martedì, novembre 09, 2021

Walter Smith


Un ricordo di Walter Smith a cura di ALBERTO GALLETTI.

Con Walter Smith, morto dopo lunga malattia la scorsa settimana, se ne va un pezzo di storia del calcio scozzese, forse non solo scozzese.
Guidò i Rangers al periodo di maggior successo della loro storia.
Per me tra gli allenatori scozzesi allo stesso livello di Jock Stein e Alex Ferguson, gli altri parecchi piani sotto.

Se ne va anche una di quelle rare figure di allenatore il cui ricordo rimane legato all’ aver avuto successo alla guida del club che ne rappresentava le convinzioni più profonde, dentro e fuori dal campo.
Walter Smith era nato in una famiglia operaia.
Il padre era un gruista e tifoso dei Rangers, la mamma era organista alla chiesa locale.
Protestanti, gente semplice, onesta; poche certezze ma solide.
Fu il nonno a portarlo ad Ibrox per la prima volta quando aveva cinque anni e a far sbocciare una passione che si porterà fin nella tomba segnando per sempre la sua esistenza.

Trascorse l’infanzia giocando a pallone dalla mattina alla sera, dopo le scuole dell’obbligo si iscrisse al Coatbridge Technical College.
Continuò col calcio entrando nelle giovanili dell’Ashfield squadra di periferia.
Terminati gli studi iniziò a lavorare come apprendista elettricista presso l’azienda elettrica della Scozia meridionale ma non mollò il calcio, la sua vera grande passione.
Nel 1966 finalmente ci riuscì e fu preso dal Dundee United.

Difensore di modesta caratura, nelle prime quattro stagioni mise insieme una manciata di presenze in prima squadra giocando regolarmente con le riserve.
Dal ’71 passò in pianta stabile in prima squadra, in tutto 134 presenze per gli arancioni, non molte in tredici stagioni.
Ma sempre con una passione ed un entusiasmo travolgenti.
Indelebile, ed esemplificativo di cosa rappresentasse il calcio per Walter Smith, l’esultanza dopo un gol segnato al Dundee in un derby di campionato quando si baciò il piede con il quale aveva calciato in porta.
Un infortunio lo costrinse al ritiro nel ’76 a neanche 29 anni.
Poco male perché il manager, il geniale sergente di ferro Jim McLean, gli stava dicendo già da un po'
che sarebbe stato un allenatore migliore di quanto non fosse mai stato un giocatore.
Al fianco di Mc Lean vinse clamorosamente il campionato scozzese 1982/83 e l’anno dopo furono fermati dalla Roma in semifinale di Coppa dei Campioni nel controverso rovescio (0-3) del ritorno all’ Olimpico.
Fu quindi allenatore della Scozia U18, U21 e nel 1986 andò al mondiale in Messico come secondo di Alex Ferguson.
Qualche mese prima, aprile mi pare, i Rangers, a corto di vittorie da anni, avevano ingaggiato Graeme Souness come player-manager.
Questi, a digiuno di esperienza manageriale e di campionato scozzese scelse quale vice Walter Smith che aveva conosciuto in nazionale e in virtù del suo ottimo lavoro al Dundee United.
La gestione Souness rivoluzionò non solo i Rangers ma l’intero calcio scozzese. Scardinò la politica del monte ingaggi ai calciatori che resisteva da decenni e si mise a comprare giocatori dall’Inghilterra, invertendo così un flusso che durava da sempre.
Infine prese Mo Johnston, il primo calciatore apertamente cattolico a giocare per i Rangers, facendo cadere la regola non scritta che il club non assumeva cattolici (in qualsiasi posizione, non solo calciatori) che risaliva agli anni ’20.
Ci furono rimostranze anche violente, forse di più sulla sponda opposta, ma Souness tirò dritto dichiarando che quello che importava veramente era il bene della squadra e che il settarianesimo con lui non avrebbe condizionato le scelte.
Souness fu inoltre d’aiuto a David Murray nell’acquisizione del club.

Walter Smith fu importantissimo in tutto il percorso.
Per stessa ammissione di Souness:
“Sono stato fortunato ad essere circondato dalle persone giuste in quel momento. Walter mi aiutò enormemente sia guidandomi tra le questioni extra-campo che con la squadra.”
Nel ’91, dopo cinque stagioni e quattro titoli nazionali, Souness lasciò i Rangers per Liverpool chiedendo a Smith di seguirlo.
David Murray, nel frattempo diventato proprietario del club, dopo attenta riflessione e sentiti capitano e giocatori più influenti gli offrì il posto resosi vacante.
Smith ringraziò Souness e accettò la proposta del presidente coronando infine il suo sogno. Più d’uno tra i tifosi storse il naso, non lo consideravano abbastanza bravo per vincere “Ha fatto solo il vice fin qui” il ritornello.

Con Walter Smith alla guida i Rangers vinsero i successivi sei campionati consecutivi che, aggiunti ai precedenti tre vinti da Souness con Smith al suo fianco, eguagliarono il record del Celtic di Jock Stein di nove campionati consecutivi vinti.
In aggiunta mise in bacheca anche tre Coppe di Scozia, che valsero tre double, e tre Coppe di Lega una delle quali andò a completare il treble del 1992/93.
In quell’anno sfiorò anche la finale della neonata Champions League finendo secondo, un punto dietro al Marsiglia nel girone di semifinale, ma avendo eliminato i campioni inglesi del Leeds United con doppia vittoria al secondo turno.
Lasciò i Rangers per l’Everton nel giugno ’98 al termine della prima stagione per il club (e sua) finita a mani vuote.
Qui dovette fare i conti con una cronica mancanza di soldi e la lotta per non retrocedere. Quando se ne andò, quattro anni dopo, il club aveva raggiunto stabilità finanziaria e la squadra si era allontanata definitivamente dalle zone basse della classifica.
Rimediò però l’unico esonero della sua carriera.
Momentaneamente a spasso, il vecchio amico Alex Ferguson si ricordò di lui chiamandolo come suo vice ad Old Trafford.
Insieme vinsero la FA Cup del 2003.

Venne quindi la chiamata della SFA che gli offrì la guida della nazionale, abbastanza malridotta dalla gestione Vogts.
Riuscì a raddrizzare un po la baracca, ottenne un paio di buoni risultati battendo la Francia e pareggiando contro l’Italia in partite di qualificazione.
Il rank FIFA migliorò sensibilmente ma le qualificazioni a mondiali ed europei continuarono a sfuggire. Più importante, quando arrivò sulla panchina della Scozia, trovò Tommy Burns come vice-allenatore.
Burns era stato una leggenda del Celtic prima come giocatore, poi anche come allenatore, i due già si conoscevano.
Smith, che stimava Burns, lo mantenne al suo posto, dimostrando, da uomo di calcio e solo di calcio, che le divisioni potevano essere superate e rimanere circoscritte allo stadio e ai novanta minuti.
Quando al funerale di Burns, ucciso da un tumore a soli 56 anni, Walter Smith si presentò e portò a spalla la bara dell’amico, l’ambiente del calcio scozzese ricevette un’ inaspettata quanto utile lezione di come si stà al mondo.

Il cammino alla guida della nazionale finì a gennaio 2007 quando da Ibrox chiamarono per soccorso urgente e rimediare all’infelice operato di Paul Le Guen, appena licenziato.
Walter Smith corse al capezzale dei Rangers e vi rimase per altre quattro stagioni vincendo ancora tre campionati consecutivi, due coppe di Scozia e tre coppe di lega che portarono il suo totale personale a 21 trofei vinti (in undici stagioni) e ne fecero l’allenatore più vincente nella storia del club del dopoguerra.

Prodotto di suoi tempi, forgiato da McLean, Smith è stato un manager autoritario.
Una passione per il calcio enorme, quando giocava con le riserve al venerdì, al sabato andava a studiarsi una partita della massima serie annotandosi tutto.
Una formazione che gli permise di emergere come allenatore sempre sostenuta da una forte competitività e da un’autoritarismo spietato che non ammetteva repliche.
Walter Smith era un duro, educato, gentile, sorridente ma un duro.

Difficilmente perdeva le staffe in pubblico, era più concentrato a vincere e ad esultare, ma gli capitò qualche volta con la stampa.
Maltrattò un giornalista esordiente ad una conferenza stampa sbattendolo fuori dalla sala salvo poi chiamare il suo boss prima che questi rientrasse in redazione per dirgli di non preoccuparsi ma che la lezione era dovuta, specialmente davanti ai colleghi più anziani.
Come faceva negli spogliatoi. Psicologia spiccia ma efficace, durante il suo secondo periodo ad Ibrox consegnò le medaglie della vittoria in campionato dell’anno prima nel momento cruciale della volata scudetto della stagione successiva per spronare la truppa.
I suoi giocatori lo adoravano.
Fenomenale poi la demolizione del reporter della BBC Chick Young la mattina dopo l’eliminazione dalla Champions League per mano dell’ AEK Atene che gli diceva come Brian Laudrup e Basile Boli fossero inadeguati per una campagna europea.
Senza perdere la calma, quasi sussurrando in tono confidenziale, ma porco cane non avrei voluto essere il giornalista.

Portò ad Ibrox gente come Brian Laudrup e Paul Gascoigne e che riuscì ad amalgamarli con i vari McCoist, Gough, Hateley e Goram per non dire Durrant riuscendo a tirare fuori il meglio da tutti loro.
E’ vero che nel momento in cui fu nominato allenatore la prima volta i Rangers erano la squadra con più soldi di tutto il Regno Unito ma, è anche vero che le sue capacità di creare squadre vincenti sono sempre state fuori discussione.
Quando tornò la seconda volta la cosa fu persino più evidente. Significativa l’esplosione di McCoist da lui promosso titolare non appena Souness se ne andò a Liverpool. Significativo il rapporto instauratosi tra i due da allora.

Ancorato ad un 4-4-2 britannico classico, le sue squadre sono sempre state poco tattiche, molto atletiche e parecchio spettacolari, basate sul collettivo e impreziosite da tre-quattro elementi di classe.
Difesa forte ancorata intorno al roccioso Gough, sempre con un terzino d’attacco.
Centrocampo di corsa e fosforo ben impersonificato da McCall e due davanti con spiccate doti realizzative.
Coppie come Hateley-McCoist e McCoist-Laudrup avrebbero fatto faville anche fuori dalla Scozia.
Si vinceva sbaragliando, più raramente in trincea come nella finale di Coppa di Lega del 2010, mai tenendo palla stucchevolmente.

Quando tornò in panchina a metà del 2007/08 la squadra arrancava alle spalle di un Celtic che sembrava irraggiungibile.
Si rimise al comando e ancora una volta azzeccò gli acquisti, riuscì a creare un collettivo robusto e compatto e dalla stagione successiva infilò tre vittorie consecutive in campionato.
Sfiorò anche il colpo in Europa nel 2008 perdendo la finale di Coppa UEFA, ma qui forse anche la scarsa competitività del campionato scozzese non ha mai aiutato.

“Mio nonno era un grande tifoso dei Rangers, appassionatissimo alla squadra.
Uno che andava ad ogni partita, senza mai indossare una sciarpa, senza mai cantare una canzone, sempre presente.
Un uomo che seguiva i Rangers religiosamente.”

Così Walter Smith imparò a seguire i Rangers, così li ha vissuti, così li ha gestiti quando è toccato a lui.
Accettò di rientrare nella dirigenza con incarico non esecutivo all’indomani del fallimento, si penti subito realizzando di aver commesso un’errore di valutazione, uno dei pochi.
Il nuovo proprietario voleva infatti usarlo come parafulmine con i tifosi per mascherare i propri maneggi societari.
Si presentò quindi al consiglio di amministrazione decisivo con in mano la vecchia foto di lui e suo nonno ritratti fuori da Ibrox il giorno in cui ci andò per la prima volta.
Disse: “Signori, questo è quanto il Rangers Football Club significa per me. Per la memoria di mio nonno e il suo insegnamento rifiuto di starmene qui a far niente (mentre altri decidono) e di assumere la carica che mi offrite."
Meno di una settimana dopo il presidente si dimise. Nominato presidente a sua volta restò in carica tre mesi e si adoperò per l’entrata in società di Paul Murray e Dave King a loro volta fondamentali nella rinascita del club.
Goodbye Walter e grazie, mi sono divertito un sacco.

Per una risata e capire chi fosse davvero:
https://www.youtube.com/watch?v=iG3rOhYktz0

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