lunedì, marzo 25, 2024

Kurt Cobain

Riprendo l'articolo pubblicato ieri per il quotidiano "Libertà" di Piacenza.

Sono passati trent'anni da quando, il 5 aprile 1994, se ne andava uno degli ultimi eroi/martiri del rock.

Kurt Cobain aveva ventisette anni e decise di togliersi di mezzo, all'apice del successo e della popolarità, schiacciato da sé stesso e dai suoi demoni (ovviamente, come ormai tristemente accade in questi casi, sono state numerose le teorie speculative che hanno cercato di escludere il suicidio, imputando la sua morte al volere e all'avidità della moglie Courtney Love, ma qui siamo nel consueto sciacallaggio postumo).
“Too much too soon” intitolarono il loro secondo album i New York Dolls di Johnny Thunders sorta di padre putativo, sia artisticamente che nello stile di vita, di Kurt: troppo e troppo presto.

Probabilmente non era quello che desiderava e interessava al chitarrista dei Nirvana. Si sparò con un fucile nel garage della sua casa di Seattle, lasciando una lettera d'addio in cui citava, in conclusione, una drammatica frase di Neil Young, preceduta da altre parole piuttosto chiare sulla sua tragica decisione:
Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

L'infanzia e la prima adolescenza sono traumatiche per un ragazzo dalla spiccata sensibilità.
Segnato profondamente dalla separazione dei genitori, soprattutto in una città provinciale di 15.000 abitanti nel profondo nord ovest americano, quasi ai confini con il Canada, dove non succedeva nulla e tutti conoscevano tutti. Ne diede testimonianza in una registrazione parlata, finita poi nell'album “Montage of Heck: the home recordings”, colonna sonora dell'omonimo documentario di Brett Morgen del 2015:
“(Vivevo) in una comunità che sottolinea le storie sessuali maschili in maniera “macho” come il punto culminante di ogni conversazione. Ero un ragazzino sottosviluppato, immaturo e grasso, che non scopava mai ed era costantemente molestato! Oh, povero ragazzino! Mi dava fastidio, probabilmente ancora di più perché ero arrapato e spesso dovevo inventare storie del genere. Questo tipico problema puberale era in effetti il massimo dei miei problemi, insieme a quello con mio padre e la matrigna. Sai, la tipica storia della matrigna cattiva. Mi sono trasferito sia dai nonni che da quattro gruppi di zie e zii. E così via nel corso dell'anno. In terza media mia madre non aveva altra scelta che accogliermi, perché mio padre ha fatto le valigie, mi ha accompagnato a casa sua la mattina e mi ha lasciato lì.”

Fin da piccolo è appassionato di musica, suona il pianoforte, percussioni e infine scopre la chitarra.
E' ambidestro ma sceglie di suonare mancino per essere più originale e distintivo. Segue il consueto percorso di scoperta della musica rock, partendo dai Beatles per passare poi all'hard di Led Zeppelin e Deep Purple e approdare infine al punk di Clash, Ramones e Sex Pistols.
Lascia la casa materna e se ne va a vivere da solo, addentrandosi sempre di più nella musica e nell'arte, raggranellando un po' di soldi con lavori precari, conoscendo nuovi amici e incominciando ad apprezzare droghe e alcol.
Alla fine degli anni Ottanta forma una serie di band e, dopo i tradizionali cambi di formazione, nel 1987 nascono i Nirvana: “Nirvana significa liberazione dal dolore, dalla sofferenza e dal mondo esterno e questo si avvicina al mio concetto di punk”.

La band si segnala subito per la sua irruenza sonora e sul palco. Le prime testimonianze sonore sono acide, dure, abrasive, punk misto a sferzate hard rock, ben riassunte nel singolo “Love buzz” e nell'album, ancora molto acerbo, “Bleach”.

Il 26 novembre del 1989 ero al “Bloom” di Mezzago, storico e prestigioso locale a una quarantina di kilometri da Milano.
Conoscevo poco la band ma avevo molta curiosità per questo nuovo fenomeno di cui si incominciava a parlare in America, il grunge. C'era poca gente, poco più di un centinaio di persone.
I Nirvana suonavano con i Tad ma Kurt Cobain fu costretto a sostituire Tad Doyle, il loro corpulento chitarrista, che era collassato poco prima del concerto e dormiva appoggiato a una cassa dell'impianto, senza che nessuno riuscisse a rimetterlo in sesto.
Immaginai una sbronza colossale o peggio ma pare che sorprendentemente, fosse a causa di una “overdose” di cappuccini (una dozzina in un'ora!), che lo avessero steso (unita a stanchezza e qualche altra “sostanza”).
Entrambe le esibizioni furono caotiche, rumorose, poco incisive e sostanzialmente deludenti. Con grande senso critico e innata preveggenza sentenziai al mio compagno di viaggio Enrico: “di questi tra un anno non parlerà più nessuno”.

Due anni dopo uscì infatti “Nevermind”.
A fianco di Kurt e del bassista Chris Novoselic c'era ora Dave Grohl (poi leader dei Foo Fighters).

Prodotto da Butch Vig, sbancò inaspettatamente le classifiche di mezzo mondo, in America spodestò dal primo posto Michael Jackson e ad oggi ha superato i 25 milioni di copie vendute.
Spinto dal singolo “Smells like teen spirit” portò per la prima volta il rock alternativo, figlio diretto del punk e dell'antagonismo sonoro, ai vertici delle classifiche americane e di molti altri luoghi nel globo.
Esplode il grunge, Kurt Cobain diventa un riferimento generazionale, un portavoce giovanile, un faro che catalizza il disagio della gioventù degli anni Novanta.
Non ha un look, capelli lunghi, barba incolta, camiciona di flanella, jeans larghi, scarpe da ginnastica sfondate.
E' il ragazzo della porta accanto, quello un po 'strano, dimesso, solitario, perfino un po 'sfigato, incarna l'immagine di milioni di ragazzi e ragazze. Ha però la capacità di comporre divinamente e soprattutto scrivere alla perfezione del disagio della sua generazione di cui è coetaneo.

Il successo lo travolge, non riesce a gestirlo, soprattutto in relazione al suo idealismo che mal si concilia con il ruolo di rockstar strapagata e adorata in tutto il mondo. In più la dipendenza dall'eroina e da altri stupefacenti non aiutano di certo.
Ancora meno la burrascosa relazione iniziata con Courtney Love, cantante delle Hole, anch'essa dedita ad abusi di ogni tipo. Nemmeno la nascita della figlia Frances Bean calmerà gli istinti autodistruttivi della coppia.
L'ultimo album della band “In Utero” (la prima scelta per il titolo era “Odio me stesso e voglio morire” ma Cobain fu dissuaso dalla scelta decisamente troppo estrema, per quanto lui l'avesse pensata in chiave auto ironica) è un tentativo di guardare musicalmente in una direzione più vicina alle origini, meno “raffinata” rispetto a “Nevermind”.
Avrà ugualmente un grande successo, non cambiando però lo stato psicologico di Kurt, ormai alla deriva. Alla fine del 1993 i Nirvana registrano un concerto acustico negli studi di MTV (l'album verrà pubblicato un anno dopo, postumo), stupenda testimonianza della qualità compositiva di Cobain, che si cimenta anche in alcune strazianti cover di blues.

Nel marzo del 1994 durante un soggiorno a Roma viene ricoverato in ospedale per overdose. Un mese dopo viene ritrovato il suo cadavere in casa e nel suo corpo notevoli quantità di eroina. La sua scomparsa scosse tutto il mondo musicale.

Rimane probabilmente una sorta di conclusione della storia del rock, così come lo abbiamo sempre vissuto e immaginato, quello che iniziò negli anni Cinquanta con il riff di “Johnny B.Good” di Chuck Berry, si chiude con quello di “Smells like a teen spirit” dei Nirvana, peraltro direttamente ispirato se non copiato da “More than a feeling” dei Boston.

Il rock sarà da allora in poi una riproposizione di sé stesso, ripartendo significativamente con un'ultima copiatura.

1 commento:

  1. Non mi sono mai piaciuti i Nirvana, ma passati un po' di anni da quando si è tolto la vita ho capito che Cobain era il più simpatico e umano dei tre.. probabilmente se avesse manifestato i suoi pensieri in un'altra forma artistica avrei divorato i suoi libri o sculture o che ne so (ma è solo questione di gusti musicali lo so). Sicuramente la colpa di non avermelo fatto piacere subito è stata anche di tutto il vociare, del mito che se ne è fatto, delle magliette e di tutto il resto.. cose che da quanto mi è parso di capire erano all'opposto del suo carattere.

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