inglese non aveva mai scordato quegli esplosivi anni e nel corso del tempo le citazioni e le influenze si erano sprecate (dai Jam di Paul Weller a molte band uscite nel contesto punk e soprattutto in quello mod a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, i riferimenti erano stati costanti).

Tra costoro quattro giovanissimi ragazzi di Rochester, cittadina di 60.000 abitanti del Kent a sud est di Londra.
Si chiamarono The Prisoners, in esplicito omaggio alla serie televisiva del 1967, “Il prigioniero” / “The Prisoner”, dai contorni fantapolitici distopici con chiari riferimenti ai romanzi di George Orwell.
Graham Day, voce e chitarra, Allan Crockford basso e voce, James Taylor all’organo Hammond, Johnny Symons alla batteria sembravano esteticamente usciti dalla Carnaby Street del 1965, suonavano una musica chiaramente debitrice a quel periodo (Who e Small Faces in particolare) ma con un’energia punk e un tocco jazz e surf negli episodi strumentali.

Personalmente li scoprii casualmente nel 1982 a Londra con un concerto fulminante, dall’energia prorompente, nell’insopportabile umidità estiva di un piccolo club, il Clarendon Hotel, proprio sotto l’imponente struttura dell’Hammersmith Odeon.
Una band che riassumeva tutto ciò che ho sempre amato.
Corsi il giorno dopo in Carnaby Street, da “Merc”, negozietto di una via laterale (che diventerà poi un marchio famoso e con ben altre strutture) dove “il cinese” (un signore dai tratti orientali) vendeva tutto ciò che era relativo all’ambito Mod e affini, dai dischi alle fanzine ai vestiti.
E trovai lì il primo album della band, “A taste of pink”, appena pubblicato.
Entrò immediatamente nei miei dischi “da isola deserta” e ancora oggi lì rimane.
Incominciai a seguire la band con tutta la passione di un ventenne e li rividi più volte nelle frequenti puntate londinesi, oltre che in un tour in Italia.

Ogni volta una gioia, anche nei successivi tre album “Thewisermiserdemelza” (più psichedelico e vicino a sonorità alla Doors), “The last fourfathers” (suoni crudi e duri, quasi abrasivi) e nel commiato “In from the cold” (più soul) del 1986, all’indomani del quale la band si sciolse.

In mezzo vari 45 giri ed ep, sempre di altissimo livello.

Dice il bassista Allan Crockford alla domanda se non si sono sentiti sottovalutati e “dimenticati” quando esplose il Britpop che avevano anticipato di ben dieci anni: “Forse ci sentivamo un po' così negli anni Novanta. Penso che ora accettiamo semplicemente che le cose siano andate così. Quando eravamo giovani non ce la cavavamo abbastanza bene al mondo del music business, semplicemente suonavamo la nostra musica e ci divertivamo. È fantastico avere avuto qualche riconoscimento per ciò che stavamo facendo e che i musicisti che hanno avuto più successo di noi ci diano un po’ di credito per la nostra influenza. L'unico motivo per cui suoni musica è trarne qualcosa, non raggiungere la celebrità o il successo. Il momento in cui ci siamo sforzati troppo per ottenere il “successo” è stato il momento in cui tutto è andato storto. Sono felice di sentire la gente dire che eravamo "importanti" in qualche modo, ma molto più felice semplicemente di poter continuare a suonare, sia con i Prisoners o con la mia band The Galileo 7, o con qualsiasi altra band che occasionalmente riemerge!”

Dopo lo scioglimento il chitarrista Graham Day e il bassista Allan Crockford hanno collaborato in numerosi progetti che in qualche modo, con varie differenze, proseguivano il percorso sonoro dei Prisoners, dai Prime Movers, ai Solarflares (che volli come ospiti a un Festival Tendenze che organizzavo a Piacenza, pur di vederli dal vivo!).
Ma Crockford è stato anche a fianco del tastierista James Taylor che fondò il James Taylor Quartet, precursore della scena Acid jazz con un suono che guardava al jazz tinto di soul degli anni Cinquanta e Sessanta (da Booker T & the Mg’s a Jimmy Smith), proseguendo anche con una lunga serie di altre band, dagli Stabilisers agli attuali Galileo 7.

I Prisoners si riunirono saltuariamente per qualche concerto e anche un 45 giri ma è solo ora che la band, a quasi quarantanni dallo scioglimento, ha ripreso inaspettatamente vita, con una serie di concerti e soprattutto un nuovo, favoloso, album, “Morning star”, appena pubblicato, in cui riprendono i suoni cari, con una maggiore maturità e nuove influenze. Ancora Crockford: “Abbiamo riscoperto qualcosa di noi quattro che suonavamo insieme su un piccolo palco, essendo amici oltre che musicisti nella stessa band. Volevamo andare avanti in qualche modo, ma suonare solo le vecchie canzoni non sarebbe stato sufficiente a mantenere vivo il nostro interesse. Ci annoieremmo presto se fosse solo nostalgia. Abbiamo deciso di provare a scrivere del nuovo materiale insieme. Il materiale è stato messo insieme molto velocemente quindi abbiamo deciso di registrarlo e fare un nuovo album. Con le nuove canzoni da suonare dal vivo, manterremo vivo il nostro interesse per la band. Non ci importa suonare vecchie canzoni se possiamo anche suonarne alcune nuove per mantenerlo interessante e stimolante per noi!”.

Come detto, il nuovo lavoro non tradisce le aspettative, tra beat, rock, soul, tanta creatività e voglia di suonare, comporre, condividere di nuovo il brivido di un palco insieme, essere di nuovo parte di qualcosa di entusiasmante.
Anche perché i loro fan, sparsi per il mondo, non hanno mai smesso di amarli, seguendo le vicende soliste e sperando sempre in una reunion e nuovo materiale.
Crockford:
“Siamo sempre sorpresi dalla passione dei fan. Naturalmente lo abbiamo sentito in qualche modo fin dagli anni Ottanta con le persone che sono rimaste interessate ai nostri gruppi successivi. Molti di loro sono pronti ad ascoltare la nostra nuova musica, che sia sulla stessa linea dei Prisoners o magari qualcosa di un po’ diverso. Apprezziamo tutti la possibilità di suonare. Ma ci rendiamo anche conto che i Prisoners sono la band con cui molti di loro sono cresciuti ascoltandola in un momento importante della loro vita. La musica che ascolti nel momento formativo della tua vita è ciò che rimarrà con te e avrà un effetto emotivo. Lo capiamo e siamo molto grati.
La musica popolare è cambiata e non è più solo proprietà dei giovani. Il pubblico è più vecchio, così come le band. Non credo che fare musica rock, o come vogliamo chiamarla, sia ormai appannaggio solo dei giovani.
Il nuovo esiste accanto al vecchio in un modo molto più grande di quando eravamo giovani. La musica realizzata da artisti più anziani può esistere ed è per lo più giudicata di pari valore.
Ma ogni generazione ha i suoi eroi e non possiamo fingere di attrarre così tanti giovani. Ovviamente è fantastico che alcuni dei nostri fan siano padri o madri e portino i loro figli ai nostri concerti, e forse si appassioneranno alla nostra musica. La cosa comune è l’amore per la musica ad alto volume elettrizzata, e l’età del pubblico non ha più molta importanza. Ne sono felice.”


La storia dei Prisoners è una storia come tante, oscura, mai baciata dal successo e dalla grande popolarità ma fatta di affetto, dedizione e amore per la musica, senza indulgere in idee compromissorie ma restando fedeli ai propri gusti e riferimenti artistici
. Ripagata dall’amore dei fan.
Quello che basta per sentirsi felici, dopo tanti sacrifici, illusioni, delusioni. Come dice Warren Zanes nella recente biografia che ha dedicato a Bruce Springsteen:
“Entrare a fare parte di una band significa esistere, fare parte di qualcosa. La gente fa dei sacrifici per riuscirci. Mi sono reso conto che le persone non parlano molto spesso della pazienza e della forza d'animo che occorrono per fare parte di un gruppo. Le band ti possono spezzare il cuore.”

4 commenti:

  1. Spero non ti sia sfuggito questo magnifico libro vero...? Nel caso è prevista una ristampa, ma affrettati a prenotarla : https://www.facebook.com/atasteofinkbook/

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    1. si si so che è uscito e presto lo prendo

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    2. Guarda ti dico solo che è uno spettacolo ! E' stata un'idea della sorella di Alan, Elinor. C'è tempo fino al 30 Giugno per prenotarlo.

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