lunedì, dicembre 05, 2022

George Harrison


Riprendo l'articolo che ho scritto ieri per "Libertà".

Fine novembre ci ricorda che il 29 del mese appena trascorso, nel 2001, ci lasciò, a causa di un male incurabile, George Harrison, il Beatle mistico e silente, tra i principali fautori della fine del gruppo (stanco della situazione e successivamente accanito oppositore ad ogni ipotesi di successiva reunion) ma che fu soprattutto raffinato musicista e strumentista, attento alle novità e alla sperimentazione, ottimo compositore in grado di consegnare alla storia un numero limitato di brani ma rimasti comunque dei classici della musica pop.
Novembre (del 1970) è anche il mese in cui George pubblicò il suo primo album dopo la fine dei Beatles, il triplo, monumentale, “All things must pass”, spesso indicato come la miglior opera dei Fab Four solisti.

Il suo ruolo di compositore nei Beatles fu sempre relegato in secondo piano dallo strapotere creativo di John Lennon e Paul McCartney che, gli lasciavano spazi limitati (una canzone o al massimo due) in ogni album della band.
Spesso ascoltando distratti le sue proposte e tornando immediatamente a registrare le loro canzoni.
George si fece faticosamente strada con brani sempre più accurati e convincenti ottenendo il posto per ben tre su “Revolver” nel 1966.

In realtà, analizzando la sua carriera solista, composta da una decina di album, emerge una considerazione impietosa.

Ovvero che George Harrison era si un buon compositore ma in grado di scrivere solo un paio di canzoni di alta qualità per ogni album, il più delle volte riempiti da composizioni poco più che sufficienti a livello qualitativo.

Anche analizzando i suoi brani rimasti inutilizzati (scartati dalla coppia John/Paul) durante il periodo Beatles non si trovano particolari capolavori che meritassero la ribalta.

A conti fatti, lo spazio che ha ottenuto è stato consono alle sue capacità, esaltate proprio perché la proposta era limitata a un paio di canzoni.

Detto questo, ricordiamo la sua firma su capolavori immortali come “Something”, “Here comes the sun” e “While my guitar gently weeps” e su canzoni eccellenti come “If I needed someone”, “Taxman”, “For you blue”, “I want to tell you”, “Old brown shoe”.

Anche la carriera solista è stata caratterizzata da sporadici exploit come la controversa “My sweet Lord” (accusata di plagio), “Faster”, la nostalgica “All those years ago”, dedicata agli anni con i Beatles, “What is life” ma gli album non sono mai usciti da una dorata mediocrità.

La sua curiosità artistica lo portò a esplorare orizzonti musicali diversi, portando per la prima volta all'interno della musica pop rock il sitar, strumento indiano che caratterizza la canzone “Norwegian wood”, che imparò a suonare dal suo maestro Ravi Shankar, facendo poi incidere alcuni dei suoi brani con i Beatles a talentuosi musicisti indiani.

Fu anche il primo Beatle a incidere un album solista, già nel 1968, con la colonna sonora (a cui partecipano anche Ringo Starr e Eric Clapton) del film psichedelico “Wonderwall” a cui fece seguire il bizzarro e sperimentale “Electronic Sound” (1969) in cui usava l'innovativo Moog, sintetizzatore appena arrivato sul mercato.

George fu anche l'antesignano dei festival benefici con il famoso Concerto per il Bangladesh del 1971, che organizzò (in modo molto naif e inevitabilmente caotico) per raccogliere fondi per il paese asiatico.
Il concerto si svolse al Madison Square Garden di New York, con pochissime prove e la partecipazione di Eric Clapton, Ravi Shankar, Ringo Starr e l'amico Bob Dylan.
Invitò anche John Lennon ma con la clausola che non avrebbe dovuto fare esibire la consorte Yoko Ono (ai tempi sempre a fianco del marito anche sul palco).
John, arrivato a New York per le prove ebbe un alterco con Yoko per questo motivo e lasciò la città furibondo.
Anche Paul McCartney fu interpellato ma decise di evitare, in considerazione dei rapporti pessimi che intercorrevano ai tempi tra i Beatles appena sciolti.
Il concerto fu un successo, un po' meno il proseguio, con enormi problemi per fare arrivare i soldi raccolti a destinazione, tra accuse di malversazioni, fondi distratti e transazioni opache.

Non è un periodo sereno per George.

Che nei primi anni Settanta abusa spesso di droghe e alcol, finendo anche per separarsi con la moglie Pattie Boyd (che finirà tra le braccia del suo miglior amico, Eric Clapton).
Anche perché aveva scoperto numerose infedeltà da parte di George (tra cui anche la moglie di Ringo Starr, Maureen Cox).

Anche il suo più grande successo, “My sweet Lord” gli comporta grattacapi non da poco.
Accusato di plagio della canzone “He's so fine” delle Chiffons, Harrison fu giudicato colpevole di averlo fatto "inconsciamente", verdetto che fece scalpore nel mondo dell'industria musicale.
“Non ero consapevole, razionalmente, delle somiglianze tra le due canzoni, visto che quando la scrissi lo feci più o meno improvvisandola e non in modo canonico. Quando fu trasmessa per radio in molti fecero notare la somiglianza. Fu allora che pensai “Come mai non me ne sono reso conto?”. Sarebbe stato molto facile cambiare qualche nota qui e là, senza che l'efficacia del brano ne venisse pregiudicata”.

L'aspetto più clamoroso della vicenda è la lunghezza della causa che arrivò in tribunale nel 1976, cinque anni dopo la denuncia.
A Harrison venne inflitta una multa di circa 1.600.000 dollari.
Scoprì poi che il suo manager Allen Klein stava facendo il doppio gioco avendo acquistato i diritti di “He's So Fine”. In sostanza Harrison avrebbe dovuto pagare la multa inflittagli dal giudice al suo manager.
Fu intentata così un'altra causa, che terminò nel 1990 con la cessione a Harrison dei diritti della canzone plagiata, dietro il pagamento delle sole spese che Klein sostenne, pari a 576.000 dollari.

La sua carriera solista proseguì tra alti e bassi, potendo contare però sempre su ottimi numeri di vendita che gli permisero di continuare a collezionare costose Ferrari (era un grandissimo appassionato di Formula Uno – il brano “Faster” è dedicato all'amico pilota e campione Jackie Stewart) e di dedicarsi professionalmente all'industria cinematografica fondando la Handmade Films con cui produsse alcuni film dei Monthy Python, “Shangai Surprise” con Sean Penn e Madonna e altre pellicole di un certo successo.
Fu costretto a cedere l'azienda negli anni Novanta per motivi economici.

Alla fine degli Ottanta forma un supergruppo, i Traveling Wilburys, con Bob Dylan, Tom Petty, Roy Orbison e Jeff Lynne, realizzando un paio di buoni album di rock classico.

I rapporti con gli ex Beatles hanno avuto sempre fasi alterne.
Molto buoni con Ringo, rimasto fedele e fraterno amico, con cui ha spesso collaborato artisticamente, decenti con John (anche con lui aveva suonato nell'album “Imagine”), pessimi con Paul, con cui le distanze sono sempre rimaste molto ampie e tra le ragioni per cui ogni proposta di reunion andò sempre insoddisfatta.
Scrisse addirittura un brano dal poco comprensibile titolo “Wah Wah” (che è un pedale per chitarra che produce un effetto simile alla pronuncia del titolo), in realtà indirizzata agli ex sodali John e Paul (e inclusa nell'album “All thing must pass”).
“Odiavo Paul e John e scrissi questa canzone contro di loro. Risale alle registrazioni di “Let it be”, quando durante le riprese del film lasciai il gruppo. C'erano troppe tensioni, me ne andai e una volta a casa scrissi questa canzone”.

Le parti si riavvicinarono quando Paul, George e Ringo si ritrovarono in studio per lavorare nel 1995 alla trilogia “Anthology”, i dischi con rarità e inediti dei Beatles e i due brani in cui suonarono di nuovo insieme su nastri lasciati da John Lennon, incidendo “Free as a bird” e “Real love”.

Purtroppo, nonostante le cure, un cancro lo portò via nel 2001.
Il figlio Dhani e il produttore Jeff Lynne conclusero l'album a cui stava lavorando, “Brainwashed” che uscì postumo nel 2002.
“Nell'insieme non avrebbe proprio importanza se non avessimo mai fatto dischi o cantato una canzone.
Non è importante quello. Quando muori avrai bisogno di una guida spirituale e di una conoscenza interiore che vada oltre i confini del mondo fisico. Con queste premesse direi che non ha molta importanza se sei il re di un paese, il sultano del Brunei o uno dei favolosi Beatles, conta quello che hai dentro.
Alcune delle migliori canzoni che conosco sono quelle che non ho scritto ancora, e non ha neppure importanza se non le scriverò mai perché sono un niente se paragonate al grande quadro”.
(George Harrison).

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