Riprendo l'articolo che ho scritto per "Alias" de "Il Manifesto" sabato scorso.
Usciva il 27 ottobre 1973 in USA (pur se la data è controversa e incerta. E' plausibile anche il 26 mentre alcune fonti indicano perfino il 19 o il 29) e il 2 novembre in Inghilterra, l'opera rock “Quadrophenia”, sesto (doppio in questo caso, come “Tommy”) album in studio degli Who.
Townshend, compositore ambizioso e dalla mente aperta a mille influenze (da Charlie Parker a Wagner), aveva già più volte sperimentato con il formato e concetto di “opera rock”, da quelle abbozzate nei brani “A quick one while's away” da “A quick one” (1966) a “Rael” da “Sell Out” (1967), a quella che ne è diventato simbolo e prototipo, “Tommy” (1969) a un tentativo, naufragato, “Lifehouse”, che finì per essere ridotto a semplice album, “Who's next” (1971), diventato uno dei capolavori della musica rock in assoluto.
L'anno successivo Pete Townshend ci riprova.
Dapprima con un progetto intitolato “Rock Is Dead, Long Live Rock” da cui sarebbe dovuto essere tratto un film.
In parallelo un’altra idea, chiamata “Four Faces” ossia quella di rappresentare in un disco le personalità dei quattro Who, riportandoli agli esordi.
In mezzo a tante idee e suggestioni Pete si ricorda di una notte trascorsa tra i mod a Brighton a metà anni Sessanta, dopo un concerto degli Who, in cui trovò una sensazione di libertà mai più provata e allo stesso tempo un senso di inadeguatezza rispetto alla società circostante.
Scrive febbrilmente una serie di pensieri e note, le stesse contenute nel booklet del disco. E da lì incomincia a lavorare sul nuovo soggetto.
Dalla fine del 1972 Pete compone, arrangia, suona, rifinisce, aggiunge, cancella, accarezza l'idea di registrare il nuovo album in quadrofonia (alla fine quasi impossibile da realizzare e perciò l'idea fu abbandonata).
Dichiara di avere scritto una cinquantina di canzoni anche se realisticamente non dovrebbero superare la trentina. La storia viene ristretta e decurtata da alcune ulteriori tematiche (che ritroviamo nei provini scartati) che avrebbero espanso l'album probabilmente a un triplo. Il 21 maggio 1973 iniziano ufficialmente le registrazioni. “Quadrophenia” è l’unico album degli Who interamente composto da Pete Townshend che arriva con i demo in cui le parti orchestrali e dei synth sono già suonate e quelle previste per i sodali Roger, John e Keith già impostate e pronte ad essere incise.
E lo scrive a chiare lettere sulla copertina:
«Quadrophenia is in its enterity by Pete Townshend».
Gli Who in questo album danno il meglio di sé, raggiungono l’apice delle capacità, il suono degli strumenti è tra i migliori in assoluto sentiti su un album rock. Non sapranno mai più ripetersi a questi livelli.
Pete Towsnhend: «È stato l’ultimo grande album degli Who. Non abbiamo mai registrato qualcosa di così ambizioso e audace ed è stato anche l’ultimo album in cui Keith Moon era in un buono stato di forma».
Il risultato è un lavoro orchestrale, sinfonico, a tratti vicino alla musica classica, magniloquente ma è soprattutto uno dei primissimi esempi di fusione tra musica rock ed elettronica.
Townshend lo aveva già palesato nel precedente “Who's next” con brani come “Baba O' Riley” e “Won't get fooled again” ma è in “Quadrophenia” che l'uso del sintetizzatore (l'ARP 2500, un'innovazione per l'epoca) diventa predominante e supplisce alle parti orchestrali.
La storia dell'opera vede protagonista il giovane mod Jimmy che vive il passaggio drammatico e drastico, avvenuto in pochi giorni, da una dimensione adolescenziale all’età adulta, attraverso alcune esperienze traumatiche ma anche esaltanti (la battaglia con i rocker, un amore fugace e tradito, l'identità e l'appartenenza acquisite nel gruppo dei mod). Quando (nella storia dell'album) si ritrova su uno scoglio in mezzo al mare a pensare alla sua vita e alle recenti vicende non si capisce se sia il preludio a un suicidio o al passaggio a una nuova vita.
Non lo chiarisce nemmeno lo stesso autore. “Non so davvero come possa tornare da quello scoglio o se anneghi, vinca o perda o qualche altra cosa. Non ho davvero deciso cosa succeda. Mi piace che la decisione finale sia nelle mani dell’ascoltatore”. (Pete Townshend).
Entra in gioco un altro aspetto peculiare dell'opera.
In un'epoca escapista in cui il rock si divideva tra band hard e glam che esaltavano la triade “sesso, droga e rock 'n' roll” e quelle prog che evocavano storie di elfi, demoni, epiche battaglie, Townshend sceglie quella di un ragazzo del proletariato inglese, esponente tipico della working class, che cerca una fuga da una condizione sociale opprimente, che perde il lavoro e si ritrova da solo, in collisione con famiglia e amici, in un mondo che sta cambiando e lo sta lasciando indietro.
L’album ebbe un’accoglienza molto positiva sia da parte del pubblico che della critica, vendendo oltre un milione di copie.
Purtroppo si verificarono parecchi problemi durante il tour di supporto. Fin da subito gli Who si resero conto di non poter eseguire l’opera interamente e alcuni brani vennero immediatamente tolti dalla scaletta. Townshend si accorse di dover cambiare chitarre e accordatura una ventina di volte in ogni concerto.
Spesso l’impianto non era adeguato a supportare l’impatto sonoro e la complessità della strumentazione.
Il pubblico reclamava i soliti successi ma soprattutto si annoiava a morte ad ascoltare le lunghe introduzioni ad ogni brano che spiegavano la storia di “Quadrophenia” (soprattutto quello non inglese aveva difficoltà a comprendere il profilo dei mod e le vicende ambientate in un contesto tipicamente britannico).
Nel frattempo Roger alla domanda di come fosse Keith Moon nel 1973 risponde: «Un po’ più ubriaco del 1972».
La band chiuse il tour tornando in Inghilterra prima e poi con qualche data in Francia nei primi mesi del 1974. Successivamente i brani di Quadrophenia vennero quasi tutti esclusi dai live.
Sempre particolarmente attenti all’aspetto visivo, dopo aver trasposto nel 1975 su pellicola “Tommy” nel visionario e lisergico omonimo film di Ken Russell, con Roger Daltrey protagonista, gli Who approdano di nuovo al grande schermo nel 1979 con ilfilm “Quadrophenia” di Frank Roddam , giovane regista con scarsa esperienza che diventerà poi noto per avere concepito e venduto in tutto il mondo il format della trasmissione “Masterchef”.
Phil Daniels (che rimpiazza tra le proposte Johnny Rotten, dei Sex Pistols) si cala alla perfezione nei panni di Jimmy, Sting è un credibile capo dei mod, il film riproduce piuttosto accuratamente il clima del mondo mod nel 1965, anno in cui Townshend ha ambientato la vicenda. La proiezione di “Quadrophenia” contribuirà alla rinascita della scena mod (chiamata mod revival) e al suo rilancio discografico, grazie anche alla spinta che avevano dato i Jam di Paul Weller da un paio di anni. Quando il film uscì furono in molti tra critici e fruitori a equivocare la fine, con il salto della Vespa dalla scogliera, intesa come il suicidio di Jimmy.
In realtà il finale è presentato in un flashback nei secondi iniziali, in cui si vede il protagonista risalire a piedi la scogliera (dopo aver lasciato cadere la Vespa rubata a Ace Face e, simbolicamente, chiusa la sua esperienza illusoria con la cultura Mod).
Subito dopo, sulle note di The real me con Jimmy che in primo piano guida orgoglioso la sua Lambretta per le strade di Londra, la storia ricomincia dall’inizio.
“Quadrophenia” a cinquanta anni di distanza è diventato un classico, sia da un punto di vista musicale che culturale, una pietra miliare, riuscendo nel difficilissimo intento di uscire da un contesto prettamente britannico, facendosi comprendere anche in realtà tradizionalmente lontane e creando una serie di “scene” sottoculturali e artistiche in moltissime parti del mondo.
Uno dei rari dischi che ha raccontato in prima persona, come in una sorta di cronaca, un'epoca, riuscendo a cambiare i gusti e perfino la vita di migliaia di persone.
Ben fatto, Pete!
Splendido scritto Pura poesia 🥰👏🙏🔝
RispondiElimina