venerdì, agosto 08, 2014

Intervista al WU MING CONTINGENT



Il WU MING CONTINGENT ha realizzato "Bioscop", uno dei migliori album italiani del 2014 caratterizzato da un duro sound, ipnotico e ossessivo che unisce post punk, la new wave più abrasiva (dalle parti dei PIL e Massimo Volume), su cui si parla di alcuni personaggi “minori” ma altamente iconici (dal calciatore Socrates allo scrittore Peter Kolosimo) fino alla rilettura moderna di “Revolution will not be televised” di Gil Scott Heron. Lavoro interessantissimo che ci porta all'intervista di oggi (grazie a CESARE FERIOLI).

1) Che rapporto e/o interazione c’è tra l’attività letteraria di Wu Ming e quella musicale ?

Il gruppo scrittorio Wu Ming nascendo da un humus culturale molto contiguo all'underground musicale bolognese ha sempre interagito al proprio interno su modalità e dinamiche tipicamente proprie delle band.
Da qui a concepire il Wu Ming Contingent come vera e propria “sezione musicale” del collettivo il passo è stato breve.
Fin dalla sua nascita, tra gli intenti della Wu Ming Foundation c'è stato il “raccontare storie con ogni mezzo necessario”. Il media musicale è parso a tutti un’estensione naturale del progetto complessivo.

2) La strada sonora scelta è abbastanza ostica. I brani sono lineari e scorrono diretti e veloci ma i riferimenti non sono dei più facili, da PIL a Massimo Volume all’esperienza di Enrico Brizzi con Yu Guerra.

Le nostre influenze musicali aderiscono per scelta e per cuore alle nostre esperienze formative più remote.
Nello specifico ci puoi sentire il post-punk dei Public Image Ltd, dei primi Joy Division di Warsaw ma anche il garage punk dei Sonics, il proto-punk dei Television oppure il punk-rock dei Clash dei primi album…a dire il vero c’è anche un’influenza kraut-rock, quella più propriamente legata ai Neu! e per quanto mi riguarda del drumbeat rhythm and blues di New Orleans, insomma, un collage sonoro a cui ognuno di noi da il proprio apporto e che ha radici comuni molto forti.
Quello che ci siamo detti tra noi quando abbiamo deciso di formare la band è stato, facciamo musica che sentiamo realmente e senza mediazioni, che ci rappresenti anche generazionalmente, suoniamo spontaneamente quello che ci viene, deve piacere a noi per primi, e così è stato.

3) Quella musicale è un’esperienza estemporanea o è destinata a proseguire ?

Abbiamo già in cantiere l’idea del secondo album i cui testi saranno tutti improntati verso il mondo femminile visto che l’album Bioscop è composto di dieci brani tutti ispirati a figure maschili.

4) Da adoratore di Gil Scott Heron ho trovato geniale e riuscitissima la cover di The revolution will be not televised, intitolata “La rivoluzione non sarà trasmessa su Youtube”, aggiornata ai nostri giorni e riattualizzata.

Ci sembrava un doveroso omaggio verso la mitica figura di Gil Scott Heron, artista che ammiriamo profondamente.
Inizialmente è nata come cover in versione italiana, poi ci siamo resi conto che il testo originale era troppo legato al suo tempo e alle situazioni storico sociali americane.
Abbiamo deciso di adattare il testo a cose legate alla contemporaneità che viviamo noi, anche la musica di conseguenza è cambiata radicalmente trasformandosi in qualcosa di originale. Abbiamo voluto mantenere intenzionalmente un flow disco funk, in questo caso direi più propriamente no-disco come si diceva negli anni ottanta.
Questo è stato il processo di trasformazione che ha portato da “The revolution will be not televised” a “La Rivoluzione (non sarà trasmessa su YouTube)”.

5) Vivere di musica e “arte” in Italia è possibile ?

Parlando della mia esperienza personale ti posso dire che in passato e per anni ho vissuto solo suonando, questo ho fatto a tempo pieno dall’87 al 1999 circa. Dal 1990 al 1996 con la blues band Dirty Hands, fondata da me e dal chitarrista Andy Carrieri, con cui già collaboravo nei Jack Daniel’s Lovers, un anno arrivammo a fare 190 concerti.
Una bella faticaccia, te lo assicuro, ma era l’unico modo per far stare in piedi i conti.
Il nostro mercato di riferimento sia per gli album che per i concerti erano oltre all’Italia, la Svizzera, il Belgio e l’Olanda, la Francia e non da ultimi gli Stati Uniti.
C’era un forte “rinascimento” del blues in quegli anni e noi cavalcavamo la tigre spontaneamente. Avevamo promoters locali che ci organizzavano concerti e partecipazioni ai festivals, vendevamo dischi, anche se poche migliaia di copie ad album.
Insomma, come si dice in gergo, ci stavamo dentro. Ora la situazione è più complessa, c’è lo spettro della crisi economica, i budget ora sono praticamente quelli che incassavamo in lire allora ma la benzina per fare un esempio costa quasi tre volte tanto, così anche per autostrade ed alberghi, insomma, ora è molto ma molto più dura.
Il liberismo non è più solo una macabra favola uscita dai testi di gruppi come Dead Kennedys o Angelic Upstarts, è ovunque ed è intenzionato ad abbattere il potere d’acquisto e i diritti sociali di tutti, ovunque, anche in Italia.
Per dirla molto sinteticamente, girano meno soldi e la gente pensa a spendere per mangiare e sopravvivere, sempre meno per Musica e Arte.
E poi non da ultimo, trovo che la cultura generale si è parecchio massificata.

6) Una lista di dischi da portare sulla solita isola deserta

Uno su tutti il pensiero va a Sandinista dei Clash, album geniale e fondamentale sia per l’approccio musicale che per quello concettuale. Sandinista rappresenta contemporaneamente sia libertà artistica che integrità stilistica, sintesi geniale e perfetta. Prima di allora le band tendevano ad avere un suono unitario, univoco, compatto…i Clash ruppero questo schema per sempre.
In valigia metterei anche First Issue e Metal Box dei P.I.L., i due album dei Joy Division ma anche A Love Supreme di John Coltrane assieme ad un paio di cofanetti VVAA sia della Sun Records di Memphis che di R’N’B di New Orleans con brani di Robert Parker, Larry Williams, Earl King, Professor Longhair, Meters ecc., un bel best di King Tubby per non farmi mancare del buon dub giamaicano.
Sicuramente non potrei rinunciare a delle registrazioni di Muddy Waters del periodo Chess, Trouble No More/Singles 1955-1959 per esempio.
Stesso discorso per John Lee Hooker, il leone di Detroit. Mi servirebbero anche un po’ di Chicago House e di Detroit Techno, l’album di Delano Smith “An Odyssey” sarebbe perfetto, lui è nato a Chicago ma vissuto a Detroit e questo album rappresenterebbe una sintesi perfetta del potente sound in 4/4 di queste due città….mi sa che se continuo di questo passo però mi serve una nave container per traslocare, che dici Tony?

3 commenti:

  1. Ha,ma pensa te,non avrei mai pensato che Cesare(Lo Skinino,come lo chiamavamo ai tempi quando si passavano i pomeriggi al Disco D'Oro di Via Galliera nei primi anni 80 a Bologna,assieme a vari esponenti della Bologna punk e skin di allora,tipo Steno,UI UI e Riccardo dei Nabat) si fosse cosi' evoluto a livello musicale,non avrei mai pensato che avesse continuato con la musica e con una certa visione molto ampia... complimenti.... Paul67

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    1. Nei Wu Ming suona infatti anche Riccardo dei Nabat. Cesare ha girato il mondo suonando rock n roll e rhythm and blues con i Dirty Hands e i Jack Daniel Lovers oltre ad un'altra lunga serie di nomi ed è un fantastico DJ di "roba nostra".

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  2. I Wu Ming sono delle ottime penne e di gran cervelli, dovrebbero essere magari un tantino più easy quando li si approccia. Domenica scorsa a Cortona una mia amica che fa parte di una associazione (nel mezzo ci son pure io tra l'altro) ha parlato con uno di loro x organizzare una presentazione del loro ultimo libro qua al paese ma ha come avuto la netta sensazione di essere stata scrutata dall'alto in basso. Chissà magari è stato un equivoco....anyway come scrittori tanto di cappello.

    Charlie

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