lunedì, febbraio 04, 2019
Massimo Volume - Il nuotatore
Intervista ai Massimo Volume
MASSIMO VOLUME - Il nuotatore
Si possono contare sulle dita di una mano i nomi di coloro che hanno inventato un genere, che hanno dato il via a qualcosa di così originale e personale che immancabilmente verrà SEMPRE citato come riferimento.
E' il caso dei MASSIMO VOLUME, quasi trent'anni di carriera, fieramente fedeli a sè stessi, mai una concessione al facile ascolto, all'omologazione, ai richiami "da classifica".
A sorpresa arriva un nuovo album, scarno, diretto, voce, chitarra, basso, batteria, senza elettronica o tastiere.
Purezza sonora come sempre minacciosa, aspra, che scava nel profondo con l'ausilio delle parole di Emidio Mimì Clementi, graffio chirurgico di cui conosciamo bene lo spessore, che ci narra storie e personaggi tra note autobiografiche e osservazione colta della realtà circostante.
Un grande album.
e ho imparato a naufragare
senza perdermi nel mare
e ho scoperto che può annegare
anche chi rinuncia a navigare
(Amica prudenza)
Grazie alla disponibilità in primis di Vittoria Burattini a seguire una breve intervista ai protagonisti di "Il nuotatore".
Il nuovo lavoro ha avuto una lunga gestazione ?
L’annuncio del nuovo album e tour annesso è stato quasi improvviso.
Vittoria Burattini
Assolutamente sì, quest'ultimo disco ha avuto una gestazione lunga e accidentata: ognuno di noi s'è dedicato ad altri progetti musicali, e poi la vita è diventata più impegnativa, di sicuro la mia, tra figli, lavori temporanei, genitori lontani che si ammalano da dover gestire.
Ci sono stati slittamenti persino per fissare l'inizio delle registrazioni in studio.
Ma ho trovato anche complicato -perlomeno io- cercare di scrivere pezzi che suonassero freschi, non datati, cercando il più possibile di evitare soluzioni musicali del passato, di tentare di uscire dalla nostra comfort-zone.
In questo per me il lavoro più interessante l'ha fatto Egle, trattando le chitarre come fossero synth e cercando per ogni brano un suono originale e molto ricercato.
Alla fine, quando ascolto il disco, almeno per ora, ho semplicemente l'impressione di aver fatto un altro disco che tutti e tre sentiamo nostro, di aver scritto un nuovo capitolo della nostra produzione, noi nella nostra bolla un po' fuori dal tempo e dai generi.
L'annuncio del nuovo album e del tour è stato improvviso anche per un'idea di strategia di 42 Records, la nostra nuova etichetta discografica.
Tra i vari cambiamenti di questo disco (primo fra tutti che l'abbiamo fatto in tre) ci sono anche l'approdo verso una nuova etichetta e una nuova agenzia di booking, la DNA.
Il motivo del cambiamento è dovuto più ad una nostra voglia di cambiare che ad una effettiva necessità.
Siamo rimasti in buoni rapporti con tutte le persone con cui abbiamo lavorato e collaborato in passato (da adulti, purtroppo da giovani è tutto più tempestoso e viscerale!).
Per noi era solo arrivato il momento di voltare pagina, di cambiare un po' aria.
Ho letto una risposta di Emidio in un’intervista che dice a proposito della scena “underground” degli 80 e 90 che "soprattutto la cultura alternativa era “sexy”. Anche se non partecipavi attivamente la trovavi seducente.”
Cosa è cambiato ora?
Soprattutto: esiste ancora una cultura alternativa in Italia ?
Mimì Emidio Clementi
Penso a Fellini negli anni 60.
Il suo cinema era complesso, non tutti lo capivano, ma la gente sentiva comunque il bisogno di andare a vedere i suoi film, anche solo per una questione sociale, per potersi sentire a passo con i tempi.
In un ambito più ristretto è quello che credo sia accaduto alla musica alternativa tra gli anni 80 e i 90.
Tutti avrebbero voluto farne parte.
Quella scena rappresentava la giovinezza nella sua massima espressione.
Era sexy.
Poi però -non so perché- ha perso fascino e il pubblico si è trasformato in un pubblico di appassionati, di addetti ai lavori, di promoter e di altri musicisti.
Non riesce più a richiamare quel pubblico distratto, un po’ superficiale, che forse un tempo abbiamo snobbato, ma necessario per non finire in un angolo poco illuminato del bar.
“Amica prudenza” ha un incedere quasi psichedelico e ipnotico. All’interno il verso “ho imparato a naufragare senza perdermi nel mare” sembra quasi uno slogan generazionale, di questi tempi grami.
Mimì
Quando ho scritto il testo riflettevo su tutte quelle persone, alcune dotate anche di talento, bloccate dalle proprie paure, terrorizzate all’idea di poter fallire o di rendersi ridicoli.
A volte ci pensa il caso a strapparli dal proprio ambiente protetto.
Altrimenti appassiscono, il sangue gli si guasta, e finiscono per annegare nel lavandino di casa.
Il percorso dei Massimo Volume è sempre stato all'insegna del rigore stilistico e sonoro.
Antitetico a ciò che ormai domina spesso anche nella cosiddetta scena indie/alternativa.
Conforta che ci sia ancora uno spazio ampio per una realtà come la vostra.
Vittoria
capita qualche volta di chiedermi che cosa ne sarebbe dei Massimo Volume se nascessero oggi.
Ovviamente la risposta non la so, so solo che quando siamo nati noi, all'inizio degli anni '90, la rivoluzione del punk era ancora nell'aria, era stata anzi rinsaldata dalla più modesta ma pur sempre importante nascita del grunge, e se avevi urgenza di dire qualcosa potevi trovare il modo di farlo in libertà, pure se non sapevi suonare molto bene.
O forse non era neanche questione di avere o non avere tecnica, era più questione di avere una tua propria tecnica, il tuo proprio suono.
Infatti si percepiva uno spazio infinito tra un gruppo e un altro, tra il nostro stile e lo stile di un'altra band, sicuramente anche perché eravamo di meno.
Quella fase pionieristica di tutta la musica "alternativa" italiana è stata la nostra fortuna, perché ci ha consentito fin dall'inizio di suonare la musica che volevamo.
Penso però anche che un autore di testi come Mimì troverebbe il modo di farsi ascoltare anche adesso, magari con un'altra veste, perché uno che scrive come lui non passerebbe inosservato mai.
Egle Sommacal
Abbiamo sempre cercato, forse con fortune alterne, una nostra via, una linea estetica personale.
Invecchiando questo bisogno è diventato sempre più pressante.
Questo non esclude l’apprezzamento per altri artisti, ma se certe cose le fanno loro e anche bene, non c’era bisogno che le facessimo anche noi.
Per quanto riguarda quella che viene chiamata la scena indie/alternativa non credo esista più o, se esiste, la trovo piuttosto reazionaria, troppo rivolta alla consacrazione dei giganti del passato o di un riconoscimento da parte della cultura ufficiale, mi sembra più che altro alla ricerca di un posto in prima serata in qualche trasmissione televisiva nazionale.
Ho trovato il nuovo album più asciutto, diretto, totalmente chitarristico, senza più le concessioni elettroniche di “Aspettando i barbari”, anche se meno duro e aspro del precedente.
Egle
In realtà, dopo un primo periodo (peraltro abbastanza lungo) in cui abbiamo cercato un orientamento musicale condiviso, ci siamo rivolti alla ricerca di un suono elettronico.
A tutti e tre piaceva la musica elettronica, da quella un po’ più concettuale tipo Tim Hacker o Lawrence English al cosiddetto “electropop”.
Però non volevamo usare tastiere e neppure perdere alcune nostre peculiarità, tra le quali appunto un suono “chitarristico”.
E’ comunque sempre differente il suono che puoi ottenere da un basso o da una chitarra con degli effetti rispetto a quello di un synth, ci sono cose che non puoi mai controllare completamente e che possono produrre degli effetti inediti: metti le dita in un certo modo, il tuo strumento non è perfettamente intonato, usi un ampli e non un’altro etc.
Essendoci, nostro malgrado, ritrovati in 3 abbiamo poi cercato di mantenere quella che consideravamo un’altra nostra caratteristica ovvero quella di un quartetto con due linee di chitarra.
Mi fa piacere che hai trovato l’album asciutto e diretto, era qualcosa a cui abbiamo puntato fin dall’inizio.
Non so se si nota, ma i brani hanno una durata abbastanza breve, abbiamo continuato a togliere parti fino alla conclusione del lavoro.
Ed hai ragione sul fatto che è un disco meno duro ed aspro di Aspettendo i Barbari ma non ti saprei dare una ragione per questo, è venuto così.
Immaginandovi alla vigilia delle registrazioni del nuovo lavoro chiusi in una stanza quali potrebbero essere stati i dischi che giravano sul giradischi in attesa di entrare in studio ?
Vittoria
Personalmente sono stati anni di retromania.
Ebbene sì, credo di essere arrivata all'orribile età -tanto temuta- in cui ho perso il contatto con le novità, con i nuovi ascolti.
E la cosa peggiore è che quando realmente mi metto ad ascoltare qualcosa di nuovo, soprattutto nel pop, difficilmente questo "qualcosa di nuovo" mi parla.
Quindi mi sono rifugiata nei miei ascolti preferiti e in quel cantuccio ho cercato rassicurazione: i Cure, soprattutto Pornography, che credo di sapere a memoria, ma anche il loro maestoso Faith, Steve Reich e il concerto per soli percussionisti Drumming, e Sextet.
Ma anche Blondie, i Liquid Liquid, i Talking Heads e ho consumato fino all'esaurimento un disco di Max Richter che si intitola "Sleep".
Trovo molto interessanti i dischi dei Boards of Canada e ho scoperto con colpevole ritardo che "Push the sky away" di Nick Cave è un disco bellissimo.
Mimì:
Avere uno stile proprio è un’aspirazione di tutti i musicisti.
Suonando da quasi trent'anni insieme, credo che anche noi abbiamo raggiunto col tempo un nostro stile.
A volte però si vorrebbe andare in vacanza da se stessi.
A me capita ascoltando i dischi degli altri, soprattutto le voci.
Cantare con la leggerezza di Sinatra o il disincanto di Lou Reed.
Non so cosa darei.
Allora provi a far cadere una goccia dei tuoi modelli in quello che fai.
Di più non potresti.
'Aspettando i Barbari' era un grande disco. Con un suono eccezionale e per niente 'italiano', in alcuni momenti sembrava prodotto da Steve Albini o un outtake degli ultimi Fugazi. Grande band, grande statura.
RispondiEliminaNuovo album per me ancora migliore
RispondiEliminaMi fido del giudizio del Capo. Lo comprero' (lo avrei comprato comunque ma cosi' abbiamo la bolla papale...).
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