giovedì, gennaio 05, 2023
Intervista a PM Warson
Sabato scorso è uscita la mia intervista a PM WARSON per "Il Manifesto".
La riprendo qua.
Grazie a Jada Parolini.
Il giovane polistrumentista, cantante e compositore londinese PM Warson si è imposto nella scena retro soul come uno dei nomi più interessanti e originali, con un sound che attinge dal rhythm and blues a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta con una vena soul che avvolge il tutto. Gestendo inizialmente la sua attività discografica all'insegna dell'autoproduzione, con una serie di singoli è balzato all'attenzione generale, portando un suo brano anche in uno spot pubblicitario della Fred Perry.
I due album usciti tra il 2021 e il 2022, “True story” e “Big deep repeat” confermano la sua predilezione per atmosfere vintage che spaziano anche in garage beat, latin funk, mod swing, blues.
Il tutto corredato da una ricerca artistica competente e appassionata, che pur in chiave moderna, ricalca fedelmente i suoni originali, riuscendo a riportarne le suggestioni in maniera perfetta.
PM Warson ha da poco superato la trentina d'anni e sta vivendo un momento di grande appagamento artistico.
I due album che ha all'attivo hanno attirato l'attenzione della critica ma hanno anche attratto un pubblico attento e fedele che non manca mai di affollare i suoi concerti (anche in Italia i club che lo ospitano sono sempre pieni di fan entusiasti), alla ricerca del suo particolare e personale sound che sono in pochi a riproporre in modo così fedele e accurato.
Dalle risposte emerge una persona appassionata e innamorata di una cultura artistica ben precisa che guarda alla grandezza di nomi come Ray Charles o Booker T and the Mg's, quanto a personaggi più oscuri e dimenticati come Arthur Alexander, Duane Eddy o Link Wray. Il mix sonoro che ne ha ricavato è tra quelli più interessanti, freschi e al contempo deliziosi attualmente in circolazione.
E' insolito che in tempi di musica gestita e prodotta principalmente con strumentazioni elettroniche, un ragazzo giovane si dedichi a una musica esplicitamente retrò. Quando hai cominciato ad appassionarti alla musica degli anni Cinquanta e Sessanta?
All’inizio attraverso la musica a cui ero esposto crescendo, poi è subentrata la mia personale curiosità. La prima musica di cui ho veramente consapevolezza è quella dei gruppi britannici dell'era Beat che ascoltavano i miei genitori, e questo ha sicuramente gettato le basi per avere una visione più ampia.
Crescendo ero circondato dal punk e dall'heavy rock - ragazzi che come me volevano suonare in giro - ma io ho sempre gravitato attorno a suoni e “feeling” differenti. Non lo definivo davvero come R'n'B, era semplicemente il sound che mi piaceva.
Crescendo sono diventato più curioso e ho iniziato a esplorare uno spettro più ampio: dischi pop degli anni '60, rock'n'roll e R'n'B, southern soul, gruppi femminili, Bakersfield sound, Dylan, ecc. Ma tutto derivava, e probabilmente ancora deriva, dal tipo di musica che i gruppi britannici della prima metà degli anni '60 cercavano di emulare.
Abbiamo vissuto il terribile periodo di chiusure che hanno bloccato completamente anche le attività artistiche. Ma per molti musicisti è stata anche un'opportunità. Pensi che il lockdown abbia accelerato il processo di creazione del tuo secondo album?
Sicuramente. Avevo un sacco di date in programma per l'ultima parte del 2021 dopo l'uscita del mio primo disco e quindi ho dovuto rifocalizzare l'attenzione sulla registrazione. Sono il tipo di persona che ha sempre materiale in corso di lavorazione e ciò che avevo in quel periodo è diventato il secondo disco.
Uno degli scopi di un disco per me dovrebbe essere quello di catturare un tempo e uno spazio precisi e, nel bene o nel male, il mio secondo disco descrive quel periodo preciso, quello del lockdown. Pensa che l'ultima sessione di registrazione per il primo album è stata quasi il giorno prima del lockdown.
Sono stato davvero fortunato, ma mi ha lasciato un po' in difficoltà perché è stato registrato abbastanza nel vecchio stile, ed è così che faccio le mie cose...
Ma ho trovato un modo per farlo funzionare e sono riuscito a far uscire l'album, cosa che sembrava un po' un traguardo difficole da ottenere a dire il vero.
Durante quel secondo lockdown, a gennaio, quando potevo ancora andare in studio per lavorare, ho iniziato a suonare in una stanzetta a Stoke Newington, dove avevo finito il primo disco. Inizialmente, non avevo molta idea di cosa fare, ma quando è diventato chiaro che non potevo andare in tour, ho pensato: "Farò solo un altro disco". Sono davvero soddisfatto del nuovo album “Big deep repeat”, date le circostanze: è fedele al mio ideale di come dovrebbero suonare i dischi, nonostante non fosse il momento ideale per provare a fare quel genere di cose.
Parlaci delle tue influenze musicali, inconsuete per il 2022 e sei hai dei riferimenti chitarristici particolari.
Non sono mai stato un grande fan dei chitarristi rock. Per me la cosa fondamentale è sempre stata avere una visione più ampia possibile, quindi come chitarrista ho sempre preferito i musicisti con senso del gusto e della semplicità. Steve Cropper è il primo esempio. Cropper è anche un produttore e questo è l'altro gruppo di persone che mi influenzano: produttori dell'epoca d'oro come Sam Phillips, Leonard e Phil Chess, Jerry Wexler, i fratelli Bihari - pionieri dell'R'n'B.
Anche bandleader come Ike Turner e Ray Charles, e innumerevoli chitarristi blues e jazz (spesso sono più interessato al tono e all'espressione che alla tecnica o alla velocità). Sono anche ispirato da artisti che usano loro stessi come un veicolo per trasmettere le loro idee - come Elvis Costello, che non è un cantante “classico” ma esprime la sua visione del mondo della musica (e non solo) attraverso il suo lavoro.
Come fai a creare canzoni e suoni così fedeli a un genere che oggi ha 60 anni?
Credo che tutto derivi più che altro dal processo di creazione.
Metto molta attenzione nel sound di quel genere, ma anche nel modo in cui i brano vengono realizzati. L'attenzione alla registrazione live, all'esecuzione d'insieme e alle apparecchiature analogiche è sempre stata alla base del mio progetto. Ovviamente, prendo spunti stilistici dalla musica che mi piace, ma penso che si tratti più che altro di ciò che viene messo nei dischi e nelle performance che di un processo di emulazione vero e proprio.
Per registrare fai uso di apparecchiature vintage?
Ho molto materiale vintage per registrare, ma non so come usarlo al massimo delle sue potenzialità.
La cosa principale da prendere dall'apparecchiatura analogica è che ti dà un certo suono, che alcune persone sostengono potrebbe essere emulato con il software - forse può, forse non può - ma, il fatto è che ti fa suonare in modo piuttosto diverso. L'immediatezza di suonare tutti insieme, live in studio, senza alcuna modifica rende tutti un po' più coinvolti.
Devi farlo bene e non ti perdi in preziosismi: stai servendo la canzone e non puoi indulgere in personalismi. Quando esegui le sovraincisioni, o lo suoni ed è giusto e lo tieni, oppure lo fai di nuovo.
Che rapporto hai con internet e i social media?
In generale, ovvio, Internet è un’ottima invenzione.
Personalmente mi ha aiutato molto a raggiungere un pubblico che altrimenti non avrei mai potuto avvicinare. Spesso però è difficile non perdersi in quel vortice infinito che è Internet. La musica è spesso ridotta a mero contenuto, è per certi versi è quindi più difficile avere un impatto, fare la differenza.
Pensi che una “carriera discografica” alla vecchia maniera (in vinile) sia ancora possibile?
Collegandomi alla domanda precedente: penso di sì, perché le persone cercano qualcosa con più sostanza rispetto al semplice contenuto.
La mia filosofia - se così si può chiamare - è stata fin dall'inizio quella di fare qualcosa che mi piace nel modo in cui mi piace … e chissà, magari piacerà anche a qualcun altro!
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