lunedì, gennaio 23, 2023

Jeff Beck


L’inevitabile e fisiologica senescenza del rock rende ogni anno sempre più intasato di necrologi dei principali protagonisti di un’era che, andando avanti, ci rendiamo sempre più conto essere irripetibile.
Per quanto ci si possa sforzare è evidente che la musica rock ha dato il suo meglio in quei poco più di vent’anni che vanno dalla metà degli anni Sessanta ai primi Novanta.
Indubbiamente il meglio è accaduto in quel periodo, il “dramma” è che dopo, pur essendo usciti dischi ed artisti eccellenti, è difficile trovarne in grado di rivaleggiare alla pari con chi li ha preceduti.
Lentamente ma progressivamente contiamo i “caduti” di quelle gloriose epoche.
E’ ovvio, trattandosi di persone che sono ormai prossime agli ottanta e che, non di rado, non hanno trascorso una vita sempre all’insegna del salutismo. Purtroppo ci abbandonano anche artisti meno attempati ma è un fattore, si perdoni il cinismo, meramente statistico, in considerazione delle migliaia di musicisti nel frattempo diventati parte della scena pop rock. I social sono la cartina al tornasole di questa triste contabilità.
Che annota ora anche un nome poco conosciuto a livello popolare ma che gli appassionati non hanno difficoltà a considerare unanimemente come tra i migliori chitarristi rock di sempre, in grado di insidiare la poltrona dell’irraggiungibile Jimi Hendrix.

Eppure Jeff Beck ha sempre fatto di tutto per rimanere in secondo piano, lasciando parlare il suo strumento, la sua arte, creatività, gusto, stile. L’artista londinese ha suonato con i più grandi, lasciando un’impronta ovunque, inciso album di grande pregio ma che non troverete mai tra quelli seminali della storia del rock. Stile unico, genialità, costante voglia di sperimentare e sfidarsi.

Poteva essere uno dei Rolling Stones ma la trattativa non andò in porto quando morì Brian Jones e rifiutò nel 1976 dopo la dipartita di Mick Taylor lasciando il posto all’amico di lunga data Ron Wood.
“Sarei diventato ricco, ma non felice. In quegli anni, gli Stones vivevano a Rotterdam per motivi di tasse. Sono andato lì per tre giorni, sovraincidendo alcuni brani da solo. Gli Stones non c’erano. In studio ho visto centinaia di chitarre con i nomi di tutti i musicisti selezionati. Il giorno della partenza il pianista Ian Stewart mi ha detto che io ero il prescelto, ma ho rifiutato perché non ero molto affascinato dalla loro musica e avevo già prenotato gli studi per registrare Blow By Blow con George Martin”.

Poteva essere uno dei Pink Floyd ma anche in questo caso le cose andarono diversamente dal previsto. Quando Syd Barrett lasciò la band pensarono subito a Jeff ma pare che nessuno abbia osato chiamarlo perché ritenuto troppo bravo per loro.
In effetti come sottolinea David Gilmour che entrò poi nella band:
“Era bravissimo ma non credo sarebbe stato adatto per quella musica. Sarebbe dovuto scendere a certi compromessi e non credo che Jeff sia mai stato interessato a compromessi di alcun tipo”.

E la storia di Jeff Beck è proprio all’insegna del non volere mai adattarsi e a trovare compromessi artistici di sorta.
A partire dagli esordi, dopo la consueta trafila di piccoli gruppi blues e rhythm and blues nei primi anni Sessanta, con cui incide qualche disco e incomincia a fare esperienza sui palchi londinesi.
Nel 1965 Eric Clapton lascia gli Yardbirds che ritiene troppo commerciali per dedicarsi al blues più puro con John Mayall e, su consiglio di Jimmy Page, futuro Led Zeppelin, la band accetta l’arrivo del giovane e promettente Jeff.
Che si scatena sperimentando a tutto spiano, usando talvolta la chitarra come se fosse un sitar e lavorando su scale armoniche orientaleggianti, rendendo il classico beat rock del gruppo originale e personale. Lavora molto anche sulla distorsione e il feedback (il singolo “Shapes of things” può essere annoverato tra i precursori del suono hard rock, soprattutto nell’assolo finale che anticipa allo stesso tempo anche l’imminente ondata psichedelica).

Nel 1966 arrivano anche al Festival di Sanremo, a fianco di Lucio Dalla e Bobby Solo.
Con il primo eseguirono “Paff...Bum”, con il secondo “Questa volta” ma con scarsa fortuna, eliminati la prima serata.
Rimane storica la presentazione di Mike Bongiorno che li introdusse come “I gallinacci”.

Maggiore eco ebbe la partecipazione al film “Blow Up” di Michelangelo Antonioni in cui la band appare sul palco del mitico locale londinese “Marquee” e dove, emulando Pete Townshend degli Who, Jeff Beck distrugge la chitarra.
La vita degli Yardbirds diventa piuttosto turbolenta. Cambiano i musicisti, entra per breve tempo Jimmy Page al basso e alla chitarra ma la convivenza non sarà facile.

Jeff Beck abbandona a fine 1966 e forma un suo gruppo, il prodigioso Jeff Beck Group, con Rod Stewart alla voce e Ron Wood al basso, realizzando due album di eccellente rock blues come “Truth” (in cui è contenuto uno dei suoi brani iconici, “Beck’s Bolero” con Keith Moon degli Who e i futuri Led Zeppelin Jimmy Page e John Paul Jones) e “Beck Ola”.
Allo scioglimento di questa formazione Jeff Beck è unanimemente riconosciuto come uno dei migliori chitarristi rock in circolazione e tra quelli più all’avanguardia. Significativa la sua considerazione sui pur gloriosi anni Sessanta:
“Pensano tutti che sia stato un periodo meraviglioso ma per me è stato invece altamente frustrante perché le apparecchiature tecnologiche dei tempi non riuscivano a riprodurre quello che avevo nella mia testa”.

Viene fermato da un incidente stradale che lo tiene lontano per un po’ dal palco ma incomincia poi una lunga serie di collaborazioni, particolarità che caratterizzerà l’intera carriera.
Registra alcuni brani (rimasti inediti) negli studi della Motown Records con la band della prestigiosa etichetta, i Funk Brothers, riportandone un aneddoto gustoso:
“Che periodo! Dieci giorni di razzismo e abusi! A loro non piacevo io e Cozy (Powell, il batterista di Beck all'epoca) fino a quando non abbiamo iniziato a suonare. Mi dicevano “Ehi Whitey! (corrispettivo del dispregiativo “nigger” rivolto ai neri). Cosa vuoi qui?”. Ma dopo pochi giorni ci hanno rispettato”.

Gli anni Settanta lo colgono in varie vesti, tra un rock blues sempre più hard e ricco di sperimentazione e una svolta, quando incomincia a firmare gli album solo a suo nome, verso la fusion e il jazz rock tinto di funk e altre influenze.
“Blow by blow” e “Wired” sono due gioielli in tal senso, suonati divinamente. Al suo fianco si succedono eccellenze della musica come il bassista Stanley Clarke o il batterista Simon Philips rendendo i suoi concerti dei veri e propri eventi in cui la tecnica sopraffina diventa arte e magìa.

Dirada le uscite discografiche e incomincia a lavorare con musicisti sempre più prestigiosi, da Bon Jovi a Roger Waters, Kate Bush fino al nostro Zucchero in “Spirito divino”.
Si cimenta anche con l’elettronica con una serie di album a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, uscendone vincitore con un approccio anomalo ma convincente, in cui rimane intatto il suo tocco blues.
Negli ultimi anni stringe amicizia con Johnny Depp, noto cultore di musica rock che sarà al capezzale negli ultimi momenti di vita del chitarrista e con cui realizza il recente dignitoso album “18”. Jeff Beck è sempre stata una persona particolare, taciturna, volutamente lontana dal successo.

“Se hai un enorme successo, dove andrai? Farai il peggior passo della tua vita e alla fine cadrai giù. Non avere grandi successi - e intendo successi giganti - rende molto più facile passare a un altro genere perché non stai privando qualcuno di qualcosa che gli piace. Io sono uno sperimentatore, ogni album che ho fatto è diverso dall’altro”.

E’ stata una delle prime star del rock a diventare vegetariano, già nel 1969, e un grande sostenitore di enti a favore dei diritti degli animali:
“Mi sono reso conto quanto fossi folle e stupido a mangiare carne perché non ha senso fare a pezzi gli animali. Non è necessario."

E’ stato anche un appassionato e collezionista di auto vintage americane e un valente meccanico che si dedicava alla cura e alla riparazione dei suoi gioielli. La musica perde uno dei migliori chitarristi di sempre, ucciso da una meningite a 78 anni, omaggiato dal ricordo commosso degli amici di sempre che ne amavano la discrezione, il pragmatismo, l’umorismo, la voglia di vivere.

Per scoprirne il talento consigliata una raccolta degli Yardbirds, “Truth” e “Beck Ola” del Jeff Beck Group, “Blow by Blow” e “Wired” solisti, l’elettronico “Who else!”.

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