Riprendo l'articolo uscito ieri per "Libertà", quotidiano di Piacenza, dedicato alla BLAXPLOITATION
La Blaxploitation fu un genere cinematografico, a cui si agganciò anche l’aspetto musicale, che fungeva da perfetta colonna sonora, nato nei primi anni Settanta negli Stati Uniti. Epoca in cui le istanze per l’acquisizione di pari diritti da parte degli afroamericani erano all’ordine del giorno, non di rado sottolineate da sanguinose rivolte, dalle minacce delle Black Panthers a passare a vie di fatto, scontri istituzionali, in un’America ancora pesantemente coinvolta nel massacro del Vietnam.
Per la prima volta la figura cinematografica delle persone di colore passava da un ruolo comprimario, spesso macchiettistico o che in qualche modo aspirava a un’integrazione nel consesso “bianco” – vedi il Sidney Poitier di “Indovina chi viene a cena”, accettato perché di classe benestante – a quello di protagonista. Non più personaggi sconfitti, relegati a spalla di attori bianchi, aiutanti di secondo piano, simpaticoni inconcludenti ma detective vincitori che in un ambito quasi esclusivamente poliziesco, se la cavano alla grande contro la malavita, risolvono casi, sbaragliano band di pericolosi criminali. E, soprattutto, grazie alla loro forza e avvenenza, si circondano di donne disponibili e compiacenti. Dice Mattia Chiarella nel suo recente libro “Blaxploitation. Una storia americana”:
Il Cinema d' Exploitation non è un genere, è un'industria con con un metodo di produzione specifico. I film d'exploitation sono prodotti a buon mercato destinati a un facile profitto."Facili' perché offrono al pubblico ciò che non può ottenere altrove: sesso, violenza e argomenti tabù. 'Facili' perché prendono di mira il più grande gruppo demografico di spettatori: la fascia che va dai quindici ai venticinque anni'.
La qualità dei film prodotti non è mai stata eccelsa, con alcune eccezioni.
La più celebre è “Shaft il detective” di Gordon Parks, uscito nel 1971, interpretato da Richard Roundtree, che indaga nella New York cruda e dura dell’epoca, sconfiggendo i nemici senza alcun timore.
Il successo indusse gli autori a dargli due seguiti, “Shaft colpisce ancora “del 1972 e “Shaft e i mercanti di schiavi” del 1973, ma che, come tutti i sequel, non ebbero la medesima fortuna.
Neanche una serie TV, tra il 73 e 74, e un nuovo “Shaft”, nel 2000 con Samuel L.Jackson nei panni del nipote dello Shaft originario trovarono il gusto del pubblico e della critica.
Anche se ufficialmente l’inizio della Blaxploitation data qualche mese prima con l’uscita di “Sweet Sweetback’s Baadasssss Song” di Melvin Van Peebles in cui il gigolò Sweetback (interpretato dallo stesso Van Peebles), inseguito da poliziotti bianchi, inizia una lunga fuga tentando di raggiungere il Messico.
Il regista dichiarò esplicitamente che voleva fare un film vittorioso, in cui i neri potessero uscire a testa alta. Nessuno degli attori è un professionista ma è proprio la spontaneità e l’urgenza della pellicola a farne un film di culto.
Le stesse Pantere Nere, abitualmente molto rigide e settarie, lo ritennero un film rivoluzionario, la cui visione era consigliata a tutta la comunità afroamericana. Il successo di quello che era diventato già un “genere” fece osare anche in direzioni impensabili come con “Blacula”, storia di un vampiro di colore (in Italia intitolato – ancora lontani i tempi del politically correct “Blacula, il vampiro negro”) dopo aver incontrato Dracula mentre lotta contro la tratta di schiavi e che risorge nella Los Angeles degli anni Settanta con prevedibili conseguenze.
Anche la figura femminile ne usciva in chiave vincente e dominatrice come in “Foxy Brown” con la splendida e giunonica Pam Grier, poi rivalutata da Quentin Tarantino in “Jackie Brown”. Pam Grier ricorda i tempi della Blaxploitation: Ai produttori non piaceva quel termine che indica "sfruttamento" e che non sarebbe stato appropriato per i personaggi femminili afro-americani. Loro avrebbero voluto far circolare il messaggio che le donne dovevano essere protette. Io invece mi proteggevo già da sola, non avevo bisogno di un uomo per farlo. E dicevo loro che avrei usato la mia femminilità e i miei modi per avere la meglio su una situazione. In un certo senso ho suggerito io l'etichetta di blaxploitation per quello specifico genere cinematografico. Ero sicura che questo titolo sarebbe rimasto nel corso degli anni. E che i film saranno ricordati anche quando non ci sarò più.
Sempre Chiarella nel suo libro sottolinea un passaggio importante:
La musica e il cinema afroamericani hanno avuto un'evoluzione molto differente l'uno dall'altro: se nella prima la collaborazione tra bianchi e neri ha portato nell'arco di pochi decenni alla nascita di nuovi generi musicali e collaborazioni di altissimo livello, nel mondo del grande schermo la visibilità afroamericana si trova ad affrontare ancora oggi, grandissimi ostacoli.
Un altro titolo epocale è “Superfly” è del 1972, per mano dello sfortunato regista (morirà giovane poco tempo dopo) Gordon Parks Jr che non risparmia sesso, droga e violenza e che diventerà controverso all’interno della comunità nera che lo accuserà di proiettare un’immagine distorta e non conforme alla realtà di Harlem (dove era ambientato). Ma come dice il protagonista Youngblood:
«So che è un gioco sporco, ma è l’unico che ci lasciano fare».
L’aspetto più interessante e saliente del film (e dell’intero filone cinematografico) è la colonna sonora, affidata a un asso della black music come Curtis Mayfield che sfodera musiche mozzafiato, tra funk, soul, gospel, rock in quello che diventerà il sound denominato specificatamente “Blaxploitation”.
Anche un grande come Isaac Hayes aveva nobilitato le scene di “Shaft” con un album entrato nella storia della black music.
Troveremo altri grandi artisti dell’ambito soul e funk tra gli autori di colonne sonore del genere, come James Brown per “Black Caesar”, Marvin Gaye in “Trouble man” e ancora Barry White, Roy Ayers, Willie Hutch.
In poco tempo il tutto si sgonfia, perde appeal e seguito. Da una parte perché le trame diventano prevedibili e ripetitive ma soprattutto perché è proprio dall’interno della comunità afroamericana che incominciano a sorgere problemi:
Il National Association for the Advancement of Colored People Associazione nazionale per il progresso della gente di colore), appoggiato da alcune associazioni religiose, registi e sceneggiatori accuseranno il contesto di avere raggiunto un eccesso di contenuti violenti e sessualmente espliciti tali da ridurre il popolo afroamericano a una macchietta soggetta a derisione. J. Griffin da "Hollywood and the Black community", scritto del 1973: Dobbiamo dire ai produttori sia bianchi che neri che non tollereremo la continua deformazione delle menti dei nostri bambini neri con la sporcizia, la violenza e le bugie culturali che sono onnipervadenti nelle attuali produzioni dei cosiddetti film neri. Dobbiamo dire ai produttori cinematografici bianchi e neri che non tollereremo che la trasformazione dallo stereotipato Spepin Fetchit in supernegro sullo schermo è solo un'altra forma di genocidio pubblico.
Dobbiamo dire ai produttori cinematografici bianchi e neri che non tollereremo la continua rappresentazione di donne di colore sullo schermo come domestiche o donne dalla morale discutibile che saltano da un letto all'altro senza alcun coinvolgimento emotivo. Dobbiamo insistere sul fatto che i nostri figli non siano costantemente esposti a una dieta di cosiddetti film neri che glorificano i maschi neri come magnaccia, spacciatori di droga, gangster e supermaschi co grandi abilità fisiche ma senza capacità cognitive.
La Blaxploitation finisce come filone a metà degli anni Settanta ma continua a influenzare le generazioni successive.
Da Quentin Tarantino a Spike Lee saranno in molti a riprenderne modalità espressive, citazioni, inquadrature, ispirazione e in molti film non mancheranno volute citazioni ai capolavori del genere. Rivisti oggi sono, nella maggior parte, anacronistici e addirittura fumettistici ma è effettivamente passato mezzo secolo.
Peccato che per gli afromericani le problematiche non siano cambiate più di tanto.
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