lunedì, dicembre 11, 2017
Skinheads
E'stato da più parti richiesto su Facebook il testo dell'articolo pubblicato su "Libertà" di ieri dedicato alla Cultura SKINHEAD.
Lo riporto di seguito, precisando che si tratta di uno scritto che vuole spiegare il fenomeno senza giudizi di parte ed è rivolto ad un pubblico generalista.
Conseguentemente non mi sono addentrato in termini e descrizioni troppo specifiche e incomprensibili a chi non ha vissuto le sottoculture.
Negli ultimi tempi gli skinheads sono arrivati spesso sulle prime pagine dei media nazionali, accostati prevalentemente alla recrudescenza di fenomeni neo fascisti e neo nazisti. La storia della cultura Skinhead parte da molto lontano e con caratteristiche particolarmente diverse e antitetiche a questa nuova forma estetica e ideologica.
Queste righe sono un modesto tentativo di fare maggior chiarezza, raccontando, senza giudizi di parte, quella che è la storia.
Verso la fine degli anni ’60 il movimento mod, esploso agli inizi del decennio in Inghilterra, perde vigore numerico, in molti si fanno crescere i capelli e aderiscono alle nuove suggestioni psichedeliche e hippie, alcuni invece induriscono il loro aspetto, tagliano i capelli cortissimi, quasi a zero, indossano abiti sempre più essenziali in jeans e portano scarponi Doc Martens, definendosi hard mod (mod “duri”).
Gli hard mod venivano nelle stesse zone economicamente depresse e disastrate a sud di Londra dove vivevano anche gli emigrati delle West Indies (Giamaica, Cuba, Haiti, Portorico, Repubblica Dominicana, Bahamas) dei quali incominciarono ad imitare i comportamenti spavaldi e duri e soprattutto il look dei cosiddetti Rude Boy giamaicani con jeans Levi's corti alle caviglie, cappelli “Pork Pie”, bretelle e calze rosse in segno di sfida cromatica. Dapprima dipinti come sottocultura giovanile della classe lavoratrice bianca, mostrarono ben presto segni di commistione culturali con le comunità di colore che vivevano nelle vicinanze.
Il 3 settembre del 1969 il quotidiano “Daily Mirror” nell’articolo sulle nuove tendenze giovanili “No love for Johnny” parla per la prima volta di “skinheads”.
Con gli skinheads si fa risalire alla stagione 1967/68 l’inizio dell’ hooliganismo inglese negli stadi, pur se presente anche in precedenza, ma sistematicamente ignorato dai media che improvvisamente creano una nuova ondata di cosiddetto “panico morale": lo skinhead diventa il nuovo pericolo giovanile, che si manifesta nelle strade, nelle aggressioni alla comunità pakistana (vista come cultura rivale e ostile all'integrazione, chiusa nelle sue tradizioni), ma soprattutto negli stadi, negli scontri tra tifosi.
Le prime tifoserie a forte presenza skinhead si registrano nel campionato 1968/69 a Londra e nelle zone meridionali del paese ma in breve tempo tutte le principali squadre hanno al proprio seguito gruppi di hooligans spesso infarciti da una forte presenza skinhead.
Lo scarpone Doc Marten's diviene il simbolo, prima di ogni altro segno stilistico, della sottocultura skinhead e del suo equivalente calcistico.
Le autorità provano a bloccarne l'uso: in molte città la polizia ne sequestra i lacci, e in alcuni casi si giunge addirittura ad ammettere negli stadi soltanto giovani senza scarpe, che restano ammucchiate alle entrate.
Gli skinheads ascoltano reggae, ska e musica nera, rhythm and blues e soul e condividono con i ragazzi immigrati di colore gli stessi locali e gusti musicali.
Si distinguono per la testa rasata a zero o poco più (elemento importante durante le risse per non essere afferrati per i capelli), spesso le basette, bretelle, jeans.
Ma per le serate trascorse nei locali a ballare spuntano capi di abbigliamento più eleganti come camicie Ben Sherman, polo Fred Perry, calzoni Sta Prest con la piega, scarpe Loafers più adatte alla danza rispetto agli scarponi.
Un modo per contrapporre un'estetica operaia e lavoratrice con l'affrancamento da quella quotidianità attraverso vestiti più eleganti.
Lo stile skinhead declina nel 1972, resistendo in alcune sacche dell'East End londinese, in Scozia e tra gruppi marginali di giovani operai del Midlands.
Anche i gusti cambiano ed entrano tra i gruppi preferiti nomi legati al glam rock come Slade, Mud e Sweet, più duri e diretti.
Cambia anche l'estetica, i capelli si allungano un po' e anche la definizione passa a quella di Suedeheads e Boot Boys.
In Australia un movimento simile e particolarmente violento porterà il nome di Sharpies.
Si tornerà a parlare di Skinheads solo qualche anno dopo quando, sull'onda del punk, gruppi come Sham 69, 4Skins, Cocksparrer e Angelic Upstarts riporteranno in voga l'estetica e la filosofia skin.
I nuovi ragazzi con le teste rasate affolleranno anche i concerti dei gruppi del revival ska come Madness, Specials, Selecter. Nascono le prime frange legate all'estrema destra inglese anche se la maggior parte della scena rimane su posizioni apolitiche.
La rinascita del movimento skinhead verrà accorpata al concetto di Oi Music, più o meno una forma di punk rock con testi inizialmente lontani dalla politica e più vicini alla vita di strada, del pub, del calcio (vedi ad esempio i Cockney Rejects, fan sfegatati del West Ham e per questo costretti ad interrompere a lungo l'attività a causa dei costanti attacchi da parte delle tifoserie rivali ad ogni loro concerto).
Il 3 luglio del 1981 durante un concerto a Southall, a Londra, con Business, Last Resort e 4Skins, il locale viene assediato da centinaia di membri della comunità pakistana residente, che considera i partecipanti come neo nazisti (in realtà solo una minoranza esigua lo era).
Ci sono colpi di arma da fuoco, feriti, risse gigantesche e il locale viene dato alle fiamme. La stampa cavalca l'onda e battezza gli skinheads come fascisti.
Ne approfittano gruppi come gli Skrewdriver, guidati a Ian Stuart, che si schierano apertamente a destra con brani con titoli inequivocabili come “White Power”, facendo proseliti e dividendo definitivamente la scena.
Da una parte manifestazioni come “Rock Against Communism”, dall'altra gli SHARP (Skinheads Against the Prejudice, Skinheads contro il pregiudizio) o i RASH (Red and Anarchist Skinheads). Anche in ambito musicale c'è chi si schiera apertamente come i Red London e soprattutto i favolosi Redskins, band che ha lasciato solo un album (significativamente intitolato “Neither Washington Nor Moscow” (Nè con Mosca né con Wahington) e una manciata di 45 giri, stupendo e insuperato incrocio tra soul e punk, con testi di chiaro stampo socialista. Personalmente fui testimone, in un loro concerto a Brixton, a Londra, a metà degli anni '80, di un attacco da parte di skin di destra al locale con rissa, feriti e intervento massiccio della polizia.
In mezzo a tutto ciò, un'ampia fetta di skinheads politicamente non schierati, che vive etica ed estetica restando distanti da appartenenze politiche dichiarate.
Negli Stati Uniti il fenomeno skinhead è entrato massicciamente nell'ambiente dell'hardcore punk restando abbastanza lontano da prese di posizione ideologicamente esplicite.
Dagli anni 80 in poi la cultura skin si è espansa in tutto il mondo e ne troviamo esempi ovunque, in ogni continente.
In molti casi è solo l'aspetto estetico, duro, rude, essenziale ad attrarre, lasciando spesso quello storico e filosofico in secondo piano o assolutamente inespresso, vedi ad esempio gli skinheads malesi che combattono per la purezza della loro razza contro l'invasione dei vicini indonesiani o bengalesi.
Anche in Italia la frattura iniziale fu sensibile. Il primo nucleo di gruppi come Nabat, Klasse Kriminale, Stab, Ghetto 84, Banda Bassotti, che univa tutti gli appartenenti alla scena, fu costretto ad assistere a sempre più numerosi scontri tra le varie anime politiche e alla frammentazione e definitiva divisione. Ai nostri giorni ci sono due frange apertamente ostili tra chi si colloca in un estremo e chi nell'altro, che proseguono parallelamente le loro attività, evitando il più delle volte di incrociarsi e scontrarsi.
Per una comprensione maggiore del fenomeno skinhead c'è un esaustivo documentario, reperibile facilmente su You Tube, di Don Letts, intitolato “The story of skinhead”.
Don Letts, regista e DJ, vicinissimo ai Clash, uno dei primi che portò il reggae nel punk con i suoi set al “Roxy” nel 1977 e autore di documentari e film su Clash, Jam, Pretenders, punk, Elvis Costello, Sun Ra e tanto altro, si addentra con decisione, senza preconcetti e in modo del tutto naturale in tutto ciò che è ed è stato allo stile Skinhead.
Dalle origini ad oggi, passando attraverso il controverso argomento delle tendenze neo nazi e razziste. In conclusione: è sempre opportuno diffidare dei titoli sensazionalisti e dell'appropriazione indebita di fenomeni che hanno alle spalle decenni di cultura, fatti, spessore, sostanza.
Ogni tanto bisogna rinfrescare la memoria (o informare in modo completo)
RispondiEliminaBravo Boss
C
Ottimo pezzo
RispondiEliminaCharlie