lunedì, giugno 08, 2020
La musica ai tempi del Coronavirus
Un estratto dall'articolo che ho scritto ieri per LIBERTA' sulla musica ai tempi del Coronavirus.
Nel momento in cui scrivo sembra che l'emergenza Coronavirus si sia fortemente attenuata e che ci sia motivo di speranza per poterla considerare una tragedia lasciata alle spalle. Incrociamo le dita e stringiamo i denti (confidando nel senso di responsabilità dei cittadini). La n
ostra città ha pagato un prezzo altissimo alla ferocia della pandemia e tanti di noi piangono congiunti, amici, conoscenti, che ci hanno lasciato in questi mesi.
L'economia ha subito, di pari passo, un impatto tremendo e con essa anche il mondo della musica, arte e spettacolo, tra i meno tutelati nel nostro paese.
Dove chi opera nell'ambito non sempre assurge allo status di “lavoratore” visto che agisce in un generico contesto definito di “intrattenimento” e pertanto derubricato a futile e superfluo.
Il mondo dello spettacolo é spesso convulso, con regole traballanti, dove la necessità comporta, non di rado, per un certo numero di lavoratori, il dovere agire fuori da confini fiscali.
Ovvero, in parole povere, lavorare, spesso, in nero.
Non si sta parlando di grandi nomi e degli spettacoli di artisti famosi, né, ovviamente, di chi é inquadrato legalmente, ma di quell'ampio sottobosco di musicisti, DJ, attori, compagnie teatrali, (non dimenticando gli insegnanti di musica che prestano opera privatamente) che hanno un'utenza limitata e possono esibirsi solo in piccoli locali e teatri.
Che, a loro volta, possono permettersi, per non rimetterci, solo basse retribuzioni agli artisti, in quanto già gravati da costi di gestione e pesanti tributi alla SIAE.
Il tutto senza potere fornire giustificazioni fiscali ufficiali che, aggiungendosi a quanto già detto, renderebbero impossibile sostenere il costo di una serata.
Allo stesso modo di gruppi e artisti che lavorano sia in veste dilettantesca (quella da cui necessariamente partire per poter aspirare ad un'eventuale carriera) che semi professionistica (ovvero un modo per arrotondare con un'attività parallela un lavoro poco remunerativo).
C'é però un ulteriore mondo invisibile di chi vive esclusivamente suonando o agendo nello spettacolo (fonico, maestranza per allestire palchi e spettacoli, ad esempio) quasi prevalentemente in nero. Non tutelato da nulla e nessuno.
Rimasto in questo caso per mesi senza alcuna entrata, senza la possibilità di poter chiedere un sussidio e con scarse prospettive di poter riprendere presto l'attività.
Qualcosa si é mosso a livello istituzionale ma non certo in maniera adeguata e risolutiva.
Sarebbe un'opportunità per affrontare con serietà il problema e il corretto approfondimento della situazione ma, fatte salve le buone intenzioni e tante dichiarazioni di facciata, all'orizzonte non sembra profilarsi nulla di particolarmente positivo.
Gli appelli lanciati dai big della canzone italiana a favore dei 500.000 lavoratori dello spettacolo (esclusi gli “invisibili” di cui sopra) sono stati più che opportuni ma, mi permetto di aggiungere, che da personaggi nelle cui casse, solo di diritti d'autore, arrivano valanghe di soldi (indipendentemente da concerti e vendita di dischi) mi sarei atteso qualcosa di più di un accorato appello.
Magari mettendo mano al portafoglio (non escludo che qualcuno lo abbia fatto), creare un fondo e sostenere chi é meno fortunato di loro.
Ma forse se ne sono dimenticati.
Il periodo di pausa forzata non ha comunque fermato molti artisti.
Si sono fatti sentire i Rolling Stones con un nuovo brano, “Living in a ghost town” (vivendo in una città fantasma) con tanto di video di città deserte in tutto il mondo, Nick Cave, al contrario, ha chiarito di voler restare in totale silenzio, non essendo il momento per fare musica.
Abbiamo visto vari festival virtuali con artisti più o meno famosi esibirsi da casa in video con risultati sinceramente spesso da dimenticare.
Si sono purtroppo scatenati gruppi e musicisti di ogni tipo propinandoci evitabili mini concerti casalinghi, registrati male sia in video che in audio o una lunga serie di canzoni a tema Covid 19 di cui non si avvertiva la necessità.
Un ulteriore effetto collaterale di cui avremmo fatto volentieri a meno.
Un quadro poco edificante a rappresentare un mondo latore di divertimento e svago ma anche e soprattutto di cultura.
E che meriterebbe molto di più ma che in Italia é sempre più spesso dimenticato.
un esperimento di "risposta sociale"..
RispondiEliminaC
I big della musica nostrani non solo non hanno messo mano al portafoglio per aiutare i lavoratori del settore (facchini, fonici, tencnici luce, runner, ecc.ecc) colpiti dalla improvvisa crisi del settore dovuta alla pandemia di covid-19, ma hanno pensato bene di ritoccare a loro vantaggio la normativa sul diritto d'autore. Mogol, Paoli, Albano e tutta una schiera d'eletti al ruolo d'artisti continueranno a perseguitare legalmente un pischello che con un campionatore ruba, meno di un minuto a un loro brano, per costruire la sua base. Gente come Albano la terra non la doveva zappare a Cellino San Marco ma in Alabama in una piantagione di cotone in Alabama nei primi anni del '700.
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