Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà", quotidiano di Piacenza, nell'inserto culturale "Portfolio", diretto da Maurizio Pilotti.
Linton Kwesi Johnson non è un nome particolarmente noto in Italia.
Ma è uno dei principali poeti (trasposti in musica) della tradizione anglo/giamaicana ovvero degli immigrati in Gran Bretagna negli anni Sessanta dalle colonie delle West Indies (nazioni poi diventate progressivamente indipendenti dei Caraibi).
Cittadini inglesi che trovarono nella “madre patria” invece che accoglienza e solidarietà, razzismo e discriminazione.
Nato poverissimo in Giamaica, Linton si trasferisce con la madre a Londra nel 1963, a 11 anni. Trova, a sorpresa, una vita dura, costretto a fronteggiare un razzismo esplicito, la creazione di ghetti, la separazione culturale e sociale tra bianchi autoctoni, eredi dell'Impero e quelli che sono stati sudditi fino a poco tempo prima.
“La mia esperienza è il frutto di un’infanzia tropicale e contadina prima e della vita in una città industriale dove i neri vivono in condizioni coloniali, poi. Quando arrivai a Brixton mi aspettavo grandi strade, case belle, gente ricca. Arrivavo da un piccolo paese rurale e sbarcare a Londra fu un grande shock. Fui sorpreso nel vedere bianchi che pulivano le strade, in Giamaica erano tutti ricchi e li chiamavamo signori o padroni. Anche le case mi sembravano tutte fabbriche con i comignoli che buttavano sempre fumo. A scuola ho fatto la mie prima esperienze col razzismo. Credevo veramente che i bianchi fossero brava gente, invece i ragazzini mi chiamavano sporco negro e gli insegnanti facevano commenti razzisti tipo: “Dove credi di essere nella giungla?”.
Lo stesso senso di straniamento che troviamo nella maggior parte degli immigrati dalle West Indies, soprattutto dopo l'indipendenza ottenuta dalla Giamaica dal Regno Unito nell'agosto del 1962.
Linton studia e si laurea in sociologia, approfondisce l'impegno politico e culturale, nel 1973 entra a far parte delle locali Black Panther, lavora e incomincia a impegnarsi nella scrittura, anche musicale, grazie alla quale approda come recensore alle riviste Melody Maker, New Musical Express, Black Music, oltre a scrivere note biografiche per gli artisti reggae della Virgin Records.
Ma é la poesia che lo attrae e coinvolge di più, che diventa il tratto distintivo della sua forma di creatività, destinata ad essere unica. Utilizza un linguaggio duro, aspro, abrasivo, diretto, senza mezzi termini, che fonde cultura caraibica con una cupa visione di un'Inghilterra industriale e spietata che sta per entrare nei terribili anni Tatcheriani.
Il linguaggio attinge dal Patois giamaicano, imbastardimento dell'inglese, mischiato a parole e assonanze creole. Ma ha bisogno di una musica di accompagnamento, ovviamente il reggae, a cui provvederà il grande Dennis Bovell.
“Non sono un musicista, sono un poeta che però lavora in una tradizione dove la musica e le parole sono una parte integrante e le influenze maggiori sono caraibiche e di poesia orale. Le mie esperienze di poeta sono frutto di un'infanzia contadina. Nei Caraibi i bambini conoscono centinaia di giochi e storielle in rima. Quando incominciai a scrivere, la musica si insinuava tra le righe della poesia, le parole mi venivano sempre in mente accompagnate da un giro di basso.
Nel reggae il basso dà anche la melodia, non soltanto il ritmo e quando compongo ho sempre dentro un giro di basso. Partendo da questo, aggiungo la batteria e quindi decido il tempo. In seguito decido se metterci delle tastiere, dei fiati o qualche assolo di chitarra e ne discuto coi musicisti durante la registrazione”.
“Dread Beat an' Blood” é il suo primo successo letterario, nel 1975, e sarà la base per il fulminante, omonimo, esordio discografico del 1978, tra heavy dub, reggae e parole pesantissime.
Verrà definita “Dub Poetry”, una sorta di genere che avrà importanti seguaci. "Per me scrivere poesie è un atto politico. Un modo di articolare la rabbia e il dolore della mia generazione, cresciuta come gioventù nera in un ambiente razziale ostile. Ero consapevole che l'educazione era l'unica via d'uscita dalla povertà per uno come me."
Seguiranno album di sempre maggior successo e spessore ma soprattutto di enorme importanza letteraria, che lo consacreranno tra i più rappresentativi cantori dell'Inghilterra dei neri e degli oppressi.
In particolare “Bass Culture” del 1980 con l'immortale e sferzante inno “Inglan is a bitch”: “L'Inghilterra é una puttana / non si può evitarlo /non c’è modo per scappare/ dobbiamo imparare a sopravvivere”.
“E' la cultura popolare giamaicana che mi ha permesso di resistere in Inghilterra. Furono le mie radici e la mia lingua un'arma da usare contro la cultura del razzismo in Gran Bretagna. Stavo cercando di trovare un ponte tra l'inglese standard e il giamaicano parlato. Molta poesia dell’epoca suonava come se i Caraibi cercassero di sembrare americani, un po’ come quelle canzoni di Mick Jagger in cui cerca di cantare come se venisse dal profondo sud. Per me, ciò che era importante era l'autenticità della voce. Non volevo emulare nessun altro. Volevo che suonasse come me.”
Trova il supporto anche della scena punk, notoriamente ben predisposta nei confronti degli artisti reggae, con cui molte band hanno collaborato o da cui hanno preso grande ispirazione (Clash, Police, Ruts, Stiff Little Fingers tra i tanti).
“Nel 1978 mi trovai a suonare prima dei Public Image LTD, il nuovo gruppo di Johnny Rotten appena uscito dai Sex Pistols. C’ero solo io sul palco con un registratore con le basi e davanti a me un oceano di punk. Volevo scapparmene ma con mia grande sorpresa piacqui tantissimo”.
Nel tempo si è faticosamente rifatto dalle sofferenze subite diventando progressivamente una figura sempre più importante, seguita e rispettata, anche in quelle istituzioni da cui era stato osteggiato e che a sua volta aveva aspramente criticato.
Nel 1981 forma l’etichetta indipendente LKJ Records con cui spinge artisti reggae emergenti. Nel 1982, conduce un programma per la BBC From Mento to Lovers Rock in cui affianca musica e disamine sociopolitiche sulla situazione inglese.
Nel 2002 è il secondo poeta vivente ed il primo di colore ad essere pubblicato dalla Penguin Modern Classic Series, nel 2005 viene premiato con la medaglia di argento dall'Istituto della Giamaica per essersi distinto nell'arte della poesia. Sopravvive con molta difficoltà a un cancro che gli compromette parzialmente la carriera.
Negli ultimi anni infatti la sua presenza sulla scena si é sempre più diradata ma i semi piantati da anni hanno continuato a germogliare e a permettergli di raccogliere premi, onorificenze, tributi in tutto il mondo. Il suo concetto politico di “democrazia socialista” lo pone orgogliosamente in prima linea a fianco dei più deboli, delle vittime delle ingiustizie sociali e della brutalità della polizia, felice ed entusiasta nel vedere il recente sollevarsi della popolazione americana (e non solo) intorno al movimento del Black Lives Matter.
“Sono al settimo cielo per ciò che sta succedendo tra i giovani. Vengo da una generazione ribelle di attivisti che volevano cambiare il paese e sembra che questa nuova generazione stia proseguendo di nuovo su questa strada. Sono così felice di essere vivo per vederlo succedere. C'é stata una risposta enorme anche qui in Inghilterra perché il razzismo é nel sistema legale e c'é impunità nella polizia. Direi che il razzismo é parte del Dna culturale della Gran Bretagna.”
Allo stesso modo é sempre particolarmente lucido e pungente nella visione politica sulle scelte a livello mondiale e sulle prospettive riservate ai popoli:
"Trovo decisamente ironico che metà del mondo si preoccupi del disarmo nucleare mentre il resto del globo non è nemmeno consapevole che esista il problema. Le loro priorità hanno a che fare con la sopravvivenza giorno per giorno: trovare cibo, vestiti e un posto dove vivere, confrontandosi sempre con alcuni dei regimi più oppressivi e crudeli del mondo, massacri e fame."
Ha recentemente dichiarato che avere passato i settanta anni lo ha reso pigro e abitudinario ma non ha certo perso la sua visione nei confronti di un mondo che va verso l’autodistruzione, cercando sempre uno spirito positivo, in mezzo alla critica, spesso feroce, verso chi lo governa così male.
“Io sono un eterno ottimista. Lo devi essere. C’è sempre speranza, anche se sembra che stiamo facendo passi indietro in termini di giustizia sociale, immigrazione, povertà. Non so quanto leggano i giovani ma è importante informarsi su ciò che è accaduto prima perché la continuità è cruciale. Devi sapere da dove vieni per sapere dove stai andando.”
Nessun commento:
Posta un commento