mercoledì, ottobre 10, 2018

Il caso D’Oliveira



Attraverso una cinquantina di post, riviviamo una serie di episodi in chiave artistica, culturale, sociale del 1968.
I precedenti post qui:

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A CURA di ALBERTO GALLETTI

Quando, a fine agosto 1968, il comitato dei selezionatori divulgò le convocazioni per la nazionale inglese di cricket che si sarebbe recata in tour in Sud Africa nell’inverno successivo, un’ ondata di indignazione scosse il paese dalle fondamenta. Lunghi mesi di mezze ammissioni, mezze bugie, grosse bugie, rassicurazioni di facciata e trame dietro le quinte culminarono nell’esclusione di Basil D’Oliveira dal tour, un’esclusione che in tanti forse si aspettavano, ma che nessuno davvero aveva creduto possibile.
Cosa scatenò questa reazione nel pubblico inglese?

Basil D’Oliveira era nato a Città del Capo da una famiglia di origini indiano-portoghesi che, al tempo, lo definiva razzialmente come Cape coloured. Matto per il cricket fin da bambino cominciò per strada quando ancora per i non bianchi giocare sulla pubblica via era proibito pena l’arresto. Il padre lo iscrisse al proprio club dove Basil cominciò a giocare seriamente e a mettersi in luce.
Diventò uno dei giocatori non-bianchi più promettenti, ma gli fu presto chiaro che il regime razzista sudafricano gli avrebbe sbarrato la strada verso i massimi livelli: il cricket, così come il rugby e tutto il resto, al massimo livello, era riservato ai bianchi.
Lui comunque era deciso a riuscire e non si perse d’animo. Si fece coraggio e scrisse a John Arlott in Inghilterra spigando il suo caso e quanto fosse deciso a diventare un giocatore professionista.

John Arlott è stato il più grande commentatore e scrittore di cricket che la storia ricordi, poeta mancato, dotato di uno stile inimitabile che suscitava ammirazione tra il pubblico e invidia tra i colleghi, ed era a quel tempo, fine anni 50, un’autorità.
Fu anche giornalista del Guardian e soprattutto, riguardo la richiesta d’aiuto di D’Oliveira, un forte oppositore dell’apartheid. Il Sud Africa era il posto preferito per i privilegiati del MCC dove andare in tour.
Clima perfetto, ospitalità favolosa da parte della comunità bianca, nei quali circoli venivano introdotti ed ospitati con massimo sfarzo, avversari di grande livello ma senza l’antipatica aggressività degli australiani.
Il sentimento era ovviamente ricambiato.
Arlott c’era stato nel 1948/49 aveva goduto di quella splendida ospitalità, ma aveva assistito, inorridito, al pestaggio di un uomo di colore per strada, apparentemente senza motivo
. Sgomento, trovò molto difficile rientrare in quelle sfarzose case e continuare ad essere ospite di chi viveva così agiatamente e permetteva che si verificassero tali orrori. Chiese di essere portato a visitare alcune township dove viveva la gente di colore: rimase sconvolto. Nel 1950 condannò apertamente il regime sudafricano durante una radiocronaca della BBC e in seguito si rifiutò di commentare partite in cui giocava il Sud Africa. Raccolse l’appello di D’Oliveira e cominciò con lui una corrispondenza epistolare, dichiarando il proprio impegno e di aver preso a cuore il suo caso. Sfortunatamente però ogni missiva dall’Inghilterra si chiudeva sempre allo stesso modo: Arlott si diceva tremendamente spiaciuto ma ancora non era riuscito a trovargli una squadra. E in effetti era difficile convincere qualcuno ad ingaggiare un giocatore sudafricano sconosciuto, non più giovane, le cui medie in battuta e al lancio, benché di tutto rispetto, non potevano essere verificate, che non aveva mai giocato first-class cricket, non per colpa sua ovviamente e completamente a digiuno di esperienza sugli umidi wickets inglesi.

Dopo quasi tre anni di tentativi finalmente, grazie all’aiuto del collega John Kay, Arlott scrisse a D’Oliveira che c’era un contratto per lui con il Middleton Cricket Club che faceva la Central Lancashire League, ingaggio 450 sterline a stagione,
buono.
Entusiasta, D’Oliveira accettò.
L’entusiasmo si smorzò non appena scoprì che il viaggio aereo per l’Inghilterra ne sarebbe costate 200.
La comunità nera di Signal Hill si mobilitò per raccogliere i fondi necessari a coprire il costo del viaggio. Parecchi non aiutarono, protestando che il ragazzo non sapesse stare al proprio posto e ironicamente fu fondamentale l’aiuto di Gerald Innes, un giocatore bianco, ex-nazionale, che riuscì ad aggirare le leggi dell’apartheid e organizzare una partita con la quale raccolse £150 che pagarono il viaggio quasi per intero.

L’arrivo in Inghilterra fu traumatico, forse più in positivo che in negativo:
Al suo arrivo ad Heathrow scoprì, dopo averla cercata a lungo, che non esisteva l’uscita riservata ai non-bianchi. Fu inoltre sorpreso dal trattamento riservato in Inghilterra alla gente di colore, normale, pur se con le limitazioni dell’epoca. In particolare, ricordando i tempi del suo arrivo, non mancò mai di sottolineare come, non solo poteva entrare in qualsiasi ristorante o locale frequentato da bianchi, ma addirittura sedersi al tavolo con loro, parlarci e venir servito da camerieri bianchi!

In campo le cose si misero subito bene. D’Oliveira, battitore destro, segnò 3.770 runs per il Middleton CC in 157 partite con una media di 24,96, non eccezionale ma buona. Si distinse anche al lancio e dopo quattro stagioni, nel 1964, arrivò finalmente la chiamata del Worcestershire County Cricket Club, una delle 20 squadre del campionato inglese. Nello stesso anno chiese, ed ottenne, la cittadinanza britannica. D’Oliveira si impose anche al massimo livello, e nel 1966 alla bella età di 35 anni arrivò la chiamata dell’Inghilterra.

C’era riuscito!

Un ragazzo, ormai adulto, di colore dai sobborghi di Città del Capo era riuscito ad arrivare al massimo livello nel cricket, non nel nativo Sud Africa bloccato dall’ apartheid ma nella patria di adozione. Debuttò nel 2° Test contro le West Indies, un buon debutto: 27 in battuta e 1-24 e 1-46 al lancio.
Nel 3° Test andò meglio: 76 e 54 in battuta e 2-51 e 2-77 al lancio, che non evitarono però la sconfitta. Fu convocato anche per il 4° test dove segnò 88 not-out vendendo cara la pelle ma non fu sufficiente ad evitare una sconfitta catastrofica per un innings e 55 runs.
Un’escalation.
Escalation che continuò nel 1967 contro India, dove mise a segno il suo primo century in Test Cricket (109), e Pakistan.
Convocato per il tour invernale delle West Indies, le cose non andarono bene, i Sudafricani, che lo tenevano d’occhio speravano che il brutto momento continuasse . Il primo ministro Vorster era ad ogni modo convinto che gli inglesi lo avrebbero comunque convocato per il tour del 1968/69 ed era fermamente intenzionato a non autorizzare l’ingresso nel paese di D’Oliveira e di una squadra che non fosse costituita esclusivamente da bianchi.
L’MCC , nonostante fosse imbottito di membri dell’Estabilishment britannico, evitava di prendere posizioni politiche, suo unico interesse era il cricket e, in virtù di questo, voleva il che il tour procedesse. Tanti però a St. John’s Wood sapevano che ci sarebbero stati problemi, inoltre si volevano mantenere i tradizionali rapporti con gli amici sudafricani, risalenti all’epoca pre-apartheid.
Il Club si trovò quindi in una situazione quanto mai scomoda. Dopo aver inviato una lettera alla federazione sudafricana sulla questione, che non ebbe risposta, incaricò quello che era al tempo uno dei suoi membri più autorevoli a trovare una soluzione diplomatica alla questione. Sir Alec Douglas-Home, già Primo Ministro e Ministro degli Esteri conservatore e ora Ministro degli Esteri del governo ombra, aveva appena terminato il suo mandato di Presidente del MCC e acconsentì ad incontrare Vorster durante una visita di stato in Rhodesia e Sud Africa. Ne nacque un pastrocchio madornale.

Durante il suo incontro con Vorster, Douglas-Home discusse della questione D’Oliveira, ma non riuscì a strappare al primo ministro sudafricano una risposta affermativa. La risposta, alquanto ambigua fu di non chiedere esplicitamente se D’Oliveira potesse o no andare in Sud Africa con l’MCC, ma che probabilmente il governo sudafricano non avrebbe protestato. Al suo ritorno in Inghilterra, Sir Alec, rassicurò l’MCC di aver discusso la questione e di non creare un problema che per il momento non esisteva, poi, la risposta alla lettera inviata alla federazione sudafricana arrivò. Fu consegnata, subdolamente a mano, da Jack Cheetham, ex-capitano sudafricano e ora vice-presidente federale a Gubby Allen potentissimo tesoriere del MCC, ex presidente del Club, ex capitano dell’Inghilterra e suo vecchio amico. Allen mostrò la lettera al segretario del MCC Billy Griffith.
Il contenuto non lasciava dubbi: “non ci sarà nessun tour con D’Oliveira in squadra”.

I due non informarono il consiglio direttivo del club, per paura di svelare le reali intenzioni di Vorster e che il tour venisse cancellato, quindi congedarono Cheetham dicendogli che l’MCC avrebbe fatto tutto il possibile affinchè il tour si sarebbe svolto.
Ignorando tutto questo, il Consiglio Direttivo del MCC si ritenne soddisfatto e fece scivolare la questione sotto coperta mentre la stagione 1968 prendeva il via.
Anche all’interno del MCC alcuni, tra cui Allen e Griffith, speravano che il calo di forma di D’Oliveira continuasse durante l’estate di modo che una non convocazione sulla base dei risultati sarebbe stata inoppugnabile e nessuno avrebbe avuto niente da ridire.
Le trame sudafricane continuarono e poco dopo Vorster riuscì a contattare un membro del Consiglio del MCC, Lord Cobham, a cui svelò le sue reali intenzioni. Anche Cobham voleva che il tour procedesse e, sapendo che il Consiglio avrebbe votato contro il tour senza D’Oliveira, ne informò solamente un membro, la cui identità non fu mai svelata (Gubby Allen?), tramite lettera privata. Quindi ora erano in quattro a sapere: Cobham, Allen, Griffith più il Presidente del MCC Gilligan.

Intanto la stagione entrava nel vivo e dai primi di giugno gli australiani erano in Inghilterra con gli Ashes da mettere in palio su una serie di cinque Test Match. Giunti a fine agosto, dopo quattro test, gli ospiti erano in vantaggio 1-0. D’Oliveira aveva giocato il primo, nonostante il suo 87 not-out nel secondo innings, non fu più chiamato per i test successivi.
Deludente al lancio, dissero i selezionatori. Cercano la scusa per non portarlo in Sud Africa ribatterono i maligni.
Ora però con solo la vittoria a disposizione per riuscire a pareggiare la serie, i selezionatori lo richiamarono.

Il quinto Test cominciò la mattina del 22 agosto, l’Inghilterra vinse il toss ed entrò in battuta.
Le cose andarono discretamente fino al pomeriggio quando dopo l’eliminazione di Graveney toccò a D’Oliveira scendere in battuta con il punteggio attestato a 238-4 e la partita in delicato equilibrio
. Il nostro si trovava dunque a dover battere al meglio, senza commettere errori e a dover segnare molti punti per traghettare l’Inghilterra in una posizione ideale per cercare la vittoria.
L’inizio fu lento, tesissimo, la pressione sulle sue spalle enorme.
Al termine del primo giorno, comunque, D’Oliveira era ancora dentro, il suo punteggio 23 ottenuto in maniera assai prudente.

Il mattino seguente cominciò ancora prudentemente, rischiò di essere eliminato a 31, ma il keeper australiano mancò un catch facilissimo. Lo spavento lo scosse, si mise a giocare in modo più sciolto e raggiunse quota 50 (‘well played - gli disse l’arbitro - questa tua prova causerà parecchi problemi’).
Proseguirà raggiungendo i 100 prima di essere eliminato per 158, un punteggio individuale straordinario, indirizzando il Test verso la vittoria inglese. La sua uscita dal campo fu salutata da una standing ovation lunghissima.
A detta di molti uno dei più grandi innings mai giocati fino ad allora considerando la situazione della partita e l’incredibile pressione esterna al quale il giocatore era sottoposto. L’Inghilterra vinse, al lancio di D’Oliveira non fu un granchè ma nessuno nutriva dubbi ormai sulla sua convocazione per il tour in Sud Africa. Qualcuno però stava osservando. Vorster aveva un emissario presente all’Oval che contattò il presidente del Surrey CCC, nel cui campo si stava giocando il Test e molto vicino a due dei sei selezionatori inglesi dicendogli chiaramente che se, sulla base della prestazione di oggi D’Oliveira sarà convocato il Tour verrà cancellato dalle autorità sudafricane. A fine partita Doug Insole, presidenti dei selezionatori inglesi e probabilmente una delle due talpe di Vorster all’interno del MCC , chiese a D’Oliveira, con l’intento di scoraggiarlo, se fosse stato disponibile ad andare in Sud Africa quell’inverno, la stessa cosa fece Colin Cowdrey, suo capitano, mettendo l’attenzione sulla pressione che avrebbe dovuto fronteggiare. Basil rispose si ad entrambi, e se ne andò con la convinzione che sarebbe stato sicuramente convocato.

Il pomeriggio del 27 agosto, dopo una riunione fiume di sei ore, i selezionatori inglesi diramarono le convocazioni per il Tour del Sud Africa dell’inverno 1968/69: il nome più atteso, Basil D’Oliveira, non c’era.
La giustificazione fu che la scelta era stata fatta considerando solo il cricket e che, nell’ultimo anno, D’Oliveira era andato male al lancio e che quindi il posto di all-rounder (cioè uno che lancia e batte bene), andava a Ken Barrington.
In pochi ci credettero.

La riunione del comitato dei selezionatori fu però anomala per non dir strana, molto strana. Erano presenti almeno dieci persone, se non dodici, invece dei soli sei selezionatori più eventualmente il Presidente del MCC, due dei quali: Insole e Griffith probabilmente talpe di Vorster ben decise a mettere pressione sulla non convocazione.
Ma soprattutto Gubby Allen che, sebbene non simpatizzasse apertamente per l’apartheid, non fece mistero che vedeva D’Oliveira come un ostacolo al tour, cosa che gli interessava più di ogni altra. I verbali dell’assemblea presentano omissis in vari punti.

L’Inghilterra, sportiva e non, fu travolta da un ondata di indignazione. L’opinione pubblica si divise: da un lato, in minoranza chi giustificava l’omissione accettando il verdetto sportivo, dall’altra i più che accusavano apertamente l’MCC di condividere la politica razzista di Vorster e del suo paese.
Ci fu una spaccatura anche all’interno del MCC dove il Reverendo D.S. Sheppard, ex-capitano inglese e arcivescovo di Woolwich, insieme ad altri 70 firmò una petizione con cui chiese al MCC di cancellare il tour. Nel giro delle settimane successive, parecchi soci del MCC diedero le dimissioni dal club che ricevette anche migliaia di lettere di protesta. Altri scrissero al Primo Ministro e chiesero la cancellazione del tour che secondo loro avrebbe sottinteso l’approvazione dell’apartheid da parte del MCC e di tutto l’Estabilishment britannico, governo incluso.
Un putiferio.
I bianchi sudafricani ricevettero la notizia con giubilo e festeggiarono.

Ma nella vita, si sa, le sorprese sono sempre dietro l’angolo e il 14 settembre Tom Cartwright, uno dei nazionali, rinunciò al tour causa un infortunio alla caviglia che lo perseguitava da mesi e che adesso peggiorava. L’MCC non perse tempo e per gettare acqua sul fuoco convocò immediatamente al suo posto D’Oliveira. Si scatenarono nuove polemiche, questa volta da parte di chi vedeva l’accaduto come una contro manovra politica pilotata dal governo britannico per riparare al torto precedente, cosa che poteva aver senso visto che D’Oliveira era stato dapprima bocciato come lanciatore e ora veniva incluso al posto di un lanciatore. Lui stesso era contento ma sapeva che probabilmente non ci sarebbe stato nessun tour.
Vorster all’altro capo del mondo lanciò tuoni e fulmini contro l’MCC accusandolo di opportunismo politico. Dichiarò che alla squadra inglese era la squadra del partito anti-apartheid e che le sarebbe stato negato l’ingresso nel paese e cancellò il tour.

Gli inglesi risposero che i razzisti sudafricani si assumevano la responsabilità della scelta. Il presidente e il vice della federazione sudafricana volarono segretamente a Londra e tennero una riunione top secret in cui tentarono di rimediare la situazione ma l’MCC questa volta fu inflessibile e i due dichiararono se ne uscirono dichiarando che il tour era da ritenersi cancellato per motivi fuori dal controllo della federazione sudafricana che doveva per forza sottostare alle leggi dell’apartheid.
L’MCC rimediò un’accordo all’ultimo minuto per un tour in Pakistan dove D’Oliveira giocò egregiamente.
Nel frattempo il cerchio si chiudeva inesorabilmente intorno allo sport sudafricano. Il tour degli springboks in Gran Bretagna del 1969 fu accompagnato da enormi manifestazioni anti-apartheid e incidenti, mentre il tour della squadra di cricket programmato per il 1970 fu cancellato dal MCC dietro pressioni del governo di Westminster.
Violente manifestazioni accolsero gli springboks anche in Australia, dove si arrivò allo stato di emergenza dichiarato per la partita di Brisbane. Le autorità australiane cancellarono il cricket tour dei sudafricani in programma sei mesi dopo.

D’Oliveira con la sua modestia di persona semplice ma ben decisa a non cedere davanti al sopruso aprì gli occhi al grande pubblico sulle nefandezze dell’apartheid. Pubblico che, insieme all’ etabilishment britannico era portato tendenzialmente a simpatizzare superficialmente con i bianchi sudafricani. Da quel settembre 1968 le cose cambiarono drasticamente e grazie all’isolamento totale del cricket al Sud Africa, che coinvolgeva direttamente il governo britannico, piuttosto potente nell’ambito del Commonwealth, l’isolamento, non solo sportivo, del paese si strinse via via fino ad arrivare al crollo del regime segregazionista e alla liberazione di Mandela, anch’egli una vittima di Vorster. Il cricket giocò in questo un ruolo decisivo.

Quando verso la fine degli anni 90 Mandela incontrò D’Oliveira che era in Sud Africa, ora un paese libero, per allenare squadre di ragazzi di colore che si affacciavano per la prima volta ad un cricket aperto a tutti lo ringraziò dicendogli “Grazie per essere venuto Basil. Il tuo ruolo è stato molto importante. Hai fatto il tuo pezzo, ora puoi tornare a casa”.
Soddisfazioni. Anche quando per passare all’incasso bisogna aspettare una vita intera.
Dal 2004, la serie di Test Match tra Inghilterra e Sud Africa si disputa per il Basil D’Oliveira Trophy.
L’anno dopo fu insignito del CBE.

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