lunedì, maggio 18, 2020
Dalton - Papillon
In attività da sei anni, al terzo album, la band romana compie un grande salto in avanti, dimostrando maturità, spessore qualitativo, potenza sonora.
Il loro è un punk rock sincero e onesto che si muove tra umori 77 (dalle parti degli Slaughter and the Dogs), Oi! (Business, 4 Skins), una dose di classico rock 'n' roll stradaiolo, il combat rock di Clash e Ruts, un generoso abbraccio al glam rock più grezzo e istintivo dei 70 (vedi la lezione dei Jook) e richiami alla canzone d'autore italiana (un pizzico di Rino Gaetano).
Testi diretti e intensi (da quanto tempo non si sentiva cantare di sottoproletariato? vedi nel reggae punk "In disparte messi da parte (sottoproletariato"), eccellente la produzione (grazie al grande Glezos) e preziosa ospitata di Marco Giallini che recita all'inizio del disco.
Uno degli album dell'anno!
A seguire un'intervista alla band.
Quali sono le principali ispirazioni dell’ album?
E’ corretto trovarci una dose di canzone d’autore italiana? Personalmente ho sentito qua e là il Rino Gaetano più intenso e disperato…
La verità è che in Papillon non sappiamo davvero trovare fonti d’ispirazione differenti dagli altri album.
Crediamo che il nostro bagaglio musicale - cioè le cose che ci piace ascoltare - vengano fuori in ordine sparso, senza un vero senso logico, quindi forse è corretto dire che una buona dose di canzone italiana c’è, anzi consentici di dire un’ottima dose.
Ci fa piacere che tu ci abbia sentito il Rino Gaetano più intenso e disperato: ognuno sente sempre qualcosa di diverso, e per noi sono tutte attribuzioni graditissime: c’è chi ci sente molto Battisti, chi Vasco Rossi. E questo non ci dispiace, purché manteniamo una nostra identità musicale.
I testi hanno tematiche dirette, reali. Si riferiscono alla vostra quotidianità?
La difficoltà di questo album è stata proprio la traduzione delle nostre quotidianità in musica, e non perché non fossero presenti nei brani, anzi.
E’ proprio il contrario: quando si hanno emozioni forti diventa più complesso trasferirle in note, in sound.
Quindi abbiamo aspettato che i tempi fossero maturi per avere un punto di osservazione migliore, poi è stato davvero un attimo buttare giù i brani.
Sono davvero in pochi ad osare ancora parlare di sottoproletariato, soprattutto in musica.
Come se non esistesse più, cancellato dalla storia e dalla società….
Diciamo che sono davvero in pochi quelli che osano “vedere” che c’è ancora un sottoproletariato.
Molti credono che solamente perché ci si rifiuta di guardare qualcosa, questo smette di esistere. ‘In disparte messi da parte’ è un brano che parla: non racconta solo le loro vite, ma le mette a confronto con le nostre, che spesso sono vite non vissute, sempre attente a non cadere, con la paura di perdere una vita che in fondo “non avete mai vissuto”.
Il brano si snoda passando da sonorità più ritmate a una timbrica più incalzante, più dura, violenta.
È un viaggio che parte da una comfort zone per poi passare tra le fiamme di qualcosa che ci è sfuggito e ci condanna a una vita sprecata, in fondo solo per paura di guardare.
In che misura è stata importante la produzione esperta di un personaggio storico come Glezös?
Non sappiamo quanto la figura di un produttore sia davvero fondamentale in generale, ma possiamo dire con certezza che nel nostro caso la figura di Glezös lo è stata.
Solo una persona con la sua esperienza sia musicale che personale poteva entrare così rapidamente e con opera decisionale nel nostro gruppo.
E credimi, solamente con le sue qualità ha potuto ‘gestire’ l’album: l’empatia che riesce a trasmettere non è cosa che si compera al mercato.
Ha saputo capire profondamente la nostra ‘libertà’ di composizione, senza porre vincoli se non il nostro gusto.
Ma forse bisognerebbe chiedere a lui come ci si trova a lavorare con noi... ah ah ah!!
Avete avuto il piacere di ospitare un personaggio come Marco Giallini. Mi dite qualcosa su questa collaborazione?
Nasce tutto da un’ idea di Aldo Santarelli, che tempo fa regalò il nostro 45 giri ‘Ci siamo persi’ a Marco Giallini, suo grande amico.
Dopo avere recepito l’apprezzamento di Marco nei nostri confronti, Aldo ha pensato di proporci lui come interprete del sonetto del Belli ‘Lì du’ gener’ umani’, che avevamo scelto come apertura dell’album.
Ne abbiamo discusso e dopo alcune riflessioni abbiamo accettato.
Il fattore che ci ha convinto non è la popolarità dell’attore - che anzi ci ha messo anche un po’ in crisi - ma bensì l’uomo, che ha sempre rivestito un ruolo di anti-eroe in un mondo sempre più costruito sull’avere a discapito dell’essere.
Cosa vi aspettate da Papillon?
Quello che ci aspettavamo l’ abbiamo già avuto. Volevamo scongiurare il timore che i brani, gli arrangiamenti e la qualità del suono non fossero all’altezza delle storie raccontate nell’album.
Questo non è accaduto, quindi il nostro obbiettivo primario lo abbiamo raggiunto.
Il fatto che l’album piaccia ci dà felicità, e ora non vediamo l’ora di tornare a suonare e vedere come si trasformerà suonato su un palco.
Con la gente davanti, per cantarlo finalmente tutti insieme.
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