Ho dedicato ieri nell'inserto "Portfolio", diretto da Maurizio Pilotti del quotidiano "Libertà" di Piacenza, un articolo al 50ennale di "Band on the run" di Paul McCartney & Wings.
Sono ricorrenti, tra i Beatlesiani Doc, accese dispute.
Praticamente su ogni aspetto dell'attività del gruppo e suoi componenti, non di rado su quali sono i migliori album incisi come solisti dopo lo scioglimento.
Se la giocano quasi sempre John e Paul ma George Harrison con il suo capolavoro “All things must pass” del 1970 entra abbastanza spesso tra i preferiti, a sparigliare le carte.
Purtroppo George non seppe più ripetersi a quei livelli, dimostrando che il suo ruolo di compositore, relegato nei Beatles a un paio di brani per ogni album, era la giusta proporzione artistica per la band.
Pure Ringo Starr, più per simpatia e incoraggiamento che per reale spessore artistico, fa ogni tanto capolino con il suo “Ringo” del 1973, anche perché fu una sorta di reunion dei Beatles con John, Paul e George a collaborare, suonando e componendo (pur, in verità, non concedendogli brani di grandissima qualità).
Tornando all'infinita diatriba John/Paul, i primi anni Settanta furono testimoni di un botta e risposta costante, purtroppo non solo artistico. L'uno e l'altro infilarono, in testi e copertine, reciproche invettive (talvolta particolarmente violente, vedi il testo al vetriolo di “How do you sleep?” di John, da “Imagine”, rivolto all'ex amico) o meno dolorose punzecchiature.
Ci vollero un po' di anni per riportare serenità tra i due. John Lennon inaugurò (dopo tre album sperimentali) la sua carriera solista con il gioiello “John Lennon/Plastic Ono band”, un disco immediato, suonato in diretta, cupo e duro, probabilmente il suo capolavoro (con il classico “Working class hero” e la potentissima “God”) al pari del successivo “Imagine”, che oltre all'immortale brano omonimo e l'invettiva contro Paul, contiene lo struggente “Jealous guy” già provato dai Beatles ma mai inserito nei loro album). Le successive prove contengono altri grandi brani ma non eguagliarono questa partenza così ispirata.
Paul McCartney ha una discografia di decine di album e sceglierne i migliori è assai complesso anche perché coprono un arco artistico di oltre mezzo secolo. L'esordio omonimo del 1970, il successivo “Ram”, lo sperimentale “McCartney 2” del 1980, “Flowers in the dirt” del 1989, “Chaos and creation” del 2005 sono eccellenti lavori.
Ma, personalmente, credo che “Band on the run” del 1973, accreditato a Paul McCartney & the Wings, sia una spanna abbondante su tutto il resto e, sempre parere personale (che sarà ovviamente inviso alla totalità dei “Lennoniani” e troverà critiche anche dai “McCartneyiani), rimane il miglior lavoro di un ex Beatles. Album che ha trovato recente ristampa, nel cinquantennale dalla pubblicazione, con l'aggiunta di un disco con i brani "underdubbed” ovvero i mix provvisori senza le parti vocali definitive, le varie sovraincisioni, orchestra e fiati. La storia del disco è, tra l'altro, molto particolare e spettacolare.
Paul decise di registrare il nuovo album lontano dalla solita Inghilterra. Rifiutò uno studio a Rio de Janeiro e addirittura Pechino e, affascinato dai suoni africani e soprattutto da quelli dei dischi di Fela Kuti, l'inventore dell'afrobeat, optò per Lagos in Nigeria, pregustando le session di registrazioni, caratterizzate da giornate trascorse in spiaggia a prendere il sole (peraltro scegliendo la stagione meno adatta visto che abitualmente settembre è una stagione piovosissima da quelle parti e il 1973 non fece eccezione) e nottate in mezzo agli strumenti.
Il viaggio incominciò sotto i peggiori auspici con il chitarrista Henry McCullough e il batterista Denny Seiwell che lasciarono inaspettatamente la band pochi giorni prima della partenza.
Così in Nigeria andarono, dal 30 agosto al 22 settembre 1973, solo Paul, la moglie Linda, il chitarrista Denny Laine e il tecnico Geoff Emerick. L'album fu poi completato a Londra con l'aggiunta delle parti orchestrali, fiati, altri strumenti e il mixaggio.
Paul si occupò (senza problemi grazie alla sua abilità da polistrumentista) di suonare praticamente tutto (dal basso alla chitarra, alle tastiere fino alla batteria, che suscitò il plauso di un esperto come Keith Moon che gli chiese chi fosse quel batterista così abile).
Purtroppo Lagos e la Nigeria non erano come se l'aspettavano.
Dopo la guerra civile, finita pochi anni prima, la città e la nazione erano rigidamente militarizzate, con violenza e corruzione diffuse ovunque.
Anche lo studio di registrazione a Wharf Road nei sobborghi di Apapa era in pessime condizioni con un otto piste (ben lontano dagli abituali standard) e problemi ovunque (quando arrivarono i macchinari non erano collegati e alcune parti non funzionavano). Paul soffrì anche di un forte attacco d'asma che gli fu quasi letale.
Inoltre Paul e Linda subirono il furto di tutti i provini (e una discreta somma di denaro, aspetto che non ha mai preoccupato più di tanto la loro contabilità ma che comunque non rese le cose più facili e spensierate) che avevano preparato prima delle registrazioni. Per fortuna molte parti erano scritte e i brani già ben memorizzati.
Ma l'incidente più "grave", da un punto di vista diplomatico, avvenne proprio con il tanto ammirato e apprezzato Fela Kuti, con cui Paul contava di poter collaborare.
Ma quando il vulcanico Fela venne a sapere della sua presenza in Nigeria lo "denunciò" dal palco del suo locale annunciando che era a Lagos per "rubare la musica africana" e il giorno dopo si presentò improvvisamente in studio per discuterne con l'ex Beatle. McCartney fu costretto a fargli sentire quanto registrato fino ad allora per dimostrare che non c'era nulla di africano nelle canzoni.
"Avremmo voluto usare musicisti africani, ma quando ci è stato detto che stavamo per rubare la loro musica abbiamo detto. "Bene lo faremo da soli". Fela pensava che stessimo rubando la musica africana nera, il suono di Lagos. Quindi gli ho dovuto dire: "Facci un favore, Fela, stiamo bene così, venderemo un paio di dischi qua e là e facciamola finita. Pensavo che la mia visita sarebbe stata un aiuto perché avrebbe attirato l'attenzione su Lagos e la gente avrebbe detto: "Oh, a proposito, com'è la musica laggiù? " e direi che è incredibile. È incredibile ... è musica incredibile laggiù."
Anche Ginger Baker, ex batterista dei Cream, intervenne nella registrazione, un po' risentito che la band non si fosse rivolta a lui e al suo studio che aveva in Nigeria (dove viveva). Paul rimediò incidendo da lui il brano “Picasso last words (drink to me)” e facendogli suonare le percussioni. Il brano ha una storia curiosa.
Paul incontrò sul set del film “Papillon”, Steve Mc Queen e Dustin Hoffman. Quest'ultimo non credette all'affermazione del bassista che potesse scrivere un testo su qualsiasi argomento e mostrandogli un giornale con il necrologio del pittore Pablo Picasso lo sfidò a provarci con quello.
Paul prese l'ultima frase che disse Picasso prima di morire: "Drink to me, drink to my health. You know I can't drink anymore / Bevete a me e alla mia salute, perché io non potrò più bere” e su quello costruì il brano citato.
L'album segue il formato di semi concept che aveva già caratterizzato “Sgt Peppers” dei Beatles in cui i temi delle canzoni si ripetono in un brano o nell'altro, autocitandosi.
Le nove composizioni sono tutte di livello altissimo con due splendide ballate come “Mamunia” e “Bluebird”, l'aspro rock blues “Let me roll it” in palese stile Lennon, il tema dell'album “Band on the run” e il singolo “Jet” che alterna una ritmica reggae con un esplosivo rock n roll.
C'è spazio anche per una ballata scritta da Denny Laine, “No words” e il frizzante finale “Nineteen hundred and Eight five” che si chiude con la ripresa del tema iniziale di “Band on the run”.
Le vendite partirono un po' in sordina per raggiungere poi progressivamente i sei milioni di copie. Molto particolare la copertina con i tre Wings circondati, in posizione plastica, dagli attori Christopher Lee, Kenneth Lynch e James Coburn, il pugile John Conteh, il presentatore e giornalista Michael Parkinson, il conduttore radiofonico Clement Freud.
Kenneth Lynch era in tour con i Beatles nel 1963 e sul bus si affiancò a Paul e John che stavano componendo “From me to you”.
Cercò di dare loro qualche consiglio ma se ne andò dopo poco indispettito urlando “Non scriverò più nulla di quelle maledette sciocchezze con quegli idioti. Non riconoscono la musica dal loro fondoschiena. Niente più aiuto da parte mia!'.
Al di là di ogni preferenza “Band on the run” rimane uno dei migliori album rock degli anni Settanta, frutto di una vena creativa di altissimo livello e una freschezza comune a pochi, che diede a Paul, dopo qualche passo falso iniziale, il posto che gli compete(va) nell'Olimpo della musica pop.
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