martedì, maggio 12, 2020

El Trinche Carlovich



ALBERTO GALLETTI ricorda EL TRINCHE CARLOVICH recentemente scomparso.

Al volo perché so poco di lui.
Ma ‘El Trinche’ Carlovich è stato uno dei massimi giocatori argentini di ogni tempo; meglio, uno dei giocatori più leggendari del Sudamerica.
Chi sa qualcosa di calcio sa di chi sto parlando.

E’ morto venerdì, vicenda assurda.
Aggredito da due teste di cazzo che per rubargli la bicicletta lo hanno percosso, probabilmente buttato per terra facendogli battere la testa.
Era un omone, e aveva 74 anni, chiaramente sarà caduto malamente.

Era stato ricoverato all’ospedale di Rosario dove era in coma indotto.
Non ce l’ha fatta .
Era di Rosario, il padre vi era emigrato dalla Croazia in cerca di fortuna, trovò un’impiego da idraulico; famiglia numerosa.
Fece le giovanili al Rosario Central, ci giocò anche in due campionati, ma non ebbe mai la costanza per rimanere ai quei livelli; talento si, anche oltre il necessario ma lui giocava per divertirsi, che è un’altra cosa. vv La sua carriera fu legata soprattutto al Central Cordoba, terza squadra cittadina.

A Rosario il calcio è diverso da quello di Buenos Aires, c’è una lunga tradizione di bel gioco.
Buenos Aires è una megalopoli dalle periferie sterminate, può essere spietata e il suo calcio anche.
A Rosario succede meno, giocano con molta meno cattiveria.
Menotti dice che Carlovich è stato un tipico giocatore rosarino, ‘muy abil, muy tecnico, con un enorme facilità di esecuzione del passaggio, o del tiro…’ del Flaco mi fido.

Bielsa che è di Rosario come Menotti passò quattro anni ad andare a veder giocare Carlovich ad ogni incontro casalingo.
Della città e del suo modo di intendere il calcio ne ha incarnato più di altri lo spirito, portandolo forse ad un po all’estremo : rilassato, al limite dello svogliato, fortissimo ma lento.
Nonostante questa lentezza in campo faceva strabiliare.

Calcisticamente figlio dei suoi tempi e dei suoi luoghi, quando il talento era più che sufficiente per fare il professionista e il resto poi si prendeva quel che c’era.
Non andò mai al Boca, al River, certo.
Lui stava bene nei suoi paraggi.
Che merda la vita a volte, sicuramente la tragedia sarà avvenuta a due passi da casa sua, in quei luoghi dai quali non ha mai voluto allontanarsi.

Giocava a centrocampo, numero cinque, davanti alla difesa, tipo Batista per chi se lo ricorda. Una posizione difficile per uno che fa numeri; se perdi palla appena fuori l’area rischi di essere impallinato, probabilmente gli sarà capitato.
Aveva movenze di classe, nonostante la stazza, fondamentali e tecnica di grande livello.
Una grande visione di gioco, il lancio da cinquanta /sessanta metri ne fu probabilmente la prova più lampante.
Tutti si aspettavano il tunnel, il tunnel arrivava, ma lui nel frattempo aveva già elaborato il seguito e faceva partire il lancio o il passaggio in profondità, inaspettatamente.
Questo gli permetteva sempre di beccare i difensori fuori posto ed infilarli, oltreché fargli fare spesso la figura dei pirla.

Ma lui era così, votato al numero anche fine a se stesso con particolare inclinazione al tunnel , ed eventuale contro tunnel.
Il risultato talvolta importava, altre meno, altre no. Divertirsi sempre. Il premio tunnel o doppio tunnel invece arrivava puntuale. La palla la metteva sempre dove voleva lui, El Flaco dice ancora che ogni giocata era ‘muy inteligente’.
Rimarrà per sempre legato alla famosa amichevole tra la nazionale argentina e la selezione di Rosario giocata in preparazione al Mondiale del ’74.

Alcuni all’epoca dissero che non era mai una buona idea mandare la nazionale a Rosario, riferendosi sicuramente alle due squadre cittadine che avevano vinto i due ultimi campionati nazionali.
Ci beccarono, ma non per quel motivo.
La selezione era composta da giocatori delle due squadre di Serie A cittadine: cinque del Newell’s Old Boys e cinque del Rosario Central, più lui che giocava in Serie B.
Carlovich giocò la partita della vita, nonostante la sua lentezza, si prese letteralmente gioco degli avversari, nascondendogli la palla, dribblandoli secco, smarcando compagni in ogni parte del campo, lanci di cinquanta metri a tagliare campo e difesa avversaria, passaggi illuminanti e ritmo di gioco. Il faro della squadra, un direttore d’orchestra..

I compagni trascinati dalla prestazione del Trinche Carlovich surclassarono la nazionale.
Al culmine di una prova collettiva sbalorditiva, il primo tempo fini 3-0 per la Selezione di Rosario.
Migliore in campo, di gran lunga: lui. Mario Kempes, per dire, al tempo giocava nel Rosario Central e scelse di giocare con la selezione cittadina nonostante fosse già un nazionale.

Questo spiega qualcosa del calcio a Rosario: che prima è il calcio di Rosario, appunto; e poi semmai anche argentino.

Durante l’intervallo il CT della nazionale, Ladislao Cap, vergognandosi non poco, prese da parte il collega di Rosario e gli chiese per favore di sostituire quello alto, magro, coi baffi, il numero cinque , perché stava umiliando i suoi, c’era pieno di giornalisti e pieno di gente e sarebbe stato meglio evitare. L’allenatore si divertì un poco e lo lasciò in campo ancora un quarto d’ora e poi lo tolse.
La partita finì 3-1.

Aldo Poy che era pure del Rosario Central ma quel giorno vestiva la maglia della nazionale disse che: “In quella partita dell’Argentina contro la selezione di Rosario, in cui io giocai per la Nazionale, Carlovich ci sbaragliò.
Non potevamo fermare né lui né i suoi compagni.
Perdemmo 3 a 1 solo perché tirarono fuori il Trinche al quindicesimo del secondo tempo. Altrimenti non si sarebbero fermati.”

Alè!

A lui dispiacque perché la partita la voleva giocare tutta.
Fedele alla sua modestia neanche se la prese.
E’ nell’ineluttabilità delle cose, pensava.
Se ne tornò quindi al suo quartiere, alla sua casa, ai suoi genitori, al suo bar, ai suoi amici, alla sua squadra: il Central Cordoba, e ai suoi compagni.
Giocatore da barrio, in tutto e per tutto.

Quando dopo il fallimento del Mondiale ’74, Menotti fu nominato CT dell’Argentina chiamò el Trinche chiedendogli se avrebbe voluto far parte della sua nuova nazionale.
Lui rispose di si, si mise in viaggio per Buenos Aires, ma prima di arrivarci, ci ripensò, o forse stava pensando a cosa stava andando a fare per tutto il viaggio, tornò indietro e andò a pescare.
Sembra venuto fuori da un libro di Soriano.
Mi viene in mente il suo ‘Pibe de oro ’ che parte da Ingegnero White e va Buenos Aires per provare col Boca.
Menotti non se la prese, ancora oggi quando parla del Trinche dice che vederlo giocare è stato qualcosa di ineguagliabile; volò invece a Valencia e convinse un altro rosarino a giocare per la sua nazionale: Mario Kempes.
Che accettò e insieme fecero sfracelli.

Lui si vedeva così:
"A volte mi sono seduto sulla palla durante le partite, ma l'ho fatto solo per avere una pausa e non per prendere in giro l'avversario sul campo.
Il mio stile di gioco di calcio è stato molto modesto, come lo è stata la mia vita, nonostante i peccati di gioventù che avrei potuto commettere".

Frequentava ancora la sede del Central Cordoba dove entrava come uno qualsiasi ma tutti lo salutavano chiamandolo Trinche ben consci dello straordinario calciatore che è stato, e della grande persona che era.

Rimarrà per sempre il simbolo calcistico di Rosario, una delle grandi città del calcio mondiale.

Adiòs Trinche , adiòs maestro.
Tristeza.
.

1 commento:

  1. Questa storia è stupenda. Mi fa ricordare perchè ho amato così tanto questo sport. Grazie.

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