lunedì, giugno 01, 2020
Vasco Rossi
Riprendo l'articolo scritto ieri per LIBERTA' ,quotidiano di Piacenza nello spazio "Portfolio", diretto da Maurizio Pilotti, nella mia rubrica "Musica Ribelle", dedicato a VASCO ROSSI.
Si fa presto a dire Vasco Rossi.
Soprattutto se ne devi scrivere. Perché se ne parli male come minimo i suoi fan ti rigano la macchina, se ne parli bene i critici saccenti e i cultori della “vera” musica rock (quelli che dimenticano che si tratta di musica “pop”, contrazione del termine popolare, cioé per la gente) ti derubricano immediatamente alla voce “coatto”.
Che fare? Si chiedeva in altri tempi Vladimir Ilic Ulianov, detto più sbrigativamente Lenin.
Sappiamo come é andata a finire.
Si può provare a farne un'analisi oggettiva che prescinda dai gusti personali.
Analisi da cui emergono i dubbi dello scrivente alle prese con affinità e divergenze con il cantautore di Zocca.
Vasco è uno vero, schietto, onesto, nudo di fronte al pubblico e alla popolarità.
Ovvio che c'è una “narrazione” alle spalle, ma non una costruzione del personaggio, una modalità studiata a tavolino.
Semplicemente, al massimo, qualche aggiustamento.
Ma che nel suo caso, come anche per altri (ma non così numerosi, anzi), parte da un elemento di assoluta genuinità.
Vasco non potrebbe essere diverso da quello che vediamo, non avrebbe mai tollerato una maschera, un travestimento.
Chi lo ha gestito a livello manageriale e professionale si è dovuto adattare alla sua personalità.
A volte il confronto con certe rockstar “colte” può sembrare impietoso ma molto meno di quanto si pensi.
Perché, non di rado, sono quegli altri ad essersi costruiti una maschera protettiva per nascondere magagne culturali e comportamentali.
Vasco Rossi ha edificato una carriera trionfale passo dopo passo, partendo dal basso, molto dal basso, improvvisando, soprattutto, come é nel suo carattere, rischiando sempre in prima persona, incurante di pianificazioni o prospettive.
A partire dal locale semi autogestito che aprì vicino al suo paese, il “Punto Club” per passare nel 1975 a una delle prime radio libere italiane, “Punto Radio”, di cui diventa anche direttore (curiosamente qualche anno fa alla stessa radio, tutt'ora attiva, ha incominciato a trasmettere il figlio, Lorenzo).
E' un momento di svolta: il 23enne Vasco entra nello spettacolo, perfeziona le sue doti di intrattenitore, conosce un sacco di nuova musica, conosce personaggi come Gaetano Curreri, futuro membro degli Stadio e quelli che diventeranno colonne portanti della sua band, i chitarristi Maurizio Solieri e Massimo Riva.
Nello stesso giro anche Red Ronnie, ai tempi agitatore culturale e profondo conoscitore di tutta la nuova musica in arrivo da Inghilterra e Usa (sarà uno dei primi ad intercettare la novità rivoluzionaria di punk e new wave in tempo reale.
Incredibile ritrovarselo ora in preda a complottismi e sovranismi).
Esordisce come cantautore nel 1978 con l'album “Ma cosa vuoi che sia una canzone”, destinato solo al mercato emiliano e lontanissimo dal suo futuro artistico.
Per proseguire con un lavoro come “Non siamo mica gli americani” in cui c'è già tutta l'epica del futuro Vasco, sballato, scazzato, provocatorio, sopra le righe, con brani come “Fegato fegato spappolato” (che finisce con uno sputo e l'attacco di “God save the queen” dei Sex Pistols), l'anti militarista “Faccio il militare” ma anche quell'”Albachiara” diventata poi uno dei suoi brani più conosciuti.
E che dire del successivo “Colpa d'Alfredo” in cui nell'omonima canzone palesa l'ispirazione che arriva dalla strada, dal bar, senza filtri, incurante di ogni politically correct, di ogni tenda ideologica con la famosa frase “é andata a casa con il negro, la troia”.
Una sua apparizione a “Domenica In” gli valse un altrettanto conosciuto attacco del giornalista Nantas Salvalaggio che lo definì in un articolo “ebete, cattivo, drogato”.
Un'etichetta che si porterà dietro per sempre, avvalorata anche da riferimenti spesso espliciti nelle canzoni, dall'arresto per detenzione di stupefacenti, da esibizioni televisive in cui non appare sicuramente lucido. Ma Vasco non è un tipo da pose e finzioni.
Rischia.
Rischia tutto, la salute in primis, la popolarità e la carriera subito dopo. Poteva andargli male e sparire per sempre, esserne schiacciato e demolito.
Vincerà contro tutto e tutti, grazie anche alla sua onestà, al sapersi e volersi schierare.
In “Siamo solo noi” inserisce un brano che si intitola “Ieri ho sgozzato mio figlio” (con la rima inquietante e dissacrante “ho fatto uno sbaglio/credevo fosse un coniglio”) ma sono i testi incentrati, neanche troppo nascostamente, sugli abusi, la dipendenza, lo sballo, ad essere ostentatamente espliciti.
“Che ironia / Questa malattia/ Che non mi fa dormire / Che non va piu' via /Non c'e' dottore non c'e' dottore” canta in “Che ironia”. “Siamo solo noi” diventerà un vero e proprio inno generazionale (Che non abbiamo più niente da dire / Dobbiamo solo vomitare) mentre nel raggelante blues “Valium” (100 gocce di Valium / Per dormire del tutto / Non sentire più niente / Cancellare la mente E domani mattina / Non svegliarsi neanche) delinea un anelito suicida.
Vasco ne uscirà (più o meno) e troverà il successo, grazie anche a “Vado al massimo” che lo porterà sul palco di Sanremo in stato confusionale ma facendosi notare, eccome. Un verso della canzone, “Vado al Messico, voglio andare a vedere se come dice il droghiere, laggiù masticano tutti foglie intere...” fu aggiustato per evitare inevitabili censure.
Ancora a Sanremo l'anno successivo, 1983, e di nuovo un inno, destinato ad entrare nella storia della musica italiana come “Vita spericolata”.
Arriva poi “Bollicine”, altro nuovo grande successo.
La canzone omonima vince il Festivalbar del 1984 nonostante gli espliciti riferimenti alla cocaina.
Gliene troveranno 25 grammi durante una perquisizione, il 20 aprile 1984 e Vasco si farà 22 giorni di carcere, di cui cinque in isolamento.
Esperienza durissima ma che mette un freno alla dipendenza ormai smodata dagli stimolanti.
In molti gli volteranno le spalle (tra i pochi solidali un altro cane sciolto per eccellenza, Fabrizio De André), la carriera sembra compromessa.
Sicuramente sarà un momento di svolta.
Dopo “Cosa succede in città” si concede un paio di anni di pausa, torna ad incidere, rompe con i compagni di sempre (Solieri e Riva), viene di nuovo arrestato per possesso di cocaina, diventa padre per la prima volta.
Ma la sua carriera decolla definitivamente.
Non più palazzetti ma, per contenere il pubblico dei suoi concerti, ci vogliono gli stadi, il successo é ormai totale.
“Gli spari sopra” del 1993 gli fa vincere 10 dischi di platino.
La sua carriera non ha più ostacoli, é solo un costante tripudio di folla, a partire dalle 100.000 persone che accorrono a Imola all'Heinken Festival nel 1998.
L'anno dopo perde, per un'overdose, l'amico di sempre, Massimo Riva, proprio alla vigilia di un altro trionfale tour, il “Rewind Tour”.
D'ora in poi diventa un'icona inscalfibile, si spende per progetti benefici, sostiene (una delle sue rare prese di posizione in politica, non dimenticando l'appoggio a Pannella e al suo antiproibizionismo) L'Unione di Prodi, decide di non dare più suoi brani per spot pubblicitari, per non lucrare sulla passione dei fan, infila record su record di presenze ai concerti, i dischi, artisticamente sempre più deboli e scontati, troppo spesso di maniera, non faticano mai a conquistare la vetta delle classifiche.
Finisce nei giochi della Playstation e come personaggio di “Topolino”, scrive spesso per altri artisti e nel 2017 batte il record mondiale di spettatori paganti (220.000!!!) al concerto “Modena Park”.
Piaccia o meno Vasco Rossi é uno dei più importanti musicisti pop italiani di sempre e lo resterà per sempre.
Dice:
ma alla fine di tutto questo discorso, a Bacciocchi, Vasco piace si o no?
Risponde l'interpellato: no, molto poco.
Qualche brano mi diverte, l'unico che mi esalta non è il suo, “Gli spari sopra” (cover degli An Emotional Fish).
Non ho mai tollerato chi in modo più o meno velato fa l'elegia di droghe e affini (Rolling Stones inclusi), non per moralismo ma per una concezione personale (e opinabile) della vita che non contempla il gettarla alle ortiche.
E musicalmente non provo interesse per quel tipo di rock.
De gustibus, ovviamente.
Ciò non toglie che il personaggio é affascinante (o repellente a seconda di chi interpelliamo) ma una cosa é sicura: non passa né è mai passato nell'indifferenza.
E questo vuol dire tanto.
Un segno lo ha lasciato e indelebile oltre che fosforescente. Gliene rendo merito e ne ammiro la coerenza.
Io non sono mai riuscito a digerirlo per un semplice motivo : per me rappresentava le piazze delle citta'italiane anni 80 e gli sballati che le frequentavano... ovvero, i cannaioli e gli eroinomani... Paul 1967
RispondiEliminaIl profeta degli scoppiati. È sempre stato sui coglioni anche a me per quello. Ma in realtà mi stavano sui coglioni gli scoppiati. Qualche canzone dal trio Siamo solo noi - Vado al massimo - Bollicine mi piace ancora.
EliminaStesso proplema coi Doors
Comunque grande articolo. Bravo Antonio, bravo bravo.
EliminaNonostante il mio "disprezzo" per il personaggio, devo dire che e'un piacere leggere la tua recensione... scritta divinamente... Paul67
RispondiElimina''Non ho mai tollerato chi in modo più o meno velato fa l'elegia di droghe e affini (Rolling Stones inclusi), non per moralismo ma per una concezione personale (e opinabile) della vita che non contempla il gettarla alle ortiche.'' Ti abbraccio! Comprendo solo il discorso dell'erba nel roots reggae, poiché elemento sacro.
RispondiEliminaIo non ho fatto uso di alcun tipo di droga. Neanche di erba che però NON considero una droga e andrebbe legalizzata.
RispondiEliminaIo pure le detesto. Ho provato qualche tiro di canna ma non è per me. Per il resto, mi drogo solo di musica
EliminaVasco Rossi é (stato) la voce della WORKING CLASS ITALIANA. Parola magica che ci fa romanticamente pensare all'operaio che dopo 8 ore in fabbrica se ne va a casa a leggere Marx. E invece va al bar a parlare di calcio e figa e ha solo voglia di rintronarsi un po' per dimenticare la giornata di merda che ha avuto.
RispondiEliminaEsatto, questa credo sia la chiave di lettura più interessante, non solo dell'artista ma del contesto sociale entro il quale irrompe e si colloca perfettamente.
EliminaMassimo rispetto, un grandissimo (nel contesto che vierne ben desctritto)
RispondiEliminaC
o che tu non sia l'unica
RispondiEliminaL'unica per me le altre le vedo
Le altre sì che le vedo
Ma te ti sento dentro come un pugno
Quando ti vedo ballare
Vorrei morire
Lai la la la la la la fammi vedere
Lai la la la la la la fammi godere
Vorrei stringerti le braccia
Le braccia attorno al collo e baciarti
Baciarti dappertutto
Vorrei possederti
Sulla poltrona di casa mia
Con il rewind
Rewind
E tutto il necessario
Perché tu vai, vai
Veloce come il vento
Quante espressioni di godimento sul tuo volto
Si vedono solo con lo scorrimento lento
Si vedono solo con lo scorrimento lento
Lai la la la la la la fammi vedere
Lai la la la la la la fammi godere
Mi aiuto con le illusioni
E vivo di emozioni che tu
Che tu non sai neanche di darmi
Perché tu vai, vai veloce come il vento
Quante espressioni di godimento sul tuo volto
Si vedono solo con lo scorrimento lento
Si vedono solo con lo scorrimento lento
Si vedono solo con lo scorrimento lento
Si vedono solo con lo scorrimento lento
Lai la la la la la la fammi vedere
Lai la la la la la la fammi godere
Lai la la la la la la fammi morire
Lai la la la la la la fammi vedere