martedì, febbraio 15, 2022
Il diritto d'autore
Riprendo l'articolo scritto domenica per "Libertà" nella rubrica "La musica ribelle".
Tra i momenti iconici del Festival di Sanremo è immancabile la presentazione dei brani dei concorrenti in gara, in cui chi di dovere snocciola abitualmente una sfilza di nomi ovvero gli autori del brano. “Pippo, Caio, Sempronio, Pippo, Pluto, Paperino…canta…”.
Il bizzarro e divertente elenco è la più vivida testimonianza dell’importanza del diritto d’autore.
Un passaggio televisivo in un programma come il Festival (che ne garantisce successivamente un ulteriore grande numero tra radio e trasmissioni varie, oltre all’inserimento nella sempre vendutissima raccolta di tutte le canzoni in gara) è il viatico per entrate cospicue o comunque di discreto interesse per chi ha composto il brano.
Da qui la frequente folla di nomi, anche se non di rado con percentuali diverse che comunque possono portare a cifre interessanti.
Non parliamo di chi ha azzeccato qualche brano di successo con cui ha avuto praticamente un vitalizio e una pensione. Non a caso al recente festival di Sanremo gli addetti ai lavori avranno notato come ci sia una sorta di “lobby” (rigorosamente tra virgolette), appartenente a una precisa casa discografica, che firma la maggior parte delle canzoni.
Ma andiamo con ordine.
Cos’é e come nasce il diritto d’autore nella musica?
Nell’antichità il problema non si è mai posto. Le opere musicali, teatrali, artistiche e letterarie erano di libera fruizione e, anzi, diventava un onore se venivano riprodotte da altri.
L’autore non aveva alcun vantaggio in tal senso.
E’ solo con l’avvento della stampa e la conseguente possibilità di riprodurre in svariate numeri di copie i libri, che si pone per la prima volta il problema, dando il via al “mercato delle idee”.
Più copie uguale a più potenziali lettori e altrettanto possibili appropriazioni indebite di quanto creato.
E’ solo nel 1709 che la Regina Anna d’Inghilterra crea quello che conosciamo come il moderno copyright.
Esempio che sarà successivamente seguito e applicato anche in Francia, nel regno delle Due Sicilie, nel regno d’Italia e progressivamente in tutta Europa.
Il diritto d'autore nella musica dura, se il brano è stato inciso, 70 anni e si estende ovviamente agli eredi.
Per fare un esempio altisonante pare che per il solo brano “Yesterday”, Paul McCartney (e gli eredi di John Lennon) percepisca qualcosa come 60.000 euro al giorno.
Poi il buon Paul ha composto anche qualche altra canzone, giusto per capire le proporzioni.
Che, per fare un altro esempio più vicino a noi, non sono dissimili, seppure in scala immensamente minore, per gli autori dei successi nell'ambito del liscio
I brani oltre ad essere proposti dall'orchestra del compositore, vengono ripresi da decine di altre orchestre e suonati, magari per anni, ogni sera.
E pertanto retribuiti per ogni esecuzione con un ritorno economico esponenziale per l'autore.
A fianco del compositore siede spesso la figura dell'editore musicale, cioè la società a cui si cedono i diritti di pubblicazione, riproduzione, esecuzione. Spesso la figura di editore e autore coincidono, altre volte vengono invece appaltati in modo che l'edizione musicale, per potere guadagnare di più, lavori affinchè il brano abbia la maggiore diffusione possibile.
Nel caso di nomi importanti e di successo la cessione all'editore frutta spesso cifre considerevoli.
Una delle storie più famose ed esemplificative della questione riguarda i Beatles.
Agli inizi di carriera Paul McCartney e John Lennon cedono le loro quote editoriali a Dick James, che fonda all'uopo la Northern Songs di cui si trattiene il 50% delle quote, dandone il 20% a testa a Paul e John e il 10% al loro manager Brian Epstein.
A fine degli anni Sessanta James decide di vendere la sua quota, che cede però a una società americana che offre più soldi rispetto a Paul e John.
Negli anni Ottanta la società americana decide di liberarsi delle edizioni. Paul e Yoko fanno un'offerta ma ancora una volta vengono battuti.
Questa volta da Michael Jackson per oltre 47 milioni di dollari.
Paul, che aveva da poco collaborato con il cantante americano, non la prese particolarmente bene. Si è vociferato che nel suo testamento Michael Jackson avesse lasciato le sue quote a Paul ma non è mai stato confermato. Pertanto sono ora di proprietà della Sony (etichetta di cui aveva rilevato una parte lo stesso Jackson).
Ma in base al Copyright Act, Paul e Yoko o loro eredi potranno tornare in possesso gratuitamente dei diritti dal 2026.
Come abbiamo visto, a certi livelli circolano cifre impressionanti che confermano l'importanza del diritto d'autore ed editoriale ma che, relativizzato, è comunque determinante nella vita economica di ogni artista. E proprio per questo quando si sente odore di imitazione oppure plagio, volano stracci ma soprattutto denunce e carte bollate. La lista è infinita ma è divertente.
Il caso più noto è quello che vide coinvolto George Harrison, accusato di avere copiato, con il suo successo “My Sweet Lord”, un brano delle Chiffons, “He's So Fine” del 1961. George ammise in qualche modo la sua ispirazione (anche se citò la classica “Oh Happy Day”), fu condannato a una multa da un giudice che introdusse la platonica motivazione di “plagio inconscio” (che servirà a giustificare successivamente numerose dubbie “ispirazioni”).
Paradossale la causa di cui fu vittima John Fogerty, voce, chitarra e compositore dei Creedence Clearwater Revival. L'addio al gruppo fu piuttosto brusco e i rapporti tra i componenti diventarono burrascosi.
Quando nel 1985 pubblicò il suo album “Centerfield” la vecchia casa discografica lo denunciò perché un brano del nuovo disco era troppo simile a uno dei Creedence Clearwater Revival composto da lui stesso. Fogerty andò al processo con la chitarra dimostrando tecnicamente che i brani erano decisamente differenti, vincendo la causa e intentandone una contro la casa discografica.
Il gruppo brit pop dei Verve giunse alla vetta delle classifiche nel 1997 con quello che è diventato un classico della musica rock inglese, “Bittersweet Symphony”.
Il brano utilizzava il campionamento di una versione orchestrale di un brano dei Rolling Stones, “The last time”. Manager e avvocati di Jagger e Richards fecero causa e vinsero, dapprima imponendo che tra gli autori ci fossero anche Mick e Keith, poi addirittura togliendo ai Verve anche la paternità della canzone.
Il brano nel frattempo fu utilizzato come pubblicità della Nike e ottenne una visibilità globale.
Ma nel 2019 Mick Jagger e Keith Richards, evidentemente soddisfatti di avere ottenuto “giustizia”, decisero di rinunciare a qualsiasi diritto sul brano.
Uno dei casi più clamorosi riguarda il presunto plagio che Michael Jackson avrebbe fatto dei “I cigni di Balaka” di Albano e Romina Power nel suo brano “Will you be there” del 1994. La battaglia legale seguita, portò all'assoluzione di Jackson rilevando, tra l'altro, che in realtà entrambi i brani avevano parecchie similitudini con un vecchio doo wop, “Bless You” degli Ink Spots.
Non solo nel rock e nel pop si parla di plagio.
Anche due grandi della canzone italiana furono in forte contrasto per questione di diritti.
La famosa “Via del campo” di Fabrizio De André è davvero molto simile a “La mia morosa va alla fonte”, incisa non molto tempo prima da Enzo Jannacci. Il contenzioso legale finì amichevolmente con il cantautore milanese inserito tra gli autori anche se l'ispirazione di entrambi arriva da un antico canto medievale.
Perfino Puccini fu accusato, nel 1928, da due sorelle tedesche, di avere copiato la “Turandot” che lasciò incompiuta a causa della sua scomparsa.
Sostenevano che avesse plagiato l'inno cinese, quando era invece una voluta citazione.
La lista è lunga, dettagliata e spesso fonte di diatribe, talvolta tanto accese quanto deprecabili tra autori, musicisti e causa di fratture tra amici e collaboratori.
A certi livelli la posta (in veste di potenziali cumuli di danaro) è troppo alta per un accordo conviviale e allora sono gli avvocati a contendersi l'osso da spolpare.
Alla faccia dell'arte e della creatività.
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