mercoledì, aprile 13, 2022
Diana Ross
Riprendo un articolo che ho scritto per "Libertà", dedicato a DIANA ROSS (mutuato da capitolo a lei dedicato nel libro "Soul.La musica dell'anima").
E' sempre stato un vezzo nell'ambito della black music da parte dei suoi protagonisti battezzare o, molto spesso, auto nominarsi con definizioni altisonanti: re, regina, principe, padrino. E, non di rado, anche motivo di scontri e diatribe verbali, qualche volta trascese in risse o, addirittura, sparatorie, come fece James Brown per mettere a tacere l'arroganza di Joe Tex. Per pura fortuna le pallottole di Brown non raggiunsero il bersaglio e la cosa fu messa a tacere a suon di dollari. Se Aretha Franklin è stata la Queen Of Soul, la regina, nessuno può togliere o discutere il titolo di Diva Of Soul a Diana Ross.
Personaggio iconico, capriccioso, scostante ma che ha incarnato alla perfezione il profilo della “Dea” assisa nell'Olimpo della musica”nera” (ma non solo).
Diventa una star in giovanissima età con le Supremes, per poi sfondare con la carriera solista con centinaia di milioni di dischi venduti, Grammy Awards a doppia cifra, due Walk of Fame e un numero di riconoscimenti ufficiali praticamente incalcolabile.
Ha avuto la capacità di attraversare una lunga serie di epoche musicali e relative tendenze estetiche con un'eleganza e una raffinatezza uniche, rimanendo in costante e sapiente bilico tra una musica pop più fruibile e commerciale e una classe artistica all'insegna della personalità e dell'immediata riconoscibilità, mischiando soul, disco, rhythm and blues.
La partenza è la consueta, comune alla maggior parte degli artisti soul, con una lunga gavetta nelle chiese cantando gospel e spiritual ma a un certo punto arriva un tale Berry Gordy, con la fissa di pubblicare dischi di artisti neri che possano piacere anche ai bianchi.
Ed è così che le Primettes il gruppo vocale di Diana Ross, Mary Wilson e Florence Ballard, vengono trasformate in Supremes e firmano, nel 1960, un contratto con la suddetta nuova etichetta, la Motown Records, destinata a diventare quella più famosa e milionaria negli anni Sessanta (mettendo nel suo ovile anche nomi come Stevie Wonder o Marvin Gaye, tra i tanti).
Gli inizi non sono incoraggianti, con album e singoli che stentano a farsi notare ma Gordy non ha problemi a insistere (complice anche l'inizio di una relazione sentimentale con Diana) e finalmente, nel 1964, il singolo Where Did Our Love Go? filerà dritto in testa alle classifiche, inaugurando una prassi che per lungo tempo accompagnerà la band.
Baby Love, Come See Me About Me, Stop! In The Name Of Love, Back In My Arms Again non hanno difficoltà a scalare le charts, non solo americane ma anche europee, australiane e canadesi.
Il sound è facile, il ritmo, saltellante e accuratamente confezionato anche per un palato “bianco”, è ballabile, accattivante, pulito, innocuo.
Si parla di amore e cuori spezzati, le tre ragazze sono belle, affascinanti, pulite e patinate.
You Can't Hurry Love e You Keep Me Hangin' On, nel 1966, stabiliscono il loro ruolo di inossidabili dominatrici dei primi posti.
Il gruppo viene manipolato a piacimento da produttori e discografici, passando anche al country, quando necessario, vengono perfino realizzate bambole che ne riproducono le fattezze. La Ross è il leader indiscusso, tanto che il gruppo cambia nome in Diana Ross & The Supremes.
Ma Diana incomincia, alla fine degli anni Sessanta, ad avvertire stretto il ruolo di star immacolata che si presta, supina, a portare al successo le varie canzoni che le vengono confezionate addosso.
Il mondo sta cambiando e, essendo una donna intelligente, colta ed emancipata, non ne è indifferente.
Celebre, in questo senso, l'esibizione londinese al Royal Commad Show, davanti alla famiglia reale e a una serie di star del pop come Paul McCartney, Michael Caine, Roman Polansky, Sharon Tate, tra gli altri, in cui la Ross tiene un breve monologo, coraggioso e lacerante, sommerso di applausi:
"Non ho molte occasioni di parlare a persone potenti come chi mi sta davanti oggi. Io, come vedete, sono nera, mentre voi siete bianchi.
Io canto e voi mi ascoltate, poi quando tutto è finito ce ne andiamo insieme dalla sala. Ci sono posti nel mondo, compreso alcuni stati del mio paese, gli USA, dove neri e bianchi non hanno gli stessi diritti, non possono neanche uscire dalla stessa porta.
Vorrei che ci pensaste quando tornerete nelle vostre case".
Il cambiamento è imminente.
Nella band l'armonia è finita e anche la direzione artistica, pur sempre all'insegna di un pop zuccheroso, sta lentamente mutando. Florence Ballard non sopporta facilmente il ruolo di comprimaria alle spalle di Diana, si abbandona all'alcol e viene immediatamente sostituita da Cindy Birdsong, in arrivo dalle Bluebells. Florence morirà, stroncata dagli abusi, nel 1976.
Le Supremes non conoscono soste, dividono due ottimi album con i Temptations, abbracciano suoni più funk e con venature psichedeliche e con Love Child, del 1968, approderanno a inconsuete tematiche a sfondo sociale, lasciando intravedere nuove, inaspettate, prospettive artistiche.
Il gruppo è però ormai allo sbando, le tensioni interne altissime, soprattutto quando ormai è palese che Diana sta per andarsene.
Sceglie la strada solista, le altre proseguiranno con un progressivo calo di interesse da parte del pubblico, mantenendo il nome, fino al 1977, quando si scioglieranno definitivamente.
Ci sarà il tempo per una discussa reunion che si fermò a metà delle date previste, nel 2000.
Se la carriera delle Supremes è stata brillante con numeri iperbolici di vendite e un successo planetario, verrà velocemente cancellata dall'avventura solista di Diana Ross. L'omonimo album d'esordio del 1970 che sposta le coordinate sonore, con l'immagine in copertina con Diana magrissima, vestita approssimativamente che rompe drasticamente con il glamour precedente, verso un pop soul più elaborato, orchestrale, raffinato e maturo, è subito un successo, messo in ombra dal ruolo di protagonista, tanto azzardato, quanto riuscito, nel film Lady Sings The Blues del 1971, in cui veste i panni nientemeno che della mitica cantante blues Billie Holiday, ricevendo il Golden Globe come miglior attrice.
La colonna sonora non ebbe problemi ad arrivare al numero uno delle classifiche americane.
Sono anni ancora una volta frenetici in cui è necessario sfruttare il momento, incidere dischi, suonare, apparire in radio e tv.
La qualità ovviamente ne risente.
Gli album sono sempre dignitosi e di classe ma non riescono a lasciare il segno in questi primi anni Settanta in cui il soul e il funk mettono a segno capolavori senza tempo. Nel 1973 esce Diana & Marvin, album di duetti con Marvin Gaye, frutto di controversie e scontri tra i due.
Diana rifiutò di entrare in studio quando c'era Marvin perché fumava marijuana e Marvin non ne volle sapere di smettere perché sosteneva che senza non riusciva a cantare. Addirittura si discusse animosamente sul titolo per il quale Marvin richiese di avere il suo nome prima di quello di Diana.
Alla fine fu un discreto successo (intorno al milione di copie, numeri iperbolici ma da contestualizzare agli abituali successi singoli della coppia), pur deludendo le aspettative.
Ritorna al grande schermo con Mahogany e una riedizione del Mago di Oz, continua a macinare successi e album che rimangono nel limbo del gradevole pur se sempre di grande eleganza, approda alla discomusic, sbaragliando senza problemi le classifiche con Long Hangover, nel 1976.
Abbraccia il duo più in voga nella musica del tempo, Nile Rodgers e Bernard Edwards, menti degli Chic, per l'album Diana del 1980 ma non si capiranno mai troppo bene e tra litigi e remix alle spalle dei produttori, riuscirà però a piazzare il lavoro più significativo della carriera con l'immortale Upside Down a conquistare le piste delle discoteche di mezzo mondo con il suo inconfondibile groove funk disco. Lascia la Motown a suon di milioni di dollari e attraversa le successive tappe artistiche gestendo sempre più personalmente la sua carriera e personaggio. Il progressivo spostamento verso lidi sempre più pop e commerciali (tra duetti con l'amico Michael Jackson, Barry Gibb e Julio Iglesias) non depone a favore della creatività che si adagia sempre più in lidi di trascurabile spessore, gestendo la sua fama tra apparizioni televisive, riconoscimenti di ogni tipo e un conto approssimativo di 250 milioni di copie di dischi venduti.
Poco male, rimane la Diva del Soul, ora e per sempre.
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