lunedì, ottobre 16, 2023

Musica sovversiva

Dopo la pausa estiva riprende la collaborazione con il quotidiano piacentino "Libertà" con la rubrica settimanale/domenicale "La Musica ribelle".

Il testo prende spunto dal libro di Ted Gioia "Musica. Una storia sovversiva" di cui avevo già parlato qui: https://tonyface.blogspot.com/2023/08/ted-gioia-musica-una-storia-sovversiva.html

La musica nel corso dei secoli è stata una delle principali fonti di cambiamento “dal basso” per le anime, le menti, i cuori delle persone.
Ha accompagnato rivoluzioni, battaglie, guerre, ha istigato, dato forza e coraggio a combattenti, rivoltosi, ha veicolato messaggi proibiti attraverso le note e i testi.
Basti pensare ai quelli in codice nei brani blues cantati nelle piantagioni per indicare agli imminenti fuggiaschi momento e luogo per attuare i loro piani.

Ad esempio Following the drinkin’ gourd (pubblicata per la prima volta nel 1928 ma conosciuta già da tempo), una delle più classiche canzoni della cosiddetta Underground Railroad, il gergo con cui si definivano le rotte da seguire nella fuga dalle piantagioni degli schiavi afroamericani:
“Segui il mestolo, il vecchio ti porterà verso la libertà / La riva del fiume costituisce una strada davvero buona / Gli alberi morti ti mostreranno la strada / Ebbene il fiume finisce, tra due colline / Segui il mestolo dove il grande fiume incontra il piccolo fiume / Il vecchio ti sta aspettando per portarti verso la libertà”.

Riferimenti chiari ed espliciti che potevano essere cambiati di volta in volta a seconda delle esigenze, quando veniva cantata in questo o quell’altro luogo a favore di chi era pronto ad intraprendere la rischiosa e rocambolesca fuga.

Curioso che sarebbe stata proprio la popolazione nera delle Americhe, quasi tutti discendenti di schiavi, a reinventare la musica popolare del Ventesimo Secolo, prima con ragtime e blues poi con il primo jazz e lo swing, i primi vagiti del rhythm and blues, poi ancora con soul, reggae, samba, boogie woogie, doo wop, bebop, calypso, funk, salsa, hip hop.

A proposito della fora della musica, Beppe Fenoglio scriveva ne “Il partigiano Johnny” a proposito di “Fischia il vento”: Essi (i partigiani) hanno una canzone, e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. É una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.”

Gli esempi sono infiniti, come ci dimostra il ponderoso saggio del giornalista musicale Ted Gioia, “Musica. Una storia sovversiva”, recentemente tradotto in italiano da Shake Edizioni, un lungo viaggio dai primordi della musica ad oggi, attraverso epoche, ere, fasi dell’arte, della cultura, della comunicazione, con una tesi di fondo discutibile e opinabile (a tratti al limite del “complottismo”) ma che ci ragguaglia, attraverso mille dettagli di una vicenda appassionante e ricchissima di spunti da approfondire, elaborare, ricercare.

La musica è sempre stata collegata al sesso e alla violenza.
I primi strumenti grondavano sangue. Le prime canzoni promuovevano la fertilità, la caccia, la guerra e simili.
Quasi tutta la storia della musica serve a oscurare questi rapporti ed eliminare gli elementi giudicati vergognosi o indegni dai posteri.
L’aspetto più rilevante della sua ricerca è la dimostrazione di come parte della musica abbia avuto sempre una voce rivolta a una direzione “ostinata e contraria” contro il potere, scuotendone le fondamenta, rimettendo in gioco le regole sociali. Sfruttando la volontà e il piacere delle masse di ascoltare le canzoni proibite, disprezzate e sgradite al “sistema”.
Ma funzionano, nelle antiche civiltà, anche da archivio e da racconto storico, dagli antichi greci ai griot africani, ai bluesmen americani, ai toasters giamaicani, fino all’hip hop o al proto rap di Gil Scott Heron e Last Poets.

Significativo ricordare la storia dei Goliardi (da cui il termine utilizzato anche ai nostri giorni), religiosi che nel XII secolo incominciarono a disdegnare le rigide regole protocollari dei rispettivi ordini che abbandonavano furtivamente (per non incorrere in severe pene) e si dedicavano a una vita licenziosa.
Il repertorio dei goliardi comprendeva qualsiasi atto a scandalizzare praticamente chiunque: satire, canzoni da osteria, parodie della liturgia e della musica religiosa, critiche ai potenti (tra cui il Papa), canzoni d’amore e di gioco d’azzardo e altri divertimenti oziosi. In questo contesto si inserisce il ruolo della donna che nel corso dei secoli è sempre, inevitabilmente, rimasto confinato in secondo piano. A meno che non si trattasse di persone relegate al gradino più basso o che fossero comunque innocue.

Come le Qiyan, schiave di grande bellezza e cultura che da Bagdad, dal dodicesimo secolo in poi, portarono la loro influenza fino alle corti europee, a cui era consentito intonare canti e poesie, spesso ad esplicito sfondo sessuale in cui potevano irridere padroni e potenti, non avendo poi sostanzialmente alcun potere politico all’interno della società.

Proprio come accadeva nella cultura occidentale fino a non tantissimo tempo fa, a cui solo due categorie femminili era concesso l’ardire di esprimersi artisticamente al di fuori dei limiti e canoni prestabiliti: prostitute e suore.
Le parole delle prime avevano ben poco peso, emesse da chi sedeva sull’ultimo gradino della società, per le seconde tutto sarebbe rimasto confinato tra le mura del convento e dietro i fitti tendaggi della censura ecclesiastica.
Lo schiavo è l’emarginato e per questo stesso motivo non deve essere ligio alle convenzioni e ai valori della società che lo attornia.
Agli schiavi è garantita un’unica libertà non concessa a chi comanda: ci si aspetta che pecchino, che deviino dalle intrusive regole morali a cui devono obbedire i modelli di ruolo, specialmente sulle questioni sessuali. E’ quasi sempre l’outsider il catalizzatore, il portatore di nuovi geni nel DNA musicale.
L'estraneo disprezzato crea un modo nuovo di cantare, poi i potenti del sistema si fiondano ad assumere il controllo di questo provocatorio stile musicale. E spesso se ne prendono il merito. Poi arriva l'inevitabile insabbiamento, con i documenti storici ufficiali che negano che questa transazione culturale sia mai avvenuta.

Ma anche quando la musica irrompe nella società con irruenza e spariglia le carte il “sistema” prima farà opposizione, poi la lascerà sfogare per poi assorbirla successivamente e omologarla ai dettami accettabili.
E' il meccanismo il base al quale queste disturbanti intrusioni musicali nell'ordine sociale entrano nel sistema e diventano mainstream.
Il pericoloso ribelle viene trasformato, dopo qualche anno o decennio, in un riverito anziano della tribù. Abbiamo una lunga serie di esempi nella recente storia del rock, dagli scandalosi Rolling Stones al David Bowie con i suoi travestimenti fino all'iconoclasta punk.
Nel giro di poco tempo tutto assorbito, musealizzato, reso conforme al gusto popolare, depotenziato da ogni carica “sovversiva”.

Interessante anche l'annotazione di come una musica o meglio un suono abbia determinato per millenni la vita delle persone: quello delle campane delle chiese che “decideva” quando svegliare il popolo, quando mandarlo a mangiare o a letto, lo accompagnava festoso nei primi giorni di vita, lo conduceva alla tomba con un mesto incedere.

La musica dei nostri giorni sembra avere perso il potere di una volta, l'omologazione regna sovrana, le radio italiane, australiane, africane, americane, asiatiche, trasmettono le stesse canzoni, o comunque molto simili l'una all'altra, caratterizzate dalle stesse modalità compositive e ritmiche, con le medesime frequenze, compresse e digitalizzate per favorire l'ascolto più diffuso, quello da computer o cellulare.

Il progressivo uso dell'Intelligenza Artificiale nella musica e nell'arte sta già (seppure ancora in minima parte) incidendo sulla qualità creativa.
Ma la tecnologia corre veloce e il cambiamento in atto è sempre più spedito (e preoccupante per chi ha toccato con mano un passato oggettivamente più genuino e spontaneo).

Ma l'umanesimo e l'ottimismo ci fanno concordare con un'ultima osservazione di Ted Gioia: Ogni volta che la cultura musicale diventa troppo facile e affabile, mettetevi a guardare l'orizzonte in cerca di una rivoluzione in arrivo.

Attendiamo con fiducia osservando l'orizzonte o come diceva uno degli artisti più acuti e prospettici, il poeta,cantante, scrittore afroamericano Gil Scott Heron:
Una rivoluzione di qualunque colore sia, succede dentro a te. Una rivoluzione è prima di tutto mentale, arriva dalla mente. Se vuoi cambiare la tua vita, se vuoi che le cose intorno a te siano diverse, è necessario per prima cosa cambiare il modo in cui pensi.

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