lunedì, giugno 10, 2019
I Gufi
Riprendo l'articolo uscito ieri per LIBERTA'.
Un nome di cui si è persa la memoria e l'eredità in questa Italia odierna, in cui la parola cultura pare istighi sempre più il mettere mano alla pistola (per citare uno che di queste cose se ne intendeva, tale Goebbels, ministro della propaganda del regime nazista). I Gufi sono stati uno dei più brillanti esempi di musica popolare autoctona, tra i rari artisti in grado di fondere parola, musica, tradizione e innovazione. Capaci di affiancare sberleffo, ironia, goliardìa e sarcasmo a tematiche profonde, di grande spessore e a portare tutto questo in teatro, nelle strade, nei locali, in televisione.
Inventori inconsapevoli di quello che verrà poi definito genere “demenziale” (dagli Skiantos a Elio e le Storie Tese) ma che tale di certo non era.
Trasmettendo un messaggio di libertà: dagli schemi, dai pregiudizi, dai paraocchi.
Un gruppo ostico, poco incline al compromesso, inviso al “sistema”, discografico e politico, capaci di raggiungere il cervello l'anima e la coscienza di chi le possiede. Ancora, molto spesso, tremendamente attuali.
“Ricordo che al Politeama di Napoli Eduardo De Filippo venne a vederci e alla fine esclamò: "È incredibile, 'sti Gufi parlano in milanese eppure i napoletani si divertono" (Roberto Brivio).
Nascono nel 1964 dalla mente di Nanni Svampa, cresciuto nella Milano di ringhiera che piano piano (anzi, velocemente) scompare, sotto le mazzate del boom economico e dei voraci faccendieri e palazzinari.
Quel luogo che è scuola di vita e di cultura popolare. Lascia da parte la laurea in economia e commercio alla Bocconi, dopo essere rimasto folgorato dal cantautore francese Brassens, di cui tradusse tutte le canzoni, in italiano e in dialetto milanese.
E' uno degli esponenti di quell'esplosione artistica della Milano di quegli anni, che mette insieme cabarettisti, musicisti, cantastorie, nomi come Dario Fo, Giorgio Gaber, Cochi e Renato, Walter Valdi, Enzo Jannacci, che affollano il mitico “Derby”, locale dove si sperimenta, si osa, si collabora, si costruisce una generazione inimitabile.
Viene affiancato da Lino Patruno, chitarrista sopraffino, rinomato jazzista, da Gianni Magni, caratterista e mimo, di estrazione circense e da Roberto Brivio che diventerà l'autore dei testi più originali e particolari del gruppo.
Con loro nasce l'idea di uno spettacolo di cabaret/concerto che inizialmente portano in giro per la Lombardia allargandosi poi lentamente in tutta Italia e arrivando anche in televisione dove, per evitare la censura, utilizzano spesso forme dialettali colme di doppi sensi.
“Ciascuno di noi aveva imparato dagli altri: Svampa cantante, Patruno jazzista, Gianni Magni un mimo, io che ero un attore di Accademia. Di tale disponibilità all'interscambio non c'è più traccia nel teatro italiano.” (Roberto Brivio).
Ad esempio portarono in Rai “La première fille” di Brassens, tradotta in dialetto come “La prima tosa”, apparentemente una delicata storia di un primo amore, in realtà la descrizione del primo rapporto sessuale di un ragazzo avvenuto con una prostituta.
Il loro spettacolo “I Gufi cantano due secoli di Resistenza” era una raccolta di canti anarchici dell'Ottocento e delle Resistenza partigiana.
Furono i primi a infrangere un tabù inviolabile, quello della morte, scherzando su cimiteri e aldilà, vedi in “Cipressi e bitume”:
"È la tua nuova casa di riposo, bisogna entrarci calmi col sorriso perché di lì si va in paradiso. È confortevole, è tranquillissimo, è curatissimo, il cimiter!".
E anche con il suicidio non si risparmiano, pur sempre con il sorriso sulle labbra:
“Vorrei tanto suicidarmi ad un albero impiccarmi ma son timido e non oso e perciò doman mi sposo, l'emozione è quasi egual!" in “Vorrei tanto”.
Testi apparentemente poco più che da barzelletta ma che in quegli anni andavano oltre i limiti del “comune senso del pudore”. Basti pensare che la caustica “Il cimitero è una cosa meravigliosa” è stata utilizzata, tradotta in inglese con il titolo di “Cimitero is a wonderful thing”, da un'impresa di pompe funebri americana.
Oltretutto, aspetto non secondario, si presentavano rigorosamente vestiti di nero, accentuando ancora di più un'immagine macabra e inquietante.
Ma si addentrano spesso in una feroce critica ai costumi borghesi con le loro ipocrisie, ad una società rampante che discrimina i meno abbienti, arrivando anche alle disparità razziali in America e a testi dichiaratamente pacifisti in anni di guerre (vedi il Vietnam) e di scontri politici sempre più aspri.
Nel 1968 incidono uno dei dischi, colonna sonora dell'omonimo spettacolo, più importanti della loro carriera e piccolo capolavoro della canzone impegnata italiana, “Non spingete, scappiamo anche noi”.
All'interno una canzone dal testo attualissimo, o forse è meglio dire eterno, come “Canzone della libertà (Viva la libertà)”:
“Viva la libertà Quella scritta storta sui muri
Delle case e delle prigioni Delle fabbriche e dei tuguri
Parlan tutti un gran bene di lei
E ci fan sopra tanti discorsi
Anche se molto spesso è una scusa
Per goderne alla faccia degli altri
Molta gente non sa com’è duro
Conservarla e tenerla vicina Non soltanto sui libri di scuola
Ma anche fuori, in casa e in officina
Viva la libertà Dove il segno di calce era forte
Lo scalpello ha inciso più a fondo
Il suo nome a lettere storte
Viva la libertà C’è qualcuno che ha già pronto un piccone E il suo simbolo abbatterà”
Parlano anche di mafia, dell'immigrazione dal sud al nord Italia e ne “La ballata dellu calciaturi di palluni” affrontano l'inedito tema di un calciatore dopato e corrotto, prezzolato dalla mafia.
“Non eravamo di nessun partito, ma i nostri temi erano ironici e dissacranti, erano contro il potere. La gente ci seguiva, molti ci applaudivano, qualcuno ci attaccava” (Lino Patruno).
Mettono alla berlina i socialisti di cui preconizzavano lucidamente il futuro in “Socialista che va a Roma”.
“Ironizzavamo sulla posizione dei socialisti che entravano nel governo. I fatti ci hanno dato ragione, anche se è triste ammettere che, mentre noi ci smazzavamo a fare un discorso sulla cultura di una città, gli altri pensavano a rubare”.
Si sciolgono nel 1969 (come sempre ironicamente Brivio spiega perchè “era agosto e faceva caldo”), dopo l'abbandono di Gianni Magni.
In realtà “Si dice che l'idea di rompere fosse di Magni, in realtà due mesi prima volevo già farlo io. Il nostro ultimo spettacolo era obiettivamente brutto. Eravamo tutti stufi, anche Patruno” (Nanni Svampa).
Fu la loro devozione alla purezza artistica e alla sua etica che li spinse probabilmente a smettere, constatato che, nonostante fossero all'apice del successo, la loro vena si stava progressivamente imbastardendo. Sottolineò in tal senso Lino Patruno:
“Quando il cabaret è entrato in televisione ha sì preso il posto del varietà, ma in realtà ne è stato contaminato al punto che è diventato uno pseudo-cabaret, annacquato e volgare.
Il cabaret vero forse lo farà qualcuno in qualche cantina, per conto suo”.
Continueranno a collaborare sporadicamente fino a quando Antenna Tre Lombardia, nel 1981, riuscì a riunirli in una trasmissione dal titolo “Meglio Gufi che mai”, spalmata in ben quaranta puntate, dove i Gufi riproponevano i loro vari successi.
Nel 1981 partecipano addirittura come ospiti al Festival di Sanremo (vinto da Alice) con un brano non irresistibile come “Pazzesco”, in cui riescono comunque ad inserire qualche nota caustica e riferimenti alla marijuana e alle lotte operaie.
Alla fine Gianni Magni lascia di nuovo il gruppo, che decide di proseguire per qualche tempo in trio, reincidendo e riproponendo i brani classici in nuova versione (partecipando anche alla trasmissione “Blitz” di Rai2). Sarà il canto del cigno.
"I Gufi erano il meglio. Avevamo un'impronta che nessuno ha mai saputo riprendere. Li ho odiati, gli altri, quando hanno voluto sciogliersi: facevamo il tutto esaurito ovunque vendendo i biglietti un anno prima.” ricordava Brivio con molta amarezza.
Svampa prosegue con Lino Patruno ad esplorare i meandri della canzone popolare milanese (in particolare nella monumentale serie di ben 12 album “Milanese. Antologia della canzone lombarda”) e con omaggi all'amato Brassens.
Sono uscite nel corso degli anni diverse ristampe (in particolare il cofanetto “Gufologia – Il meglio del cabaret” che raccogli in sei CD i loro dodici album) e nel 2001 la biografia a cura di Michele Moramarco “I mitici Gufi”.
Gianni Magni è scomparso nel 1992, Nanni Svampa nel 2007. Roberto Brivio prosegue la carriera di cabarettista, regista, attore e insegnante, Lino Patruno continua l'attività di musicista.
Grandi Gufi. Boss, è morto Roky Erickson degli Elevators https://www.carmillaonline.com/2019/06/06/starry-eyes-vita-e-morte-di-un-alieno/ e anche Mac Rebennack aka Dr. John la scorsa settimana. Bisognerà che scrivi qualcosa....
RispondiEliminaEh lo so. Di DR. John ho appena scritto una cosa per l'enciclopedia di Classic Rock, Rocky Erickson invece mi ha sempre poco interessato
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