martedì, maggio 14, 2019

Federico Guglielmi - Roma brucia. Quarant'anni di musica capitale



Federico Guglielmi è tra i più autorevoli e longevi conoscitori di musica "rock" in Italia.
Da 40 anni ne parla e la vive in prima persona, dal "Mucchio", alla RAI, a mille altre esperienze.

Chi meglio di lui per dedicarsi al primo libro riservato agli ultimi 40 anni di rock nella sua città natale, Roma?

E così eccoci al cospetto di un monolitico tomo con oltre duecento artisti trattati, centinaia di recensioni di dischi e concerti, interviste e fotografie esclusive.

Scorrono i nomi di Kim Squad, Bloody Riot, Giuda, Bud Spencer Blues Explosion, Mannarino, Tiromancino, Max Gazzè, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Others, Assalti Frontali, Fasten Belt, Banda Bassotti, The Niro, fino a quelli più oscuri ormai dimenticati ma non di meno importanti.

Il tutto dettagliato e approfondito.
Un lavorone, completo, definitivo.


FEDERICO GUGLIELMI ci racconta un po' di cose sul libro.

Quarant’anni di storia, seicento pagine, un chilo di libro. Cosa ti ha spinto a questa (ennesima) follia?

È stata una curiosa concomitanza di pensieri: che in quarant’anni avessi scritto di tantissimi artisti romani ma che tutto fosse disperso tra centinaia e centinaia di riviste, che quanto accaduto a Roma sia stato di rado considerato al di fuori della città, che le testimonianze in tempo reale piacciono più di quelle col senno di poi, che nessuno avesse mai realizzato un libro sul rock (e dintorni) dell’Urbe.
A trattenermi era la constatazione che di alcuni gruppi/solisti/generi avevo scritto poco o nulla, e che questo avrebbe potuto dare un’idea solo parziale, o distorta, di cosa sia successo e cosa abbia contato di più, ma alla fine ho deciso di non curarmene.
“Roma brucia” non è un’enciclopedia del rock romano, bensì una storia in tempo reale del rock romano che ho vissuto io in quarant’anni.
Mancano cose? Lo so bene, ma il progetto è questo e aveva senso solo così. Magari qualcun altro volesse prenderlo come base per approfondire ulteriormente.

Come mai la storia parte dalla fine dei ’70 (punk, new wave) e non contempla i decenni precedenti? Hai in mente di esplorarli in futuro?

La storia parte dal momento in cui, tra i diciassette e i diciott'anni, ho iniziato a vivere la musica alternativa romana da addetto ai lavori, periodo che coincideva con uno spartiacque naturale qual è l’avvento del punk.
Il primo disco di “nuovo rock” romano, l’album degli Elektroshock, uscì a cavallo tra il 1978 e il 1979, quarant’anni fa… tutto tornava. Del “prima” non avevo testimonianze perché non avevo iniziato a lavorare nel settore… ho giusto dedicato un’appendice a quello che ho scritto - in tempi più recenti - di artisti progressive dei ‘70 ancora attivi oggi. Se mai deciderò di scavare nel passato, sarà con un altro genere di libro.

Hai anche tu la percezione che nonostante (e questo libro lo dimostra) la vivacità e la qualità della scena romana, Roma sia sempre percepita in Italia come “secondaria”, privilegiando, per antonomasia, Milano, Torino, Bologna, Firenze?

Sì, Roma è stata quasi sempre sottovalutata e a volte addirittura schifata, anche per colpa "nostra": troppo lassismo, troppa dispersività, troppo "ma che ce frega".
Aggiungerei anche che mentre al nord un qualsiasi artista può crearsi un pubblico in un’area piuttosto vasta, perché nel raggio di duecento chilometri ha venti città abbastanza importanti dove suonare, un romano può arrivare facilmente, senza dover pernottare, giusto a Firenze e a Napoli.
E poi anche i pregiudizi più o meno fondati hanno avuto il loro peso. In pratica, la prima “scena” romana davvero emersa su scala nazionale è stata quella della nuova canzone d’autore di metà ‘90: Gazzè, Silvestri, Fabi, Tiromancino…

Come è attualmente Roma dal punto di vista musicale? Gruppi, locali, situazioni…

Il quadro mi sembra estremamente vivace.
Abbiamo almeno due band che ottengono riscontri planetari, cioè Zu e Giuda, e molti gruppi e solisti perfettamente inseriti nel circuito nazionale, oltre a un fittissimo sottobosco di realtà che si muovono in prevalenza a livello locale.
Ovviamente in mezzo c’è di tutto, dal rock alla canzone d’autore fino all’itpop e alla trap, ma se si prescinde dal gusto personale e ci si limita a guardare i numeri, tutto dice che forse Roma non è mai stata così tanto ricca.
In più, siamo pieni di locali, localini, localoni, centri sociali, rassegne e incontri, abbiamo l’Auditorium che porta avanti una programmazione varia e di qualità… il solo, autentico problema, per quanto riguarda i club, è la precarietà, perché lavorare osservando tutte le regole e i cavilli burocratici è complicatissimo e dunque c’è sempre il rischio che un controllo - casuale o pilotato - porti all’interruzione dell’attività. Sul piano musicale, insomma, siamo in netta controtendenza rispetto al degrado dal quale siamo purtroppo attanagliati in ogni altro ambito.

È interessante notare quanta passione e quante difficoltà abbiano dovuto superare tanti nomi (alcuni approdati al successo, gli altri sopraffatti e dimenticati). Forse più che in altri luoghi?

È un po’ quello che dicevo prima… Molti guardano i romani con sospetto, i locali del nord sono poco propensi a far suonare gli emergenti di qui per ragioni di costi superiori a quelli di artisti locali dello stesso “peso” che magari portano un sacco di amici paganti, storicamente abbiamo avuto poche realtà discografiche alternative ben funzionanti… E poi c’è la mentalità: il romano-tipo ama Roma perché al di là di tutti i suoi difetti è un posto incredibile, se ne lamenta ma non la abbandonerebbe mai per cercare fortuna altrove… sai quanti, in questi decenni, di fronte alla prospettiva di sbattersi sul serio, mi hanno tirato fuori il classico “vabbè, ma in fondo che ce frega…”?
Per fortuna negli ultimi tempi, in questo senso, ci sono stati netti miglioramenti.

Un aspetto peculiare è il rock in romanesco, decisamente unico.

Certo, come uniche sono le musiche in dialetto di qualsiasi altra parte d’Italia.
Il romanesco, però, ha un grandissimo vantaggio: lo capiscono tutti, sia perché non è difficile come altri idiomi, sia perché film e televisione l’hanno reso molto familiare.
Di artisti che cantavano in romanesco più o meno accentuato almeno qualche pezzo del repertorio ce ne sono sempre stati, dal punk fino al rap.
In quest’ultimo decennio, però, è emerso l’interessante fenomeno del folk-rock “in lingua”, con recuperi in chiave nuova di canzoni storiche della nostra tradizione, nonché di temi e atmosfere indissolubilmente legati alla città.
È un patrimonio di formidabile spessore che va ben oltre lo sfruttatissimo “È mejo er vino de li Castelli” e qualche anno fa c’ero andato talmente “in fissa” che avevo persino iniziato a lavorare a un libro. Poi, un po’ per altri impegni sopraggiunti e un po’ il timore - legittimo: più scavavo nel passato e più saltavano fuori ulteriori cose che avrei dovuto affrontare - di non essere all’altezza, ho lasciato perdere.
Molto del materiale che avevo preparato, però, è finito nel dodicesimo capitolo di “Roma brucia”.

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