martedì, luglio 03, 2018
Small Faces e Chris Dean
Un po' di persone hanno chiesto di leggere i testi delle pagine recentemente pubblicate dal quotidiano "Libertà" su Small Faces e Chris Dean dei Redskins.
Le riporto di seguito.
SMALL FACES
Il mondo della musica rock è costellato d storie di successi, fallimenti, meteore scomparse nel nulla, dischi e gruppi imprescindibili nella sua evoluzione sonora e stilistica. Gli Small Faces riassumono nella loro breve carriera molti di questi aspetti, uniti ad un epilogo triste e drammatico.
Una band ancora oggi amatissima e seminale per molta della musica odierna (a partire dal brit pop e affini che ne assorbì in abbondanza estetica e sonorità, a partire da Paul Weller che li ha sempre considerati un faro di riferimento artistico e non solo), caratterizzata dalla peculiarità del sound e dalla bellezza delle singole composizioni, più che da album memorabili.
Degli Small Faces si ricorda lo stile (non solo musicale ma anche e soprattutto estetico), il suono, l'approccio originale e personalissimo che sapeva mischiare soul, folk, beat, rhythm and blues fino alla psichedelia e al proto hard dell’ultimo periodo.
Una discografia confusa e complessa non ha reso giustizia alla band, tanto che una raccolta completa del meglio è sufficiente per avere un quadro esaustivo, ma che, sparsi in mille solchi di vinile, ha lasciato gemme di inestimabile valore.
Il gruppo nasce nel 1965, a ruota dell'esplosione di Beatles e scena beat, ma è legato indissolubilmente alla, in quel momento al massimo del fulgore mediatico e numerico, scena mod. Curiosamente gli Small Faces che erano mod che decisero di imbracciare gli strumenti per suonare la musica preferita da loro e dai colleghi in Vespa e Lambretta, vennero spesso considerati come un gruppo che si accodava alla nuova moda, contrariamente agli Who (invece inseriti a forza dal loro manager in vestiti e cultura mod).
Il tempo ha poi sistemato le cose da un punto di vista “etico e filosofico”.
L'incredibile voce “nera” di Steve Marriott si univa a quella del bassista Ronnie Lane (entrambi compositori, in coppia, dei brani del gruppo), alla tastiera Hammond di Ian Mc Lagan e alla precisa ritmica del batterista Kenney Jones.
L'esordio è subito incoraggiante. Il singolo “Watcha gonna do about it”, un poderoso e ruvido rhythm and blues, si affaccia dalle parti dei primi 10 dischi in classifica in Inghilterra, nel 1965, “Sha la la lee” (brano imposto dalla casa discografica e da sempre inviso al gruppo in quanto ritenuto troppo leggero e scanzonato) arriva al terzo mentre l'epocale “All or nothing” tocca la vetta nell'agosto 1966, poco dopo l'esordio con l'omonimo album, un condensato di furore beat, urgenza, immediatezza.
Ma anche tanta ingenuità e che in qualche modo arriva in ritardo se pensiamo che nello stesso momento i Beatles sono già proiettati verso il futuro con lo splendido “Revolver”, sperimentale e avanguardistico, i Rolling Stones allargano gli orizzonti con “Aftermath”, gli Who fanno le prime prove di opera rock con “A quick one”, Bob Dylan è già oltre con “Blonde on blonde”.
La band prova a destreggiarsi in mezzo alla popolarità e contratti discografici, restandone immancabilmente avviluppata e schiacciata. Passano all'etichetta del manager dei Rolling Stones, la Immediate, e per ripicca la precedente, la Decca, immette sul mercato “From the beginning” con brani tratti dai 45 giri e qualche altro inedito.
Nell'anno dell'esplosione psichedelica, il 1967, Marriott e soci si ripresentano con un nuovo album, di nuovo intitolato solo con il nome del gruppo, ancora ancorato a sonorità ruvide o che guardano a blues e soul. L'unica concessione ad atmosfere più liquide e sognanti la fanno con il singolo “Itchicoo Park” che esce in luglio e li porta di nuova in vetta alle classifiche, in virtù di sonorità che mischiano folk e psichedelia.
A fine anno, quasi a voler rimettere le cose in chiaro, ritornano con il durissimo “Tin soldier” che regala loro nuove soddisfazioni commerciali.
L'ultimo atto della carriera si consuma nel 1968 con l'ambizioso “Ogdens Nut Gone Flake” dalla curiosa e originalissima copertina rotonda che riproduce la confezione di una scatola di tabacco. E' un'opera rock che si dipana tra un approccio teatrale (i brani sono uniti da una voce narrante), psichedelia, momenti quasi hard rock, folk inglese, blues, intense ballate.
Accolto con estremo favore da critica e pubblico (arriva al numero uno) è però il canto del cigno nel momento in cui la complessità degli arrangiamenti e dei suoni impedisce la possibilità di eseguire i brani dal vivo.
Contemporaneamente i fan vogliono ascoltare i vecchi successi e gli Small Faces rimangono sostanzialmente catalogati come un gruppo pop. Il carattere bizzoso (spesso etichettato semplicemente come intrattabile) di Steve Marriott e la sua predilezione sempre più pericolosa e maniacale per alcool e droghe lo portano ad una disaffezione sempre maggiore nei confronti del gruppo e di tutto quello che gli ruota intorno.
Alla fine dell'anno abbandona gli Small Faces alla fine di un concerto, sbattendo sostanzialmente la porta in malo modo.
La compilation “Autumn stone” e il singolo “Afterglow” chiudono la carriera con la formazione originale. Marriott mette a punto una nuova avventura, che stava preparando da tempo, con gli Humble Pie, affiancato da Peter Frampton, con cui troverà nuove soddisfazioni, spostandosi verso l'hard rock venato di blues e funk ma anche grandi problemi logistici ed economici tra manager truffaldini e case discografiche sfruttatrici (e scarsa sagacia nel controllare i propri affari da parte dei membri della band).
Meglio andrà agli altri tre: Lane, Jones e Mc Lagan si uniranno al futuro Rolling Stones Ron Wood e alla voce inimitabile di Rod Stewart per dare vita ai Faces, uno dei gruppi inglesi di maggior successo negli anni 70. Rock di sapore hard e blues, concerti all'insegna dell'alcool e divertimento, successo e popolarità mondiale.
Nel 1977 gli Small Faces si riuniranno ma senza il bassista Ronnie Lane che stava incominciando una lunga e dolorosa battaglia contro la sclerosi multipla, che se lo porterà via nel 1997. I due album prodotti, in un periodo in cui ovunque esplodono punk e new wave, sono all'insegna di un rock piuttosto prevedibile e scontato e scompaiono ben presto nel dimenticatoio, intaccando una discografia che non avrebbe meritato un commiato tanto inglorioso. Steve Marriott fu in predicato per entrare nei Rolling Stones nel 1975 quando Mick Taylor lasciò la band.
Keith Richards lo chiamò per un provino durante il quale Steve si prese troppe libertà per essere tollerato da un Mick Jagger notoriamente accentratore e amante del controllo delle attività del gruppo.
Fu così scelto Ron Wood molto più abituato ad un ruolo da comprimario.
Il talento di Marriott si perde tra tentativi solisti, un album registrato di nuovo con il vecchio amico Ronnie Lane (ma che vedrà la luce solo vent'anni dopo), una situazione finanziaria disastrosa e una condizione fisica e di salute sempre più precaria a causa delle abitudini insane.
Suona parecchio nei club londinesi e inglesi davanti ad un pubblico sempre più scarso, giusto per sopravvivere, riprova con Frampton a riformare gli Humble Pie ma senza successo. Muore nella primavera del 1991, dopo una giornata spesa a ubriacarsi, addormentato con una sigaretta in mano che provoca un incendio in casa.
Il batterista Kenney Jones, nel 1979 sostituisce il defunto Keith Moon negli Who, con cui suonerà fino a metà degli anni 80, realizzando anche due album. Le successive attività artistiche saranno saltuarie e Jones si dedicherà alla sua passione per il polo e a eventi di beneficianza.
Il tastierista Ian Mc Lagan suonerà spesso in tour con i Rolling Stones ma anche con Bob Dylan, Joe Cocker, Ron Wood, Bruce Springsteen, oltre a realizzare un buon numero di interessanti album solisti. Scompare nel 2014 stroncato da un infarto a 69 anni.
Curiosamente, in questo costante legame con gli Who, sposerà la ex moglie di Keith Moon da cui aveva divorziato nel 1975.
DISCHI CONSIGLIATI
Il primo album fotografa gli esordi ruvidi e spontanei mentre il concept “Odgens Nut gone flake” è il lavoro più rappresentativo da un punto di vista creativo per quanto, allo stesso tempo, il più anomalo. La compilation del 1999 “Itchycoo Park” raccoglie il meglio della produzione con i principali singoli.
Il biografo inglese Paolo Hewitt ha scritto una stupenda storia della band, “Young mods forgottens story” corredata da foto splendide. Purtroppo mai tradotta in italiano ma essenziale per capire il valore del quartetto londinese. In Inghilterra è in scena nel frattempo il musical “All or nothing” dedicato alla loro carriera.
CHRIS DEAN dei REDSKINS
Una delle storie più strane e particolari della storia del rock. Un gruppo estremista, oltranzista che suona una musica aspra ma allo stesso tempo orecchiabile e gradevole con testi impregnati di socialismo militante, tanti concerti e un seguito forte e fedelissimo nell'Inghilterra degli anni '80 quando la Tatcher dettava legge con il pugno di ferro.
Si chiamavano Redskins, si erano formati nel 1981 a York unendo le forze di Chris Dean (che con lo pseudonimo X Moore scriveva per una delle principali riviste musicali inglesi, il New Musical Express), chitarra e voce e del bassista Martin Hewes.
Si trasferiscono a Londra l'anno successivo e prima di trovare il batterista Paul Hookham, suonano anche con Steve White (di lì a poco negli Style Council). Incideranno una manciata di eccellenti singoli dal 1982 fino al conclusivo “It can be done!” del 1986 e un album "Neither Washington Nor Moscow" (“nè Washington né Mosca”) meno riuscito di quanto ci aspettasse, ma tuttora validissimo.
Il tutto imperniato su un sound che mischiava il rude approccio punk dei primi Clash con il soul e il rhythm and blues degli anni 60, lo stile dei Jam (nei Redskins militò anche la sezione fiati che accompagnò la band di Paul Weller negli ultimi concerti) e dei Dexy’s Midnight Runners, il tutto condito da testi senza filtri che inneggiavano alla rivoluzione socialista. Il loro motto era “cammina come i Clash, canta come le Supremes”.
Ovvero un'attitudine punk, sfrontata, ribelle ma con le melodie più delicate della musica nera. Chris Dean riesce ad entrare in possesso anche di una chitarra di Joe Strummer (suo idolo e riferimento).
Ci sono state lunghe e curiose controversie sulla chitarra di Joe.
C'è chi assicura che fu Strummer a regalargli una delle sue Telecaster, proprio di fronte a Billy Bragg (cantautore inglese altrettanto fan del leader dei Clash), facendolo rimanere malissimo e affranto, c'è chi invece riconduce la storia ad un semplice acquisto da parte di Chris in un negozio dell'usato.
I concerti sono assolutamente esplosivi. Affiancano le lotte dei minatori inglesi a metà degli anni 80, affrontano situazioni talvolta pericolose. Personalmente ero ad un loro concerto a Brixton nel 1984, quartiere “nero” di Londra, ai tempi non propriamente “consigliabile”, quando la sala che ospitava l'evento fu attaccata, durante l'esibizione della band, da un nutrito gruppo di naziskin. Volarono sedie e bottiglie, il concerto subì una breve sosta, gli assalitori furono respinti e l'adrenalina trasformò la serata in qualcosa di epico tra centinaia di pugni chiusi alzati.
Vennero anche un paio di volte in Italia, dove trovarono sempre seguito e applausi.
I Redskins si sciolgono nello stesso modo turbolento con cui avevano vissuto.
Pare che fossero sempre più aspri i dissapori con la loro etichetta, la London Records.
Così i ragazzi decidono di rubare i nastri dell'ultimo disco e pubblicarli con un'altra etichetta, suscitando le ovvie ire di quella precedente. Che lancia contro di loro avvocati e cause, costringendoli a sciogliere il gruppo per evitare di pagare cifre astronomiche.
Dopo lo scioglimento Chris Dean scompare dalla scena, ritirandosi in un mutismo totale e assoluto.
C'è chi lo segnala a Parigi a fare l'insegnante, chi a New York.
Ricompare brevemente con un nuovo progetto chiamato P-Mod e successivamente in un altro dal nome Chris Dean & The Crystallites.
Dei primi pare esista un demo, mandato al famoso DJ della BBC John Peel ma mai trasmesso, dei secondi nulla più che il suggestivo nome.
Nessuno dei vecchi amici ha più ritrovato le sue tracce. Spesso alcuni giornalisti o semplici fan provano a verificarne la raggiungibilità ma senza successo.
Ci ha provato anche il sottoscritto e dopo un'intensa e accurata ricerca ho ricevuto un'attendibile risposta da parte di Bazza (thanx Cpt. Stax), che curò per un periodo un sito dedicato ai Redskins:
“Chris vive a New York in questo momento, non lontano da casa mia. Musicalmente ha fatto pochissimo dopo i Redskins, io posseggo un paio di canzoni composte dopo lo scioglimento. Una grande agenzia di concerti ha provato più volte a fare offerte per rimettere insieme la band, anche solo per pochi concerti, ma Chris non è assolutamente interessato. Anche se possiede sempre la chitarra di Joe Strummer”.
Grazie Boss sempre un piacere legger carta stampata per noi foresti..
RispondiEliminaQuella dei REDSKINS rimane una delle più belle storie della mia vita. Un gruppo dal sound PERFETTO.
A TORINO il 4/9/1986 Palasport, c'ero ovviamente, poca gente in paragone alla capienza del posto ma davvero calda calda..mi ero comprato una mini badge che ho perso già direttamente durante il gig
C
Potevano diventare grandissimi (o perlomeno di media statura tipo Dexy's). Peccato. Rimangono nel mito.
RispondiEliminaBellissimi articoli. Grazie.
RispondiEliminaFantastici Redskins
RispondiEliminaCharlie