martedì, novembre 30, 2021

Novembre 2021. Il meglio del mese


Siamo agli sgoccioli del 2021.
Tante buone cose da segnalare:: Jon Batiste, Sleaford Mods, Bobby Gillespie & Jenny Beth, Paul Weller, Damon Albarn, Dewolff, Sault, Specials, The Lathums, Damon Locks Monument Ensemble, The Coral, Howlin Rain, Curtis Harding, Sons Of Kemet, Mdou Moctar, Little Simz, Kojo Jean & the Tonics, Teenage Fanclub,Tom Jones, Chrissie Hynde, Adrian Younge, Flyte, Jay Nemor Electrified, Myles Sanko, Billy Nomates, Alan Vega, Django Django, Aaron Frazer, Bamboos, Arlo Parks, Shame, Vaudou Game, Les Filles De Illighadad, Steve Gunn, Billy Bragg.
In Italia: Andrea Chimenti, Radio Days, Nicola Conte/Gianluca Petrella, A/lpaca, Casino Royale, Gang, SLWJM, Homesick Suni, Bachi da Pietra, Joe Perrino, Amerigo Verardi, Les Flaneurs, The Smoke Orchestra, Homesick Suni, Wendy?!, Gli Ultimi, Gianluca Secco, Heat Fandango, Marianna D'Ama, The Breakbeast.


DAMON ALBARN - The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows
Realizzato durante il lockdown, ispirato dagli orizzonti islandesi, il nuovo album di Albarn è inevitabilmente riflessivo, sospeso, introverso, struggente.
Damon è una della rare menti musicali (e non solo) in circolazione baciate dalla genialità, mai banale, sempre "in progress", alla ricerca di qualcosa di nuovo.
Ogni suo lavoro va inteso come componente di un progetto artistico più ampio, che abbraccia mille influenze e riferimenti.
E "The nearer..." rientra in questo concetto.
Ed è pure molto bello.

CURTIS HARDING - If words were flowers
Davvero ottimo il nuovo album del soul man americano che si sa destreggiare in perfetto equilibrio tra vintage e new soul, mantenendo un profilo distintivo e personalissimo. Canzoni eccellenti, arrangiamenti di grande eleganza ma mai ridondanti, tra i migliori "black album" dell'anno.

The GREASE TRAPS - Solid ground
Esordio con i fiocchi per la nostra miniera di gemme preziose, la Record Kicks, della band americana, registrato al Transistor Sound di Kelly Finnigan e mixato da Sergio Rios degli Orgone.
Deep funk che viaggia tranquillamente tra Curtis Mayfield e il primo Gil Scott Heron, arrangiamenti di fiati superbi, ricerca sonora certosina, groove a non finire. Notevole.

JAMIE AND THE NUMBERS - You don't love me
Dopo una serie di 45 giri la band neo zelandese approda al primo album con un grande e potente soul sound, spesso vicino e fedele al miglior Northern Soul. Spaccano con la cover soul funk rock di "The seeker" degli Who, quella sorprendente e riuscitissima di "Boys don't cry" dei Cure ma c'é anche una bella "Shout to the top" degli Style Council in semi acustico e tante altri stupendi gioielli.
Grande disco.

THE EXCITEMENTS - Keepin' on
Persa la voce storica di Koko Jean, trovata una degna sostituta, la band spagnola torna con un nuovo album in cui si propone con la consueta classe, eleganza, a base di soul, funk, rhythm and blues di spessore. Divertimento, groove, energia a profusione. Eccellenti.

SILK SONIC - An evening with
Bruno Mars e Anderson .Paak si sono divertiti un sacco a fare il verso a Stevie Wonder, Prince, il tardo Sly Stone e altre icone della black music. Da talentuosi quali sono lo fanno ovviamente bene e con gusto ma il senso di artefatto è costatemente presente. E se fai soul senza anima manca qualcosa...

TENDERLONIOUS - Still Flute
Uno splendido connubio di house, jazz, electro funk, elettronica, suonato e prodotto con rara eleganza. Groove ipnotico, tonalità talvolta ambient, influenze asian/indiane. Originale e di enorme personalità .

RICHARD ASHCROFT - Acoustic Hymns Vol. 1
Un viaggio semi acustico e orchestrale tra Verve e carriera solista con ottimi riarrangiamenti, l'ospitata di Liam Gallagher, buoni spunti per i fan.

NATHANIEL RATELIFF and the NIGH SWEATS - The future
Terzo album per la band americana. Southern rock, soul, blues, The Band, Van Morrison. Gli amanti del "buon vecchio rock dei 70" apprezzeranno.

TY CAUSEY - U-Turn
Dall'Indiana una voce calda e un soft funk sinuoso che miscela molto bene l'old school vintage in chiave Al Green con elementi alla Prince. Niente di superlativo ma l'ascolto è gradevolissimo e intrigante.

The DAPTONE Super Soul Revue – Live at The Apollo
Registrato nel corso di tre serate al mitico Apollo Theatre di Harlem, New York nel dicembre 2014, arriva un triplo album in vinile che celebra una delle migliori etichette di new soul in circolazione, la Daptone.
Che schiera il suo meglio, dai compianti Sharon Jones e Charles Bradley ai Sugarmen Three, Menahan Street Band fino al gospel ruvidissimo delle Como Mamas, con gran finale tutti insieme a cantare una versione super funk di "Family affair" di Sly and the Family Stone. Esibizioni di un'intensità rara, semplicemente un album INDISPENSABILE.

AA.VV. - Golden Rules
Prima compilation dell'etichetta tedesca (Golden Rules) che mette insieme band funk, soul, rhythm and blues, vrai grooves con band provenienti da Mosca, Amburgo, Parigi, New York, Londra, Barcellona, Nashville.
Un perfetto assaggio del loro catalogo che valorizza la nuova scena soul funk mondiale. Spettacolare Gizelle Smith, grandi i Soul Surfers, notevole Laura Llorens ma suona tutto più che bene.

ROBERT PLANT / ALISON KRAUSS - Raise the roof
14 anni dopo il primo pluripremaito album insieme tornano insieme l'ex Zep Robert Plant e la 27 volte vincitrice di un Grammy Award Alison Krauss. 13 cover scelte con cura (Merle Haggard, Allen Toussaint, Everly Brothers, Bert Jansch) e un inedito. Mood semiacustico tra country, rockabilly, folk. Piacevolissimo.

THE IDLES - The crawler
Trovo interessante e intrigante la proposta degli IDLES ma i miei gusti rimangono abbastanza lontani da un'abrasione sonora/cattiveria/assalto verbale etc che avverto come risaputi, un po' scontati, omogeneizzati, prevedibili.

GEESE - Projector
L'esordio della band New Yorkese ricalca le coordinate di band come Idles o Fontaines DC, tra sonorità aggressive, ritmiche scomposte, chitarre sferraglianti.
Non male seppur poco personali.

THE FILTHY SIX - Soho filth
Gustoso soul jazz strumentale tra Jimmy Smith e Booker T and the Mg's, di gusto perfettamente e totalmente 60's con un Hammond in gran spolvero.

PAOLO TOFANI - Indicazioni vol.2
Uno dei chitarristi più geniali e d'avanguardia su cui l'Italia abbia potuto da sempre contare. Anima degli Area (il più grande gruppo italiano in assoluto) e poi alle prese con molteplici esperienze soliste.
Il nuovo lavoro,seguito del suo album ‘Indicazioni’ del 1977, è registrato in totale autonomia, frutto di pura improvvisazione e propone una modalità nuova e alternativa dell'uso della chitarra, grazie all'utilizzo della Shyama Trikanta, strumento da lui progettato e costruito.
Paolo Tofani continua a darci "Indicazioni" verso cui portare creatività, avanguardia, sperimentazione. Un lavoro difficile ma stimolante e suggestivo.

THE BREAKBEAST - Monkey riding God
Sergio Pomante (Sudoku Killer, String Theory, ex-Ulan Bator) al sax, Alessandro Vagnoni (Bologna Violenta, Ronin, Drovag) alla batteria e Mario di Battista (La Mala Sementa, Ulan Bator) al basso e alla voce sono i protagonisti di questo nuovo progetto molto stimolante, aperto, sperimentale, in cui confluiscono funk, rock, jazz, hip hop, sperimentazione, Morphine, James Chance, Primus, un approccio cinematografico, un pizzico di Calibro 35. Originali, personalità enorme, tanto groove.

ANDREA CHIMENTI - Il deserto, La notte, Il mare
Decimo album in studio per l’ex voce dei Moda. Undici inediti dal portamento solenne, autorevole, romantico, con l'aiuto di alcuni ospiti prestigiosi come David Jackson dei Van Der Graaf Generator, Ginevra di Marco, Antonio Aiazzi (Litfiba) Fabio Galavotti (Moda), Francesco Magnelli (CSI e CCCP).
Elegante e poetica canzone d'autore che va a braccetto con retaggi new wave, echi di Bowie e l'influenza della scrittura di Nick Cave. Come sempre il livello è altissimo.
Ma c'è tanto altro, compresi arrangiamenti superbi, curatissimi, canzoni stupende, gusto per la sperimentazione e per il "saper osare".

PAOLO APOLLO NEGRI - Escribir lo imposible
Elegante e raffinata colonna sonora dell’omonimo film spagnolo scritto e diretto da Simone G.Saibene, composta ed eseguita da Paolo Apollo Negri, tastierista dalle mille esperienze passate, presenti (e sicuramente future). Il contesto cool jazz (che riporta all’Herbie Hancock degli anni Sessanta) è perfetto per accompagnare immagini e già di per sé evocativo e molto gradevole all’ascolto. Brevi pennellate, suonate e arrangiate con maestria.

FIREWORKS BANQUET – Nothing Really Important
Il quartetto sardo all’esordio con un poderoso album chitarristico, aspro e crudo. I riferimenti spaziano tra psichedelia, Paisley Underground, viaggi dalle parti di True West, Thin White Rope e Giant Sand e un abbraccio frequente al miglior Brit Pop. Arrangiamenti essenziali, album ben curato, ottimo lo spessore compositivo. Un nome da tenere d’occhio.

CARLO MASU E LE OSSA - Ombre di un corpo estraneo
Il grande chitarrista dei Cut all’esordio solista con un progetto che lo vede affiancato da membri di IOSONOUNCANE (dal vivo), Eveline e The Crazy Crazy World of Mr. Rubik. Sound brumoso, decadente, oscuro che conserva l’abrasione della band madre ma percorre strade più melodiche e sperimenta con progressioni e pause ritmiche tra jazz e post rock. Tanta personalità, grandi canzoni, un progetto interessantissimo.

THE BROKERS AND THE WALL STREET BAND - s/t
Progetto musicale a cura di Giuliano Taviani e Carmelo Travia insieme a Diana Tejera che omaggia la tradizione garage punk con riferimenti agli X e ai Velvet Underground. I tre brani scorrono velocemente, immediati, efficaci, lasciandoci in trepida attesa di un album.

POORWHITE - Echoes of Spoon River-Part 1-The Hill
Il cantautore bolognese ci porta in meandri, rigorosamente acustici tra Lo-fi, Barrettiani (in particolare), psichedelici, con uno sguardo a Brian Wilson, Beck, il primo Sufjan Stevens, perfino a Noel Gallagher. Bello e molto particolare.

ASCOLTATO ANCHE:
DIANA ROSS (pop super patinato, grande voce ma scarsa sostanza), THEO CROCKER (ottimo new spiritual jazz)

LETTO

MASSIMO ZAMBONI - La trionferà.
Un suggestivo, a tratti (solo apparentemente) nostalgico, viaggio nel comunismo emiliano, con la natìa Cavriago protagonista, il cui nome arrivò perfino a Lenin (il cui busto campeggia ancora orgogliosamente nell'omonima piazza), da pionieristici sostenitori della Rivoluzione Sovietica.
Zamboni, che scrive non bene ma benissimo, cita nomi, fatti, dati e date e ci immerge in un "amarcord" a tratti veramente felliniano, che rende alla perfezione il concetto del comunismo da certe parti.
"Essere comunisti era prima di tutto un sentimento: sapere di essere dalla parte giusta del mondo".
A metà libro lui stesso diventa protagonista, dall'infanzia, all'adolescenza, all'iscrizione alla FGCI, le Feste dell'Unità (quelle Feste dell'Unità emiliane!!!) e poi il rumore delle armi, la crisi, la progressiva triste decadenza e caduta mentre impazza il successo artistico e mediatico dei suoi CCCP-Fedeli alla Linea.
"Arriva il momento di smobilitare e prende forme pratiche che fanno ancora più male di quelle politiche...pezzo dopo pezzo se ne vanno i gioielli di famiglia, acquistati grazie alla dedizione e ai sacrifici di migliaia di militanti.
Non si tratta solo di una compravendita immobiliare.
E' un mondo che si sgretola all'incanto."
Rimane l'ideale che si perde nel vento e nel tempo ma che, prima o poi, trionferà:
"La trionferà, certo che trionferà.
E se non saremo noi a vederla trionfare e se non sarà nei tempi a venire o non sarà da noi e avrà altri nomi forse, altri modi, chissà dove, decento, trecento, mille anni, vedrete: la trionferà".
Il libro è stupendo, (ri)apre ferite nel cuore di chi ci ha creduto e rimane tutt'ora affascinato e ancorato a quell'idea, traballante, mal applicata ma potenzialmente perfetta.
"Quella parola, COMUNISTA, che altrove evoca scenari di grigiore e vessazione (in Emilia) si è andata a coniugare a una capacità pratica di sogno e fantasia che altrettanto ha avuto pochi eguali.
Nessuna dittatura del proletariato, nessuna minaccia alle proprietà, nessuna incompatibilità con le classi medie. Tentata egemonia di pensiero, non totalitarismo. Condiscendenza verso l'iniziativa privata, non statalismo. Transito e apertura culturale, non reticolati.
Questa attitudine ha formato il carattere umano di un'estesa area geografica, distinguendola dalle altre, dandole un volto e un noime proprio riconosciuti e riconocibili.
Siamo stati comunisti nel non avere attuato il comunismo".

PETER CULSHAW - Clandestino. Alla ricerca di Manu Chao
Personaggio spesso dimenticato, soprattutto a causa della sua ritrosia a seguire i metodi tradizionali della discografia, che vuole album pubblicati a cadenza regolare, tour di supporto, video, concerti, promozione televisiva, radiofonica, via web.
Manu Chao rimane però vivo e pulsante nei cuori di chi lo ha sempre apprezzato, si è entusiasmato ai concerti dei Mano Negra, sua prima band, tra i migliori live act di sempre (un loro concerto cancella, nella memoria, il 99% delle migliaia a cui ho assistito nella mia ormai lunga vita) ma anche alle sue esibizioni soliste, sempre generose, empatiche, gioiose, spettacolari.
Dice bene Peter Culshaw nel libro appena uscito, “Clandestino. Alla ricerca di Manu Chao” prima biografia autorizzata pubblicata da Castello Editore nella collana Chinaski:
“Per una schiera di disadaddati che non accetta il mondo così come è e per gli emarginati per i quali lotta, Manu Chao rappresenta un raggio di speranza.
Una star internazionale che combatte contro la globalizzazione, un uomo che vive con lo zaino in spalla ma ha guadagnato milioni di euro, un propagandista che rifiuta le interviste.
La reputazione di Manu Chao è stata basata sulla sua grade onestà e integrità morale”.

Nasce nel 1961 a Parigi da una famiglia colta, antagonista, attivista, schierata a sinistra e con principi ben saldi. Manu si muove tra banlieues e situazioni alternative, non sempre in condizioni facili. Nei primi anni Ottanta Parigi era un luogo diviso, fatiscente e spesso pericoloso. Gli antichi quartieri della classe lavoratrice erano disseminati di edifici abbandonati, fabbriche deserte e officine dismesse. Una tragedia per le famiglie di operai che abitavano lì da generazioni.
Si appassiona al rock 'n' roll e al pub rock dei Dr. Feelgood ma viene fulminato, nel 1981, da un concerto dei Clash, in cui, a fianco di punk e rock suonano anche reggae, soul, funk e tanto altro. La sua band, Joint de Culasse, le esibizioni per strada come busker, le occupazioni, i centri sociali gli diventano stretti, cerca altre strade con nuovi gruppi e influenze, per esaudire il desiderio di un' aria artistica più fresca. Ci prova con gli Hot Pants e con i Los Carayos.
Alle nuove suggestioni punk e ibridazioni varie aggiunge anche la tradizione ispanica e latina, tra flamenco e rumba ma anche ska, swing, country, folk francese e tanto altro. Le basi per il suo timbro stilistico crescono e si arricchiscono.
“Chuck Berry, Lou Reed, i Clash erano i miei professori. Poi si aggiunse anche Edith Piaf e Jacques Brel, i miei professori di francese.”
Ci vorrà ancora un po' di pazienza, tentativi, frustrazioni, limature, ricerche di compagni di viaggio ma alla fine La Mano Negra diventà realtà.
Un nome suggestivo, accattivante e da fuorilegge (mutuato da un'organizzazione anarchica operante in Andalusia e da un gruppo di ispanici che nel New Mexico lottavano per i diritti per acqua e terra).
Recluta alcuni membri dei Casse Pieds (che fecero tappa negli anni Ottanta anche a Piacenza, al “Caprice”, con un concerto travolgente) e incomincia la consueta trafila di concerti, registrazioni, piccoli tour, salti nel vuoto, notti insonni o trascorse su un sedile del furgone, neanche un centesimo in tasca, locali sudici e dimenticati, pranzi e cene saltati o, eufimisticamente, poco abbondanti e saporiti.
Ma riescono a trovare un contratto discografico e approdare al primo album, nel 1988, intitolato come il “genere” che sarà il loro marchio di fabbrica e di tanti altri gruppi che si rifanno alle stesse matrici.
Ovvero un miscuglio di mille influenze che attingono da generi classici come rock, blues, country, altri, ai tempi, innovativi come il punk e ancora jazz, suoni latini, rockabilly, ska, reggae:
Patchanka.
“Patchanka è un suono selvaggio per cuori solitari e cani randagi. Il nome deriva da Pachanga, una danza cubana degli anni Cinquanta ma anche dall'inglese “patchwork”, letteralmente “manufatto che consiste nell'unione, tramite cucitura, di diverse parti di tessuto.”
E' un manifesto di quello che sarà la carriera di Manu Chao.
Brani inferiori ai tre minuti, immediati, diretti, tanto quanto i testi, che parlano di periferie, vita di strada e reale.
Fu molto doloroso firmare per il colosso discografico Virgin e lasciare in qualche modo la “naiveté” del circuito indipendente ma necessario, nonostante in molti videro, come sempre, in questo gesto, un tradimento degli ideali. Manu Chao ricorda con molta chiarezza quegli anni:
“Eravamo combattenti che il più delle volte racimolavano un panino e un calcio nel culo dopo tre ore di concerto su un palco. Abbiamo semplicemente dovuto tirarcene fuori.”
“Patchanka” li impone all'attenzione di tutto il mondo.
Vanno in tour in America con Iggy Pop ma ne escono delusi e sconcertati dai rigidi meccanismi di un certo ambiente e decidono di preferire la parte più a sud del continente americano.
Il secondo album “Puta's Fever” è un vero e proprio successo di classifica con singoli come King Kong Five che scala le classifiche e i loro concerti che diventano sempre più travolgenti (e non di rado proseguono sulla strada davanti ai locali o teatri, insieme ai fan improvvisando per ore).
Intraprendono un lungo tour in Sud America, nei barrios più poveri ma anche nei quartieri più disastrati e pericolosi di Parigi, incidono altri due album ma la frenesia di un'attività così veloce e urgente fa esplodere la band.
Nel 1994 i Mano Negra si sciolgono, dopo un rocambolesco giro in treno nei villaggi più dimenticati della Colombia, aprendo la carriera solista di Manu Chao, successiva a un lungo periodo di disperazione e perdizione per la fine di quello che era stata al 100% la sua vita, trascorso in giro per il mondo tra luoghi sperduti, pericolosi quartieri sudamericani, droghe, ricerca di sé stesso.
Il manager dei Mano Negra (probabilmente con le mani nei capelli) affermò che se la band si fosse promossa adeguatamente, invece di impegnarsi in imprese alla Don Chisciotte, come un viaggio in barca lungo l'America Latina (Ramon Chao, padre di Manu, documentò in un fantastico libro, “La Mano Negra in Colombia”, il viaggio del figlio nel paese, tra narcotraffico, guerriglia e un travolgente entusiasmo per la band) e non si fossero sciolti, nel momento più inopportuno, alla vigilia dell'uscita di “Casa Babylon”, il loro album più venduto, sarebbero potuti diventare grandi come gli U2 o i Coldplay.
Nell'aprile 1998 esce l'esordio solista, “Clandestino”.
Accolto tiepidamente diventerà nel giro di un anno il disco francese più venduto di sempre con oltre 5 milioni di copie e proietterà Manu allo status di rockstar planetaria.
La commistione di suoni latini, africani, tzigani, blues, pop, creò un marchio di fabbrica distintivo e immediatamente riconoscibile.
Sarà protagonista in prima persona al G8 di Genova, suonando e partecipando alle proteste, dovrà subire critiche da destra e da sinistra (tra chi lo considerava un “venduto”, a causa del successo ottenuto). Manu continua a suonare, a incidere nuovi dischi, a girare l'Africa e le Americhe, eternamente nomade, appoggiare cause a sfondo sociale, fare beneficenza, dovendo anche combattere contro chi lo sfrutta in tal senso per ottenere concerti gratuiti “camuffando” l'evento come destinato ad aiutare questa o quella causa.
Sono ormai quindici anni che non appare più nel mercato discografico e una decina che non rilascia interviste.
Vive sparso in varie parti del mondo, due mesi in Brasile, un mese a Parigi, un altro a Barcellona.
Periodicamente riappare dal vivo oppure a improvvisare un concerto in qualche bar sperduto, suona a Buenos Aires o tra le dune del deserto algerino per la causa del popolo tuareg Saharawi.
Inafferrabile, “perdido nel corazon della Grande Babylon”, sempre diverso, sempre Manu Chao.
“Non posso cambiare il mondo e neanche il mio paese ma posso cambiare il mio quartiere.
Ci provo.
E' una responsabilità nelle mani di tutti. Non credo a una rivoluzione mondiale che cambi il mondo ma credo in mgliaia di rivoluzioni di quartiere. Questa è la mia speranza.”

Nell'agosto del 2003 fui parte dell'organizzazione del concerto piacentino di Manu Chao a cui ebbi anche l'onore di aprire il concerto con il Link Quartet.
Fu un'esperienza in cui finirono le consuete polemiche politiche, problemi di ogni tipo, alta tensione ma anche un grande successo di pubblico, pacifico e partecipe e l'incontro con una persona tranquilla e disponibile che diede vita a un concerto esplosivo, proseguito poi oltre l'orario di chiusura per organizzatori e alcuni fortunati rimasti nello stadio Daturi.

MALIK AL NASIR - Letters to Gil
E' una storia incredibile quella di Malik Al Nasir.
Una vita destinata a una triste prospettiva, salvata e redenta dalla musica e da un personaggio unico, un intellettuale, artista, poeta, attivista, Gil Scott Heron.
Spesso impropriamente definito il “padre del rap” di cui comunque contribuì a costruire le basi, ispirandosi ai suoi contemporanei Last Poets, nella New York dei primi anni Settanta.
Ma Gil fu molto di più.
Portò avanti una sorta di concetto di “musica totale”, in cui confluivano tutte le sfumature della black music (dal blues al gospel, con cui era nato, fino al soul, al funk, al rhythm and blues) ma anche quelle del sound latino con cui era cresciuto nel quartiere portoricano di Chelsea, nella Big Apple. Una fusion spesso complessa ma sempre accattivante su cui si innestavano testi incredibilmente poetici e politici, colmi di aspro sarcasmo nei confronti delle istituzioni e del potere costituito.
Malik, nato come Mark Trevor Watson a Liverpool, padre della Guyana, madre inglese, visse un'infanzia tranquilla a Toxteth, il quartiere black della città, fino a quando la famiglia si sfasciò e per un furto, in realtà mai commesso, finì, a nove anni, nell'inferno dei riformatori di sua maestà, dove subì soprusi, abusi psicologici e fisici di ogni tipo.
Uscito a 16 anni, con l'unica prospettiva di intraprendere una vita di illegalità (“per lavorare occorrevano referenze e le uniche che avevo io erano anni passati in un carcere minorile e avere la pelle nera in un paese razzista”), si imbatte nella musica di Gil Scott Heron dalla quale rimane affascinato e colpito.
Quando Gil arriva a Liverpool si fionda al concerto.
“Gil ha parlato, ha suonato jazz, era un poeta, ha insegnato. Stava solo cantando una canzone ma era come se fosse parte di un'anima collettiva che viveva nella stanza del locale”.
Riesce a entrare nel backstage, solo per volersi complimentare con il suo idolo.
Ma Gil gli chiede inaspettatamente se lo volesse accompagnare a vedere i luoghi di Toxteth in cui recentemente c'era stata una violenta rivolta della comunità nera contro i metodi violenti e razzisti della polizia.
Malik acconsente e poi invita Gil e la sua band il giorno successivo a pranzo. Non ha un casa, vive in un rifugio per senza tetto, non ha soldi, solo un minimo di sussidio statale.
Racimola quello che può, mette a frutto l'esperienza di cuoco imparata in riformatorio e offre il pranzo a tutta la band in una casa prestatagli da un amico. Alla fine Gil gli allunga 100 sterline ma lui rifiuta, è un regalo che ha voluto fare al suo idolo.
Allora Gil gli chiede se vuole unirsi alla band. “Ma io non so fare niente per una band”.
“Saprai caricare e scaricare un amplificatore da un camion o portare le bacchette al batterista o un cavo al chitarrista”.
Malik diventa così parte della crew di Gil Scott Heron, gira il mondo, impara le tecniche dei fonici e sostanzialmente “facevo tutto quello che non stavano facendo gli altri. Questo era il mio motto”. Gil “vide qualcosa in me che non vedevo in me stesso: il mio potenziale".
Durante i lunghi viaggi il musicista scopre che Malik era semi analfabeta, anche a causa di una forma di dislessia mai curata.
E allora incomincia a insegnargli a leggere e a scrivere, facendo tesoro della sua immensa cultura e di un master in inglese, conseguito all'Università di Lincoln.
Lo introduce ai classici sulla autoconsapevolezza degli afroamericani, ai testi che parlano dei diritti civili da rivendicare, alle poesie di Langton Hughes, ai libri di Zola Neale Hurston, al blues e al soul di Nina Simone e Billie Holiday. Sprona Malik a scrivere e quando riceve le sue prime composizioni gliele corregge, aggiusta, lo consiglia.
“Una mattina mentre eravamo sul tour bus Gil incominciò a leggere ad alta voce i miei scritti. Mi chiese perché avevo usato questa parola e non quella, che cosa volevo dire con questa frase, cosa significa questo concetto. Per la prima volta nella mia vita avevo un insegnante. La cosa è andata avanti per molti anni. Anche quando eravamo lontani scrivevo le mie poesie e gliele mandavo via lettera. E quando ci ritrovavamo in tour lui le tirava fuori e le commentavamo insieme”.
Dopo un po' di tempo Gil lo “licenzia” affinché si trovi un lavoro e incominci a gestire la propria esistenza. Malik sceglie la dura vita del marinaio che lo porta di nuovo in giro per il mondo, subendo ancora una volta il razzismo degli equipaggi delle navi per cui lavorava dove non di rado era l'unico nero. Sfrutta questi lunghi mesi in mare per leggere e scrivere, ascoltare musica, imparare.
Si iscrive successivamente all'università e consegue due lauree, in sociologia e geografia oltre a un diploma post laurea in ricerca sociale e un master in produzione multimediale.
“Ho continuato ad andare in tour con Gil quando ho potuto. Era così fiero di me. La mia laurea era il culmine di tutto ciò che aveva investito in me e io avevo investito in me stesso. Quello che Gil mi ha dato era una ragione per cui vivere.”
Nel 1992 incontra i Last Poets e viene introdotto all'Islam.
Cambia nome e diventa il manager del loro cantante, Jalal, incominciando una proficua carriera in ambito discografico, lavorando anche con Public Enemy, Steel Pulse, Run DMC, Wailers, Wyclef Jean.
Fonda la compagnia di produzione MediaCPR e l'etichetta MCPR Music e anche una band, Malik and the OG's con cui suona e incide dischi. Quando Gil Scott Heron entrò nella sua fase più oscura, fatta di dipendenza, periodi da homeless, finendo poi in prigione, Malik non mancò mai di supportarlo, ricevendo in cambio un nuovo incoraggiamento. Ovvero pubblicare le sue poesie che aveva raccolto in abbondanza nel corso degli anni.
Nel 2004, dopo aver ricevuto un risarcimento dallo stato inglese per le ingiustizie subite nell'adolescenza, fonda una sua casa editrice, la Fore-Word Press, con cui pubblica Ordinary Guy.
E' spesso protagonista di articoli sulla stampa inglese in relazione ai problemi dei rifugiati, all'esclusione sociale, al razzismo. Quando Gil venne finalmente rilasciato dalla prigione, poco prima di morire, nel 2011, Malik riuscì, grazie all'intercessione di Wyclef Jean, a farlo reincontrare con Stevie Wonder, uno degli amici che aveva fatto di tutto per portarlo fuori dalla palude della droga.
La vita di Malik Al Nasir è ora raccolta in un toccante e duro libro autobiografico, da poco pubblicato in Usa e Canada da William Collins Editore, intitolato Letters To Gil.
Una trasformazione umana, sociale, politica.
Il ribaltamento dai giorni in cui, scrive nel libro, quando gli dicevano “Nigger!” rispondeva “Sorry”, frutto della mentalità dell'Inghilterra degli anni Settanta in cui a scuola i bambini di colore venivano irrisi e discriminati in primo luogo dagli stessi insegnanti e trattati come persone inferiori.
La rivalsa postuma contro le politiche del comune di Liverpool che prima lasciava che a Toxteth si aprissero locali per neri senza particolari controlli, per, sostiene Malik, “tenere lontana la comunità black dal centro storico dove risiedeva la borghesia bianca” e che successivamente, con una politica pragmaticamente crudele, sparse chirurgicamente le famiglie nere in altri quartieri per soffocare il senso di unione e solidarietà tra gli immigrati.
Un libro che riassume una storia acre e difficile, attraverso il rapporto tra un maestro e un allievo tenace e sincero che, attraverso l'educazione e l'amore per il prossimo, ha trovato una strada.
“Gil è stata la persona più importante per me durante la mia vita adulta. Grazie, Gil. Mi hai salvato la vita".

LORENZO BRIOTTI - Viva i pirati!
Fenomeno ormai dimenticato e a molti oscuro, quello delle radio "pirata" fu invece di fondamentale importanza per lo sviluppo della Pop Culture degli anni Sessanta, in Inghilterra in particolare, ma che divenne basilare anche per lo sviluppo della nuova musica in tutta Europa.
"Le radio pirata offshore accompagnano lo sviluppo di questa pop culture che mette in discussione i valori della generazione dei genitori che hanno combattuto e sofferto le conseguenza della guerra. Le radio pirata con il loro desiderio di libertà diventeranno uno dei simboli che accompagneranno questa rottura generazionale."
Radio Lussemburgo (in particolare per i giovani italiani), Radio London, Radio Caroline e decine di altre dalla vita breve, pericolosa e tribolata, che trasmettevano da navi e da piattaforme, ruppero il monopolio della paludata BBC, refrattaria all'introduzione di nuovi suoni e tendenze.
E formarono oltre che una generazione di musicisti, un ampio numero di DJ radiofonici (John Peel su tutti).
"La radio pirata è la prima format radio intesa come sistema concettuale e operativo che procede a individuare un segmento di pubblico e a formulare una programmazione adatta. Il segmento di pubblico è quello giovane".
Il libro analizza le origini del fenomeno la sua esplosione e decadenza fino ad analizzare il sorgere delle radio libere/private italiane (anticipate da Radio Montecarlo), con abbondanza di dettagli antropologici, tecnici, culturali.

SERGE LATOUCHE - Limite
Gli uomini hanno già abbandonato il sentiero di una civiltà durevole.
In tempi in cui la cosiddetta "emergenza climatica" è una realtà oltre che drammatica ormai ampiamente conclamata e in cui i principali governi mondiali non fanno sostanzialmente nulla per metterle un freno, anteponendo la crescita economica, può essere utile (ri)leggere questo breve saggio di Latouche (professore di scienze economiche all'Università di Parigi) scritto nell'ormai lontano 2012.
In cui si palesa che "la catastrofe è già tra noi. Viviamo quella che gli specialisti chiamano la sesta estinzione della specie" e che "ormai è chiaro che il nostro modo di vita attuale è senza futuro, che il nostro mondo finirà, che i mari e i fiumi saranno sterili, le terre senza fertilità naturale, l'aria delle città soffocante e la vita un privilegio al quale avranno diritto soltanto gli esemplari selezionati di una nuova razza umana" (André Gorz - Sette tesi per cambiare la vita - 1977).
"Viviamo in una società della crescita.
La società della crescita può essere definita come una società dominata da un'economia della crescita e che tende a esserne interamente permetata.
In questo modo la crescita per la crescita diventa l'obiettivo primordiale, se non il solo dell'economia e della vita.
Produrre di più implica necessariamente consumare di più e per questo è necessario creare all'infinito nuovi bisogni".
Noi non distruggiamo il pianeta ma soltanto il nostro ecosistema cioé le nostre possibilità di sopravvivervi.
Indifferente ai nostri eccessi, la Terra continuerà a seguire il suo destino dopo la nostra scomparsa.
A fronte di questa catastrofica situazione Latouche propone un concetto di DECRESCITA, di abbandono del superfluo e di ciò che non è indispensabile.
Per scongiurare l'implosione del sistema è indispensabile un'autolimitazione della dismisura dei modi di produzione e di consumo dominanti, che sono soprattutto quelli delle classi dominanti.
L'autolimitazione si sposta così dal livello della scelta individuale al livello del progetto sociale.
C'è anche un'interessante analisi che riporta al progressivo insorgere dei cosiddetti sovranismi:
"Ogni cultura è per natura etnocentrica. Gli appartenenti a una determinata cultura sono persuasi che i loro valori sono i migliori e che sono quelli dei loro vicini sono meno buoni dei loro, se non cattivi".

ANTONIO G. D’ERRICO – L’uso ingiusto della Giustizia
Massimo Terzi, Presidente del Tribunale di Torino: "Ogni anno finiscono sotto processo 150mila persone che poi verranno assolte. Da quando è entrato in vigore il nuovo codice l'esperienza devastante di subire un processo da innocenti è toccata ad oltre 5 milioni di persone". Verte su queste vicende il libro di D'Errico che raccoglie testimonianze e le vicende di imprenditori, ufficiali delle forze dell’ordine, gente comune, ritrovatisi in una maligno vortice di ingiustizia perpretata proprio da chi doveva loro garantiglierla.

VISTO

ZEROCALCARE - Strappare lungo i bordi
E' molto bello avere un autore, fumettista, intellettuale (esatto, INTELLETTUALE) come ZEROCALCARE che scrive e propone piccoli capolavori come "Strappare lungo i bordi", con la capacità di gestire il difficilissimo equilibrio tra risata (anche grassa) e pura commozione, aprire ferite nuove e antiche, scrivere e rappresentare realtà e attualità in modo, allo stesso tempo, leggero e profondo.
Le sei puntate della serie su Netflix sono irresistibili e da vedere e il tanto criticato romanesco parlato è un'ulteriore aggiunta qualitativa.
Senza dimenticare i costanti riferimenti a quel sottobosco antagonista che continua a vivere, pulsare e (r)esistere in un mondo così difficile e rivoltante.
Per me, stupendo.

COSE VARIE
Ogni giorno mie recensioni italiane su www.radiocoop.it (per cui curo ogni settimana un TG video musicale - vedi pagina FB https://www.facebook.com/RadiocoopTV/).
Ogni domenica "La musica ribelle", una pagina sul quotidiano "Libertà", ogni mese varie su CLASSIC ROCK.
Ogni sabato un video con aggiornamenti musicali sul portale https://www.facebook.com/goodmorninggenova
Periodicamente su "Il Manifesto" e "Vinile".

IN CANTIERE
Un nuovo libro in pubblicazione l'11 gennaio 2022 dedicato al Soul, appena uscito "Crocodile Rock", scritto con Ezio Guaitamacchi per Hoepli, i dettagli qui:
https://tonyface.blogspot.com/2021/11/ezio-guaitamacchi-antonio-bacciocchi.html

Giovedì 28 dicembre all'Hotel Helvetia 17:30 di Porretta terme (BO) Presentazione del libro “Soul” di Antonio Bacciocchi Ed. Diarkos all'interno del PORRETTA SOUL FESTIVAL.

2 commenti:

  1. Dell'album di Plant/Krauss ti segnalo anche la cover dei Calexico 'Quattro', prima traccia dell'album e a mio parere miglior brano del lotto.

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  2. Ottimo.
    Bene per Soul ma aspettavo il tanto atteso libro su Chris Dean e Redskins

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