venerdì, maggio 03, 2024

Johnny Thunders

Prendendo spunto dalla recente biografia di Andrea Valentini (recensita qui: https://tonyface.blogspot.com/2024/04/andrea-valentini-lamf-la-leggenda-di.html) ho dedicato domenica scorsa per il quotidiano "Libertà" di Piacenza un articolo a JOHNNY THUNDERS.

Complicato riuscire con tanta e continua costanza buttare al vento una carriera che poteva essere brillante, ricca e carica di soddisfazioni. Diventando comunque mito e leggenda proprio perché epitome della sconfitta, perfettamente coerente con la sua celebre canzone “Born to lose”, nato per perdere.

Johnny Antonio Genzale incominciò presto a distruggere i ponti verso il successo.
Incurante delle conseguenze, ha calpestato ogni spiraglio artistico (e non solo) che gli potesse assicurare un'esistenza dignitosa, con un minimo di sicurezza e prospettiva futura.
Cresciuto a New York in una famiglia siculo/napoletana, abbandonato dal padre in tenera età, trovò nel baseball il suo principale sfogo: “Giocavo a baseball dalle 8 di mattina alle 8 di sera, di seguito. E mi piaceva da morire”.

Pare fosse piuttosto promettente, tanto da entrare nelle grazie di diverse squadre, anche di primo livello. Ma finì per abbandonare e sprecare, per la prima volta, il suo talento.
La leggenda narra che si fosse rifiutato di tagliare i lunghi capelli come imponeva l'allenatore.
Opta invece per la musica e la chitarra, abbracciando il rock 'n' roll negli esplosivi anni Sessanta.
Forma vari gruppi, cambia nome in Johnny Thunders ed entra nei New York Dolls, band che si dedica a un aspro rock, tra rhythm and blues, hard e glam.
Ma è il look a renderli unici e immediatamente riconoscibili. Provocatorio, oltraggioso e spregiudicato: stivali al ginocchio con tacchi alti, capelli lunghissimi e cotonati, pantaloni attillati, rossetto, look da drag queen di quart'ordine.
Apparentemente caricaturali, in realtà temibili e minacciosi.
Anche perché nel frattempo sono già entrati in un vortice di eccessi di ogni tipo tra alcol, pillole, eroina e altre sostanze. La loro fama cresce e il futuro si prefigura di successo e notorietà come quella che stavano contemporaneamente costruendo gruppi come Kiss, Aerosmith e Alice Cooper. Ma la band incomincia a bruciare un'opportunità dietro l'altra.
Alla vigilia di un importante tour inglese perdono il batterista Billy Murcia, stroncato da un mix di alcol e barbiturici. Dopo varie peripezie strappano un contratto discografico per due album.

Il primo omonimo non andò male, ma le 100.000 copie non soddisfecero l'etichetta discografica, tanto meno la critica che non fu sempre generosa, pur essendo una pietra miliare con brani come “Personality crisis”, “Jet boy” o ”Looking for a kiss”, germi vitali per l'imminente sbocciare del punk.
I New York Dolls girano per gli States e tornano in Inghilterra facendo un grande effetto su una serie di aspiranti musicisti, gente come Mick Jones, futuro Clash, Morrissey (l'ex voce degli Smiths li ha sempre adorati), Paul Cook e Steve Jones di lì a poco nei Sex Pistols e tanti altri.
Il secondo album “Too much too soon” avrebbe dovuto segnare un riscatto ma deluse le aspettative. Male assemblato, con scarsa ispirazione, segnò di fatto la fine della band.
Che continuò a suonare ma con sempre meno seguito e sempre più problemi interni oltre all'abisso di eccessi in cui erano ormai sprofondati senza remore.
L'etichetta ritirò l'offerta per un terzo album, la band si ritrovò alla fame. Malcom Mc Laren, gestore di un negozio di vestiti a Londra, abile imprenditore, cercò di salvarli, sperimentando di fatto con loro quanto avrebbe di lì a poco perfezionato con i Sex Pistols.
Li rivestì di rosso, in completi di pelle con un vistoso quanto improbabile striscione sul palco con falce e martello.
Fu un disastro annunciato, la band si ritrovò in piccoli locali con scarso seguito, demotivata, senza un soldo e dipendenze di ogni tipo. E finì malamente tra odi, rancori, dissidi.

Johnny Thunders torna a New York e forma gli Heartbreakers.
Il sodalizio durerà poco, tra litigi e i consueti problemi ma la band diventa un live act di culto nella New York del 1976. Vengono invitati da Mc Laren a partecipare all'Anarchy Tour in Inghilterra con Sex Pistols, Clash e Damned ma una volta arrivati a Londra la band di Johnny Rotten appare in diretta alla BBC e investe di insulti e volgarità il presentatore Bill Grundy.
Risultato: tour cancellato.
Rimediarono qualche data e divennero i beniamini della neo nata scena inglese. La leggenda vuole che furono gli Heartbreakers a introdurre l'eroina nel giro londinese.
Dopo molte vicissitudini approdarono anche a un contratto discografico e il singolo “Chinese rock” / “Born to lose” uscito nel maggio 1977, scalò le classifiche indipendenti anche se il ritornello che inneggia all'uso dell'eroina (“Chinese rock” in slang) non permise certo una promozione più capillare. Il tour inglese si fermò un'altra volta a causa di mancati permessi dall'immigrazione.
Anche il loro primo e unico album in studio, “L.A.M.F.” (Like a motherfucker, “come un figlio di puttana”) non ebbe molta fortuna a causa di vari problemi di registrazione.
Ci misero le mani in molti, alla fine uscì lasciando insoddisfatti un po' tutti. Un'altra occasione perduta anche perché la band si scioglie, in preda a divisioni e un'infinità di problemi di (auto) gestione. Peccato, perché il materiale inciso testimonia di un gruppo all'altezza dei migliori nomi del punk rock dell'epoca.

Johnny si affida alla carriera solista, aiutato da grandi nomi del rock underground e della scena punk nel suo esordio solista “So alone”, del 1978. Finalmente un disco ben realizzato anche se il suo discografico Dave Hill confessò amaramente:
“Lavorare con lui fu un vero disastro. Non riusciva a concentrarsi sul lavoro. Ridotto com'era non poteva essere diversamente. Tutto ciò che guadagnavamo lo spendeva in droga. Agiva con superficialità, sprecavamo un sacco di soldi e di tempo”.

Proprio a causa di una dipendenza ormai incontrollabile anche l'intrigante unione con l'ex chitarrista degli MC5, Wayne Kramer, nella nuova band dei Gang War si rivela presto un disastro.
La carriera prosegue tra una lunga serie di devastanti esibizioni live (a cui spesso il pubblico va solo per vedere il tossico barcollante che può far succedere di tutto, come molte volte accade), momenti di sobrietà e ricadute nell'abisso della dipendenza, sporadici album mai completamente soddisfacenti, una vita in costante bilico sul precipizio.
Che alla fine arriverà, inevitabile, nell'aprile del 1991 a New Orleans. La morte rimane avvolta in un vago alone di mistero, tra overdose e (più probabile) leucemia.
Semplicemente, nonostante avesse solo 39 anni, il fisico non era più in grado di sopportare la mole di abusi a cui era stato sottoposto.

Il suo lascito é, alla fine, importante pur se legato inevitabilmente all'immagine di irriducibile protagonista di un'epoca in cui il rock 'n' roll era un contesto veramente pericoloso ed estremo, non ancora normalizzato e musealizzato, in nome del quale in molti ci hanno lasciato la vita. Nessun rimpianto o nostalgia per quei tragici anni ma solo la constatazione della fine di un'epoca di cui Thunders fu tra i principali esponenti.

Il rimpianto è che la sua produzione artistica ci abbia fatto solo intuire l'indubbio talento ma che non é mai riuscita, per i motivi ripetutamente evidenziati, ad esprimerlo al pieno delle sue possibilità.
Rimane comunque una figura imprescindibile non solo nella storia del punk ma dell'intera rock music. E' da poco uscito il libro per Tsunami “LAMF” di Andrea Valentini che con (doverosa) maniacale precisione elenca date, dati, nomi, concerti, dischi, aneddoti su Johnny Thunders scrivendone la storia “definitiva”.
Leggerlo è un (doloroso, considerati gli avvenimenti spesso strazianti di cui è stato protagonista) piacere che ci restituisce un quadro fedele della vita di un grandissimo musicista e compositore.

Nel 1984 con la mia band Not Moving aprimmo il suo tour italiano.
https://tonyface.blogspot.com/2020/05/johnny-thunders-tour-italiano-1984.html
Aveva solo 32 anni ma per noi giovanissimi era già una “vecchia star”.
Lo trovammo piuttosto malandato fisicamente ma dolce, affabile, tranquillo, gentile, piuttosto schivo e appartato ma disponibile alla condivisione, alla chiacchiera tranquilla e senza alcun divismo. I tre concerti furono un'impietosa fotografia della sua vita artistica tra alcuni alti e molti bassi, con sublimi interpretazioni dei suoi classici e imbarazzanti momenti di totale debacle. Perfettamente e tragicamente coerente con la sua tribolata vita.

Born to lose.

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